domenica, settembre 30, 2007

L'equivalente morale di una guerra (II)


In un post precedente, avevo pubblicato un articolo di Carlo Cerofolini e un commento allo stesso sotto il titolo "L'equivalente morale di una guerra", citando una frase di Jimmy Carter in cui si riferiva alla crisi energetica del tempo in cui era presidente degli Stati Uniti negli anno '70.

Il succo del mio commento era che mentre noi qui siamo a litigare, la casa brucia. Ovvero, mentre qui siamo a disquisire sui relativi meriti di biomasse, vento, fotovoltaico e nucleare, la crisi energetica (l'equivalente morale di una guerra) è in pieno svolgimento e non stiamo facendo nulla di serio per contrastarla.

Qualche giorno fa, Carlo Cerofolini mi ha inviato un altro suo articolo, già pubblicato su "ragionpolitica", dove esprime ulteriormente la sua opinione non favorevole alle energie rinnovabili. La maggioranza dei lettori del blog "aspoitalia" saranno sicuramente in disaccordo completo con le idee di Cerofolini. Tuttavia, mi è parso il caso di pubblicare questo articolo per molte ragioni.

In primo luogo perché Cerofolini, pur esprimendo opinioni sulle rinnovabili sulle quali non concordo, è uno dei pochi che si è reso conto della gravità del problema energetico. In questo articolo sostiene correttamente, infatti, che "senza energia abbondante non ci può essere democrazia" - cosa sulla quale concordo in pieno. In secondo luogo, va dato atto a Cerofolini della volontà di confrontarsi anche con una parte politica che non è la sua e di farlo in termini perlomeno in parte quantitativi (sia pure in modo assai criticabile a mio parere).

Credo che sia a destra che a sinistra ci sia chi si è reso conto che siamo di fronte a quell' "equivalente morale di una guerra" che Carter aveva identificato al tempo della crisi energetica degli anni 1970. Evidentemente, non ci siamo ancora messi daccordo sulle armi da usare per combattere questa guerra - rinnovabili, nucleare, o tutte e due le cose? Ma è importante confrontarsi su questo punto e discuterne. Se dobbiamo combattere una guerra, evidentemente, dobbiamo smettere di litigare fra noi.

Quindi, ringrazio Carlo Cerofolini per la disponibilità e la volontà di confrontarsi e vediamo se da questo intervento nasce una discussione interessante.


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Carlo Cerofolini si è laureato in Chimica nel 1972. E' autore di diverse pubblicazioni ed è stato insegnante nelle scuole superiori. Collabora con www.ragionpolitica.it ed è autore di articoli su: ambiente, energia, economia, istruzione, sindacato, ecc.. E' stato responsabile per l'Ambiente 1996-2006 per Forza Italia Regione Toscana. E' Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (02/06/07)


Fotovoltaico 3GW: e io pago
di Carlo Cerofolini - 24 febbraio 2007 www.ragionpolitica.it

L'Italia, il primo e più importante passo per disastrare la propria economia lo ha compiuto nel 1987, quando rinunciò all'energia nucleare per produrre elettricità, interpretando in modo volutamente distorto un referendum che non diceva assolutamente questo. Il secondo passo lo ha fatto con l'adesione penalizzante al protocollo di Kyoto (riduzione delle emissioni dei «gas serra»). Il terzo ed ultimo (?) passo verso il baratro economico-energetico lo sta facendo adesso, con la corsa alle cosiddette energie alternative, e segnatamente con il fotovoltaico (FV), dove con il governo rossoverde si vuole fare i primi della classe. Infatti, con il recentissimo accordo fra ministero dell'ambiente e regioni si è deciso di installare - da 0,5 GW FV preventivati - addirittura 3 GW FV entro il 2016 (attualmente sono installati circa 30 MW FV), incentivando queste installazioni soprattutto con il «conto energia» e facendo per di più intendere che con questa operazione ci saranno grandi vantaggi economici ed ecologici per tutti. Ora, mentre il fotovoltaico va bene per usi e casi limitati, è assolutamente inidoneo per sostituire significative potenze di fonti convenzionali deputate a produrre energia elettrica, a causa della sua bassa ed incostante resa energetica e per il suo alto costo, ed inoltre non è neppure il massimo per il rispetto del protocollo di Kyoto. Non per nulla il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia in una recente intervista ha affermato: «Lasciamo perdere energia eolica e fotovoltaico: esse resteranno sempre marginali». Nello specifico:

1. Potenza ed energia - Quando si indica la potenza di picco (KWp vedi nota) di un impianto FV, in Italia, occorre dividerla per 6-8 (meno al Sud, più al Nord) per avere la potenza vera confrontabile con quella di targa degli impianti convenzionali (cfr. 1, 2). E quindi i 3 GWp FV di cui sopra in un anno erogano mediamente una quantità di energia elettrica neanche pari a quella di erogata da una centrale convenzionale di 0,5 GW. Ciò è dovuto al fatto che l'energia (KWh) erogata dal FV dipende dall'insolazione, che varia durante la giornata (di notte la potenza erogata dal FV è zero) ed è pure funzione delle condizioni atmosferiche. Per di più il FV non è in grado di intervenire adeguatamente per soddisfare i picchi di richiesta di energia, e quindi per evitare dei pericolosi cali di potenza in rete (black-out), occorre avere sempre in stand-by - pronte ad intervenire (a singhiozzo) - centrali elettriche di backup convenzionali di pari potenza, con costi e sprechi di energia non indifferenti. Se invece si vuol realizzare un sistema FV completamente autosufficiente - con ovviamente adeguati sistemi di accumulo di energia - è stato calcolato che per soppiantare completamente 1 GW convenzionale occorrerebbe addirittura installare ben 45 GWp FV (cfr. 3).

2. Costo - Il costo dei pannelli fotovoltaici è molto elevato: circa 8.000 Euro/KWp per impianti di poche decine di KWp, per scendere a 5.500 euro per impianti di 1 MWp, ovvero da 5,5 a 8 miliardi per 1 GWp FV. Considerato che il FV che si vuole incentivare in Italia è quello di piccoli impianti diffusi, solo il costo di installazione sarà di circa 24 miliardi per 3 GWp FV. Tanto per fare un confronto è bene sapere che una centrale da 1 GW, se a gas (continuità 80%) costa 0,5 miliardi e se nucleare (continuità 90%) 2 miliardi.

3. Conto energia - Come detto all'inizio l'installazione dei 3 GWp FV viene incentivata soprattutto con il «conto energia», cioè chi produce energia FV per autoconsumo la venderà per 20 anni a prezzi maggiorati all'Enel o alle ex municipalizzate, in modo da rientrare in circa 12 anni dal capitale investito e quindi questo costerà ai contribuenti ben 40 miliardi in 20 anni. E non vale dire che tanto per i cittadini non ci sarà nessun esborso ulteriore perché è dal 1992 che gli italiani pagano in più il 5% sulle bollette per le energie rinnovabili e assimilate - anche se finora questi denari andavano solo in parte per le veramente rinnovabili - perché con quei 40 miliardi si potrebbero costruire ben 20 centrali nucleari da 1 GW ciascuna (40% del fabbisogno elettrico nazionale). Questo non solo darebbe un fortissimo impulso all'occupazione ed all'economia con l'energia a basso costo, ma ci libererebbe pure dall'incubo di Kyoto (bastano per questo 10 GW nucleari) e dalle sue salate sanzioni (fino a 2 miliardi annui previsti, che è il costo di una centrale nucleare da 1 GW) se non lo rispetteremo, nonché da ricatti energetici e rischi di black-out.

4. «Guadagno» - Un sistema elettrosolare (FV) che voglia essere completamente autosufficiente, in ben 30 anni di attività eroga al massimo l'energia necessaria a ricostruire sé stesso, cioè non produce energia per l'esterno (cfr. 2). Se invece il sistema ellettrosolare dà energia solo quando funziona, ovvero se c'è il sole, si risparmia esclusivamente il combustibile delle centrali, e nel caso in cui si faccia il confronto fra una centrale nucleare da 0,5 GW ed i 3 GW FV che si vuole installare entro il 2016 - visto che entrambe erogano in un anno la stessa energia - in 20 anni si risparmierebbero circa 0,3 miliardi di combustibile uranio (cfr. 4), solo che i 3 GW FV in 20 anni ci costano ben 40 miliardi, ovvero si compra 1 e si spende 133.

5. Gas serra - I cosiddetti gas serra liberati in atmosfera provenienti dai vari tipi di centrale elettrica - riportati in grammi di anidride carbonica (CO2) equivalenti per 1 KWh - si attestano sui seguenti valori: gas naturale: 605, fotovoltaico (p-Si): 193, fotovoltaico (m-Si): 121, energia nucleare: 16 (fonte Istituto Paul Scherrer) e come si vede per il FV non sono poi così bassi, specie se confrontati con il nucleare, e se poi si considerano gli sprechi di energia dovute alle centrali convenzionali di backup, che sono a tampone del FV, il valore complessivo dei grammi di CO2 equivalenti per KWh FV sale ulteriormente.

Conclusioni - A questo punto, checché se ne dica, è chiaro che i 3 GWp FV che si vogliono installare in Italia sono poco influenti sia da un punto di vista della produzione di elettricità che di riduzione dei gas serra, ma in compenso molto ma molto costosi. A quanti poi portano ad esempio la Germania - dove notoriamente non splende il sole - che ha il record assoluto nell'uso di quest'energia con 794 MWp installati, come per l'eolico con 18 MW (anche se con queste «trovate» è a rischio black-out), la risposta da dare è semplice: la Germania «impone» la propria tecnologia verde alle altre nazioni europee, che così ne sostengono la produzione, l'occupazione e le garantiscono forti guadagni sia nell'eolico (cfr. 5) che nel FV. E mentre c'è del metodo affaristico tutto teutonico in questa «follia» ambientalista che soffia sull'Europa, noi in Italia, al solito, paghiamo dazio perché con Prodi & Co. saremo sempre più succubi di questa rovinosa ideologia, che rapidamente ci farà uscire dal novero dei paesi più industrializzati per carenza e/o costo via via più proibitivo dell'energia stessa, se non vi si porrà rimedio con il nucleare. Di tutto questo è bene che soprattutto i politici del centrodestra, se veramente vogliono fare il bene dell'Italia, se ne rendano conto e lo facciano ben presente ai cittadini ammaliati dalle sirene ecologiste, perché senza energia abbondante, poco inquinante ed a basso costo - come appunto quella proveniente dal nucleare - non c'è completa democrazia, in quanto è l'energia che ci consente di studiare, confrontarci, ragionare, muoversi, ecc.. e così costruire una società libera.


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Carlo Cerofolini
cerofolini@ragionpolitica.it

Nota - KWp = Potenza massima prodotta dalle celle di un dispositivo fotovoltaico in condizioni standard di funzionamento. Le dimensioni dei pannelli FV per 1 KWp sono di circa 8-10 m2.
Bibliografia

(1) Università di Bologna www.scienzagiovane.unibo.it/pannelli/8-domande-risposte.htlm
(2) Mario Silvestri Il futuro dell’energia p. 151-170 ed. Bollati Boringhieri, 1988
(3) Franco Battaglia Energia, le bugie al vento di Prodi Il Giornale 06/01/2007 p. 8
(4) Franco Battaglia Il grande bluff dell’energia solare Il Giornale 19/01/2007 p. 16
(5) James Lovelock, La rivolta di Gaia p. 146 ed. Rizzoli, 2006

mercoledì, settembre 26, 2007

Cospirazionisti all'attacco: ritorna il "petrolio abiotico"

"La fine del mondo c'è già stata, ma il governo lo ha tenuto nascosto"


L'internet è un immenso circo in cui ognuno può fare il suo numero: c'è chi parla, chi illustra, chi canta, chi si spoglia, chi declama, chi arguisce, e tante altre cose. C'è poi l'immensa tribù dei cospirazionisti (o complottisti) i quali, di solito senza altra prova che il proprio profondo convincimento, vi racconteranno in completa serietà dei piani del governo per impadronirsi del loro cervello, del prossimo arrivo degli UFO, degli ambientalisti che buttano serpenti dall'elicottero nei boschi e tantissime altre cose.

Il cospirazionismo/complottismo è una cosa tipicamente americana, o perlomeno sembra affliggere particolarmente i blogger e gli internauti americani. Ma, su certe cose, gli italiani non sono da meno. Per esempio, una delle leggende più strampalate che girano per internet è quella delle cosiddette "scie chimiche" che in inglese si chiamano "chemtrails". Secondo la leggenda, le innocue scie di vapore acqueo degli aerei ad alta quota sono, in qualche modo "seminate" di misteriosi composti chimici che oscure agenzie governative sparpagliano per il cielo per combattere il riscaldamento globale, farci diventare tutti schiavi, avvelenarci, o cose del genere. Su Google, troviamo più di 950.000 pagine con il termine inglese "chemtrails", ma se cerchiamo il termie italiano "scie chimiche" gli italiani non sono molto da meno con circa 300.000 pagine. Considerando che il web in italiano è molto più piccolo di quello in inglese, il successo della teoria cospirazionista delle scie chimiche in Italia è impressionante.

Le cose sembrano diverse per quanto riguarda un'altra bufala assai diffusa: quella del "petrolio abiotico" che vuole che il petrolio non sia il risultato dei processi biogeologici ben noti, ma di processi che avvengono a grande profondità sotto la superficie terrestre. La teoria vuole che il petrolio sia enormemente più abbondante di quanto non venga normalmente sostenuto dai geologi; in alcune versioni lo si vuole addirittura "infinito". L'elemento complottista della teoria consiste nel fatto che i governi e le compagnie petrolifere nasconderebbero la reale consistenza delle riserve per farci pagare di più il petrolio.

In inglese, il termine "abiotic oil" produce un rispettabile numero di pagine: circa 20.000. In Italiano, ne produce miseramente 6 (sei!) delle quali tre sono originate da articoli del sottoscritto pubblicate su "aspoitalia" che, ovviamente, criticavano l'idea che potesse esistere qualcosa del genere. Se si cerca "origine non biologica", si trova qualcosina di più, circa 200 pagine, ma anche qui in molti casi sono testi che non hanno a che fare con il petrolio o che negano il concetto della sua origine non biologica (come, per esempio, uno di Franco Battaglia). Sembrerebbe che fino a poco tempo fa, la teoria del petrolio abiotico non avesse avuto nessun successo in Italia. In effetti, anche nel paese dei complottisti, gli Stati Uniti, i rumorosi abioticisti sembravano essersi un po' calmati negli ultimi tempi.

Curiosamente, proprio in questi giorni, in Italia Roberto Vacca si è buttato su questa teoria scrivendo un articoletto che è un condensato di tutte le fesserie che sono state dette sulla questione del petrolio abiotico. Apparentemente, Vacca ha ingurgitato tutto quello che si racconta su internet senza preoccuparsi minimamente di esercitare quel po' di spirito critico che sarebbe stato necessario in questo caso, specialmente per una persona che non risulta essere un esperto di geologia. Forse è sorprendente che una cosa del genere sia stata pubblicata sul "Sole 24 ore", ma del resto è soltanto un sintomo dello scadimento generalizzato della qualità di tutta la stampa italiana negli ultimi tempi. Comunque, Roberto Vacca non è il solo ad aver ritirato fuori la faccenda abiotica. Anche un certo sig. William Engdhal - che non risulta essere un geologo nemmeno lui - ha pubblicato un articolo intitolato "confessioni di un ex-picchista" che ha avuto un discreto successo su internet.

Sarà una coincidenza, ma c'è appena stata ASPO-6 che ha richiamato l'attenzione sul picco, allo stesso tempo il petrolio è salito a oltre 83 dollari al barile. Improvvisamente rispunta fuori la teoria del petrolio abiotico. Non è questione di pensare a qualche complotto; ovvero a qualche gruppo di oscuri figuri che pagano la gente per diffondere la teoria del petrolio abiotico. E' proprio la paura fisica dell'esaurimento che spinge la gente a buttarsi a cercare impossibili salvezze nelle teorie più strampalate. Per ora è il petrolio abiotico, ma il rispuntare di idee folli nei momenti difficili non ci fa essere troppo ottimisti su come la gente reagirà alle future crisi.


A proposito della tendenza di scienziati anziani - come Roberto Vacca - di perdere il senso dell'orientamento scientifico, ho scritto un articoletto intitolato "le attempate spogliarelliste della scienza" Mi dispiace dover includere anche lui da oggi in questa categoria di persone che hanno perso ormai ogni pudore intellettuale. A parte questo, se volete sapere qualcosa di più sulla questione del petrolio abiotico e del perché è un'immane fesseria, potete leggere un articolo di Richard Heinberg, come pure un articolo del sottoscritto. Entrambi sono in inglese, finora non c'era stato bisogno di testi in italiano per criticare qualcosa che in Italiano praticamente non esisteva. Magari nel futuro vedremo di scrivere qualcosa anche in Italiano nel caso che la follia abiotica cominci a imperversare anche da noi (ma speriamo di no...)



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Il comunicato ASPO-Italia sul clima

ASPO-Italia: Il clima è un problema grave; è da irresponsabili negarlo

Comunicato Stampa: 23 Settembre 2007

ASPO-Italia (www.aspoitalia.net) è la sezione italiana dell'associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas. L'associazione raccoglie scienziati e ricercatori che si occupano di studiare le riserve e i consumi di combustibili fossili come pure l'effetto della loro combustione sull'ambiente e sul clima.


Il cambiamento climatico è un fatto reale e attribuibile in massima parte alle attività umane, in particolare alle emissioni in atmosfera prodotte dalla combustione di idrocarburi fossili.

E' utile, per i cittadini e i decisori di tutti i livelli, ricordare quelle conclusioni scientifiche sulle quali gli studiosi hanno raggiunto un consenso pressoché unanime, che supera le notizie sensazionalistiche, le opinioni personali e quelle dei gruppi economici interessati, notizie e opinioni che hanno disorientato l'opinione pubblica durante e dopo la prima Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici del 12 e 13 settembre scorsi.

Quello che è accettato da tutti gli esperti del settore è che:

1. il pianeta si sta scaldando;

2. la responsabilità del riscaldamento è nella massima parte dei gas-serra emessi dall'Umanità;

3. il pianeta si scalderà ancora e l'ammontare del futuro riscaldamento dipenderà dalle decisioni che l'Umanità prenderà in materia di consumo dei combustibili fossili, soprattutto del carbone, il cui declino è atteso alcuni decenni più tardi rispetto a quello, che ASPO stima in corso o prossimo, del petrolio e del gas naturale;

4. l'Umanità potrebbe "adattarsi" al riscaldamento futuro se questo si mantenesse al di sotto dei 2 gradi (circa) di aumento rispetto allepoca pre-industriale, e per arrivare a quel punto manca soltanto poco più di un grado;

5. Per contenere il riscaldamento sotto questo limite, è necessario prendere da subito e certamente entro i prossimi dieci anni una serie di azioni incisive, sui versanti dellenergia, dellorganizzazione produttiva e delle innovazioni tecnologiche, volte a ridurre le nostre emissioni di gas-serra e quindi il consumo di combustibili fossili. Queste azioni sono conosciute come "mitigazione" del riscaldamento globale e si fondano in larghissima parte sulla diffusione delle fonti energetiche rinnovabili;

6. le conseguenze economiche del riscaldamento potrebbero essere distruttive per l'economia mondiale se si avessero aumenti di 3 o 4 gradi.

In questo cambiamento generalizzato, i modelli e le osservazioni indicano che i paesi mediterranei,e l'Italia in particolare, sono tra quelli che rischiano di subire i danni maggiori. Il nostro Paese è in grave rischio di desertificazione, un fenomeno che si sta già verificando nelle regioni del sud.

La prima conferenza nazionale sui cambiamenti climatici che si è svolta a Roma il 12 e 13 Settembre è stata un evento importante e utile per fare il punto sulla situazione, anche perché aveva l'obiettivo molto preciso di individuare le misure di adattamento più opportune per il nostro Paese, che a differenza di quelle di mitigazione sono specifiche di ciascuna area del pianeta, e altrettanto importanti e urgenti. E' grave che alcuni abbiano colto questa occasione come una scusa per fare delle polemiche di basso livello.

Oggi, si tratta di colmare l'abisso tra parole e azioni, e invocare coerenti provvedimenti da parte delle Istituzioni, sostenuti da una opinione pubblica correttamente informata.

Il presidente
Prof. Ugo Bardi
ugo.bardi@unifi.it

martedì, settembre 25, 2007

ASPO-6: finiti i lavori

I partecipanti alla riunione di ASPO-Internazionale a Cork, in Irlanda, il 18 Settembre 2007. Sono tutti rappresentanti delle varie ASPO nazionali. Per ASPO-Italia si intravedono Ugo Bardi (seconda fila, al centro con la barba) e Giovanni Marocchi (Prima fila, quarto da destra, con la giacca con i risvolti rossi). Fra tutti, Bruce Robinson (prima fila, a destra nella foro, con la cravatta) è quello venuto da più lontano; dall'Australia! L'unica signora nel gruppo è Debbie Cook dalla California (al centro). Accanto a Debbie (a sinistra nella foto) Kjell Aleklett, presidente di ASPO e subito accanto a lui Colin Campbell, chairman di ASPO.


Si è conclusa ASPO-6 in Irlanda. Dopo i due giorni di conferenza vera e propria è seguita una giornata di incontri più o meno formali fra i vari gruppi. Vi posso intanto dire che è stato deciso che la prossima conferenza di ASPO sarà a Barcellona, probabilmente in Settembre del 2008. C'è stata un po' di competizione con ASPO-Cina, i cui membri avrebbero voluto la conferenza a Pechino, in occasione dei giochi olimpici. Ma l'opinione generale è stata che a Pechino nel 2008 ci sarebbe stata troppa confusione e troppo caos. A Pechino si farà, se tutto va bene, ASPO-8. Abbiamo anche rieletto Kjell Aleklett come presidente per un altro anno.

Si è parlato molto della questione di come organizzare ASPO; cosa che non è mai stata risolta in modo soddisfacente. Per il momento, ASPO vive del prestigio dei suoi membri, delle conferenze e della newsletter che fa Colin Campbell. Dal punto di vista organizzativo, è sempre stata un disastro. Il web site (www.peakoil.net) è artigianale; manca un'organizzazione, non c'è nessuno che si prenda cura di tenere i contatti e di organizzare le cose. Nonostante tutto, ASPO sta conoscendo uno sviluppo impressionante, una vera esplosione. Le varie ASPO nazionali stanno nascendo come funghi; sul web site peakoil se ne contano al momento 13, ma in realtà sono di più. Vanno aggiunte ASPO-Cina, ASPO Giappone, ASPO Croazia, e altre.

Alla fine dei conti, stiamo cercando di organizzare tutte queste ASPO ispirandoci all'OPEC (cosa che sembra appropriata). Ovvero, ASPO internazionale dovrebbe diventare un network di associazioni nazionali abbastanza indipendenti dove la presidenza internazionale fa solo da coordinamento. Vediamo se questo metodo funziona. Il problema di far funzionare un'organizzazione è sempre quello di trovare i soldi per pagare una segreteria. Qualcosa si comincia a vedere, proseguiamo.

Infine, una cinquantina di congressisti sono rimasti in Irlanda per partecipare al tour "apres pic" organizzato da Colin Campbell, il quale abita non lontano da Cork, dove si è svolta la conferenza ASPO-6. Abbiamo girellato per tre giorni nell'Irlanda del sud, nella zona del Kerry, arrivando fino all'estremo lembo ovest, le isole Blasket, dove fino agli anni '50 c'era ancora un villaggetto isolato dove si parlava un Gaelico quasi incontaminato dall'inglese.

Apres pic è stata un'occasione per discutere approfonditamente su tante cose; di solito davanti a una Guinness oppure passeggiando in mezzo alle pecore. Vi posso dire che il gruppo che ha partecipato comprende un numero di cervelli brillanti veramente impressionanti. C'è un gruppetto di giovani di cui vi cito qualche nome: Nate Hagens, Richard O'Rourke, Chris Vernon, Louis Souza e altri. Sono sicuro che sentirete parlare molto di loro nel futuro.

Ma, alla fine dei conti, che cos'è che rende ASPO così interessante? Non certamente il fatto che ci accapigliamo su tabelle di riserve petrolifere. E' una visione molto vasta che comprende tutto il pianeta. Tutti quelli che conosco in ASPO sono persone di una cultura impressionante in cambi che vanno dalla climatologia alla neurologia. ASPO la possiamo considerare come l'erede del gruppo del MIT che aveva pubblicato il famoso libro "I Limiti dello Sviluppo" nel 1972 che era l'embrione di un nuovo campo scientifico che cercava di modellizzare l'intero pianeta. Forse era troppo presto per provarci, a quel tempo. Oggi, potrebbe essere troppo tardi; ma comunque ci proviamo.



Ugo Bardi (a destra nella foto) e Roger Bentley (a sinistra) segretario di ASPO internazionale, discutono animatamente durante il tour "Apres Pic" a Killarney in Irlanda. Sullo sfondo, con la barba bianca, Jorg Schindler, dell "Energy Watch Group".



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domenica, settembre 23, 2007

BIoarchitettura e Ingegneria Ambientale a Pistoia il 3-5 Ottobre

Post ricevuto da Marco Bresci

Giovedì 27 settembre, alle ore 11, a Firenze, presso la sede dell’Automobile Club Firenze, sala stampa, primo piano, viale Amendola 36, ci sarà la conferenza stampa del Convegno Internazionale “Bioarchitettura e Ingegneria Ambientale”, promosso da Provincia di Pistoia, Automobile Club Pistoia, Associazione Culturale Italo Tedesca, Ordine degli Ingegneri di Pistoia, Ordine degli Architetti di Pistoia, ordine dei Geologi, con il patrocinio dell’Ambasciata Federale di Germania e dell’Ambasciata d’Austria in Italia. Alla conferenza stampa sono invitati i giornalisti. Il programma è scaricabile dal sito della Provincia di Pistoia.

Il Convegno si svolgerà a Pistoia nei giorni 3,4,5 ottobre ed è suddiviso in varie sezioni: culturale, energia e fonti rinnovabili, bioarchitettura, mobilità sostenibile, risparmio energetico.

Nella sezione energia e fonti rinnovabili interverranno Ugo Bardi che tratterà “Energia, materie prime e ambiente” e Nazzareno Gottardi che illustrerà “L’etica nella gestione dell’energia e delle risorse”.

Mercoledì 3 ottobre, alle 17:45, nella Sala del Palazzo dei Vescovi, nella sezione culturale dei Convegno, Nazzareno Gottardi presenterà il libro “IDEE senza frontiere” di Marco Bresci, pubblicato da European Press Academic Publishing.


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Schlesinger: un'attacco all'Iran non si può escludere

A sinistra nella foto, James Schlesinger a ASPO-6 in Irlanda, a destra Chris Vernon


Alla conferenza ASPO-6 in Irlanda c'era fra gli oratori anche James R. Schlesinger. Nato nel 1929, Schlesinger è stato segretario alla Difesa con Nixon e Ford, come pure direttore della C.I.A. e, più tardi, segretario per l'energia al tempo di Carter. Nella foto, lo vediamo in un momento di relax a una cena dopo la conferenza, seduto accanto a un molto informale Chris Vernon (con la maglietta con il picco di Hubbert), uno degli editori di "The Oil Drum".

Schlesinger non fa più politica attiva da parecchi anni, ma come ex segretario alla difesa e direttore della C.I.A. ho il dubbio che abbia ancora qualche idea di come si prendono le decisioni nelle stanze dei bottoni di Washington. Così, io e Chris Vernon abbiamo portato la conversazione sulla possibilità di un attacco all'Iran. A un certo punto, abbiamo chiesto esplicitamente a Schlesinger che cosa pensava della possibilità di un attacco nel prossimo futuro.

Secondo Schlesinger "un attacco all'Iran non si può escludere", anche se lui "non lo raccomanda". Gli abbiamo allora domandato quali sarebbero le conseguenze per l'Occidente, facendogli notare che si perderebbe l'esportazione di circa tre milioni di barili al giorno su 80 in totale. Schlesinger ha risposto che secondo lui un milione di barili in sostituzione potrebbe arrivare da un incremento della produzione da parte dell'Arabia Saudita, un altro milione si potrebbe risparmiare riducendo la velocità delle macchine in America da 75 miglia all'ora a 55 miglia all'ora (lo stesso provvedimento che aveva preso quando era segretario all'energia con Carter). L'altro milione.....? Schlesinger non l'ha detto esplicitamente, ma mi è parso di capire che aveva chiaro che qualcuno dovrà tirare la cinghia, ma non necessariamente gli americani. Ovvero, il milione extra dovrebbe da altri paesi che tireranno la cinghia molto più degli americani.

E' difficile dire quanto Schlesinger sia ancora connesso con gli ambienti politici attivi della Casa Bianca. La sua generazione era una di persone piuttosto pragmatiche che sono state sostituite nell'ultimo decennio da quella dei neoconservativi (i cosiddetti "neocon") che hanno una visione molto più aggressiva della politica estera degli Stati Uniti. Nonostante i Neocon, tuttavia, tutti, o quasi, dicono che un attacco all'Iran sarebbe una follia politica e strategica. Ma se Schlesinger dice che non lo si può escludere, è probabile che ritenga che i meccanismi decisionali interni al governo americano lo rendono possibile. Ovvero, che l'influenza dei Neocon è sufficientemente forte da rendere possibile una decisione del genere.

Notizie confuse e contraddittorie continuano ad accumularsi sulla questione Iraniana. L'unica cosa certa è che se qualcuno prende la decisione di attaccare c'è da prepararsi a tirare la cinghia, specialmente qui in Italia.







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martedì, settembre 18, 2007

ASPO-6: La riscossa dei catastrofisti!


Immagine da ASPO-6; a sinistra nella foto Debbie Cook, ex sindaco di Huntington Beach, California. A destra, Rob Hopkins, noto per la sua iniziativa did "Transition Town"


Si è conclusa la seconda giornata del convegno ASPO-6 a Cork, in Irlanda. E' apparsa oggi quella che è la seconda anima di ASPO, quella più proiettata nel futuro e più interessata ai valori umani che ai glaciali dati di riserve e produzione.

Ha riassunto bene questa giornata Debbie Cook, brava e preparatissima californiana (ci deve essere qualcosa di buono nel fatto nel chiamarsi "Debbie".....). Ha detto "Non abbiamo un problema di tecnologia; abbiamo un problema di adattamento".

Infatti, è proprio quello il punto: la tecnologia per sostituire il petrolio esiste, è solo che ci rifiutiamo di accettarla. Ha parlato a lungo Eddie O'Connor di "Airtricity" delineando un progetto che ha chiamato "supernetwork" in cui gli aerogeneratori irlandesi, quelli britannici, e quelli francesi verrebbero legati insieme in una rete elettrica comune in grado di compensare le variazioni di vento su un'area molto vasta. Irlanda e Gran Bretagna sono benedette da venti in abbondanza, ma non hanno fatto nulla per sfruttare questo ben di Dio che gli arriva. Le ragioni sono le solite: un po' di inerzia, un po' di comitati, un po' di burocrazia. Messe le tre cose insieme, non si riesce a fare niente. O' Connor ha fatto vedere la mappa di una zona dell'Irlanda, dove le regolamentazioni governative proibivano di mettere impianti eolici esattamente in tutti i posti dove c'è vento.

Cosa ci passa per la testa per fare scemenze del genere? Alla domanda ha risposto Nate Hagens, che scrive regolarmente su "the Oil Drum" con un approccio estremamente originale: la psicologia del peak-oil. Hagens ha fatto un esame a tutto campo di come funziona la mente umana; in sostanza siamo programmati per funzionare secondo un meccanismo che agli economisti è noto come "discounting the future", ovvero siamo abituati a pensare che il futuro valga meno del presente. Per alcuni di noi, questa tendenza è meno pronunciata, per altri è addirittura patologica. Ma, alla fine dei conti, non faremo niente a proposito del futuro finché il futuro non ci verrà addosso come un TIR che viaggia sull'autostrada.

Su questo punto, James Schlesinger è stato ampiamente citato per alcune delle sue frasi fulminanti, tipo "gli esseri umani funzionano soltanto in due modalità operative: compiacenza o panico". E, in effetti, la transizione fra compiacenza e panico è quello che stiamo vedendo. Chi è allo stadio della compiacenza si crogiola con le non-soluzioni, come il carbone, le sabbie bituminose, e cose del genere. Quando arriva la vera crisi di panico, molti saltano a piè pari sulla zattera del nucleare, sperando che non affondi.

In effetti, ad ASPO-6 c'è stato un dibattito estremamente interessante sull'energia nucleare; dove ha parlato un fisico dell'ETH di Zurigo, Michael Dittmar. Su certi punti la sua esposizione mi è parsa un po' superficiale, ma l'interessante è che ha esaminato criticamente gli stessi punti che mi hanno sempre lasciato perplesso sulla questione nucleare; ovvero principalmente la disponibilità di combustibile; soprattutto uranio. Ha detto più o meno le stesse cose che ho detto io più di una volta, ovvero che nonostante la presenza di riserve teoriche anche ampie, non c'è modo di aumentare la produzione di uranio ai livelli che sarebbero necessari per fronteggiare la crisi petrolifera.

Dittmar ha anche fatto un calcolo che mi è parso totalmente demolitivo su quella che è l'ultima cartuccia dei sostenitori dell'estrazione di uranio dall'acqua di mare. Se i suoi conti sono giusti, non c'è proprio speranza di farlo diventare un processo pratico, cosa che del resto spiegherebbe perché nessuno lo fa, neanche Saddam Hussein che cercava uranio disperatamente.

La posizione di Dittmar ha causato le ire di quelli che sono già alla fase di panico; che hanno reagito come dei bambini ai quali è stato rotto il giocattolo. Jeremy Leggett, che era chairman della sessione; ha avuto qualche difficoltà a controllare la discussione. Dato che alcuni di questi erano membri di ASPO; Kjell Aleklett si è sentito in dovere di intervenire dicendo che ASPO non è nè a favore nè contro l'energia nucleare.

Fra le altre cose, questo è il primo incontro ASPO in cui si parla seriamente di trazione elettrica a batterie. Nonostante che avessi cercato l'anno scorso a Pisa di suscitare interesse nell'argomento presentandomi in sella al mio motorino elettrico, la cosa era rimasta aliena ai discorsi degli speakers. Qui, ne hanno parlato almeno in tre; in tutti i casi con una certa perplessità, ma è chiaro che l'idea sta cominciando a sfondare. Tutti questi hanno detto che la propulsione a idrogeno non è una buona idea.

Per finire, una cosa che mi ha fatto molto piacere: nel discorso di chiusura, il ministro Eamon Ryan ha citato ASPO-5 a Pisa e la presentazione di Dennis Meadows sui "Limiti dello Sviluppo" della quale ha detto di essere stato molto impressionato. Era esattamente quello che avevo in mente quando ho invitato Meadows

Il convegno ASPO-6 è ufficialmente chiuso, ma continuano le riunioni di gruppi ristretti. Domani dovremmo decidere la città della prossima riunione, dovrebbe essere Barcellona. Vedremo



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mobilità sostenibile e fotovoltaico


Riprendo il discorso relativo ai veicoli elettrici ed alla mobilità sostenibile.
Ovviamente la prima e piu' immediata forma di mobilità sostenibile sarebbe quella che fa uso dei mezzi qui a lato, altamente sostenibili, anche perchè realizzati con materiali e metodi "arcaici".
Ok, ma, per un motivo o per un altro ci sono buoni motivi per pensare ANCHE ai veicoli elettrici ed ai loro costi di gestione.
Dimentichiamoci per un attimo che esiste una rete elettrica che ci eroga elettricità ad un costo al kW ragionevole ( passiamo direttamente allo scenario peggiore).
Bene: In questo caso il nostro veicolo elettrico, per un percorso, Assolutamente ragionevole di 8000 km/anno ( anche esagerato in realta') avra' bisogno di circa 1200 kWh di energia.
Ovvero quello che è erogato da circa 6000 euro/ 1 kWp di pannelli fotovoltaici.
In alternativa potrebbe andare, ad esempio,a Gasolio.
In questo caso NELLO SCENARIO MIGLIORE, ovvero di prezzi che restano piu' o meno stabili ( al netto dell'inflazione) per fare 8000 km/anno richiederebbe, considerando il ciclo urbano ed una piccola diesel dell'ultima generazione, almeno 600 euro/anno.
Senza considerare gli ulteriori risparmi relativi all'uso di un veicolo elettrico ( bollo sospeso per cinque anni, assicurazione dimezzata) che potrebbero anche non essere sempre rinnovati/accessibili, risulta evidente che, anche in questo roseo scenario, del tutto improbabile e SENZA considerare l'incentivo, i pannelli fotovoltaici per produrre l'energia necessaria alla macchina ( circa 8 metri quadrati, ovvero un a pensilina sufficiente a coprirla) si ripagherebbero in dieci anni.
SE si prendono in considerazione gli incentivi ( in fondo in uno scenario roseo dovremmo considerare che continueranno ad essere pagati ed avranno ancora un peso) il tempo di recupero si dimezza, ed arriva a cinque anni.
QUINDI, nello scenario economicamente piu' sfavorevole, SE si utilizza un veicolo elettrico alimentato da pannelli fotovoltaici si recupera l'investimento, a bracciometro, in cinque anni.
SE, come invece è realistico, si va veso il raddoppio ( per cominciare) del costo dei carburanti il tempo di recupero dell'investimento comincia a scendere sotto i cinque anni.
Siamo normalmente pronti (la maggior parte degli italiani, lo dicono le statistiche) a spendere 12-15 k euro per una vettura da città, la seconda auto di casa, generalmente.
Se questa auto fosse elettrica con un costo analogo sarebbe possibile retrofittare in modo soddisfacente una vecchia ma tenuta bene Eurozero o euro uno e rientrare, in pochi anni dell'investimento necessario per alimentarla con il fotovoltaico. CI saremmo garantiti almeno un trentennio di copertura rispetto alle bizze del mercato ( e degli uomini).
Sintesi:In tutti gli scenari, questa è una scelta vincente.
Si, si, direte voi: ma ci sono i trasporti pubblici. Verissimo.
Ma capita di stare lontano dagli stessi ed inoltre nessuno garantisce che tali traporti pubblici verranno garantiti, in che forma e misura ed a che prezzi.
inoltre, come sa benissimo chiunque li utilizzi DAVVERO, tali trasporti pubblici sono gia' , molto spesso, saturi. Ci sono margini di miglioramenti ma minori di quanto si creda.
Non reggerebbero, ad esempio, ad unsemplice raddoppio delle persone trasportate ( sempre qualche per cento degli spostamenti totali)
E non ci sono ne i soldi ne il tempo di aumentarne di molto la capacità.
Sopratutto il tempo.
Non ci sono dieci anni di tempo per implementare scelte strategiche funzionali.
IN Italia, sappiamo benissimo, dieci anni costituiscono l'orizzonte temporale MINIMO per fare qualunque cosa.
Insomma le castagne dal fuoco dobbiamo cavarcele da soli, con le nostre scelte autonome.
La prima, che deve essere strategica, secondo me è uscire dalla logica passiva del consumatore e diventare produttori, decidere attivamente della allocazione delle proprie risorse e fare in modo di poter contare su un flusso costante delle stesse.
In questo caso, si vede bene che la scelta riesce naturale.
Chiosa: Non sembra strano spendere un paio di decine di migliaia di euro per ristrutturare la nuova casa, no?
Ed allora perche' deve sembrare strano investire la stessa cifra per garantire a quella casa autosufficienza energetica?

lunedì, settembre 17, 2007

ASPO-6 in pieno svolgimento


Foto: Ugo Bardi (a sinistra nella foto) e Charles Hall (a destra) a ASPO6 a Cork. Charlie Hall era anche ad ASPO-5 a Pisa, professore di economia all'università di NewYork, allievo di Georgescu-Roegen, molto attivo nel campo che si chiama "bioeconomia"


Vi scrivo da Cork, in Irlanda, dove si sta svolgendo il sesto congresso dell'associazione ASPO. Io e Giovanni Marocchi siamo a rappresentare ASPO-Italia in un convegno dove la presenza italiana, francamente, non brilla. A parte noi due, c'è un solo altro italiano. Ci sono giornalisti da un po' dappertutto, ma della stampa italiana, zero totale. In Italia, sembra che vediamo il picco del petrolio un po' come il diavolo. Se non lo nominiamo, forse non apparirà....

La prima giornata del convegno è stata molto tecnica, con grandi tabelle e grafici di riserve, produzione, domanda, offerta e le varie regioni petrolifere. Era anche molto serio e molto "mainstream", il catastrofismo è assolutamente bandito da questo tipo di cose. Una giornata intera di questo tipo di cose diventa parecchio pesante ma d'altra parte è qui che si riuniscono i maggiori esperti mondiali su questi argomenti.

Senza andare nei dettagli, vi posso raccontare dell'intervento di James Schlesinger, che è stato il direttore della CIA e segretario alla difesa degli Stati Uniti. Schlesinger non ha portato dati nuovi, ma ha detto parecchie cose interessanti. Ha detto molto male dei politici e avvertito di non aspettarsi niente da loro. Ha detto "il politico ragiona in modo simbolico, in termini di gesti spettacolari. Non è in grado di quantificare le cose". Da qui il suo sostanziale pessimismo sulla capacità dei governi attuali di fare qualcosa di serio riguardo alla crisi climatica e energetica.

Schlesinger ha anche detto che ASPO può "dichiarare vittoria". Quello che era una volta un gruppetto di eretici è diventato ora mainstream. Può darsi, ma non sicuramente in Italia. Questo ha anche generato un commento molto divertente da parte di Kjell Aleklett, presidente di ASPO, che ha detto "Beh, mi fa venire in mente un tizio su una portaerei che aveva dichiarato vittoria troppo presto...."

Un'altra presentazione non tecnica è stata quella di George Lee, un economista che lavora come produttore televisivo. Ha raccontato che il suo recente servizio sul picco del petrolio gli ha causato delle "ferite mentali" (mental scars); mi posso immaginare come certa gente lo ha trattato. Ha detto che la grande maggioranza della gente non solo non sa niente della questione del picco ma che, anche, non ne vuol sentir parlare. Incidentalmente, questo è esattamente quello che avevo sostenuto in una discussione che c'è stata fra i commenti di un post precedente, quello del "ritorno da Norimberga"

Un nota tecnica che vale la pena di commentare è stata la presentazione del prof. Xiangqi Pang (se ho scritto giusto il nome) che ha fatto vedere come i Cinesi abbiano preso molto sul serio ASPO e il picco. Fra le altre cose, ha detto che la Cina è diventata da quest'anno un importatore netto di carbone; cosa che la dice lunga sulle prospettive generali del carbone. Sembra proprio che il carbone non sia destinato a diventare quella manna di abbondanza che alcuni dicono.

Una cosa che ho anche notato è come quasi tutti gli oratori erano preoccupati dell'aumento dei consumi interni dei paesi produttori di petrolio. E' questo fattore che sta causando il declino delle esportazioni da parte dei paesi OPEC e che causa gli aumenti dei prezzi. Anche se la produzione totale è ancora statica o molto leggermente in aumento; il flusso che esce dai paesi produttori è in contrazione. Il consumo nei paesi ricchi è statico, ne consegue che c'è qualcuno che contrae pesantemente i consumi, e questi sono principalmente i paesi poveri. Di questo ha parlato - e lo ha stigmatizzato - David Fleming, l'unico che abbia mostrato un po' di calore umano nella massa di freddi dati e curve.

La situazione è un po' come quella di una barca che affonda. I più deboli finiscono progressivamente a mare, mentre chi è forte si mantiene a galla per un po'. In Italia dove siamo? Con l'acqua alla cintola, o forse già fino al collo.

Domani, seconda giornata di convegno, vi terrò informati.


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domenica, settembre 16, 2007

Libero scrive a Libero

Riceviamo e pubblichiamo la lettera che Leonardo Libero, direttore di "Energia dal Sole" ha scritto al quotidiano "Libero"

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Caro direttore,

su Libero di ieri 14 settembre, a pagina 3, Tommaso Montesano ha intervistato il prof. Franco Battaglia, docente di chimica dell'ambiente all'Università di Modena. E' uno scienziato noto per la passione con cui contesta che il riscaldamento globale sia causato dalle attività umane e con cui sostiene che l'Italia, per poter affrontare l'ormai prossimo esaurimento delle fonti fossili, dovrà inevitabilmente anch'essa far ricorso all'energia nucleare. Opinioni la cui manifestazione è non solo un suo diritto che nessuno gli contesta, ma direi quasi un suo dovere, vista la posizione che occupa.

Ciò che nè io nè altri siamo mai rusciti a capire è invece l'autentica ferocia che egli esercita contro le fonti rinnovabili e in particolare contro la fotovoltaica. Una ferocia che gli deve aver preso la mano quando lo ha portato ad affermare che certe parole di Pecoraro Scanio fossero frutto della "voglia di far fare affari a chi commercia nei fallimentari eolico e fotovoltaico". Il che farebbe ridere se non facesse piangere, specie gli operatori del settore FV. Perchè la realtà che essi vivono da almeno vent'anni è ben diversa. Una realtà pessima quanto complessa che, se permette, descrivo a Lei e ai Suoi lettori, nel modo più conciso possibile.

Secondo dati EurObserver, alla fine del 2006 la diffusione del FV in Italia era di 0,99 Wp per abitante, cioè oltre sette volte inferiore alla media europea (7,38) e inferiore a quella di Germania (37,16), Austria (3,51), Olanda (3,14), Spagna (2,70) e Cipro (1,27). Questo a causa di due principali e pluridecennali ostacoli:

a)- L’Enel. Da monopolista elettrico aveva impedito, perfino con sistemi di legalità incerta, che la forma più avanzata di FV, quello connesso a rete, si diffondesse anche in Italia, provocando al paese un ritardo tecnologico e industriale gravissimo. Perso il monopolio, ma ancora in posizione dominante, oggi sta in campo nel settore FV sia come arbitro - potendo di fatto decidere sull'allacciamento o meno di un impianto - che come giocatore perchè attraverso la controllata Enel-Si fa una vergognosa quanto efficace concorrenza sleale agli altri operatori. E’ perfino arrivato a “fare la cresta” sulle spese di allacciamento, imponendole anche 4 volte superiori al giusto. Il 6 agosto 2001, l’Autorità per l’Energia gli ha infatti “ordinato” di “porre fine a comportamenti lesivi del diritto di allacciamento alla rete elettrica dei nuovi impianti di produzione” e “tali da scoraggiare l’avvìo di nuove produzioni, in particolare di piccola taglia, alimentate prevalentemente con fonti rinnovabili di energia”.

b)- Il raggiro Cip6. Dal 1992 gli italiani pagano i sovrapprezzi elettrici “A3”, imposti dal governo di allora (Andreotti) col pretesto del sostegno alle fonti rinnovabili; fonti che invece non sono mai state adeguatamente sostenute perché il gettito di quel balzello è sempre andato in gran parte a fonti dette “assimilate alle rinnovabili”, ma invece inquinanti, come i residui petroliferi e i rifiuti non biodegradabili. Il 6 novembre 2003, la truffa è stata stimata in 30 miliardi di euro dalla X^ Commissione della Camera, che l’ha definita “Una tassa occulta in favore dei petrolieri”. Nel 2004, i 10 maggiori beneficiari di una “torta” da 3.511,4 milioni di euro (saliti a 3.988,6 nel 2005 ed a 4.361,7 nel 2006) sono stati: Edison (53,4%), ERG-Garrone (10,8%), Sarlux-Moratti (10.3%), Rosignano Energia (6,3%), Foster Weeler (5,1%), EniPower (3,8%); ApiEnergia (5,3%), Elettra GLT (3,2%), Irene (0,9%), Italiana Coke (0,3%). L’ultima concessione Cip6 a scadere dovrebbe essere quella di Sarlux-Moratti, nel 2021. Uno sconcio ormai tanto radicato nel sottobosco politico-energetico italiano che una misteriosa manipolazione della Finanziaria 2007, tendente ad allargare le possibilità di godimento della torta Cip6, è stata di fatto accettata dal governo; cosicchè l'ignota "manina" ha potuto dire di avercela fatta ai propri intuibili mandanti.

A queste due già gravi remore, dal febbraio di quest’anno si sono aggiunte le norme ministeriali per il “conto energia FV” (sistema nel quale viene sovvenzionata la produzione di elettricità, non la costruzione dell'impianto, come nel "conto capitale"), norme così complesse e cervellotiche che sembrano scritte apposta per essere dissuasive. E valga un confronto. E’ a tutti noto che il record mondiale per l’elettricità da fonti rinnovabili connesse a rete appartiene alla Germania, che le sovvenziona “in conto energia” dal 1998. Ebbene, la norma tedesca EEG del 21 luglio 2004, che regola la materia per 6 fonti diverse, occupa solo 15 pagine. Il buon senso, e la buona intenzione se ci fosse stata, avrebbero consigliato di copiare quel testo, breve e chiaro. Invece il Decreto 19 febbraio 2007 del Ministro Sviluppo Economico, controfirmato da quello dell'Ambiente, quantunque riguardi solo la fonte fotovoltaica, di pagine ne occupa ben 18 per le prescrizioni inutili e idiote che contiene. Ad esempio, esso elenca 37 (trentasette !!) norme CEI o UNI da rispettare e prescrive, chissà perché, che i componenti degli impianti siano nuovi di fabbrica. Inoltre limita l’uso della tecnologia a film sottile alle persone giuridiche (alle famiglie, chissà perchè, lo vieta). Ne è conseguito che per richiedere di essere ammessi al “conto energia” occorra compilare 36 (trentasei !!) pagine di moduli; astrusi da interpretare, mi risulta, anche per cervelli universitari. Risultato: il 20 luglio scorso i Gestore della Rete Elettrica ha comunicato che L'esame delle prime cento richieste di accesso agli incentivi previsti dal nuovo Conto energia per il fotovoltaico, ha evidenziato che la maggior parte delle domande non è risultata idonea per il riconoscimento della tariffa

Insomma, la precisa intenzione e le conseguenti disposizioni, governative, di creare più ostacoli possibile al fotovoltaico sono evidenti, non essendo immaginabile che i compilatori materiali del decreto non avessero afferrato che con quel tipo di sovvenzionamento il denaro pubblico, ripeto, paga solo la quantità di energia versata in rete, e non la qualità degli impianti; qualità che perciò non deve interessare al legislatore. Rivelatrici di tale intenzione governativa sono del resto queste parole del Ministro Pierluigi Bersani, pronunciate in un'occasione ufficiale come la sua audizione alla Commissione Industria del Senato del 27 giugno 2006: "Sulle fonti rinnovabili dobbiamo preoccuparci che ci sia una filiera industriale in casa. Il punto e' che, ad esempio, se si investe molto nel fotovoltaico, ci si muove in un mercato dominato da Germania e Giappone, senza ricadute sull'industria italiana”.

Una prova del maltrattamento patito dal comparto FV italiano sotto il governo Prodi si è del resto avuta il 3 settembre scorso a Rho, dove presso il nuovo Polo della Fiera di Milano si è aperta la 22ma Conferenza Europea sul Fotovoltaico; che è forse la più importante manifestazione internazionale del settore. Essa comprendeva una sterminata esposizione di materiali e di impianti per produrli. Ma su circa 500 espositori solo una ventina erano operatori italiani "veri" (cioè non rappresentanti di Case estere nè enti di stato o parastato) quantunque l'evento avvenisse nella regione più ricca del Paese del Sole e a due passi dalla sua capitale industriale.

Quella enorme esposizione forniva la più eloquente immagine di un settore produttivo che da anni, nel mondo, fa registrare crescite annuali superiori al 30% (oltre il 40% dal 2004 al 2005), che ciò nonostante spesso non riesce a far fronte alla richiesta, che nella sola Germania dà lavoro a 46.000 persone (circa 2.000 in Italia), che vede ai primi quattro posti i tre leader tecnologici mondiali, Germania, Giappone, USA e, mi scusi se è poco, la Cina. Tuttavia non credo proprio che il prof. Battaglia sia andato a vederla. Per essere spinto ad andarci avrebbe dovuto avere almeno il bene del dubbio; e sulla inutizzabilità pratica del fotovoltaico lui ha solo certezze; quantunque su altri temi sia il primo ad affermare, giustamente, che la certezza scientifica assoluta non esiste.

Caro direttore, la mia risposta all'articolo di Tommaso Montesano si sarebbe fermata qui se frattanto non avessi ricevuto la notizia dell'uscita di un libro di Franco Battaglia dal titolo "L'illusione dell'energia dal Sole" e sottotitolo "Presentazione di Silvio Berlusconi" (v. allegati). Una presentazione che il Cavaliere ha firmato, noti, in febbraio, cioè sette mesi prima dell'uscita del libro. L'avrà firmata a scatola chiusa? Possibile mai che, folgorato sulla via di Battaglia, non abbia voluto sentire qualche altra qualificata opinione? Comunque sia, secondo me è un errore politico enorme lasciare al Centrosinistra, che davvero non l'ha mai meritata, l' "esclusiva" delle fonti rinnovabili e tanto più della solare che è la più importante in Italia. Ma a questo punto devo dire, e anzitutto a me stesso, che se l'Uomo non fosse capace anche di errori politici enormi non sarebbe certo sceso, in cinque anni, dall'avere 41 senatori in più ad averne .... uno in meno.

A Sua disposizione per ogni eventuale ulteriore chiarimento, La ringrazio dell'attenzione e Le porgo cordiali saluti.


Leonardo Libero

direttore di "Energia dal Sole"

Torino, 15 settembre 2007




sabato, settembre 15, 2007

Conviene investire sul fotovoltaico?


I pannelli della casa di Ugo Bardi visti da Fiesole



Conviene investire sul fotovoltaico?
Di Ugo Bardi - 16 Settembre 2007
www.aspoitalia.blocspot.com


Dopo lunghe vicissitudini e arrabbiature varie causate dalla terrificante burocrazia del "bel paese", finalmente il mio impianto fotovoltaico funziona ormai da un paio di settimane. Non vi immaginate la sensazione che da: poter dire di essere un produttore e non più un consumatore (termine che, incidentalmente, ho sempre considerato offensivo). Poter accendere un condizionatore d'aria, una lavatrice o un computer sapendo che l'energia che sto consumando mi viene a costo assolutamente zero per me e per l'ambiente. Lo stesso ricaricare le batterie del mio motorino elettrico e sapere che dopo viaggio assolutamente gratis - a spese del sole!

Ma questa mia sensazione non sembra essere condivisa da tutti. Mi dicono gli installatori che il mercato del fotovoltaico è completamente fermo mentre tutti cercano di capire se è veramente conveniente oppure no investire sui pannelli fotovoltaici. In effetti, investire sui pannelli fotovoltaici non è una spesa da poco. Si parla di cifre intorno ai 15 mila euro per un impianto domestico per una famiglia. E' il costo di un'automobile media, e prima di buttarsi si capisce che la gente ci vuole pensare sopra. Siccome, poi, si parla di impianti la cui durata è di 25-30 anni (come minimo) dobbiamo raffigurarci il futuro come sarà fra venti e trent'anni e non è facile azzeccarci a meno che uno non si ritenga dotato di poteri divinatori soprannaturali. A parte questa possibilità, come possiamo fare a prendere una decisione ragionevole?

Terenzio Longobardi ha pubblicato alcuni eccellenti articoli sul sito www. aspoitalia.net dove esamina la convenienza dei pannelli fotovoltaici utilizzando tecniche che si definiscono come "matematica attuariale". Si tratta di calcolare la resa dell'investimento tenendo conto dell'inflazione e del tasso di sconto, ovvero tenendo conto del fatto che il capitale che è stato investito nell'impianto fotovoltaico avrebbe potuto essere investito in qualche altra cosa. Pertanto, il capitale si sarebbe rivalutato mentre, al contrario, i pannelli col tempo si deprezzano, sia pure lentamente.

La conclusione di Terenzio Longobardi è che l'investimento sul fotovoltaico conviene se si può accedere al cosiddetto "conto energia", ovvero alle tariffe incentivanti che il governo da per vent'anni ai proprietari degli impianti. Secondo l'analisi di Longobardi non è che ci si possano aspettare grandi guadagni: su tempi lunghi, il rientro dell'investimento è ragionevolmente sicuro in certi casi, ma non in tutti. Certamente, messa in questi termini, la cosa non appare entusiasmante.

Ma, il concetto è più complicato di così. Senza nulla togliere alla bontà del lavoro di Longobardi, il fatto è che la matematica attuariale è poco adatta a stimare il valore di investimenti che si presume avranno una durata di qualche decennio. Ci sono troppe incertezze: che valore dare all'inflazione su questi tempi così lunghi? Come scartare la possibilità di crisi improvvise? Come gestire la possibilità di cambiamenti importanti nella situazione?

Ci vogliono altri metodi per fare queste stime. Un metodo del genere esiste e si chiama "Pianificazione per Scenario" (scenario planning). Non vi aspettate miracoli, nessuno può prevedere il futuro. Ma se si riesce a pensare in termini di scenario planning, perlomeno si può evitare di essere presi di sorpresa dal futuro.

Il principio dello scenario planning ha le sue origini nella scienza militare. Dal tempo del maestro Sun e della sua "Arte della Guerra" i militari hanno sempre avuto bisogno di prevedere che cosa il nemico avrebbe fatto. Ovviamente, non è mai possibile prevedere in modo esatto quello che succederà sul campo di battaglia, ma quello che si può fare è cercare di esaminare tutte le possibilità che ha e prevedere una risposta a ognuna di esse. Ogni possibile linea di attacco è uno "scenario". Farsi trovare impreparati in battaglia è il modo di perderla, una cosa che già diceva Sun Tzu ai suoi tempi.

Oggi, il concetto di scenario planning si applica anche nel business dove, lo stesso, non è bene trovarsi impreparati di fronte agli eventi. Si tratta di preparare dei "ventagli di scenari" cercando di prepararsi a ogni evenienza. E' un metodo che funziona bene se non gli si chiedono previsioni esatte. Per esempio fu applicato da Pierre Wack della Shell oil per prevedere in anticipo la grande crisi del petrolio degli anni '70.

Vediamo allora di applicare il concetto di scenario planning alla questione se conviene investire sul fotovoltaico. Qui, per fortuna, non abbiamo bisogno di considerare un grande ventaglio di possibilità: dobbiamo solo inquadrare quali fattori influenzeranno la resa dei pannelli nel futuro. Installando dei pannelli, uno diventa un produttore di energia elettrica. La questione è dunque quanto potrà valere l'energia elettrica in un futuro abbastanza remoto, ovvero da qui a venti o trent'anni.

Ci riduciamo dunque a tre soli scenari, ovvero:

1. L'energia elettrica costerà molto meno di oggi
2. L'energia elettrica costerà più o meno come oggi (business as usual, BAU)
3. L'energia elettrica costerà molto di più di oggi

Questi scenari finanziari corrispondono a certe ipotesi abbastana ovvie. L'idea che l'energia elettrica potrebbe costare molto meno di oggi implica che qualcuno inventi qualche aggeggio inaspettato; qualcosa tipo quello che la fusione fredda avrebbe potuto essere se avesse funzionato. Il secondo scenario, che tutto rimanga come oggi - il BAU - implica che l'esaurimento del petrolio e degli altri fossili sia più lento del previsto, che le emissioni di CO2 non causino disastri, e che ci sia una transizione dolce dal petrolio alle rinnovabili oppure al nucleare. In questo secondo caso bisogna anche assumere che le riserve di uranio fissionabile siano molto più ampie di quanto non si sappia oggi. Infine, il terzo scenario è quello che assume che la produzione dei fossili scenda rapidamente e che le rinnovabili arrivino troppo lentamente per fare in tempo a evitare una grave carenza di energia.

Ognuno vedrà la verosimiglianza di questi scenari secondo il suo punto di vista, ma l'idea dello scenario planning non è di sceglierne uno che sia "vero"; è di essere preparati a tutti quanti; tenendo conto ovviamente di una stima di relativa verosimiglianza. Vediamo allora che cosa succederà alla resa economica dei pannelli fotovoltaici nei tre diversi scenari.

- Il miracolo tecnologico. Se qualcuno veramente inventerà una macchina che produce energia a buon mercato e non dal petrolio, ovviamente i pannelli fotovoltaici diventeranno rapidamente altrettanto obsoleti dei mulini a vento olandesi dell'800. In questa ipotesi, il proprietario riceverà comunque gli incentivi governativi e a lungo andare recupererà il proprio investimento, più o meno. E' probabile tuttavia che avrebbe potuto investire i suoi soldi in qualcosa che avrebbe reso molto di più.

- il BAU. Per questo, possiamo riferirci all'articolo di Terenzio Longobardi. Nel complesso, la resa finanziaria dell'impianto sarà accettabile. Se uno l'ha montato quando aveva cinquant'anni, ci si può aspettare che ne tragga un'utile integrazione della pensione.

- Il crollo. Questa è l'ipotesi più preoccupante. La storia della "crisi del petrolio" degli anni 1970, come pure quella di anni più recenti; ci fa vedere come ogni aumento dei costi dell'energia sia strettamente legato all'inflazione. Se pensate che gli aumenti del costo del barile degli ultimi anni non hanno causato inflazione, vuol dire semplicemente che non conoscete i trucchi che si usano oggi per nasconderla. Che ruolo può avere un impianto fotovoltaico in una situazione del genere?

In primo luogo, notate che la "tariffa incentivante" di circa 40 centesimi al kWh prevista dal governo è l'elemento principale che rende conveniente l'impianto nell'ipotesi BAU. Notate anche che la tariffa incentivante NON è una vendita di energia alla rete: è proprio quello che il nome dice, un incentivo alla produzione indipendente dalla frazione di questa che sarà immessa in rete. Questa tariffa non è indicizzata per l'inflazione. Questo vuol dire che, in una situazione come quella che ci possiamo aspettare, prima o poi gli introiti mensili della tariffa non saranno sufficienti nemmeno per un panino col salame.

Questo vuol dire che col fotovoltaico si rischia di rimetterci tutto quello che uno ha speso? Assolutamente no! Ricordatevi che se avete un impianto fotovoltaico siete dei produttori di energia elettrica e il fatto che il vostro prodotto aumenti di prezzo non vi può che fare piacere. In una situazione come quella che ci stiamo prefigurando, ci saranno anche blackout duraturi e generalizzati. Gli impianti fotovoltaici fatti oggi non sono pensati come sistemi anti-blackout, ma possono essere facilmente modificati per diventarlo.

A parte i black-out, nel futuro vendere energia alla rete potrebbe diventare estremamente conveniente. A un consumatore privato l'energia elettrica costa oggi circa 12 c. al kWh mentre se vendete l'energia fotovoltaica alla rete l'ENEL vi ridà 0 centesimi al kWh. Ora, il prezzo del petrolio è aumentato di un fattore 5 negli ultimi 6 anni; quello dell'uranio di oltre un fattore 10. Ci vedete niente di strano che il prezzo dell'energia elettrica aumenti, anche quello, di un fattore 5 o 10 anche quella nei prossimi anni? In questo caso, se l'Enel fa pagare a chi compra - diciamo - 1 euro a kWh (ovvero l'equivalente aggiustato per l'inflazione), difficilmente potrà dare solo 9 c a kWh a chi produce. Ecco allora che il fotovoltaico ritorna conveniente anche senza i 40 c al kWh della tariffa incentivante. Questo senza contare i vantaggi di potersi produrre e utilizzare energia in casa. Comunque vadano i prezzi, in una situazione di scarsità chi produce il bene scarso è sempre in vantaggio.

Quindi, la decisione sulla bontà di un investimento nel fotovoltaico dipende da quanto considerate probabile l'ipotesi 3, ovvero che i prezzi dell'energia aumentino vertiginosamente. Se siete assolutamente sicuri che questo non avverrà e che tutto resterà come è oggi, allora giudicherete poco interessante l'investimento sul fotovoltaico. Ma se, al contrario, avete qualche dubbio che certi scenari detti "catastrofisti" non siano così improbabili come sembrerebbe da quanto si legge sui giornali o si ascolta in TV, allora è chiaro cosa dovete fare.......


Ah.... e per finire, pensate a cosa succederebbe nell'ipotesi del terzo scenario se quei 15 mila euro li aveste investiti in un'automobile!

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Una nota per quelli che non hanno un tetto sul quale montare l'impianto: nulla vi vieta di investire sul FV che sta sul tetto di qualcun altro. In effetti ci sono ditte e cooperative che vi propongono esattamente questo su internet. Questo può essere un buon investimento, ma state molto attenti che la resa non sia basata soltanto sulla tariffa incentivante. Come abbiamo detto, questa tariffa non è indicizzata per l'inflazione ed è probabile che fra un certo numero di anni non varrà più niente o quasi. Ci sono in giro proposte che non tengono conto di questo e sono, detto chiaramente, degli imbrogli. Se investite in un impianto fotovoltaico dovete essere certi che ne siete proprietari, almeno per una frazione, o che comunque vi spetta una quota della produzione dello stesso, indipendentemente da come cambiano i prezzi.

Una nota per chi si fa finanziare per l'impianto. State attenti a capire bene su cosa vi impegnate quando qualcuno (una banca per esempio) vi da un finanziamento per montare un impianto FV. Nel piano finanziario ci potrebbe essere scritto che dovete pagare una rata uguale alla tariffa incentivante, ma anche che la rata è indicizzata per l'inflazione. Anche questo è un imbroglio: in tempi molto brevi la tariffa incentivante non vi sarà più sufficiente per pagare il prestito. A questo punto ci rimetterete, anche qui, un sacco di soldi oppure verranno a smontarvi l'impianto e ve lo porteranno via.


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venerdì, settembre 14, 2007

Di ritorno da Norimberga

Come promesso vi passo qualche impressione a proposito del mio viaggio a Norimberga. Per prima cosa, vi racconto del congresso Euromat che si è tenuto questa settimana e che, vi confesso, è stata una discreta delusione per me. La scienza dei materiali è, o dovrebbe essere, uno dei pilastri della tecnologia che ci deve servire per superare la crisi che fronteggiamo. Devo dire, però, che a Norimberga, mi è parso un pilastro un po’ incrinato.

Euromat ha raccolto oltre un migliaio di scienziati e ricercatori in tutti i campi della scienza dei materiali. Uno spaccato di tutto quello che si fa in Europa e fuori; pensate soltanto che c’erano 18 sessioni parallele di presentazioni orali, due sessioni di poster, ognuna con parecchie centinaia di poster. Oltre a questo, c’erano le plenarie e le esposizioni delle ditte, presentazioni informali e sessioni di training. Non pretendo di aver potuto vedere più di una minuscola frazione di quello che veniva presentato ma, da quello che posso dire, mi è parso che una buona parte delle presentazioni non fossero niente di più che onesto lavoro, non particolarmente innovativo o interessante. Molte erano – francamente – giochini accademici del tutto inutili.

Quello che mi ha fatto particolarmente impressione a Euromat è la totale disconnessione dell’industria e della ricerca dal problema vero dei materiali: quello della disponibilità delle materie prime. Sia i ricercatori che chi pianifica la produzione continuano a ragionare come se la disponibilità dei materiali che utilizzano sia infinita. Se un loro congegno richiede, per esempio, l’elemento disprosio (l'esempio non me lo invento, il disprosio viene usato per certe barriere termiche), nessuno si preccupa di come e quanto il disprosio sarà disponibile nei prossimi anni.

E’ invece ci troviamo in una situazione nella quale la produzione di molti metalli ha piccato da qualche anno ed è in diminuzione. Questo rende vitale il riciclaggio, ma delle migliaia di presentazioni che c’erano a Norimberga sono riuscito a rintracciarne soltanto due che parlavano di riciclaggio e di recupero dei minerali. In più, c’era un solo espositore che parlava di riciclaggio; una ditta tedesca che faceva un lavoro interessante trasformando il vetro recuperato in materiale da costruzione e isolante poroso. Anche loro si domandavano come mai in un congresso così grande non ci fosse nessun altro che parlava di queste cose. Comincio a pensare che l'iperspecializzazione alla quale siamo arrivati potrebbe essere letale per la prossima crisi.

Della mia presentazione al convegno; non vi so dire se sia stata un successo o no. Diciamo che ha avuto un certo impatto. Immaginatevi di essere a un convegno di teologi e di presentare una dimostrazione irrefutabile che Dio non esiste. Bene, credo di aver avuto un effetto del genere a Euromat. Ho parlato del mio lavoro con i materiali per le turbine a gas, ma ho anche parlato del futuro delle turbine in vista del picco del petrolio. L’udienza, per quello che ne posso dire, è rimasta di stucco, si vede quando succede dal fatto che non ti fanno domande. In queste occasioni, però, se la maggioranza rimane tagliata fuori, c’è sempre qualcuno che “vede la luce” e questo lo si vede più tardi, quando vengono a farti domande mentre mangi un panino o bevi il caffé. Anche questo è successo. Qualcuno, certe cose le capisce al volo.

Del mio viaggio di ritorno sull’aereo da Monaco a Roma, vi posso dire che mi sentivo un po' in colpa per non aver preso il treno. Ma era un pezzo che non passavo tanto tempo col naso incollato al finestrino di un aereo e non mi ricordavo che il mondo fosse così bello e interessante visto da lassù. Era una giornata limpida lungo tutto il tragitto e mi era capitato un posto in coda, con la vista a 180 gradi, per niente bloccata dall’ala. Vedersi scorrere sotto il paesaggio da un’impressione della vastità del pianeta – l’aspetto di Gaia. La Germania è verdissima, con le torri eoliche che spuntano qua e la, perfettamente visibili. Le alpi sono coperte di folta vegetazione fino al limite di sopravvivenza degli alberi. La pianura Padana fa subito impressione per la densità abitativa e per la foschia brunastra che la pervade. L’Appennino, in confronto alle Alpi, sembra soffrire di un’incipiente calvizie. Via via che si viaggia verso Sud, la situazione peggiora. Si vedono tracce evidenti di erosione, di vegetazione in cattivo stato, si vedono anche bene le tracce degli incendi di quest’estate. C’è un problema evidente di deforestazione e di erosione in Italia. In parte è dovuto all’attività umana, certamente l’esplosione di edificazione si vede benissimo dall’aereo. Ma, in buona parte, è dovuto anche al cambiamento climatico. Gaia è ancora in buona salute, nel complesso, ma di certo è sotto stress.

Vi posso anche raccontare che le uniche occasioni in cui leggo i giornali è quando prendo l’aereo. Ogni volta che mi capita, noto un’altra disconnessione totale: quella degli articoli rispetto al mondo reale. Ce n’era uno sul “Financial Times” che era particolarmente delirante. A proposito del petrolio a 80 dollari al barile, sosteneva che l’OPEC “non aveva fatto abbastanza ad aumentare la produzione di 500.000 barili al giorno”. Secondo loro, avrebbe dovuto aumentarla di due milioni. Questo qui che ha scritto questo insulto all’umana intelligenza sembra pensare che la produzione del petrolio dipende unicamente da quello che dicono un gruppetto di una dozzina di ministri che si riuniscono in una stanza con l’aria condizionata. Non gli viene in mente che qualche povero cristo il petrolio lo deve estrarre, lavorando di solito in posti dove l’aria condizionata non è così comune? Crede che i ministri il petrolio lo possano creare per decreto? E crede veramente che il fatto che l’OPEC abbia dichiarato questo aumento di produzione sulla carta si tradurrà in un aumento reale di produzione del petrolio vero? Lasciamo perdere....

Per fortuna, c’era invece un ottimo articolo di Luca Mercalli sul cambiamento climatico in prima pagina su “Repubblica”. Almeno qualcuno connesso con la realtà rimane. Ci è toccato vivere nel paese che probabilmente sarà uno dei più danneggiati dal riscaldamento globale. E il bello è che da noi c’è chi continua a negarlo. Lasciamo perdere anche questo.... Chi vivrà, vedrà.



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Fallaci intervista Yamani

Ricorre in questi giorni il primo anniversario della morte di Oriana Fallaci. C'è stata qualche celebrazione e qualche discussione; il che mi ha fatto venire in mente una nota che avevo scritto qualche tempo fa quando mi era capitata in mano per caso la veccchia intervista che la Fallaci aveva fatto a Ahmed Zaki Yamani negli anni '70. L'ho ritrovata e mi sembra una buona occasione per passarvela. Eccola qui.






Fallaci intervista Yamani: trenta anni dopo

Di Ugo Bardi - Settembre 2007
www.aspoitalia.blogspot.com

Circa trenta anni fa, Oriana Fallaci intervistava l'allora Ministro del Petrolio dell'Arabia Saudita, lo sceicco Ahmed Zaki Yamani. Il testo dell'intervista apparve sui giornali e lo si può trovare oggi nel libro "intervista con la storia" (BUR 2001). E' un testo interessante perché ripropone gli elementi che hanno caratterizzato il dibattito da allora fino ad oggi. Da una parte, l'interpretazione "politica" della crisi, come dovuta a un complotto, in questo caso interpretata dalla Fallaci. Dall'altra parte l'interpretazione pragmatica della crisi, come dovuta all'impossibilità della produzione di soddisfare la domanda, in questo caso interpretata da Yamani. Purtroppo, il testo dell'intervista non si trova su internet, ma provo a riassumervelo con qualche commento da parte mia.

Questa con Yamani è soltanto una delle molte interviste che Oriana Fallaci aveva ottenuto dai vari potenti della terra (fra di loro Henri Kissinger) degli anni 1970. In qualche modo, essere intervistati da lei era qualcosa che i potenti dell'epoca apprezzavano, o forse non riuscivano a evitare. Secondo quanto la Fallaci stessa ci racconta, Ahmed Yamani ci ha pensato sopra parecchio prima di accettare di essere intervistato. Alla fine, però, ha invitato la Fallaci a casa sua a Gedda, l'ha ricevuta con grande cortesia, ospitata, e le ha fatto conoscere sua moglie Taman e le sue figlie.

Da quello che scrive, non sembra che la Fallaci sia stata particolarmente grata a Yamani per queste cose. Anzi, il testo della sua intervista è tutta una serie di offese contro di lui. Lo definisce, per esempio, "L'uomo che può riportarci ai tempi in cui si viaggiava a cavallo, che può far chiudere le le nostre fabbriche, far fallire le nostre banche..." . L'antipatia della Fallaci verso Yamani è evidentissima e si manifesta in domande e commenti tipo "volevate il denaro e l'avete avuto, rovinandoci"; lo accusa di ricatto, di volersi comprare una bomba atomica, di essere "diabolico" e cose del genere. Più tardi, la Fallaci avrebbe accusato Yamani anche di aver tentato di sedurla, un' accusa che però non appare nell'intervista.

Ma non è tanto questione di offese o accuse. Quello che colpisce di questa intervista è il fatto che la Fallaci non si è minimamente preparata sull'argomento "petrolio" e non è in grado di fare domande che non siano semplicemente basate sulle varie leggende del tempo (le stesse di oggi). Per dare un'idea del tono della faccenda, stile tipo cronaca rosa da rotocalco, ecco alcune delle domande che la Fallaci ha posto a Yamani

Volevate il denaro e l'avete avuto: rovinandoci. Ma dove finiscono quelle migliaia di miliardi? Dove? Io vedo molti orologi d'oro nelle vostre vetrine e accendini d'oro, anelli d'oro, vedo grosse automobili per le vostre strade, ma non vedo case, non vedo vere città.

Più avanti, sostterrà a proposito dei petrodollari.

"sappiamo bene che gli emiri se ne servono per comprare water-closet d'oro"

A un certo punto, ritira fuori addirittura la famosa leggenda che

"in Arabia Saudita si scava per cercare acqua e si trovava petrolio."


Per tutta l'intervista, la Fallaci gira intorno al concetto che gli Arabi complottavano contro l'Occidente usando il petrolio come arma. Più volte cerca di fare ammettere a Yamani che, si, esiste un complotto contro l'occidente per rovinarci e per instaurare la dittatura islamica mondiale. Se possibile, vorrebbe fargli ammettere che è proprio lui, Ahmed Zaki Yamani, il capo del complotto. A parziale discolpa della Fallaci, va detto che in Occidente in quegli anni quasi tutti credevano che la crisi degli anni '70 avesse origini politiche. Oggi, vediamo chiaramente dai dati che la crisi fu causata invece dal picco di produzione degli Stati Uniti che ebbe luogo nel 1970. Ma la veemenza con cui la Fallaci attacca Yamani nell'intervista non sembra basarsi su nessun dato o nessun riferimento preciso. La Fallaci, semplicemente, riversa su Yamani tutte le leggende che si leggevano sulla stampa a quell'epoca.

Yamani, da parte sua, ribatte sempre senza perdere le staffe. E' chiaro da quello che la Fallaci ci racconta che la considerava come una specie di bomba a orologeria, da trattare con cautela e con i guanti. Ci deve essere voluta veramente molta pazienza per Yamani per rispondere alla serie di domande che gli sono arrivate: molte erano semplicemente sciocche, alcune offensive e altre indiscrete come quella sulle sensazioni che aveva provato assistendo all'esecuzione dell'assassino del re Feisal. Ma Yamani è sempre cortese e risponde senza mai schivare la domanda anche se in cuor suo deve essersi domandato più di una volta chi glie lo aveva fatto fare. La Fallaci, invece di apprezzare, lo accusa in risposta dicendo che "si era proibita la spontaneità".

Ma, alla fine dei conti, quello che rende interessante l'intervista è che non è veramente la Fallaci a condurla, ma piuttosto Yamani. Nonostante l'impreparazione di chi gli sta facendo le domande, Yamani riesce a dare un quadro completo e organico della situazione petrolifera dell'epoca, che già prefigurava esattamente il mondo di oggi. A quei tempi, l'Arabia Saudita produceva tre milioni e mezzo di barili al giorno, ma Yamani dice che ne avrebbe potuto produrre 11. In effetti l'Arabia Saudita è riuscita a produrne quasi 11, in certi periodi. Yamani aveva perfettamente chiara la strategia che sarebbe stata dell'Arabia Saudita negli anni a venire; quella di "swing producer" ovvero ago della bilancia che avrebbe stabilizzato la produzione e evitato ulteriori crisi nel futuro. Yamani aveva perfettamente inquadrato la situazione petrolifera mondiale come sarebbe stata per almeno tre decenni a venire. La Fallaci non era in grado di apprezzare il valore di quello che le veniva detto, ma leggendo l'intervista, si rimane impressionati dalla chiarezza con la quale Yamani aveva previsto gli eventi dei successivi trent'anni.

Valgono ancora oggi le considerazioni di Yamani? Complessivamente, si, ma non continueranno a essere valide molto a lungo. Oggi, l'Arabia Saudita come ago della bilancia ha di fronte un futuro molto difficile. Si dice che potrà ancora aumentare la produzione, ma si dice anche che i giacimenti attuali hanno raggiunto i loro limiti e che il declino sta per iniziare. Prima o poi, l'Arabia Saudita non potrà più essere l'ago della bilancia che è stata a partire dai tempi di Yamani. L'esaurimento delle risorse è il vero problema e non quello degli "emiri che si comprano i water closet d'oro" come diceva la Fallaci, forse credendoci veramente.

Oriana Fallaci oggi non c'è più. Yamani non è più ministro del petrolio dal 1986, oggi è un anziano signore che vive a Londra e si occupa di studi islamici. Il mondo va avanti, gli eventi di una volta si ripropongono sempre uguali ma in forme sempre diverse. Una cosa cambia, però: di petrolio ce n'è sempre meno.




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La non linearità all'opera


Ne avete sentito parlare, sicuramente: L'effetto farfalla, le non linearità, la impossibilità di avere modelli credibili sul medio lungo termine...
Bene.

Sappiamo che, almeno su un punto c'e' ampio consenso.
ovvero sul fatto che il riscaldamento globale è una realtà e che è in accelerazione.
Il punto è che i modelli si basano sui dati che abbiamo raccolto e questi, con ogni probabilità sono applicabili solo all'interno di un ben definito "paradigma" climatico.
Immaginiamo di fare una statistica su chi abita i palazzi di un dato quartiere.
Immaginiamo di prendere in considerazione quelli che abitano al pianterreno.
Con ogni probabilità troveremmo che il quartiere è abitato per una buona percentuale da attività commerciali, panettieri, mercerie, elettrauto...
Se invece prendessimo in considerazione i primi piani scopriremmo che e' abitato da professionisti, dirigenti, pensionati benestanti..infine prendendo in considerazione i sottotetti probabilmente troveremmo giovani coppie, artisti, immigrati, gatti e piccioni....
Insomma: i modelli attuali si basano sui dati raccolti nell'ultimo secolo e su una serie di considerazioni tratte dai dati paleoclimatici, ancora estremamente rari ( ed anche discussi).

Arrivo a bomba sul punto, la non linearità.
Non si tratta , in realta' di una curvetta che non ha voglia di essere modellizzata con una retta: Si tratta di qualcosa che ha molto a che vedere coni denti di una sega.
Ad esempio il trend di temperature nell'artico, mostra tracce di questo comportament, dovuto ad un insieme di fattori conosciuti con feed back positivo ( ma che possono essere adeguatamente valutati solo ex-post).
Vengo al quid.
Quest'anno ci siamo giocati, all'incirca, META' della calotta polare artica.
guardate la prima immagine:

C'e' un ENORME buco davanti alle coste della Siberia, un nuovo mare, sgombro per la prima volta da ghiacci che si estende per quasi duemila chilometri e che arriva a poche centinaia di km dal Polo Nord.
In pratica è possibile 8 ed è stato fatto a Luglio, farsi una nuotata ANCHE al Polo Nord.
Dall'inizio delle misurazioni via Satellite ( 1979), si è registrato un trend in accellerazione che mostra un ritiro progressivo dei ghiacci, un loro assottigliamento ed un loro ingiovanimento ( il ghiaccio "antico" con piu' di qualche anno e' quasi scomparso).
Ma quest'anno è avvenuto il SALTO.
In Siberia , da ormai tre mesi, c'e' una anomalia termica.
Non c'e' bisogno di un termometro di precisione e della tabella dei dati statistici, per misurarla:
L'anomalia raggiunge valori di 7, SETTE gradi superiori alla media degli ultimi decenni.
Ed ecco la seconda immagine che spiega cosa è successo.





















Il "buco" corrisponde quasi esattamente all'anomalia segnalata.
Le non linearità esistono, insomma e sono brutte bestie.
Non abbiamo decenni di tempo per agire ed i modelli attuali, andrebbe detto chiaramente, segnalano la presenza di un problema ma non la sua gravità o la velocità del suo manifestarsi.

mercoledì, settembre 12, 2007

Da Norimberga con stupore

Un post scritto al volo da una connessione che ho trovato nel palazzo dei congressi di Norimberga, dove si svolge il congresso "Euromat" dedicato alla scienza e alla tecnologia dei materiali.

Del convegno, vi racconterò qualcosa quando ho un attimo più di calma. Per ora vi racconto qulacosa di Norimberga. Avete forse visto il post di Debora Billi dove ci racconta di come sono bene organizzati a Friburgo. Vi posso confermare che la stessa cosa si vede a Norimberga. Ieri mattina ero a mangiare un panino nel bar della stazione; dopo di che ho cercato un posto dove buttare la bottiglietta di acqua minerale che mi era rimasta in mano. Strano a dirsi, ma non c'era nessun cestino di rifiuti in vista. Perplesso; ho mostrato la bottiglietta alla ragazza al banco, la quale mi ha fatto un sorrisone, mi ha preso la bottiglietta di mano, l'ha messa in un contenitore che aveva dietro il banco e mi ha dato in cambio 15 centesimi. Non si è sicuramente immaginata che quel tale che ha fatto questa figura da fessacchiotto è un membro della commissione interministeriale rifiuti in Italia!!

Insomma, sono sono rimasto di sasso, di stucco, di pelle di becco (come si dice a Firenze). Un conto è parlare di buone pratiche della gestione rifiuti in una commissione, un conto è vederle messe in pratica al bar della stazione. Da vergognarsi anche solo a pensare di come siamo messi in Italia..... Vabbé, contentiamoci, almeno queste stesse buone pratiche la commissione intermninisteriale rifiuti le aveva proposte, chissà che un giorno non si mettano in pratica anche da noi


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venerdì, settembre 07, 2007

Trivellare o non trivellare?

Continua la polemica sulle trivellazioni in Val di Noto. "La Stampa" di qualche giorno fa pubblica un articolo di Mario Tozzi dal titolo "Svendere Noto per Quattro Soldi" contrario alle trivellazioni. Risponde Carlo Stagnaro con una lettera, sempre pubblicata sulla Stampa e con un post sul suo blog (Realismo Energetico) in cui definisce le affermazioni di Tozzi come "notorie scempiaggini". Risponde Tozzi a Stagnaro con una lettera e la polemica va avanti tirando in ballo anche ASPO-Italia, per una definizione di "picco del petrolio".

A parte disquisire sulla definizione esatta di picco del petrolio, vale la pena di esaminare la discussione sulla questione della Val di Noto, che ormai è andata avanti per un pezzo. La posizione di Tozzi, come appare dal suo articolo sulla Stampa, sembra essere rappresentativa di un'opinione abbastanza comune: non vale la pena estrarre petrolio in Val di Noto, dato che è poco in confronto ad altri giacimenti italiani, per esempio quelli della Basilicata. Tanto più, dice Tozzi, che il picco del petrolio sta arrivando.

E' un'opinione simile a quella che si legge spesso sulle trivellazioni in Alaska, nella zona detta il "rifugio nazionale della vita selvaggia", ANWR (Alaskan National Wildlife Refuge). Anche li', si dice che il petrolio che si potrebbe trovare non compenserebbe il declino dovuto all'imminente picco del petrolio.

Ma se veramente il picco del petrolio è imminente (come in effetti lo è) non dovremmo allora trivellare ovunque possibile per compensare il declino? Questa è, in effetti, una reazione tipica, come ho discusso in un mio articoletto recente dove avevo confrontato la reazione attuale al graduale esaurimento del petrolio con quella di oltre un secolo fa al graduale esaurimento delle balene. La reazione dei balenieri di quel tempo era stata di migliorare al massimo possibile l'efficienza delle loro navi, cercando di catturare più balene possibile nonostante che stessero diventando rare. Questo tentativo, ovviamente, aveva peggiorato il problema facendo diventare le balene ancora più rare. Il risultato finale era stato la sparizione quasi totale delle specie cacciate a quel tempo e il collasso dell'industria baleniera. La reazione dell'industria baleniera alla carenza di balene è un tipico esempio di "soluzioni controproducenti", come le ha descritte Donella Meadows.

Per il petrolio, l'effetto di affannarsi a scavare più buchi e scavare più in fondo, sarebbe lo stesso: un sollievo momentaneo che però a lungo andare peggiorerebbe il problema. Ma, al momento, non vediamo ancora la corsa affannosa a bucare tutto il possibile. Questo dipende dal fatto che il pubblico non si è ancora reso conto della gravità della situazione; il che rende possibile sostenere posizioni contrarie a nuove trivellazioni come nel caso della Val di Noto e dell'Alaska. Però, al momento in cui le cose si faranno più chiare, potrebbe andare male per i caribù dell'Alaska e potrebbe andare altrettanto male per i monumenti barocchi della Val di Noto. Per fortuna, in Val di Noto molto probabilmente di petrolio non ce n'è o ce n'è pochissimo.

Come per tutte le cose, esagerare in una direzione o in un'altra porta al disastro. Affannarsi a scavare buchi per cercare di "raschiare il fondo del barile" non ci porterà a niente, ma non possiamo nemmeno smettere di cercare il petrolio dove è ragionevolmente possibile trovarlo. Il petrolio deve durare ancora perlomeno un paio di decenni: ci deve servire a imparare fare a meno del petrolio.

Nei prossimi anni si deciderà il futuro di tutti noi. Se riusciremo a usare il petrolio per costruire le infrastrutture energetiche rinnovabili di una società che farà a meno del petrolio; allora, avremo fatto bene a bruciarlo. Se lo sprecheremo allegramente nei SUV e in cose del genere - come stiamo facendo adesso - allora avremo perso un'occasione che non si ripeterà mai più nella storia dell'umanità.



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Svendere Noto per quattro soldi
Mario Tozzi

"La Stampa" del 31 Agosto 2007

Dalla cattedrale di Noto appena restaurata non si vedrà di certo la piazzola di perforazione per la ricerca di idrocarburi e la bruttura paesaggistica di queste prime fasi di prospezione è senz’altro limitata (per non parlare dell’impatto ambientale praticamente assente). Ma il problema della ricerca di gas e petrolio nella Valle del Barocco siciliano non risiede certo nelle prime fasi della ricerca e le vere domande che ci si deve porre riguardano il futuro energetico e ambientale del nostro Paese. Specialmente tenendo conto che c’è già un esempio di come le cose possano andare quando si svende l’inclinazione turistica e naturalistica per un piatto di lenticchie. Per ora a Noto si cerca solo gas, ma sarebbe molto difficile arrestare le ricerche una volta che si dovesse riscontrare la presenza di idrocarburi liquidi (petrolio) invece che gassosi soltanto (infatti ci sono già altri operatori, autorizzati, al lavoro). E si capisce perché: nessuna attività industriale è remunerativa come l’estrazione e il commercio di idrocarburi, non a caso si parla delle più ricche corporation del mondo, che impiegano una tecnologia seconda solo a quella militare.

Le compagnie petrolifere lucrano guadagni astronomici sul barile di greggio nigeriano o sudamericano, paesi in cui debbono versare ben oltre il 50 per cento in royalties ai governi nazionali. Figuriamoci su quello italiano che, seppure di qualità inferiore, impone percentuali irrisorie (meno del 10 per cento). Insomma estrarre petrolio in Italia costa meno che altrove, anche tenendo conto della sua scarsa qualità e dei suoi costi di estrazione mediamente più elevati (6-8 dollari al barile contro 2-3). Del resto l’Italia non veniva considerata terra di petrolio e perciò le royalties imposte erano (e sono rimaste) così convenienti, in modo di attrarre potenzialità industriali. Questo fino a qualche anno fa, prima della scoperta del petrolio lucano.

Le stime sulle riserve di petrolio della Basilicata sono teoricamente eccezionali: si parla del più grande giacimento mai scoperto nell’Europa continentale (eccettuati, cioè, i giacimenti sottomarini del Mare del Nord): circa 154 mila barili di petrolio al giorno, cioè 960 milioni di barili di riserve stimate, cifra che farà passare da quasi il 4 per cento a circa il 9 per cento la produzione domestica. La Regione Basilicata guadagnerà circa un miliardo di euro in vent’anni, cifra che solo in apparenza sembra considerevole: in Venezuela le nuove royalties imposte dal presidente Chavèz (in pratica una nazionalizzazione coatta) hanno fatto infuriare le compagnie petrolifere (tra cui l’Eni) che minacciano di abbandonare il Paese (dimenticando chi sono i veri proprietari di quelle risorse).

Infrastrutture, indotto e occupazione ne hanno risentito positivamente, con la certezza, però, che si tratta comunque di investimenti a termine, perché - come è noto - il petrolio comunque finirà o costerà troppo in pochissimo tempo. E quando il petrolio sarà finito si rischia di rimanere con il territorio devastato e/o controllato dalle corporation, l’occupazione a zero, i frutteti abbandonati e le aree archeologiche o naturalistiche trascurate. Investire grandi potenzialità in quelle attività significa comunque non interessarsi più dei settori tradizionalmente forti del Sud d’Italia: agricoltura di pregio, turismo, beni culturali e parchi devono resistere comunque, se non ci si vuole trovare solo con un pugno di piazzole esauste e con un oleodotto sporco alla fine dell’orgia petrolifera.

A Noto come in Val d’Agri la domanda è la stessa: ha senso trasformare l’economia di una regione a vocazione eminentemente turistica e agricola per sfruttare una fonte energetica destinata a diventare troppo onerosa nell’immediato futuro? Che prezzo sociale e ambientale siamo disposti ancora a pagare per una risorsa effimera? Lo sviluppo legato ai combustibili fossili ha il fiato corto, soprattutto perché è figlio di una logica insensata dell’incremento dei consumi, come se la Terra fosse diventata improvvisamente inesauribile. Gli idrocarburi italiani non sfuggono a questa logica: denari spesi in opere la cui utilità è spesso dubbia e scarsa propensione al raffreddamento dei consumi. Con la possibilità concreta che, una volta terminato lo sfruttamento, quello che resta in mano sia davvero poca cosa. Di queste considerazioni non c’è eco nel dibattito, come se il «progresso» non dovesse mai fermarsi a riflettere, ma solo avanzare. Almeno a sapere verso dove.


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