Su Repubblica di domenica scorsa, nel consueto editoriale, Eugenio Scalfari affronta il tema del federalismo fiscale, concludendo che “In queste condizioni, quali che siano le opinioni di Tremonti e di Calderoli, parlare di federalismo fiscale è pura accademia e fumo negli occhi per distogliere l'attenzione da questioni assai più cogenti. Una trasformazione radicale del sistema tributario e dei poteri amministrativi effettuati in tempi di recessione e di deflazione è inattuabile poiché comporta gravissimi rischi. Come se, in tempi di tempesta, il timone della nave fosse affidato a venti timonieri anziché ad uno. Basta enunciare un'ipotesi del genere per esserne terrorizzati”.
Sono d’accordo, probabilmente l’eminente giornalista non è del tutto conscio della crisi strutturale dell’economia indotta dall’approssimarsi del picco del petrolio, però intuisce correttamente che il mondo sta per entrare in una fase di recessione e che questa condizione possa essere combattuta meglio dagli Stati nazionali, piuttosto che da un’accozzaglia di regioni, fragili economicamente, inadeguate sul piano amministrativo, maggiormente condizionabili da spinte localistiche.
Il picco del petrolio non sarà una passeggiata e richiederà scelte e decisioni difficili e impopolari, che solo una salda direzione centrale potrà assumere e un’economia di dimensione almeno nazionale potrà supportare. Invece, in Italia, il nuovo governo, con il colpevole assenso di una parte dell’opposizione, guidata da una schiera amministratori locali forse preoccupati più di ritagliarsi maggiori spazi di potere che dell’interesse generale, si sta avviando a proporre un’ipotesi di riforma federalista che prevede pesanti trasferimenti di competenze e risorse dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, aprendo la strada a una separazione di fatto del paese.
Purtroppo, a 150 anni dall’Unità d’Italia, parafrasando Massimo D’Azeglio, “non abbiamo ancora fatto gli italiani” e nei banchi del Parlamento e del Governo siedono rappresentanti di una forza politica, la Lega, dotata di forte potere di condizionamento politico, che non si limitano solo a deridere i simboli dell’Unità nazionale, ma perseguono deliberatamente una strategia di frammentazione dell’unità nazionale, senza suscitare un’adeguata reazione nell’opinione pubblica, nelle altre forze politiche e negli organi preposti a tutelare le norme e i principi costituzionali.
Sia chiaro, penso che una riforma che responsabilizzi maggiormente le Regioni italiane, evitando l’abitudine cronica di alcune di esse allo spreco e allo sperpero delle risorse pubbliche sia necessaria, ma lo Stato deve mantenere e rafforzare tutte le funzioni strategiche previste nella Costituzione e, in alcuni casi, riacquisire alcune competenze specifiche.
Nei settori più vulnerabili rispetto alla crisi energetica ed economica incombenti, è indispensabile che lo Stato si riappropri delle funzioni di pianificazione e controllo in materia energetica, non efficaci su scala regionale; riacquisti un ruolo strategico nelle decisioni in materia di trasporti, in particolare predisponendo programmi infrastrutturali nel settore del trasporto pubblico locale, lasciando agli enti locali solo compiti attuativi; mantenga un ruolo di indirizzo e controllo nel settore agricolo-forestale; accentui il ruolo di guida dell’economia nazionale per proteggere le fasce più deboli della popolazione dall’accentuarsi delle sperequazioni sociali.
Più in generale, deve continuare ad essere garantito un livello omogeneo di istruzione pubblica e una garanzia di tutela sanitaria di base per tutti i cittadini italiani.
6 commenti:
Credo che certi aspetti di "centralizzazione" siano necessari a garantire la transizione non banale che ci attende. Senza coordinazione si rischia di creare sperequazioni, fidandosi dell'ormai famosa mano invisibile.
E' anche vero che il nostro sistema centrale italiano è fortemente dissipativo: l'Italia è il paese dei "politici di mestiere", iperpagati e riveriti a vita e del ceto medio-basso a minor reddito un UE. Una redistribuzione di risorse , ridando ossigeno alla rete neurale dei comuni, sarebbe secondo me benefica.
Si tratta di trovare un optimum che riduca le dissipazioni: questo passa necessariamente anche attraverso una forte informazione alla popolazione da una parte, e la creazione di una classe politica meno mafiosa dall'altra.
Umberto Bossi, massimo esponente della Lega Nord, è un ministro della Repubblica Italiana che ha giurato fedeltà alla Repubblica.
Lo stesso ministro, fa il tipico gesto anglosassone del dito medio alzato contro l'inno nazionale italiano, più volte ha affermato che ci sono migliaia di fucili pronti a marciare su Roma.
Se non è una deriva fascista questa, quando lo sarà?
A proposito di centralizzazione, vi invito a cercare informazioni sul "trattato di Lisbona". Pochi mesi fa tutti a scagliarsi contro gli irlandesi che grazie a un referendum, hanno potuto dire NO a quel trattato.
Perché in Italia non possiamo fare un referendum analogo?
Detto in due parole, il "trattato di Lisbona" sancisce che non saremo più cittadini ma consumatori, la nostra Costituzione che ci garantisce almeno sulla carta molti diritti, non avrà più alcun valore.
Sarà...
Personalmente sono più proccupato dalla tendenza all'accorpamento e al gigantismo che ne deriva. La duplice certezza della perdita di valore dell'individuo e dell'emersione dell'autoritarismo di un potere troppo lontano dalla base, impliciti nei grandi organismi sociali, mi sembrano molto più concreti. A mio modo di vedere, piccolo è meglio anche quando si parla di strutture sociali.
"... è indispensabile che lo Stato si riappropri delle funzioni di pianificazione e controllo in materia energetica..."
L'Italia è un aese dove lo Stato, anacronisticamente pensa di costruire centrali nucleari, dove le regioni hanno il potere di vietare le torri eoliche e dove i comuni possono deliberare che un impianto fotovoltaico deve distare almeno 500 metri da un'abitazione.
Se ci fosse un federalismo energetico probabilmente tra qualche anno chiederemmo alla Toscana di venderci la sua corrente e le altre regioni, a cominciare da quelle del sud si sveglierebbero dal loro torpore e diffidenza verso il solare e l'eolico. O no?
Mimmo.
Le regioni che hanno la maggiore potenza eolica installata sono quelle meridionali. La Toscana ha una bassissima potenza eolica installata e i Comuni e le Soprintendenze si oppongono al solare. In generale, quasi tutte le Regioni non hanno finora brillato in materia energetica. Il problema è che alle Regioni sono stati trasferiti poteri di pianificazione energetica, ma concretamente hanno pochisimi se non punti strumenti per farli attuare. Inoltre, la gestione del sistema elettrico, a partire dalla rete di trasmissione dell'energia elettrica è nazionale, gli obblighi derivanti dal protocollo di Kyoto sono giustamente a carico degli Stati nazionali. Insomma, la dimensione del problema energetico è come minimo di livello nazionale. Poi, è evidente che c'è un problema di inefficienza dello Stato italiano che va affrontato, ma non con la scorciatoia federalista che rischia solo di moltiplicare l'inefficienza centrale.
Il centralismo "romano" col tempo si è fossilizzato ed ha perpetrato un sistema immobile ed incredibilmente antiquato pieno di corporazioni, caste, privilegi sprechi e ruberie, incapace di reperire le istanze provenienti dl popolo. Bossi ha percepito il malessere del Nord agli inizi degli anni '80 e lo ha convogliato nel suo movimento che è diventato un grande partito regionalista.
Ma ci sono voluti 15 anni affinchè la Lega diventasse forza di governo e sfondasse la diga del centralismo romano, iniziando iniziasse il percorso di trasformazione federalista al quale si sono convertiti anche molti esponenti della Sinistra che prima lo osteggiavano.
Il mondo in 15 anni però è cambiato molto e quelle istanze giuste istanze del Nord ora sono incompatibili con le sfide future che l'Italia dovrà affrontare ed anzi potrebbero essere nefaste per il suo futuro.
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