giovedì, aprile 29, 2010

La benzina costa cara? Nessun problema: c'è il petrolio abiotico


Certe volte, comincio a pensare che ci sia veramente qualcuno da qualche parte che è pagato per tener d'occhio la situazione del petrolio e - quando è il caso - rilanciare un po' di sciocchezze ottimistiche. Diamine, cosa sarebbe il mondo senza un po' di sana confusione ogni tanto?

Così, con gli aumenti del prezzo della benzina e con il Pentagono che si preoccupa del picco del petrolio, non c'è forse da sorprendersi che "La Stampa" esca fuori con una paginata quasi intera a firma di Cinzia di Cianni, intitolata "Misteri, L'ipotesi abiotica. Se la dimostrazione teorica fosse confermata le quantità di oro nero sarebbero quasi illimitate"

Come si suol dire: la solita frittata. La sig.ra Cianni va a recuperarsi un articolo di "Nature Geoscience" che risale al Luglio del 2009 - ovvero quasi un anno fa. Non è certamente l'ultima novità e - comunque - non era una novità nemmeno nel 2009. E' quasi un secolo che si sa che esistono delle reazioni inorganiche che producono idrocarburi e c'è poco da eccitarsi quando ci se ne accorge di nuovo. E poi, da li arrivare a dire che "le quantità di oro nero sarebbero quasi illimitate", eh, beh, ce ne passa.

Fortunatamente, l'articolo cita anche una persona sana di mente (ce ne sono rimaste alcune, per fortuna), Giuseppe Etiope del CNR, che dice le cose come stanno. Ma, nel complesso, l'articolo è solo una rifrittura di ilazioni che ormai hanno fatto il loro tempo.

Questa storia del petrolio abiotico mi fa sempre venire in mente Shakespeare che aveva detto "È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno." Ecco, proprio così.

(per una critica un tantino più dettagliata della storia del petrolio abiotico, si veda questo mio articolo)

lunedì, aprile 26, 2010

Crisi, fragilità del "posto di lavoro" e autosufficienza


Leggendo questo post di Eugenio Saraceno, mi è saltata all'occhio in particolare una frase: "Come membro di ASPO Italia sono convinto che la crisi economica sia, in buona sostanza, figlia della crisi energetica e pertanto non vedo vie di uscita alla crisi economica se non si risolve il problema energetico. Tendo a pensare che se dovessi rimanere senza lavoro la soluzione potrebbe non essere semplicemente quella di trovare un altro lavoro."
Non si può che condividere questo pensiero così denso di autocritica. Chi legge questo blog spesso e volentieri ha un diploma e/o una laurea, per mezzo dei quali ha trovato e mantiene un "posto di lavoro"; ma il fatto di poter svolgere con continuità un'attività non è affatto ovvio, e soprattutto è garantito dal flusso energetico medio erogato per la società nella sua interezza. Diminuendo le forniture fossili, diminuisce quella che in energetica si chiama "velocità di produzione dell'entropia". Pozzi che pompano meno, meno intermedi chimici, meno semilavorati e manufatti, meno disponibilità di energia elettrica. Meno "lavoro".  Meno servizi. Anche, meno rifiuti ed emissioni.
 La cosa è tutt'altro che scontata; molti pensano che se dovessero perdere il lavoro, ne cercheranno un altro e prima o poi lo troveranno.
Secondo me non sarà esattamente così. La via sarà quella che ha tracciato Eugenio in questo post, seppur con i limiti del caso: uno su tutti, non sarà possibile matematicamente disporre di terre sufficienti per attuare l'optione agricola per ogni nucleo, ma con politiche attente e una corretta suddivisione del lavoro si potrà evitare il collasso  (FG)


created by Eugenio Saraceno

In ASPO Italia non ci facciamo mancare nulla, C'è chi installa pale eoliche e impianti fotovoltaici, chi progetta le innovative farm eoliche troposferiche KiteGen, chi si occupa di veicoli elettrici, chi svolge opera di divulgazione in merito ai cambiamenti climatici e le risorse, chi sui rifiuti; non poteva mancare una sperimentazione sulla coltivazione senza utilizzo di prodotti derivati da idrocarburi (ovvero solo zappa e concime organico, di zappa nemmeno troppa perchè non vogliamo rovinare il suolo).

Poco più di un anno fa, in piena tempesta finanziaria, temendo per i risparmi, ho acquistato un terreno agricolo con un rustico a qualche km da casa mia, 4000 mq, una sorgente naturale, olivi ed alcuni alberi da frutta. Il prezzo? Diciamo che in alternativa avrei potuto acquistare un'auto di media cilindrata.

Da allora dedico una mattina quasi tutti i fine settimana agli esperimenti. Scopo principale sperimentare se un professionista che passa tutta la settimana a lavorare con un computer, inesperto di agricoltura (va bene ho letto qualche libro..) possa essere in grado, in caso di bisogno, di produrre derrate alimentari e legna da ardere per la sussistenza di una famiglia. Considerando tutto ciò che accade ogni giorno intorno a noi ed il numero di persone che hanno iniziato a giocare quotidianamente a win for life non credo di essermi posto un problema tanto assurdo; moltissimi si stanno chiedendo cosa farebbero se perdessero il lavoro, molti stanno cercando di arrangiarsi perchè lo hanno già perso. Come membro di ASPO Italia sono convinto che la crisi economica sia, in buona sostanza, figlia della crisi energetica e pertanto non vedo vie di uscita alla crisi economica se non si risolve il problema energetico. Tendo a pensare che se dovessi rimanere senza lavoro la soluzione potrebbe non essere semplicemente quella di trovare un altro lavoro.

Ed allora via con la sperimentazione sull'agricoltura di sussistenza. Devo dire che il primo beneficio è psicologico, Qualche giorno fa, quando è caduta la neve a bassa quota nel centro Italia vi ho portato mia figlia che voleva fare un pupazzo di neve ma come tutti i papà con tanti pensieri per la testa ho dimenticato di portarle una merendina da casa, e quando si è messa a brontolare che aveva fame è stata decisamente una soddisfazione dirle "aspettami qui" e tornare dopo tre minuti con qualche arancia appena colta da mangiare con gusto.

Ma non è tutto così semplice, il terreno è in pendenza, umido per via della sorgente e quindi infestato di ortiche, equiseti e canne palustri (e zanzare in estate). I rovi avevano avuto la meglio perchè i precedenti proprietari, che l'avevano ereditato, l'avevano trascurato.

Il faticoso (ma non ho più bisogno della palestra) programma di bonifica ha previsto:

- canalizzazione dell'acqua e realizzazione di un invaso in cui sono presenti dei pesci rossi mangia-zanzare e qualche carpa per eliminare le alghe (magari ci scappa una grigliata)

- eliminazione dei rovi (qui ho dovuto impiegare qualche litro di benzina per il decespugliatore, con la falce a mano è troppo faticoso)

- realizzazione di un orto terrazzato con una tecnica derivata dall'agricoltura sinergica, in pratica si forma uno strato con i rovi e le infestanti essiccate e sminuzzate e vi si rivolta sopra la terra dal terrazzo superiore riducendo la pendenza e creando uno strato organico ammendante

- in una piccola serra sul balcone di casa semino periodicamente in vasetti un assortimento di ortaggi da tutte le famiglie (cucurbitacee, ombrellifere, solanacee, crucifere, leguminose, composite) cercando poi di trapiantarle nell'orto rispettando le consociazioni (indicate sulle bustine di sementi)

- sempre sul balcone e con disappunto di mia moglie c'è un secchietto dell'organico in cui mettiamo gli avanzi di cucina in bustine di carta o mater-b. Questa è una fonte di concime che settimanalmente verso in una compostiera e poi, a maturazione avvenuta, distribuisco nell'orto. Così facendo riduciamo anche i nostri rifiuti del 30% e non devo comprare concimi.

- realizzazione di un sistema di irrigazione automatica a gravità: l'acqua della sorgente a monte dell'orto confluisce nell'invaso e da questo un canaletto di troppo-pieno la convoglia in tubi muniti di gocciolatoi (a pochi metri funziona, da verificare se su distanze maggiori la pressione sarà sufficiente)

- da sperimentare: la coltura di cereali nel frutteto, per ora ho messo qualche mq di grano ed orzo, vediamo a Giugno cosa esce, su questo sono pessimista, credo che anche seminando i 2000 mq di frutteto a frumento non sarebbe possibile produrre abbastanza sfarinati per panificare regolarmente, credo che per gli amidi mi affiderò alle ben più produttive patate, sperando di non fare poi la fine degli irlandesi (vedi articoli di Ugo Bardi)

Qualche risultato parziale: da Giugno ad Ottobre abbiamo prodotto alcuni kg di verdure a settimana su una superficie di 50-100 mq. la foto qui sotto mostra il raccolto tipico settimanale a metà estate, una cassetta di zucchine, bieda, pomodori fagiolini e lattuga.


Quest'anno la superficie bonificata è più che raddoppiata e contiamo di aumentare la produzione e, spero distribuirla un pò meglio durante l'anno. Ci sono ortaggi che crescono bena anche d'inverno come ravanelli, insalate e finocchi, ma è fondamentale migliorarne l'esposizione al sole e le tempistiche di trapianto.

Le raccolte di frutta dal frutteto preesistente sono state abbondanti, fichi, cigliege, arance, nespole, uva, qualche pera, pesca e melegrane. Come sopra la mia preoccupazione è distribuire meglio le raccolte nel corso dell'anno altrimenti si rischia di avere abbondanza in alcuni periodi e doversi accontentare della frutta del supermercato nel resto dell'anno. Quindi ho piantato alberelli che fruttificano in periodi autunnali o invernali (kaki, kiwi, melo). Le olive sono andate malissimo con pochi kg benchè ci siano oltre 30 alberi. Gli ortolani vicini mi dicono che l'annata non era buona, boh vedremo l'anno prossimo, intanto mi sono risparmiato qualche giornata che avrei passato al gelo se le piante avessero prodotto di più.

In definitiva, una risposta alla domanda che mi sono posto in partenza, ovvero se è possibile sostentare a livello di sussistenza una famiglia con un acro di terra non è ancora possibile darla ma è certo che se questo risultato fosse raggiungibile necessita comunque di una grande fatica e lunga preparazione.

Tuttavia sono ottimista sul fatto che sia possibile produrre frutta e ortaggi per tutto l'anno distribuendo meglio ed aumentando la produzione (del resto ho sfruttato solo un 10% della superficie che reputo di poter irrigare). Inoltre c'è la possibilità di conservare patate, pomodori, frutta e legumi con varie tecniche.

Per la produzione di proteine devo sperimentare l'allevamento di pesci erbivori, che sono gli organismi più efficienti nel trasformare la biomassa vegetale in proteine (1,5 kg di vegetali per 1 kg di pesce, biomassa ricavata dall'eliminazione delle infestanti, le carpe erbivore sono ghiotte di alghe e germogli di canna palustre)

Non mi è possibile allevare dei polli perchè dovrei andare lì tutti i giorni, però se dovessi perdere il lavoro si potrebbe utilizzare la liquidazione per rendere abitabile il rustico, trasferirsi lì e tenere galline ed una capra per latte carne ed uova completando la dieta. Per scaldarsi con una cucina a legna ci sono le potature del frutteto, gli alberi che si seccano, quelli che possono essere periodicamente abbattuti perchè ricrescono. Non sono confidente sul fatto che le quantità di potature siano sufficienti per scaldarsi tutto l'inverno, penso che sia necessario installare un impianto fotovoltaico per chiudere il quadro della sussistenza. Tra qualche mese spero di dare qualche aggiornamento sulla prosecuzione dell'esperimento.

sabato, aprile 24, 2010

Ancora sul prezzo della benzina



Qualche giorno fa, su queste pagine, abbiamo tentato di smascherare la ridicola bufala del prezzo della benzina che sta imperversando sulle poste elettroniche di mezza Italia, alimentata dalla dabbenaggine di molti consumatori. Le bufale trovano in genere terreno fertile e attecchiscono facilmente in Italia grazie alle caratteristiche antropologiche del nostro popolo. L’italiano medio è un individuo particolare, intimamente convinto di essere il più perspicace e furbo al mondo. Come tutti i furbi, teme che in ogni angolo si annidino altri furbi pronti a fregarlo, per cui scopre complotti e macchinazioni dappertutto. L’italiano medio è un individualista anarcoide ma, storicamente immaturo sul piano della coscienza individuale. Paradossalmente, basta toccare le corde giuste per farlo diventare facile preda dell’imbonitore di turno, laico o religioso che sia, nei confronti del quale egli finisce quasi sempre per comportarsi alla stregua di una pecorella in un docile gregge.

Continuiamo perciò nell’opera, improba ma indispensabile, di smantellamento dei luoghi comuni che circolano intorno al prezzo del carburante più amato dagli italiani. Secondo alcuni di questi luoghi comuni, gli automobilisti del Belpaese sarebbero i più tartassati del mondo, essendo costretti a pagare i prezzi più alti per la benzina e il gasolio. Basta andare però a cercare nei posti giusti per scoprire che anche questa convinzione è molto discutibile. Nei grafici allegati all’articolo, disponibili sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, potete osservare il confronto tra i prezzi al consumo dei carburanti nei vari paesi europei. Come si può vedere facilmente, i prezzi italiani sono abbastanza alti, ma confrontabili e, in molti casi inferiori a quelli di altre nazioni europee: Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Olanda, Portogallo, hanno prezzi della benzina più alti dei nostri, la Francia quasi uguale al nostro. Per quanto riguarda invece l’acquisto del gasolio, Danimarca, Germania, Grecia, Svezia e Gran Bretagna pagano più di noi.
Quindi, andando oltre il proverbiale vittimismo dell’italiano medio, ci si accorge che la struttura dei prezzi dei carburanti nei paesi dell’Unione Europea è sostanzialmente la stessa, con una componente industriale piuttosto simile e con una quota prevalente costituita dal carico fiscale, i cui introiti finiscono per finanziare le economie sociali di mercato tipiche del continente europeo.
Molti si lamentano di questa “oppressione fiscale”, ma se considerassero gli enormi costi esterni sociali ed ambientali che l’uso dei carburanti riversa sulla collettività, si capirebbe che si tratta di una minima compensazione di questi danni. Anzi, un approccio ecologista alla fiscalità dovrebbe indurre da una parte a penalizzare fiscalmente i carburanti più inquinanti e nocivi come il gasolio e dall’altra a destinarne il ricavato principalmente verso azioni orientate a modificare l’insostenibile modello di mobilità fondato sull’automobile. Ad esempio, utilizzando appena 3 centesimi al litro delle accise sui carburanti (considerando un consumo annuo di carburante di circa 45 miliardi di litri), si potrebbe finanziare l’intero programma di sviluppo della rete ferro-tranviaria sintetizzato in questo mio precedente articolo.

giovedì, aprile 22, 2010

Rinnovabili fuori della bottiglia



Esce oggi su “The Oil Drum” un articolo di Ugo Bardi intitolato “Rinnovabili fuori dalla bottiglia”. Partendo dalla vecchia storia Zen dell’oca cresciuta dentro la bottiglia, Ugo Bardi descrive un piccolo “Satori” (illuminazione) che ha avuto quando si è accorto che l’efficienza delle rinnovabili è arrivata oggi a livelli tali da poter pensare seriamente di basarci sopra la nostra intera civiltà.

In particolare, alcuni risultati recenti di Raugei e altri indicano che la tecnologia fotovoltaica basata sul film sottile di CdTe ha oggi raggiunto un EROEI uguale a 40 che è superiore a quello di fonti tradizionali quali il petrolio o l’energia nucleare. Questo è un risultato particolarmente importante perché si tratta di una tecnologia già commerciale. Se guardiamo poi le tecnologie allo stato prototipale, abbiamo il Kitegen, che promette EROEI ancora maggiori.

Certo, il problema dell’energia non è ancora risolto: abbiamo delle buone tecnologie, ma dobbiamo costruirci sopra un’intera infrastruttura. Ma lo possiamo fare.

L’articolo su The Oil Drum si trova a questo link.
Questo è il riferimento all'articolo di Raugei e altri

"Update of PV energy payback times and life-cycle greenhouse gas emissions" V. Fthenakis, H.C. Kim, M. Held, M. Raugei and J. Krones, 24th European Photovoltaic Solar Energy Conference, 21-25 September 2009, Hamburg, Germany

mercoledì, aprile 21, 2010

Sciami di buio



Leggendo il "Drumbeat" di oggi, non ho potuto fare a meno di notare alcune cose. Per chi non fosse un affezionato di "The Oil Drum", Drumbeat è una rubrica quotidiana in cui viene presentato un nutrito gruppo di notizie collegate al petrolio, al gas, alle risorse in genere, alla demografia, al clima e a cosucce del genere in cui sguazziamo noi di Aspo.

In Pakistan in questi giorni ci sono stati numerosi tagli nella produzione di elettricità, con gravi disagi e malcontento tra la popolazione.

Ci sono poi gli articoli  "The future of flight" e  "Britain 'facing electricity blackouts' ".

In entrambi emerge che analisti governativi sia statunitensi che britannici prevedono un oil crunch intorno al 2015 - 2016 (saranno soci Aspo ?? ).  Questo, se dovesse realizzarsi, implicherebbe razionamenti e veloci effetti domino sull'organizzazione e produzione industriale, sull'occupazione, sui trasporti, e soprattutto sulla nostra capacità di produrre e allocare cibo e farmaci. Stare al buio sarebbe davvero l'ultimo dei problemi.

Ma allora, davvero non si può fare niente? Dobbiamo rassegnarci a livello governativo e deprimerci a livello civile? Non tutto è perduto, potremo forse gridare "arrivano i nostri", ma i nostri dobbiamo farli arrivare noi, siamo noi stessi ...   innanzitutto prendendo coscienza della dimensione della cosa, e soprattutto promuovendo un'intensa attività di implementazione di infrastrutture rinnovabili, nonchè un'industria-artigianato volta al recupero delle risorse minerarie (sempre in Drumbeat si parla anche dell'imminente crisi del Fosforo).

A mio avviso è estremamente difficile fare tutto questo in 5 anni, in modo da "cavalcare dolcemente" il picco del petrolio con nonchalance. L'impatto ci sarà, ma s(t)iamo preparati.

martedì, aprile 20, 2010

I politici subiscono (e a volte gestiscono) situazioni inerziali



In seguito all'entusiasmo di Obama nei confronti di tematiche come energie rinnovabili, cambiamento climatico e sanità, e anche dopo alcuni post di Ugo Bardi della serie "God Bless you, mr. Obama", devo ammettere di essere piuttosto deluso della decisione del premier USA di promuovere le trivellazioni off-shore.
La motivazione portata alla stampa è stata del tipo "Gli USA necessitano di petrolio estratto sul loro territorio per essere indipendenti energeticamente".
Peccato che proprio su questa tematica Obama aveva combattuto una battaglia elettorale contro McCain e Sarah Palin.
Purtroppo in politica il principio di non contraddizione non esiste, ma soprattutto non è affatto facile forzare delle svolte in una compagine in cui i grandi numeri sono dalla parte delle energie fossili.
Industrie di raffinazione, industria automobilistica, dei chemicals, negli USA (e non solo) l'Oil è la linfa vitale delle infrastrutture costituite. L'inerzia dei sistemi esistenti è enorme, ma la sua forza sarà ancora più intensa se non ci saranno informazione e volontà sufficienti per il cambiamento verso le energie rinnovabili e un rallentamento generale delle "velocità di produzione".
I politici, più che grandi condottieri, sono i gestori di quella che è la realtà esistente. A volte sono solo spettatori dotati di autorità. Probabilmente, solo l'acuirsi della crisi sistemica e il costituirsi progressivo di gruppi "dal basso" potranno portare a un cambio di mentalità che contagerà la classe politica.

domenica, aprile 18, 2010

Postpicco di Periferia


Una volta, di qui passava un brutto ruscello mentre ora c'è questa bella piazza. C'erano anche degli inutili cipressi secolari, ora fortunatamente tagliati per far posto a un comodo parcheggio.  


Qualche giorno fa, mi sono fatto una passeggiata nella piazza che sta a poche centinaia di metri da casa mia. Una piazza nuova, inaugurata in pompa magna soltanto qualche anno fa. L'effetto, oggi, è desolante: una cosa da film di post-olocausto. Desolante al punto che sono tornato a casa; ho preso la macchina fotografica e ho documentato la situazione.

Vi faccio vedere qualche foto; cominciando da questa.
 


Questo muro in parziale disfacimento sembra che sia stato fatto dagli Etruschi. Invece, è stato costruito soltanto qualche anno fa. Vi faccio vedere un dettaglio della costruzione; vedete come perde pezzi?




 Ecco un altro dettaglio:



Vedete? Sono massi non squadrati, buttati uno sull'altro alla buona; bloccati con dei sassi più piccoli incastrati a martellate - oppure con un po' di malta piazzata qua e là. Pare che l'architetto abbia voluto imitare i muri che i contadini facevano una volta che, in effetti, non erano meraviglie murarie. I contadini non potevano permettersi massi ben squadrati ma facevano di necessità virtù riparandoli in continuazione. Questo era una volta, quando i contadini esistevano ancora. Ma oggi, quanto vi aspettate che possa durare un lavoro così senza una manutenzione continua? Manutenzione che un comune in continua asfissia finanziaria difficilmente potrà permettersi. Fra una decina di anni questi muri saranno nella stessa categoria dei muri inesistenti della quale fa parte anche il muro di Berlino. Per fortuna che sono puramente decorativi e non reggono niente che possa crollare.

Anche in altri posti si nota il cedimento - sia delle mattonelle in cotto sia del cemento armato. Guardate per esempio qui: abbiamo ruggine, erba, cemento che si riduce in polvere alla fermata del treno.



Anche il lastricato della piazza sta cedendo dopo solo qualche gelata, come vediamo per esempio qui. 


La piazza ha anche dei dettagli molto gustosi (per così dire). Oltre che a improvvisarsi contadino, l'architetto a creato curiosi oggetti in pietra che vi faccio vedere qui - ce ne sono una decina almeno:


  


Che cos'è? Un dolmen paleolitico? Un piedistallo per una statua inesistente? Un sedile per mutilati ai quali è rimasta una sola natica? Eh, beh, niente di tutto questo. E' - o meglio era -  un cestino per rifiuti in pietra. Ora è un "non cestino". Vedete com'era all'inizio in una foto di qualche anno fa:


 


L'architetto aveva fatto fresare questi blocchi di pietra in modo da ricavarne all'interno un buco di dimensioni comparabili a un cestino dei rifiuti. Ma non aveva considerato che, a parte il costo, sicuramente inenarrabile, c'era un piccolo problema: una volta pieni, come svuotarli? Troppo pesanti per rigirarli e comunque erano inchiavardati per terra. Dopo un po', gli operai del comune si sono scocciati di dover svuotare a mano questi buchi pieni di rifiuti e ci hanno colato dentro un po' di cemento. Così, li hanno trasformati in "non cestini" dei rifiuti. Problema risolto: è costato solo un po' di spreco di buona pietra - risorsa notoriamente non rinnovabile. Ma sprecare le risorse non rinnovabili è cosa sulla quale, notoriamente, siamo specializzati. 

A proposito di spreco di pietra non rinnovabile, vi faccio vedere un ultima cosa di questa piazza.



Quella specie di bara che sta vicino al non-cestino dei rifiuti è - o dovrebbe essere secondo l'architetto - una panchina. La potremmo chiamare una "non-panchina" in quanto manca di cose che sembrerebbero essenziali in una panchina, tipo una spalliera. Ce ne sono una decina nella piazza, dure, fredde d'inverno e calde d'estate, costose da far paura. Sono tuttavia un'altra manifestazione della nostra tendenza a sprecare risorse non rinnovabili.
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Prima di discutere sul perché succedono cose del genere, vi faccio vedere una cosa completamente diversa che però sta nella stessa piazza. E' uno dei muri che reggono la ferrovia che passa lì accanto. E' stato costruito verso la fine dell'800 - più di cento anni fa.



Guardate la differenza fra questo muro antico e quelli moderni. Sembra di comparare una fortezza medievale a un castello di sabbia fatto da un bambino sulla spiaggia. Questo muro ha pietre perfettamente squadrate; non c'è un filo di spazio fra una pietra e l'altra. Cercateci una scheggia di pietra per terra e non ce la trovate. Durerà ancora secoli se nessuno lo va a disturbare. E anche se uno lo volesse demolire, dovrebbe fare una bella fatica.

Allora, cosa c'era di diverso cent'anni fa? Che cosa è cambiato in cent'anni, che oggi non riusciamo a fare una piazza che stia in piedi più di qualche anno? Fosse solo questione di qualche muro, se la piazza di cui vi sto parlando fosse un eccezione - beh, poco danno. Ma, ovunque vai, trovi strutture degradate che cascano a pezzi. E non è solo un problema di muratura. Me la prendevo in un post recente con il sito del GSE: è un'entità virtuale, non di pietra, ma anche quello è stato costruito male. Non sta in piedi.

E' tradizione in questi casi prendersela con il sindaco e con l'assessore ai lavori pubblici. Ma è possibile che cento anni fa i sindaci e gli assessori fossero tanto migliori di oggi? I faraoni del tempo delle piramidi potevano essere veramente tanto più bravi e intelligenti dei nostri primi ministri?

Di solito, tendo a attribuire al picco del petrolio ogni colpa di quello che succede. Mi dicono che esagero e forse hanno ragione. In questo caso, poi, mi troverei in difficoltà a dire che è per via del picco del petrolio che ci siamo dimenticati come si costruisce un muro che stia in piedi. Qui c'è qualcosa che non va a livello sistemico: qualcosa che fa si che la società non funzioni più come funzionava una volta. Non vi so dire esattamente cosa, ma la faccenda è preoccupante se si pensa che stiamo programmando di costruire centrali nucleari e ponti sospesi lunghi tre chilometri.

giovedì, aprile 15, 2010

Intelligenza: merce sopravvalutata?



created by Dario Faccini


In un recente post Terenzio Longobardi ha affermato che più che in una ‘Age of Stupid’, ci troviamo in una ‘Age of Clever’, poiché è dalla brillanti intuizioni di pochi geni che sono scaturite le soluzioni tecnologiche che ora minacciano lo stesso benessere che hanno contribuito a creare.

Questa affermazione mi ha stimolato qualche considerazione sulla natura dell’intelligenza umana e sull’abitudine a sopravvalutarne la portata.

L'intelligenza distingue certamente in modo netto la nostra specie da tutte le altre. Mi sembra però che il nostro - per ora ancora breve - successo derivi da innumerevoli altri meccanismi e fattori di contesto, spesso aleatori o comunque destinati, in qualche modo, a vedere un’inversione di tendenza:

• C'è una gaussiana dell'intelligenza. Questa è legata al totale della popolazione: più scoperte, più successo di specie, più popolazione totale e meno in percentuale impegnate in agricoltura, più geni della coda della gaussiana liberi di fare nuove scoperte e così via. Questo feedback positivo è pero destinato ad esaurirsi con l'arrestarsi della crescita della popolazione. Inoltre, come un mio amico mi ha fatto notare, la scienza, in particolare la ‘Big Science’, è destinata a ‘piccare’. Pensiamo alla fisica delle alte energie: siamo passati da ciclotroni fai-da-te ad acceleratori come l'LHC (che ha un budget di 9 miliardi di dollari). Sarà mai possibile un investimento di risorse maggiore? In generale, quello che c'era da scoprire con più facilità potrebbe, in massima parte, essere già stato studiato. Una inesorabile legge dei ritorni decrescenti potrebbe affacciarsi anche sulla ricerca scientifica ele sue scoperte.

• La specie Umana, come civiltà, ha potuto giovarsi di un contesto molto favorevole. Si è sviluppata in un periodo geologico-climatico adatto, l'Olocene. Ha trovato enormi riserve di energia stellare immagazzinate in forme facilmente estraibili (combustibili fossili+elementi fissili). Ha potuto compiere così un'evoluzione tecnologica di slancio, in un periodo di tempo relativamente breve, evitando che i fenomeni di 'entropia dei materiali' (perdita irreversibile delle risorse minerali concentrate, ad es. ossidazione metalli in opera) potessero minarne lo sviluppo. La dipendenza da fonti minerali ed energetiche concentrate è cruciale. Se invece di essere la prima specie intelligente fossimo stati la seconda, avremmo trovato ancora il petrolio in Medio Oriente e le miniere di rame in Cile? Senza di essi avremmo avuto lo stesso sviluppo?

La stessa intelligenza umana si manifesta inoltre con caratteristiche che dovrebbero farci dubitare della sua valenza a lungo termine:

• L'intelligenza, spesso, sembra solo una componente di miglioramento rispetto ad un processo di adattamento per tentativi casuali quale è l'evoluzione. Mentre da un punto di vista genetico la comparsa di un nuovo carattere vantaggioso ha bisogno di migliaia di anni per esprimersi e fissarsi, la comparsa di un nuovo comportamento vantaggioso può essere scoperto e fissato anche solo in una generazione grazie alle superiori capacità intellettive dell'uomo. In questo aspetto l'intelligenza si prefigura come un acceleratore evolutivo basato comunque su un meccanismo di prova-errore di singoli individui piuttosto che su una strategia collettiva di valutazione delle possibilità, dei rischi e di scelta ponderata delle direzioni di sviluppo. L'intelligenza ci ha lanciato quindi in un percorso di crescita assolutamente non pianificato.
Molti salti tecnologici sono improvvisazioni sul momento, avvenuti non per una scelta a tavolino di un Governo, ma secondo necessità contingenti provocate da un sovrasfruttamento: ad esempio il passaggio tra legna e carbone in Inghilterra nel 700, o quello da Olio di Balena e Petrolio nell'800. La civiltà umana si comporta più come un microrganismo in crescita esponenziale in un piastra di Petri ricca di nutrienti, piuttosto che una quercia che cresce lentamente in un bosco fino a diventarne elemento integrante. Finora è andata bene, la piastra di Petri era molto più grande del previsto, ma prima o poi dovrà pur finire. Forse sarà proprio nella gestione di questi limiti che emergerà un giudizio definitivo sull’intelligenza posseduta dalla nostra specie.

• L'intelligenza stessa è una caratteristica emergente dell'evoluzione. Non ci sono però garanzie che essa sia una caratteristica 'stabile'. Una specie media dura 5 milioni di anni, la nostra ne ha ancora solo 200 mila (a star larghi) e la storia umana, ove si è manifestata l'estrema efficienza di sfruttamento dell'ambiente, circa 10000. L'intelligenza potrebbe essere anche una caratteristica perdente, un esperimento evoluzionistico destinato all'autoconclusione, oppure potremmo non essere ancora sufficientemente evoluti sul percorso dell'intelligenza per riuscire a valutare le conseguenze delle nostre azioni o per evitare che le capacità logico-razionali soccombano al nostro retaggio emotivo in scelte cruciali.
La crisi dei missili di Cuba nell’ottobre del ’62 sembra un buon esempio di ‘scelta cruciale’. La costituzione di arsenali atomici, e la conseguente assunzione di un rischio di ‘inverno nucleare’ a livello globale, è stata frutto di inconsapevolezza delle conseguenze? Oppure è stata una decisione guidata da una profonda sfiducia nelle intenzioni di un altro popolo/governo/ideologia? Non credo si possa rispondere, ma sicuramente non si è trattato di una scelta guidata da una ‘intelligenza di specie’ di cui il genere umano possa andare fiero. (1)



(1) In pochi hanno ben chiaro il rischio (inteso come probabilità) di conflitto nucleare corso dal genere umano nella crisi dei missili di Cuba. Se al posto di un Kennedy , che ha resistito alle pressioni di un’opzione militare basata su informazioni CIA clamorosamente sbagliate, ci fosse stato un altro presidente, poniamo un Bush, quale sarebbero state le sue decisioni? Va notato che all’epoca, non si sapeva ancora che un conflitto nucleare su vasta scala avrebbe portato ad un ‘inverno nucleare’ paragonabile ad un’era glaciale, quindi la tentazione all’uso degli arsenali atomici era significativa sia per gli USA che per l’URSS.

mercoledì, aprile 14, 2010

Le lezioni dell'elezioni

Chi avesse voglia di seguire i dibattiti politici di questi giorni, si accorgerebbe che le analisi post elettorali italiane sono tra le più astruse, fantasiose, imprecise, cavillose e inutili esercitazioni del pensiero umano.
Sgombrando il campo dalla confusione interpretativa e dall’ipertrofia delle motivazioni, secondo me, il fattore decisivo delle ultime elezioni regionali è stata la presentazione in Piemonte della lista “cinque stelle” di Beppe Grillo. Essa, catalizzando una quota marginale di elettorato del centro-sinistra, ha consentito al centro-destra di acquisire un esiguo vantaggio dello 0,4%, utile però ad aggiudicarsi la presidenza della Regione. Se il movimento di Grillo non si fosse presentato in Piemonte, il risultato finale sarebbe stato di 8 a 5 a favore del centro-sinistra, nel nord sarebbe rimasto un argine alla deriva leghista e, diversamente da ora, si parlerebbe di vittoria dell’opposizione e di difficoltà politiche del governo. Poi, come sempre nella storia italiana, la Chiesa ha influito sugli equilibri politici, ma lo avrebbe fatto di meno senza l’aiuto determinante delle “cinque stelle”.
Si può condividere o meno questa analisi, ma di certo ora bisogna confrontarsi con il nuovo quadro politico. Premetto che Grillo non mi entusiasma politicamente, per i motivi che ho già spiegato in un articolo precedente. Però ritengo che i suoi militanti e, soprattutto il suo elettorato, siano portatori di giuste istanze di trasparenza, moralità, correttezza e rinnovamento della politica, meritevoli di grande attenzione. Come tutte le giovani formazioni politiche, manca di visione politica e ciò conduce a compiere gli evidenti errori tattici appena descritti: infatti, con la Presidenza Cota non solo il progetto di alta velocità ferroviaria sarà confermato, ma si rischia un pesante arretramento su tutte le altre questioni ambientali, energetiche e sociali che interessano il Piemonte.
Però, secondo me, il vero problema del movimento è l’indeterminatezza e l’ambiguità della linea politica e programmatica, addirittura incentivata dal suo fondatore. Faccio un solo esempio, già commentato in un mio recente articolo. Grillo ora manifesta dubbi nei suoi comizi sul futuro della mobilità fondata sull’automobile e poi, non dissociandosi sul blog, si avvantaggia opportunisticamente di una ridicola campagna per la riduzione del prezzo della benzina.
Infine una breve riflessione politica sui veri vincitori di queste ultime elezioni, i leghisti. Adesso tutti li elogiano e blandiscono, ma sono a mio parere, uno dei sintomi del declino dei valori umani e sociali che hanno contraddistinto in passato il nostro paese. Sono inoltre l'espressione di una cultura vetero - industrialista che da voce a settori del mondo produttivo ed economico assuefatto alla costante espansione dei consumi e della produzione, che vedono messi in dubbio dalla crisi economica i propri livelli di opulento benessere. Sono stato di recente dopo tanti anni a Verona, una delle città italiane che amo di più, e sono rimasto colpito da quell’impalpabile clima di intolleranza e diffidenza che sembra avvolgere le cose e gli uomini. Il Sindaco della città, ha appena rinunciato ai finanziamenti per un progetto tranviario già appaltato dalle amministrazioni precedenti, che avrebbe contribuito a ridurre l’inquinamento che si mangia i monumenti della città. Ma in tanti continuano a definirli “buoni amministratori”.

lunedì, aprile 12, 2010

Il lato oscuro del carbone


"L'alzaia", capolavoro del 1851 del pittore impressionista Telemaco Signorini. Le cinque persone rappresentate stanno tirando una pesante chiatta controcorrente lungo il fiume Arno. La chiatta era molto probabilmente carica di carbone.


Esce oggi su "The Oil Drum" un post di Ugo Bardi dal titolo "Il Lato Oscuro del Carbone" Partendo dal quadro di Telemaco Signorini "L'Alzaia", il post traccia una storia del carbone in Italia partendo dai primi tempi della rivoluzione industriale fino alla crisi degli anni '30, quando le forniture di carbone dall'Inghilterra erano diventate problematiche per via del "picco del carbone" che le miniere inglesi avevano passato negli anni '20. Lo scontro con l'Inghilterra per le forniture di carbone fu quello che poi portò all'ingresso in guerra dell'Italia come alleata della Germania.

Su questo argomento, si possono leggere alcuni testi di Ugo Bardi in Italiano come: "Davvero viviamo in tempi oscuri" e "La Befana non ci porta più il carbone"

domenica, aprile 11, 2010

Il paradosso dell'abbondanza

L'altro giorno stavo pensando a una cosa. Quando una risorsa è molto abbondante ma comunque finita, il buon senso vorrebbe che si cogliesse l'occasione per creare delle scorte strategiche, per utilizzarla comunque nel migliore dei modi, cioè in modo da centellinarla, omogeneizzandone il suo impiego nel tempo e nello spazio, un po' come se non fosse così "abbondante" come la si percepisce.

Invece, nella realtà le cose non funzionano esattamente così. Succede spesso che uno studente universitario abbia davanti a sè molto tempo per affrontare un esame, tuttavia entrano in ballo dei meccanismi psicologici per cui trova decine di cose da fare in parallelo, cosicchè si ritrova a pochi giorni dall'esame con l'80% del lavoro ancora da fare o da consolidare (parlo per esperienza vissuta).
Stesso discorso per i lavori di casa. Quante volte si avrebbe il tempo per fare ordine nel garage, e proprio per questo si cominciano a fare altre cose, e alla fine l'ordine non si fa?
Per il petrolio, poco cambia. Negli anni '50 si stavano scoprendo giacimenti di capacità inimmaginabile per il consumo del tempo, tanto che è stato dato il 'La' per il grande consumo cornucopiano in cui siamo immersi tuttora. Visti i ritardi che stiamo accumulando nella transizione alle rinnovabili e nella riduzione della dipendenza dai fossili, non rischiamo di trovarci nella situazione dello studente universitario, che si presenta all'appello ripetendo a se stesso "Io speriamo che me la cavo" ?

venerdì, aprile 09, 2010

Istruzioni per guidare il vostro elefante



Esce su "The Oil Drum" un post di Ugo Bardi che usa la metafora dell'elefante per discutere il problema del controllo dei sistemi complessi. L'idea dell'analogia con gli elefanti viene da un racconto di Kipling, "Toomai degli Elefanti", molto bello e ancora da leggere.

I sistemi complessi hanno la caratteristica di reagire spesso in modo inaspettato alle perturbazioni esterne. Non è detto che l'elefante sia contento di andare dove il conduttore vuole che vada e potrebbe anche reagire molto male. Questo tipo di reazione la vediamo bene quando si cerca di dirigere sistemi complessi come l'economia mondiale, in relazione sia all'esaurimento delle risorse sia al cambiamento climatico. C'è stato chi ha provato a proporre dei modi per sterzare il sistema verso direzioni che non portano alla catastrofe, ma la reazione è stata molto aggressiva. Lo abbiamo visto nel caso della storia dei "Limiti dello Sviluppo" e lo vediamo oggi in forma ancora più aggressiva nel caso dell'attacco alla scienza del clima.

Quindi, dirigere i sistemi complessi (e anche gli elefanti) rimane una cosa molto difficile. Tuttavia, stiamo imparando molte cose dal tempo in cui Wiener aveva proposto la nuova scienza che lui aveva chiamato "cibernetica". Più tardi, Jay Forrester aveva sviluppato la sua idea dei "punti critici" o "punti leva" del sistema, dove si poteva intervenire con minimo sforzo per modificare il comportamente del sistema. Non è detto che nel futuro non ci si possa mettere daccordo per intervenire nel modo giusto su questi punti leva. Per il momento, purtroppo, continua la tendenza a azionare le leve in modo tale da ottenere l'effetto opposto a quello voluto.

L'articolo completo di Ugo Bardi si trova a questo link.

Da leggere anche l'articolo di Donella Meadows sui punti critici dei sistemi a questo link

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Ringrazio il consorzio  Costellazione Apulia per avermi dato la possibilità di fare questa presentazione sugli elefanti in un ambiente amichevole e stimolante all'incontro "Raccontami una Storia" in Martina Franca, il 19 Marzo 2010.

mercoledì, aprile 07, 2010

La crisi della legna

Stefano Saviotti ci invia questo interessante documento. E' una storia di un paio di secoli fa, ma è impressionante notare come certe cose si potrebbero ripetere anche ai nostri tempi e come sarebbe difficile oggi salvare i nostri boschi da gente disperata e armata di sega a motore (UB)



LA CRISI DELLA LEGNA IN EPOCA NAPOLEONICA

di Stefano Saviotti

Cercando materiale per una ricerca storica sul territorio faentino negli ultimi secoli, mi sono imbattuto in un documento (1) che, agli occhi di un picchista, dimostra come la storia delle crisi energetiche sia soggetta a logiche ricorrenti, valide in ogni epoca.

Nel 1804, il Ministero degli Affari Interni dell’ex repubblica Cisalpina, poi divenuta Italiana, diramò alle Prefetture una circolare con cui si richiedeva ad ogni Municipalità di rispondere ad alcuni quesiti riguardanti le forniture energetiche.
Le domande erano le seguenti:

1° Se, e in quale numero, ubicazione, estensione, e qualità esistano Boschi in codesto Circondario di qualsivoglia ragione sian essi, o Nazionale, o Comunale, o privata;

2° Quale metodo possa immaginarsi il più cauto per averne cura, e conservarli;

3° Se esistono in codesto Circondario Miniere, Cave, Officine di Vetri, e di Vasi argillosi, ed in caso affermativo a quanto approssimativamente ascenda l’annuo consumo della Legna, o del Carbone pel totale di questi Stabilimenti. Potrete aggiungere qualche rilievo sulla estrazione all’estero, od introduzione, che per avventura si facesse dell’accennato genere;

4° Finalmente un prospetto dell’aumento del prezzo della Legna da fuoco, e del Carbone seguito nel periodo di 30 anni addietro fino al presente.
La Municipalità di Faenza rispose che nel suo territorio esistevano solo, confinati sui pendii delle colline della parte alta, alcuni boschi cedui a taglio quadriennale detti Siepi, con un’estensione massima di 5000 tornature (1150 ettari, 7 % del territorio comunale) e tutti di proprietà privata.

Tali boschi erano soggetti a gravi danni a causa del pascolo abusivo e dei furti di legna non solo secca, ma pure di intere piante giovani, tanto che la loro distruzione totale appariva molto probabile. Un notevole scandalo era inoltre costituito dalla pubblica vendita della legna rubata che avveniva tranquillamente in centro a Faenza, nella cosiddetta Piazzetta della Legna, senza che nessuno intervenisse.

Riguardo il terzo quesito, si rispondeva che a Faenza non esistevano miniere o cave, ma alcune industrie che consumavano parecchia legna, ossia due vetrerie, due fabbriche di maioliche e cinque di ceramiche comuni. Tali stabilimenti consumavano annualmente circa 120 carri di legna grossa e 600 di fascine. La legna proveniva tutta dai boschetti della collina, ma era insufficiente a coprire anche il fabbisogno per il riscaldamento delle case, per cui si era costretti ad importare ogni anno 20.000 libbre (7200 Kg.) di carbone dalla Toscana.

Col tempo, logicamente aumentarono i prezzi sia della legna sia del carbone. Trent’anni prima (1774), i zocchi (tranci) di legna costavano 12 paoli il carro (circa 60 Euro odierni) e le fascine 30 (150 Euro). Nel 1804 invece, i zocchi erano cresciuti sino a 18 paoli (90 Euro) e le fascine a 55 (275 Euro). Anche il carbone, sempre più richiesto per supplire alla carenza di legna, era cresciuto da 25 a 50 baiocchi ogni 100 libbre (ossia da 35 a 70 Euro al quintale). Rispondendo al Ministero, la Municipalità faentina non seppe suggerire altro rimedio che quello di istituire dei guardaboschi e reprimere severamente la vendita della legna rubata. 

Il documento sopra riassunto è ricco di spunti di analisi. Si nota innanzitutto come la presenza di una concentrazione urbana di un certo rilievo (la città di Faenza) avesse nei secoli passati portato al sovrasfruttamento ed alla distruzione progressiva delle aree boschive limitrofe, che pure fino al Medioevo erano ancora estese, sia per il consumo di legna da fuoco e da lavoro, sia per far posto alle colture alimentari.

I boschetti superstiti erano rimasti confinati nei luoghi più accidentati, che non potevano essere coltivati, ed erano sempre più lontani dal centro abitato. La distruzione dei boschi era stata favorita dal sorgere di attività artigianali energivore (vetrerie e soprattutto maioliche, per cui Faenza è famosa da sempre) che sottraevano legna al consumo domestico. Si era pertanto costretti a ricorrere al carbone d’importazione; chi non se lo poteva permettere andava invece a tagliare legna di nascosto o a rifornirsi al mercato “irregolare” che garantiva prezzi accessibili, essendo merce rubata. Ovviamente i furti depauperavano ulteriormente il patrimonio boschivo, e l’aumento delle importazioni di carbone non avrebbe potuto fermare il fenomeno, visto il suo costo troppo alto per una consistente fetta della popolazione.

Si stava così assistendo ad un inarrestabile esaurimento della fonte energetica locale e tradizionale (la legna), con un ovvio forte aumento dei prezzi (legna + 50 %, fascine + 83%). Anche il carbone, unica fonte alternativa, a causa della crescente richiesta subì un aumento del 100 %, ed oltretutto introdusse una dipendenza energetica da uno Stato estero.

Le autorità del tempo seppero pensare solo a strumenti repressivi, di fatto inefficaci o inapplicabili: istituire i guardaboschi non avrebbe di certo aumentato le superfici boschive o diminuito il fabbisogno di legna, e reprimere con la forza la vendita della legna rubata avrebbe provocato una rivolta dei poveri. Con un certo stupore, si deve quindi dedurre che persino una società tecnologicamente arretrata e semirurale come quella faentina del primo Ottocento (con soli 29.000 abitanti, in gran parte poveri e dai consumi limitatissimi) fosse insostenibile per il suo territorio.

Dopo l’annessione della Romagna al Regno sabaudo (1859), l’arrivo della ferrovia favorì l’importazione di carbone estero a prezzi più accessibili, e la crisi della legna fu superata. L’introduzione del petrolio e del metano ha infine portato allo sviluppo attuale, comune a tutto l’Occidente.

Oggi Faenza è piena d’industrie (di cui molte in crisi), di automobili, caldaie e luci, si è estesa per sette volte la sua estensione originaria ed i suoi abitanti sono saliti a 57.600. Quando petrolio e metano verranno ad essere meno disponibili non so cosa succederà, ma di certo tutte queste persone non si potranno scaldare accendendo un fuoco con la legna.



(1) Archivio di Stato Faenza, Carteggio del Comune, 1804, busta 9, titolo XIX, Prot. 359 del 6 aprile 1804)

lunedì, aprile 05, 2010

Il ritorno delle strade sterrate


Negli ultimi tempi, più che su delle strade sembra di viaggiare su dei reperti archeologici del tempo degli antichi romani. E' un effetto del peak oil anche questo?


... se è bitume quello di cui abbiamo bisogno, ce n'è in abbondanza. Le sabbie bituminose canadesi sono principalmente bitume e si dice che ne contengono almeno mille miliardi di barili. A questi possiamo aggiungere le sabbie bituminose venezuelane che ne contengono altri 500 miliardi. Con le sabbie bituminose, il problema principale è di ottenere combustibili liquidi, ma se vogliamo bitume, è molto più facile.


Articolo di Ugo Bardi (in Inglese) a:


http://europe.theoildrum.com/node/6349

sabato, aprile 03, 2010

Ritorna la speculazione

Il prezzo del barile è tornato sopra gli 85 dollari al barile e anche le altre materie prime manifestano una nuova tendenza al rialzo delle quotazioni. Mentre in altri paesi si comincia a discutere anche negli “alti livelli” delle conseguenze del picco (leggete questo interessante post), immancabilmente gli organi di informazione nazionali danno voce alla tesi rassicurante della speculazione finanziaria per giustificare gli aumenti dei prezzi, trascurando le ragioni di fondo delle nuove tensioni, legate al sempre più marcato squilibrio tra domanda e offerta tipico delle situazioni di picco della risorsa.
Ne cito due. Su Repubblica, il solito Rampini, che già era stato artefice in passato di una bufala sull’argomento, come spiegato in questo mio precedente articolo, riprende la tesi speculativa, assicurandoci però che stavolta “le autorità americane non staranno a guardare”, mettendo in campo un organo di vigilanza che imporrà “limiti severi ai volumi di petrolio, gas naturale e materie prime che possono essere oggetto di speculazione finanziaria da parte di banche, hedge fund e altri operatori non industriali", mentre un’importante Authority contrasterà “l’eccessiva concentrazione nelle mani di pochi operatori finanziari di un potere smisurato nell’influenzare i corsi delle materie prime.”. Sul sito del Sole 24 Ore, invece, interviene un economista della Cattolica di Milano che avverte dei rischi di amplificazione “degli elementi speculativi e degli atteggiamenti finanziari impropri”, concludendo però che “in tempi medi il riequilibrio sui mercati dovrebbe tornare perché l'incremento dei prezzi renderà più conveniente la coltivazione di nuovi giacimenti” (sic).
Senza voler riprendere argomentazioni più volte espresse in passato, mi limito a domandare a costoro come mai, quando è scoppiata la crisi finanziaria, il calo dei prezzi sia stato attribuito al crollo della domanda mondiale, invece ora che le quotazioni risalgono, non venga attribuita ai fondamentali del mercato ma alla speculazione. Non mi pare molto logico pensare a mercati che si comportino in maniera diversa a seconda delle situazioni.