venerdì, settembre 14, 2007

Di ritorno da Norimberga

Come promesso vi passo qualche impressione a proposito del mio viaggio a Norimberga. Per prima cosa, vi racconto del congresso Euromat che si è tenuto questa settimana e che, vi confesso, è stata una discreta delusione per me. La scienza dei materiali è, o dovrebbe essere, uno dei pilastri della tecnologia che ci deve servire per superare la crisi che fronteggiamo. Devo dire, però, che a Norimberga, mi è parso un pilastro un po’ incrinato.

Euromat ha raccolto oltre un migliaio di scienziati e ricercatori in tutti i campi della scienza dei materiali. Uno spaccato di tutto quello che si fa in Europa e fuori; pensate soltanto che c’erano 18 sessioni parallele di presentazioni orali, due sessioni di poster, ognuna con parecchie centinaia di poster. Oltre a questo, c’erano le plenarie e le esposizioni delle ditte, presentazioni informali e sessioni di training. Non pretendo di aver potuto vedere più di una minuscola frazione di quello che veniva presentato ma, da quello che posso dire, mi è parso che una buona parte delle presentazioni non fossero niente di più che onesto lavoro, non particolarmente innovativo o interessante. Molte erano – francamente – giochini accademici del tutto inutili.

Quello che mi ha fatto particolarmente impressione a Euromat è la totale disconnessione dell’industria e della ricerca dal problema vero dei materiali: quello della disponibilità delle materie prime. Sia i ricercatori che chi pianifica la produzione continuano a ragionare come se la disponibilità dei materiali che utilizzano sia infinita. Se un loro congegno richiede, per esempio, l’elemento disprosio (l'esempio non me lo invento, il disprosio viene usato per certe barriere termiche), nessuno si preccupa di come e quanto il disprosio sarà disponibile nei prossimi anni.

E’ invece ci troviamo in una situazione nella quale la produzione di molti metalli ha piccato da qualche anno ed è in diminuzione. Questo rende vitale il riciclaggio, ma delle migliaia di presentazioni che c’erano a Norimberga sono riuscito a rintracciarne soltanto due che parlavano di riciclaggio e di recupero dei minerali. In più, c’era un solo espositore che parlava di riciclaggio; una ditta tedesca che faceva un lavoro interessante trasformando il vetro recuperato in materiale da costruzione e isolante poroso. Anche loro si domandavano come mai in un congresso così grande non ci fosse nessun altro che parlava di queste cose. Comincio a pensare che l'iperspecializzazione alla quale siamo arrivati potrebbe essere letale per la prossima crisi.

Della mia presentazione al convegno; non vi so dire se sia stata un successo o no. Diciamo che ha avuto un certo impatto. Immaginatevi di essere a un convegno di teologi e di presentare una dimostrazione irrefutabile che Dio non esiste. Bene, credo di aver avuto un effetto del genere a Euromat. Ho parlato del mio lavoro con i materiali per le turbine a gas, ma ho anche parlato del futuro delle turbine in vista del picco del petrolio. L’udienza, per quello che ne posso dire, è rimasta di stucco, si vede quando succede dal fatto che non ti fanno domande. In queste occasioni, però, se la maggioranza rimane tagliata fuori, c’è sempre qualcuno che “vede la luce” e questo lo si vede più tardi, quando vengono a farti domande mentre mangi un panino o bevi il caffé. Anche questo è successo. Qualcuno, certe cose le capisce al volo.

Del mio viaggio di ritorno sull’aereo da Monaco a Roma, vi posso dire che mi sentivo un po' in colpa per non aver preso il treno. Ma era un pezzo che non passavo tanto tempo col naso incollato al finestrino di un aereo e non mi ricordavo che il mondo fosse così bello e interessante visto da lassù. Era una giornata limpida lungo tutto il tragitto e mi era capitato un posto in coda, con la vista a 180 gradi, per niente bloccata dall’ala. Vedersi scorrere sotto il paesaggio da un’impressione della vastità del pianeta – l’aspetto di Gaia. La Germania è verdissima, con le torri eoliche che spuntano qua e la, perfettamente visibili. Le alpi sono coperte di folta vegetazione fino al limite di sopravvivenza degli alberi. La pianura Padana fa subito impressione per la densità abitativa e per la foschia brunastra che la pervade. L’Appennino, in confronto alle Alpi, sembra soffrire di un’incipiente calvizie. Via via che si viaggia verso Sud, la situazione peggiora. Si vedono tracce evidenti di erosione, di vegetazione in cattivo stato, si vedono anche bene le tracce degli incendi di quest’estate. C’è un problema evidente di deforestazione e di erosione in Italia. In parte è dovuto all’attività umana, certamente l’esplosione di edificazione si vede benissimo dall’aereo. Ma, in buona parte, è dovuto anche al cambiamento climatico. Gaia è ancora in buona salute, nel complesso, ma di certo è sotto stress.

Vi posso anche raccontare che le uniche occasioni in cui leggo i giornali è quando prendo l’aereo. Ogni volta che mi capita, noto un’altra disconnessione totale: quella degli articoli rispetto al mondo reale. Ce n’era uno sul “Financial Times” che era particolarmente delirante. A proposito del petrolio a 80 dollari al barile, sosteneva che l’OPEC “non aveva fatto abbastanza ad aumentare la produzione di 500.000 barili al giorno”. Secondo loro, avrebbe dovuto aumentarla di due milioni. Questo qui che ha scritto questo insulto all’umana intelligenza sembra pensare che la produzione del petrolio dipende unicamente da quello che dicono un gruppetto di una dozzina di ministri che si riuniscono in una stanza con l’aria condizionata. Non gli viene in mente che qualche povero cristo il petrolio lo deve estrarre, lavorando di solito in posti dove l’aria condizionata non è così comune? Crede che i ministri il petrolio lo possano creare per decreto? E crede veramente che il fatto che l’OPEC abbia dichiarato questo aumento di produzione sulla carta si tradurrà in un aumento reale di produzione del petrolio vero? Lasciamo perdere....

Per fortuna, c’era invece un ottimo articolo di Luca Mercalli sul cambiamento climatico in prima pagina su “Repubblica”. Almeno qualcuno connesso con la realtà rimane. Ci è toccato vivere nel paese che probabilmente sarà uno dei più danneggiati dal riscaldamento globale. E il bello è che da noi c’è chi continua a negarlo. Lasciamo perdere anche questo.... Chi vivrà, vedrà.



...

8 commenti:

Frank Galvagno ha detto...

Anch'io resto perplesso di fronte a tecnologie super-specialistiche, che astraggono dal concetto di consumo continuo di risorse finite.

Ad esempio, nella mia ignoranza, mi chiedo che futuro avranno (se lo avranno) i materiali a nanotubi di carbonio fatti per aderire a pareti lisce... o i laterizi rivestiti di ossido di titanio per abbattere l'inquinamento organico...

Anonimo ha detto...

La mia paura, prof. Bardi, è che gran parte degli sguardi increduli che a Lei capita di trovarsi addosso sia dovuta al fatto che una "teoria del peak-oil", non esiste come tale. La teoria di Hubbert, in particolare, perde gran parte della sua capacità previsionale non appena si tenta di applicarla alla situazione globale. Inutile attendersi una spettacolare conferma "sperimentale", come fu quella del '71, di una ridda di ipotesi eterogenee, scollegate fra loro e, non di rado, contrastanti. Un conto è fare una previsione sull'andamento della produzione di un minerale in una regione circoscritta e in condizioni tali da poter considerare come "date" la dinamica della domanda e dell'offerta nel resto del mondo. Tutt'altro conto è non potersi più limitare agli aspetti geologici ma essere costretti a considerare esplicitamente anche fattori economici, politici, militari e quant'altro, molti dei quali estrememente difficili da modellare. Detta proprio in soldoni, la teoria di Hubbert non fornisce più equazioni ma, al massimo, disequazioni, per esempio fissando limiti inferiori al costo energetico medio di estrazione del petrolio. Finora non mi sono mai imbattuto su un modello sufficientemente credibile dell'esaurimento del petrolio globale, e oramai mi domando se ne esista almeno uno (e lo domando anche a Lei). Chissà che non sia questa "mancanza" ad alimentare sia il diffuso scetticismo sia, per contro, le solite scorribande degli ultracatastrofisti a caccia di lettori del loro ultimo polpettone doom'n'gloom?

Ugo Bardi ha detto...

Caro anonimo, scusa ma stiamo parlando di due concetti diversi: uno è lo scetticismo, che è a volte anche informato (come sembra essere il tuo caso). Un altro è l'ignoranza, che invece sembra essere stato il caso della mia presentazione a Norimberga.

Quando mi trovo a parlare a una platea dove ci sono degli scettici informati, di solito ne nasce un dibattito interessante. Invece, mi trovo di fronte al silenzio quando parlo a una platea dove è una sorpresa totale il concetto che ci sono dei seri problemi di esaurimento con il petrolio.

Purtroppo, la grandissima maggioranza della gente ignora totalmente l'esistenza del problema, figuriamoci ragionare sulla curva di Hubbert! I ricercatori di EUROMAT, evidentemente, non facevano eccezione.

Per il discorso dei modelli globali, la tua opinione mi ricorda molto quello che disse Ali Samsam Bakhtiari al convegno ASPO-1. Disse che al picco, o nei pressi del picco, il modello di Hubbert cessa di essere utile. Si va nella "terra incognita". A quel punto, la produzione sarà dominata da fattori politici, guerre e cose del genere.

Nel complesso sono daccordo con Bakthiari. Il dopo-picco è completamente ignoto e non ci possiamo aspettare una curva bella e simmetrica come fu nel caso degli Stati Uniti. Questo vuol dire, purtroppo, che il modello di Hubbert è quello più ottimista!!!

Suggerisco di proseguire questa discussione nel forum "petrolio" se hai voglia di iscriverti. Grazie per l'interesse!


UB

Anonimo ha detto...

Bardi: "L’Appennino, in confronto alle Alpi, sembra soffrire di un’incipiente calvizie. [...] C’è un problema evidente di deforestazione e di erosione in Italia. [...] Gaia è ancora in buona salute, nel complesso, ma di certo è sotto stress."

Vedo molto spesso quei boschi da una prospettiva molto più terra-terra (non ho mai volato), camminandoci in mezzo, e posso garantire che non vanno niente bene. Le piante sono nella migliore delle ipotesi sofferenti, nella peggiore morte per malattia o decimate da tagli finalizzati alla rapina. La loro chioma, dove ancora presente, si è notevolmente sfoltita nel corso degli anni (anche se gli alberi non sono meno, sembrano avere in media molte meno foglie). Il sottobosco è letteralmente tritato. I pendii sono solcati da una quantità di piste incredibile, e ogni pista ha il suo corredo di frane piccole e grandi delle quali è causa primaria. Gli anfibi sono decimati. I rettili sono decimati. Gli insetti tradizionalmente presenti sono decimati e ne compaiono di mai visti (probabilmente importati da chissà dove). Sono comparse zanzare anche ad alta quota (1600-1700 metri, sulle cime) ove in precedenza erano inesistenti. In Liguria, camminando nei boschi, è pressoché impossibile evitare l'infestazione da zecche, a meno di munirsi di uno scafandro.

Non sono certo uno specialista, ma vivo quei boschi da oltre vent'anni. Non so attribuire un nome a quel che vedo, non so catalogarlo, non so misurarlo, ma so riconoscere il cambiamento. E credo di sapere anche capire quando è un tracollo.

Spero che le mie osservazioni, basate su un breve periodo (cosa sono 20 anni, dopo tutto?), possano fotografare nulla più che un momento di crisi transitoria ma, sinceramente, non ne sono convinto.

E ho volutamente tralasciato di parlare dei rottami e dei rifiuti che si trovano in ogni dove, della costruzione di strade e successivamente di ville e villette, degli scarichi più o meno abusivi di quelle ville e villette che rendono putrido ogni corso d'acqua, del prelievo che prosciuga per gran parte dell'anno torrenti nei quali lo scorrimento era fino a qualche anno fa scarso ma costante...

L'abbandono, spesso citato come causa dei mali, pare invece l'unica soluzione. Dove c'è attività umana, c'è distruzione. Almeno qui da me.

A volte non so ben capire se è il mio cervello a interpretare male i segnali che gli mandano gli occhi, o se veramente sta andando tutto a rotoli, però a guardarla da vicino quella particolare porzione di Gaia ove vivo non mi pare gran che "in buona salute".

Ugo Bardi ha detto...

Sembrerebbe che viste dal basso le cose siano ancora peggiori di come appaiono dall'alto. In effetti, comunque, la panoramica dall'aereo alle volte ti rivela cose impressionanti e ti fa chiaramente vedere che i boschi spelacchiati non sono un'eccezione sull'appennino. Insomma, sembrerebbe vero che il territorio italiano si sta desertificando. Un bel cammello e via....

Gianni Comoretto ha detto...

Sono uno dei super-specialisti (non in scienze dei materiali). Lavoro alla costruzione di un telescopio in Cile, a 5000 metri, 50 km dal più vicino centro abitato.
Non posso che chiedermi che cavolo servira' il mio lavoro, tra 10-15 anni, quando non sara' possibile andare laggiu' a fare le osservazioni, o la manutenzione.

Anonimo ha detto...

Faccio davvero un sacco di fatica a credere che esista gente per cui è "una sorpresa totale il concetto che ci sono dei seri problemi di esaurimento con il petrolio". Sarà che questo concetto me lo hanno inculcato da quando ero ragazzino. Allora sembrava che i grandi problemi fossero due. Il primo di natura locale: pare che la mia cittadina fosse seconda solo a Verona per siringhe pro capite. Il secondo assolutamente globale: il fatto che "cabbòne e peciolio", come diceva il preside della mia scuola media, stavano per finire. Solo pochi anni dopo l'eroina passò (per fortuna) di moda, come i pantaloni a zampa di elefante pochi anni prima. E i combustibili fossili tornarono apparentemente ottimi e abbondanti. E tutte le preoccupazioni e i mal di pancia passarono in gloria.

Sono proprio ora di ritorno dall'isola del Giglio, dallo stesso campeggio dove trascorsi una quindicina di giorni nell'estate del 1981. Mi sono ricordato di una cosa che leggevo allora, in tenda e sugli scogli, a scappatempo, anche per imparare l'Inglese. E l'ho ritrovato: "A special report in the public interest. ENERGY. Facing up the problem, getting down to solutions." del National Geographic, febbraio 1981. Spaventosamente attuale. Si apre con una foto di uno sceicco con del petrolio in una caraffa di cristallo, a simboleggiare i prezzi in salita. Si dice che proiezioni, definite "conservative", prevedono 80 dollari al barile nell'85. Di seguito si immagina uno scenario in cui viene rovesciata la casa dei Sauditi e il petrolio di quel Paese, un quinto del totale nel mondo, cessa di essere prodotto, causando ripercussioni da incubo in tutto il mondo. Tutto questo per dimostrare quanto insaziabile fosse la sete di petrolio degli Stati Uniti e degli altri paesi sviluppati, che dipendono in massima parte da "hostile oil". Come siamo finiti in questa situazione? Si domandano. La risposta: di tutti i comuni carburanti il petrolio è il più trasportabile, il più conveniente, il più versatile. Era sembrato senza fine, ma soprattutto, fino a poco tempo fa, costava poco. Siamo diventati completamente dipendenti da esso. Dalla fine del '47 siamo diventati importatori, e il disavanzo è andato crescendo. Poi, a pagina 16, viene la fatidica frase: "Domestic oil production peaked in 1970. In every year but one since 1967 we have used more oil from our proved reserves than has been found in new reservoirs". Quando la nostra produzione divenne insufficiente, prosegue, fu fin troppo facile compensarla importando petrolio a basso costo dall'estero. Poche voci ci rammentarono che il petrolio era una risorsa finita e che dovevamo prepararci per quando si sarebbe esaurito. Ma quasi nessuno dette loro ascolto. Più avanti, dopo una sintesi dei fatti degli anni dal '73 in poi, un altro passaggio significativo: l'intera economia USA è diventata pesantemente dipendente dall'energia a basso costo. Ora l'energia non costa più poco, e il suo costo crescente è una faccenda seria. Cosa possiamo fare? Può il popolo americano trovare soluzioni di lungo termine a questo problema di vorace domanda a fronte di un'offerta incerta? Possiamo riuscire a passare attraverso gli anni critici finché non saranno pronte le grandi soluzioni? Comprendere sei verità di base sull'energia può aiutare. Seguono sei paragrafi: 1. We are not running out of energy - yet, dove, dopo aver passato in rassegna le risorse energetiche americane, si dice: inoltre, con la salita dei prezzi dell'energia, diventa sempre più redditizio cercare il modo di sfruttare risorse marginali. Per esempio, il pompaggio convenzionale del petrolio permette di ottenere solo circa un terzo di quello presente sottoterra. Ma i cosiddetti metodi terziari, usando vapore, diossido di carbonio, o detergenti possono tirarne fuori quantitativi ulteriori. Analogamente, i prezzi alti conducono a tentativi di spremere petrolio dalle scisti e da altre formazioni che non mollano la loro ricchezza tanto facilmente. 2. Fossil fuels are, however, finite, ma più interessante, visto che si tratta di una cosa di 26 anni fa, è: 3. There is no quick fix, dove si dice che gli Americani sono convinti che la tecnologia risolverà i problemi rapidamente se ci lavoriamo abbastanza sodo e ci spendiamo abbastanza soldi. Dopo tutto siamo andati sulla Luna, no? Ma nel caso dell'energia questa credenza (non riassumo, traduco parola per parola!) è un misto di speranze e mancanza di comprensione dei limiti della tecnologia di fronte a problemi complessi e intrattabili. Inoltre non tiene conto del fatto che spesso gli ostacoli non sono tecnologici ma istituzionali - per esempio pressioni da parte di interessi che temono di essere danneggiati dai nuovi sviluppi, o inerzia da parte dell'industria, sindacati, amministrazioni locali e dei consumatori. Si racconta poi del Progetto Indipendenza, pomposamente annunciato durante l'embargo del '73 e di come, a 7 anni di distanza, assai poco di concreto fosse stato fatto. Poi, traduco di nuovo: sfortunatamente tutte le principali soluzioni che potrebbero avere un effetto sostanziale sul nostro rifornimento di energia sono lontane anni, in genere molti più di quanti non ammettano i loro sponsor. Essi richiedono lo sviluppo e lo scrupoloso collaudo di nuove tecnologie, la mobilitazione di nuovo capitale ad alti tassi di interesse (già, ve la ricordate l'inflazione di quei tempi?) e la costruzione di impianti giganteschi. Spesso implicano rischi tali che le imprese li prendono in considerazione solo dopo aver ricevuto cospicui sussidi dal governo federale. Per questo gli analisti non si aspettano grossi contributi da nuove fonti come le scisti, il petrolio dal carbone o l'energia geotermica prima del 1990 o più tardi. Anche le rinnovabili - biomasse, solare, energia termica oceanica, eolico verranno tardi, benché il DOE ha lavorato ad un obiettivo del 20% entro il 2000. E la fusione, la grande speranza di energia rinnovabile abbondante è verosimilmente lontana 40 o più anni. Poi viene il: 4. There is no free lunch, praticamente ogni proposta per aumentare la fornitura di energia implica costi nascosti, effetti collaterali spiacevoli e incertezze. Seguono cenni al nucleare, poi, a proposito dei problemi legati al carbone, questo bel passaggio (reggetevi forte, meglio se allacciate le cinture di sicurezza!): di portata assai maggiore è l'accumulazione in atmosfera del diossido di carbonio a causa della combustione del carbone e altri combustibili fossili. Il diossido di carbonio tende a intrappolare calore sulla superficie della terra; in concentrazioni sufficienti potrebbe creare il temuto effetto serra. Ebbene sì, avete letto bene. Campeggia anche nel glossario della pagina a fronte: Greenhouse effect. Assieme a cogeneration, gasohol (90% benzina, 10% etanolo) e synfuels. Ma torniamo alla traduzione: tale concentrazione, dicono alcuni scienziati, potrebbe accrescere la temperatura media della terra di 2°C e le temperature polari di addirittura 7 gradi (sembra di rileggere il post di Pietro Cambi, 7 SETTE gradi, come scrive lui, incredibile vero?). Ma sentite questa, allora: Alcohol agricultural products for use in cars raises the specter of food versus fuel (!!!!! L'avrà letto anche Bush?) As Lester Brown, president of the Worldwatch Institute, warns, "The potential demand is virtually limitless: even converting the entire world grain crop to alcohol would not provide enough fuel to operate the current world automobile fleet". E beccati anche questo; ma ce n'è anche per la biomassa che depriva i suoli di materia organica, ecc. Anche il resto del rapporto è interessante. Vi si trova, per esempio uno spaccato della società americana autodipendente (definita "drive-in society") C'è un modello di "futura" auto ibrida con soluzioni tecniche oggi effettivamente adottate, per esempio, dalla Toyota. Già si parla di shale deposits e tar sands: allora si domandavano che cosa sarebbe successo se, una volta fatti investimenti massicci su queste "fonti", l'OPEC avesse di colpo affondato i prezzi del greggio convezionale. C'è un articoletto dal titolo "Can we live better on less?" in cui si racconta come ci si arrangiava all'epoca per risparmiare energia, con l'immancabile disegno della casa "virtuosa" (Geohouse, per l'occasione), la foto della Shin Aitoku Maru che naviga a vela. L'aereo solare. E per concludere in bellezza, il geotermico "hot dry rock": anche di quello, dunque, se ne parla almeno da 26 anni.

No, non me lo dica prof. Bardi. Non può esistere gente che non sa.

Ugo Bardi ha detto...

Caro Anonimo,

avevo scritto un commento al tuo commento che, poi, per qualche ragione è sparito. Ora mi fa un po' fatica riscrivere tutto da capo, ma l'essenziale era che ci sono vari livelli di ignoranza. C'è veramente chi non ha la minima idea di cosa sia il picco e che ci siano problemi con il petrolio. Ne abbiamo parlato anche a ASPO-6; nonostante che ci fosse chi ha detto che "abbiamo vinto", in realtà ci vorrà ancora molto tempo prima che il concetto passi.

Ah... un altro punto; è vero che non c'è una ben assodata "teoria del peak oil". Proprio così! Il picco del petrolio NON è una teoria; è un'osservazione basata su dati storici. Ci sono varie teorie basate su diverse assunzioni; ma la base del concetto sono i dati. E' un punto che bisogna che spieghi in dettaglio quando ho un momento.