domenica, giugno 22, 2008

"Rifiuti", se ci siete battete un colpo


In questo post inserirò la parola "rifiuto" rigorosamente tra virgolette, in quanto ho delle difficoltà a riconoscerne l'esistenza.

L'etimologia della parola "rifiuto" evoca un "atto di diniego e di disconoscimento" ; un suo sinonimo molto usato è "immodizia" che, ancora, significa "del non-mondo", "non pulito".

Ora, proviamo a fare un po' di razionalizzazione.
A parte per quei materiali (prodotti dalla trasformazione civile/agricola/industriale) le cui caratteristiche chimico-fisiche non sono particolarmente benevole, sia per tipo che per intensità (radioattività, tossicità, instabilità ...), per tutti gli altri è possibile attivare già oggi dei recuperi sfruttando processi meccanici, magnetici, a filtrazione, biochimici, elettrochimici e chi più ne ha più ne metta.
Lo scopo di questo recupero non vuole essere l'accattonaggio istituzionalizzato, ma l'attuazione delle tecniche più convenienti (energeticamente) per evitare che preziosi elementi vengano dispersi.

[si veda a tal proposito il post di Ugo Bardi e i link a Pagani-Bardi a "La macchina mineraria universale" ]

Il modello è quello dell'ago nel pagliaio: se disperdiamo i minerali nell'aria e negli oceani, riottenerli da essi sarà molto più difficile che non estrarli dalle miniere nel modo in cui siamo abituati. Quando andrà bene sarà un processo lento, delicato ed energivoro; nei casi più disperati (diluiti) la manovra sarà al limite tra la disperazione e la non-fattibilità tecnologica.


Finora l'economia moderna (almeno, quel sottoprodotto di essa che si limita ad essere "scienza della comodità" ma che fa la voce grossa ) ha vissuto sul concetto di "rifiuto", semplicemente grazie al fatto che le dimensioni dei grandi reservoir petroliferi rendono (rendevano) trascurabile il volume di "scarti" che da essi discendono. Ma, noi si sa, in un sistema dinamico con migliaia di equilibri in gioco avvengono continue trasformazioni, tempo qualche decina di anni e ... zac! le cose cambiano.

Se da una parte lo smaltimento dei materiali a "basso valore aggiunto" sta diventando un problema nelle aree più popolose del mondo (megalopoli), dall'altra i giacimenti di idrocarburi mostrano difficoltà oggettive a mantenere il trend nei flussi, dunque è ostacolata anche la produzione stessa dei cosidetti "rifiuti" [cfr. Ugo Bardi in "Il picco dei rifiuti"]

Il vero problema è che le stesse dinamiche esponenziali che hanno regolato lo sviluppo tumultuoso negli ultimi 50 anni stanno imponendo ora dei freni piuttosto "potenti", in quanto anch'essi di natura esponenziale.

[si veda il recente post di Terenzio Longobardi "Come affrontare la crescita esponenziale dei prezzi petroliferi"].

E' molto difficile che ci sarà una frenata dolce; la speranza è comunque quella di costruire (in tempo utile, tra l'altro) una qualche forma di ABS che riduca gli sbandamenti. Nel frattempo, il confine tra "rifiuti" e Materie Prime diventa sempre più sfumato.

3 commenti:

Weissbach ha detto...

"Il modello è quello dell'ago nel pagliaio"

C'è sempre in ballo l'entropia.

Mi ricordo che 20 anni fa il modo scelto a scuola per esemplificarla era stato il mescolare pepe e sale in un vasetto.

Io insisto: il secondo principio della termodinamica, con tutti i suoi corollari, dovrebbe stare al centro della nostra cultura.

Così, un po' per celia e un po' per non morire.

Anonimo ha detto...

OK l'entropia (siamo d'accordissimo) ma purtroppo c'è anche la maledetta "definizione europea di rifiuto": è rifiuto tutto quello che di cui il produttore si disfi, voglia disfarsi, abbia l'obbligo di disfarsi.
Nota che l'Italia ha preso multe portentose dove ha provato a sgarrare da questa definizione

Frank Galvagno ha detto...

caro anonimo, la definizione europea rientra negli aspetti legislativi-comportamentali, che sono del 3° ordine nella scala cui amo appoggiarmi (1° termodinamica, 2° economica, 3° giuridica).

Purtroppo, però, ha un "peso" superiore, in quanto può punire, sanzionare, etc. Ma di questo la termodinamica se ne infischia