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sabato, settembre 24, 2011

La fine della crescita

Richard Heinberg è un noto giornalista americano, senior fellow del Post Carbon Institute che ha scritto numerosi libri sul picco del petrolio e sui limiti della crescita economica. Di recente ha pubblicato il libro The end of growth, "La fine della crescita", che affronta in maniera non convenzionale il tema cruciale dell'attuale crisi economica e delle sue possibili conseguenze.

Tra le sue molte interviste che circolano sul web vi propongo questa, che mi pare la più interessante e che esprime bene il suo pensiero.
Egli sostiene che la crescita economica, almeno nelle forme che abbiamo conosciuto negli ultimi sessanta anni, sia terminata a causa di limiti intrinseci allo stesso meccanismo di espansione illimitata della produzione e consumi che la caratterizza. La parte della sua analisi che condivido particolarmente, che coincide abbastanza con quanto ho scritto di recente qui, è quella relativa ai motivi che hanno prodotto l'attuale crisi economica. Egli infatti considera che il picco del petrolio sia una delle cause della fine della crescita, ma non l'unica. Infatti, a un certo punto dell'intervista afferma: "Ebbene, il rialzo del prezzo del petrolio è stata l'unica causa della recessione? Assolutamente no. E sono d'accordo con Nicole Foss nel sostenere che l'economia finanziaria era destinata a crollare." e cita il superamento del limite del debito pubblico e privato su cui si basa il sistema finanziario, tra le cause della crisi economica.

Insomma, va oltre quell'approccio riduzionista alle questioni economiche che considera il picco del petrolio come "primum movens" di ogni trasformazione della società. Si tratta di una riflessione presente in tutte le discussioni di chi si occupa di limiti delle risorse, e anche in Aspoitalia. Le idee di Heinberg mi pare che facciano pendere la bilancia maggiormente a favore dei sostenitori della "complessità".

La parte dell'intervista di Heinberg che mi convince di meno, ma devo ancora leggere il libro e potrei sbagliarmi, è quella relative alle soluzioni per superare la crisi. Lo sviluppo delle economie locali è un fattore senz'altro importante, ma andrebbe inserito in un processo di riorganizzazione economica e sociale più ampio e articolato. Inoltre, mi pare che Heinberg sottovaluti un pò troppo il ruolo delle energie rinnovabili nel processo di trasformazione che ci attende.

giovedì, aprile 15, 2010

Intelligenza: merce sopravvalutata?



created by Dario Faccini


In un recente post Terenzio Longobardi ha affermato che più che in una ‘Age of Stupid’, ci troviamo in una ‘Age of Clever’, poiché è dalla brillanti intuizioni di pochi geni che sono scaturite le soluzioni tecnologiche che ora minacciano lo stesso benessere che hanno contribuito a creare.

Questa affermazione mi ha stimolato qualche considerazione sulla natura dell’intelligenza umana e sull’abitudine a sopravvalutarne la portata.

L'intelligenza distingue certamente in modo netto la nostra specie da tutte le altre. Mi sembra però che il nostro - per ora ancora breve - successo derivi da innumerevoli altri meccanismi e fattori di contesto, spesso aleatori o comunque destinati, in qualche modo, a vedere un’inversione di tendenza:

• C'è una gaussiana dell'intelligenza. Questa è legata al totale della popolazione: più scoperte, più successo di specie, più popolazione totale e meno in percentuale impegnate in agricoltura, più geni della coda della gaussiana liberi di fare nuove scoperte e così via. Questo feedback positivo è pero destinato ad esaurirsi con l'arrestarsi della crescita della popolazione. Inoltre, come un mio amico mi ha fatto notare, la scienza, in particolare la ‘Big Science’, è destinata a ‘piccare’. Pensiamo alla fisica delle alte energie: siamo passati da ciclotroni fai-da-te ad acceleratori come l'LHC (che ha un budget di 9 miliardi di dollari). Sarà mai possibile un investimento di risorse maggiore? In generale, quello che c'era da scoprire con più facilità potrebbe, in massima parte, essere già stato studiato. Una inesorabile legge dei ritorni decrescenti potrebbe affacciarsi anche sulla ricerca scientifica ele sue scoperte.

• La specie Umana, come civiltà, ha potuto giovarsi di un contesto molto favorevole. Si è sviluppata in un periodo geologico-climatico adatto, l'Olocene. Ha trovato enormi riserve di energia stellare immagazzinate in forme facilmente estraibili (combustibili fossili+elementi fissili). Ha potuto compiere così un'evoluzione tecnologica di slancio, in un periodo di tempo relativamente breve, evitando che i fenomeni di 'entropia dei materiali' (perdita irreversibile delle risorse minerali concentrate, ad es. ossidazione metalli in opera) potessero minarne lo sviluppo. La dipendenza da fonti minerali ed energetiche concentrate è cruciale. Se invece di essere la prima specie intelligente fossimo stati la seconda, avremmo trovato ancora il petrolio in Medio Oriente e le miniere di rame in Cile? Senza di essi avremmo avuto lo stesso sviluppo?

La stessa intelligenza umana si manifesta inoltre con caratteristiche che dovrebbero farci dubitare della sua valenza a lungo termine:

• L'intelligenza, spesso, sembra solo una componente di miglioramento rispetto ad un processo di adattamento per tentativi casuali quale è l'evoluzione. Mentre da un punto di vista genetico la comparsa di un nuovo carattere vantaggioso ha bisogno di migliaia di anni per esprimersi e fissarsi, la comparsa di un nuovo comportamento vantaggioso può essere scoperto e fissato anche solo in una generazione grazie alle superiori capacità intellettive dell'uomo. In questo aspetto l'intelligenza si prefigura come un acceleratore evolutivo basato comunque su un meccanismo di prova-errore di singoli individui piuttosto che su una strategia collettiva di valutazione delle possibilità, dei rischi e di scelta ponderata delle direzioni di sviluppo. L'intelligenza ci ha lanciato quindi in un percorso di crescita assolutamente non pianificato.
Molti salti tecnologici sono improvvisazioni sul momento, avvenuti non per una scelta a tavolino di un Governo, ma secondo necessità contingenti provocate da un sovrasfruttamento: ad esempio il passaggio tra legna e carbone in Inghilterra nel 700, o quello da Olio di Balena e Petrolio nell'800. La civiltà umana si comporta più come un microrganismo in crescita esponenziale in un piastra di Petri ricca di nutrienti, piuttosto che una quercia che cresce lentamente in un bosco fino a diventarne elemento integrante. Finora è andata bene, la piastra di Petri era molto più grande del previsto, ma prima o poi dovrà pur finire. Forse sarà proprio nella gestione di questi limiti che emergerà un giudizio definitivo sull’intelligenza posseduta dalla nostra specie.

• L'intelligenza stessa è una caratteristica emergente dell'evoluzione. Non ci sono però garanzie che essa sia una caratteristica 'stabile'. Una specie media dura 5 milioni di anni, la nostra ne ha ancora solo 200 mila (a star larghi) e la storia umana, ove si è manifestata l'estrema efficienza di sfruttamento dell'ambiente, circa 10000. L'intelligenza potrebbe essere anche una caratteristica perdente, un esperimento evoluzionistico destinato all'autoconclusione, oppure potremmo non essere ancora sufficientemente evoluti sul percorso dell'intelligenza per riuscire a valutare le conseguenze delle nostre azioni o per evitare che le capacità logico-razionali soccombano al nostro retaggio emotivo in scelte cruciali.
La crisi dei missili di Cuba nell’ottobre del ’62 sembra un buon esempio di ‘scelta cruciale’. La costituzione di arsenali atomici, e la conseguente assunzione di un rischio di ‘inverno nucleare’ a livello globale, è stata frutto di inconsapevolezza delle conseguenze? Oppure è stata una decisione guidata da una profonda sfiducia nelle intenzioni di un altro popolo/governo/ideologia? Non credo si possa rispondere, ma sicuramente non si è trattato di una scelta guidata da una ‘intelligenza di specie’ di cui il genere umano possa andare fiero. (1)



(1) In pochi hanno ben chiaro il rischio (inteso come probabilità) di conflitto nucleare corso dal genere umano nella crisi dei missili di Cuba. Se al posto di un Kennedy , che ha resistito alle pressioni di un’opzione militare basata su informazioni CIA clamorosamente sbagliate, ci fosse stato un altro presidente, poniamo un Bush, quale sarebbero state le sue decisioni? Va notato che all’epoca, non si sapeva ancora che un conflitto nucleare su vasta scala avrebbe portato ad un ‘inverno nucleare’ paragonabile ad un’era glaciale, quindi la tentazione all’uso degli arsenali atomici era significativa sia per gli USA che per l’URSS.

mercoledì, marzo 24, 2010

Lettera ai candidati (di qualsiasi elezione democratica)



created by Luca Pardi


Proponiamo sul blog di Aspo questo post di Luca Pardi, uscito oggi sul suo blog.
Per un aspista come me è difficile non inorridire di fronte a campagne elettorali propagandistiche e scollegate dalla dinamica dei sistemi: "Lavoro, lavoro, lavoro per tutti"; "Piani per rilanciare i consumi e la crescita"; e via di questo passo.
E' comunque comprensibile che in un sistema macroscopico quale quello della società nel suo complesso, sia mediamente difficile rendersi conto dello stato dell'arte di quello che sta molto probabilmente per accadere. Quando siamo immersi nella folla di una sagra di un paese mai visto prima, difficilmente riusciamo a fare fisicamente il percorso che avevamo immaginato. Bisognerebbe volare a 3 metri da terra, e individuare il miglior percorso nella moltitudine di flussi di persone che interagiscono in modo piuttosto caotico.
Allo stesso modo, non siamo riusciti ancora a capire molti meccanismi del funzionamento del cervello; se ne fossimo in grado, il cervello sarebbe così evoluto da risultare imperscrutabile.
Le situazioni autoreferenziali hanno questa piccola "pecca" di essere difficilmente governabili e di condurre sovente a paradossi.
Siamo parte di una situazione che è più grande di noi. Avremmo la possibilità di muovere alcune leve cruciali, ma nè l'uomo medio nè (di conseguenza !) i politici hanno il coraggio di farlo. L'inerzia dei sistemi ormai costituiti è davvero grande.
Se non riusciremo ad attuare azioni ben più incisive delle domeniche a piedi e delle auto a GPL per tutti, arriveremo a toccare con mano il comportamento dei sistemi reali quando sono portati al limite: disoccupazione, inflazione, problemi di stabilità bancaria, difficoltà di approvvigionamento, stabilità sociale a rischio, tensioni internazionali   (FG)


Caro candidato,

iniziata l'ultima settimana di campagna elettorale ognuno si chiede per chi sarebbe meglio votare, per motivi di interesse personale, generale, nazionale, umano …. e la confusione si fa preoccupante.

Personalmente avrei un criterio molto semplice: votare qualunque politico che mostri di comprendere una o più delle questioni elencate qui di seguito (o possibilmente l'intera sequenza):


1- La crisi economico – finanziaria in cui siamo piombati nel 2008 non è altro che l'effetto di un più generale manifestarsi dei limiti della crescita economica. Il fattore più evidente di questi limiti è stato il raggiungimento di un picco di produzione globale del petrolio convenzionale che ha determinato un aumento impetuoso del prezzo dell'energia nel periodo 2004-2008 (da 30 a 140 USD/barile) che il sistema del credito basato sulla continua estensione del debito non poteva reggere altro che in condizioni di crescita materiale infinita. Fine della crescita, fine del sistema finanziario contemporaneo.

2- Il globalismo economico, le istituzioni che lo governano e le infrastrutture fisiche che lo rendono possibile dipendono da un flusso continuo di energia a basso costo. Fine dell'energia a basso costo: fine del globalismo economico e delle sue strutture locali cioè dell'intero sistema da cui dipendiamo attualmente per ogni singola azione della nostra vita.

3- Raggiunti I limiti della crescita economica e superati molti dei confini ecologici del pianeta, si è raggiunto anche il limite della crescita demografica. L'unica opzione sensata è un progetto politico di rientro dell'economia e della popolazione. Tale progetto non può evitare nel prossimo futuro un periodo di instabilità e incertezza, ma è l'unica via di uscita praticabile per attenuare, se non evitare, il collasso del sistema.

4- Tale progetto non può che partire dal 'locale'. La produzione industriale, e in particolare la produzione di energia, deve essere diffusa sul territorio e restare nelle mani delle comunità locali. Il modello di produzione e distribuzione polare dell'energia è incompatibile con il progressivo assottigliamento della dispobibilità di risorse fossili e minerali ed è impensabile in assenza o in fase di assottigliamento della disponibilità di combustibili liquidi.

5- L'intero modello di trasporto di merci e persone è legato alla disponibilità di combustibile a buon mercato. Nessuna delle soluzioni proposte per la sostituzione dei combustibili liquidi con altri combustibili (biocombustibili, idrogeno, carbone liquefatto ecc …) sono praticabili per un volume di traffico come quello attuale. Il sistema di trasporti attuale è condannato, tanto vale prenderne atto. Le case automobilistiche sono un dinosauro come le compagnie aeree. Quanto di questo potrà restare in piedi non è certo, ma quello che è certo è che si dovrà pensare ad un modo di rispondere alla crisi dell'auto e di tutto il sistema dei trasporti e del suo indotto.

Un modello di trasporto che garantisca una residua capacità di movimento di persone e merci deve essere basato principalmente sul trasporto pubblico perchè, piaccia o meno, la stagione del trasporto automobilistico di massa è al crepuscolo. Con una crescente elettrificazione della produzione di energia, la trazione elettrica potrà diventare un'alternativa praticabile per il trasporto individuale e non, ma non è pensabile, neppure in questo caso, di riproporre il modello “una automobile per ciascuno” per mancanza di risorse.

6- La produzione di cibo è attualmente legata a filo doppio alla disponibilità di combustibili liquidi e perciò di petrolio a buon mercato. L'intera filiera agroalimentare industriale globalizzata va incontro a difficoltà crescenti nella fase di assottigliamento della disponibilità di petrolio. Si deve assecondare e stimolare lo sviluppo di filiere alternative che siano ecologicamente e socialmente sostenibili. Anche in questo caso non si può prescindere da una rilocalizzazione della produzione.

La rilevanza delle questioni sopra elencate in una competizione elettorale democratica come quella attuale è altissima. Le elezioni in questione riguardano infatti in gran parte le regioni che, in Italia, appaiono come la divisione territoriale dimensionalmente più adatta per mettere in atto progetti di gestione e governo dell'emergenza. Un candidato serio dovrebbe promettere di opporsi, o in caso di vittoria di porre fine, ad ogni progetto che nasca da una visione conformistica di crescita economica: blocco dei progetti edilizi, blocco della costruzione di strade e capannoni e di ogni altra infrastruttura che porti a quel drammatico consumo del territorio che ha distrutto il suolo fertile delle nostre regioni, marginalizzato e frammentato gli habitat naturali e saturato, senza altra giustificazione che la crescita indifferenziata, gli ecosistemi con gli scarti del nostro metabolismo sociale ed economico. Riduzione a zero dei rifiuti, blocco della costruzione e dell'uso degli inceneritori. Ripensamento totale della politica energetica: abbandono dei e opposizione ai megaprogetti che implicano una produzione polare dell'energia (rigassificatori, centrali nucleare e termoelettriche) a favore di una produzione distribuita, adatta alle necessità delle comunità locali e basata sull'uso esclusivo delle fonti rinnovabili. Questo porterà quasi certamente ad una riduzione dell'offerta e quindi dei consumi, ma è l'unica via per affrontare realisticamente e da subito l'emergenza. Difesa dei suoli agricoli e ripristino della loro fertilità. L'agricoltura industriale petrolio dipendente è segnata, ci si deve attrezzare per produrre cibo in quantità sufficiente per la popolazione residente. E' abbastanza ovvio che un progetto di totale autonomia alimentare sia di lunga o lunghissima durata, a meno che non sia forzato e traumatico per cause esterne (fatto che non si può escludere), ma prima si comincia a metterlo in atto, meno traumatico sarà il passaggio. Per fare questo le valutazioni sull'uso del suolo devono essere fatte olisticamente con il rigoroso rispetto dei vincoli ecologici e non in ossequio alle (sole?) convenienze economiche. Ad esempio l'uso dei suoli fertili e dei prodotti agricoli per la produzione di biomassa e biocombustibili deve essere valutata in vista dell'uso del suolo come fonte primaria di cibo.

Si deve considerare non solo l'urgenza attuale, ma la sostenibilità di certe produzioni. In un ottica del genere diventa chiaro come il sole che ogni progetto di produzione di biocombustibili deve essere abbandonato, ma anche l'uso della biomassa, utilizzando, ad esempio, gli scarti delle produzioni alimentari, può non essere considerato sostenibile a causa del mancato ritorno al suolo agricolo di una parte sostanziale dei nutrienti necessari al ripristino della fertilità. In poche parole per la sostenibilità si deve adottare non le leggi della politica economica, ma quelle della politica ecologica che tiene conto della natura termodinamica del mondo fisico in cui viviamo, fatto di cui l'economia si è dimenticata sia nella pratica che nella teoria.

Per la sostenibilità si deve altresì smettere di elevare lamenti per la decrescita della natalità. La descrescita della natalità è un fatto positivo che non può che aiutarci ad affrontare gli anni che verranno. Dalla decrescita della natalità si deve, di fatto, passare alla decrescita della popolazione. Questo sarebbe l'obbiettivo sensato da perseguire in ogni regione, nell'intero paese e sul pianeta. Una politica di riduzione demografica non può prescindere da una opportuna politica che affronti il temporaneo invecchiamento della popolazione non come una calamità, ma come un INEVITABILE fenomeno da governare.

Nessuna altra ipotesi può condurre ad alcunchè che somigli ad una politica sensata. Questo è il realismo, questo è essere pragmatici. Il resto appare come il sogno stralunato di una classe politica che non è in grado di comprendere i fenomeni in cui si è trovata ad operare e vive nel mondo dell'intrattenimento- spettacolo- informazione come se fosse il mondo reale. Tale classe politica non può chiedere il mio voto.

domenica, giugno 07, 2009

Una cosa chiamata politica



Tempo di elezioni. Comunali, provinciali, europee.

Una cosa curiosa, la politica; si sente davvero di tutto un po'. In un piccolo Comune di poche centinaia di anime, un aspirante consigliere mi confidava che stava cercando di recuperare voti all'ultimo momento con sms alle conoscenze personali; i motivi di fidelizzazione erano legati a servizi marginali di "aiuto", quali sgombero neve e cose del genere.
A livello più ampio, come grandi Comuni e Province, troviamo gli slogan: "NO agli immigrati"; "SI alle centrali nucleari" ; "VOGLIAMO più infrastrutture"; "NO agli inceneritori" ; "MANTENIAMO i posti nelle attuali industrie" e via dicendo.

La strutturazione in partiti, come suggerisce il nome, genera una partizione sull'insieme delle persone che si occupano di politica; ciascun gruppo (o classe, o categoria) propone programmi, che dovrebbero avere un certo grado di differenziazione (altrimenti cade il senso dell'esistenza di più partiti). Nei fatti, però, è sempre di meno così. Si cercano serbatoi di voti sulla base di motti ad effetto, come quelli citati sopra, che facciano leva su sensazioni; per il resto, la differenziazione sta diventando sempre più sfumata. Ad esempio, un po' tutti parlano di crisi e di ambiente, ma più per effetto moda; pochissimi o nessuno trattano in modo più scientifico l'imminente rischio di stallo dei sistemi complessi, e la politica si riduce a "scienza della constatazione".
Approvvigionamenti energetici e minerari, biologici e alimentari, cementificazione, demografia e migrazioni, clima: sono tutti aspetti che assumono un significato quando sono studiati simultaneamente; tuttavia, soprattutto a livello locale, nessuno ha la percezione o il coraggio necessari per proporre azioni che in qualche modo parrebbero ostacolare il mito della crescita.

La progressiva integrazione cui stiamo assistendo dimostra che ci sono processi spontanei, naturali, che lentamente e in ragione della sostanza scientifica sottostante riescono ad andare contro le forzose divisioni inventate dall'Uomo. Una cosa analoga sta succedendo nella classicissima bipartizione pubblico/privato: i confini diventano sempre più sfumati, come insegna il caso di General Motors e di molti gruppi bancari statunitensi.

La politica non dovrebbe ridursi ad essere la strenua difesa di interessi di una parte contro le altre, ma dovrebbe ergersi ad arte dello studio dei sistemi complessi su basi scientifiche, e delle decisioni migliori per garantire la stabilità dei sistemi.

Sarò sicuramente un idealista, ma il mondo politico non dovrebbe essere popolato da persone che smaniano di permanerci per mezzo secolo e anche più. Qualche dubbio sui reali obiettivi di tanta bramosia è lecito che venga; non si deduce nulla ma si induce molto.

Teoricamente, e indicativamente, il periodo "buono" per dare un contributo al bene comune dovrebbe essere la fascia che va dai 40-45 ai 60-65 anni, periodo un cui non si è troppo "giovani" ed inesperti, ma nemmeno "anziani" da rischiare di essere refrattari alle rapide evoluzioni che la transizione energetica sta richiedendo. E' un discorso di massima, è chiaro che ogni persona è un caso a sè e il valore aggiunto che può dare permette di andare anche oltre questa forcella.

mercoledì, ottobre 29, 2008

La piramide delle responsabilità

Crollo delle borse, crisi finanziaria, recessione economica. Un terremoto sta scuotendo il sistema economico mondiale. Quando le violente scosse telluriche si saranno assestate, e saranno sgombrate le macerie capiremo le conseguenze della crisi in atto.
Nel frattempo, i cittadini, la politica, le istituzioni economiche e finanziarie si interrogano sulle cause e i possibili rimedi di questo sconvolgimento. Qualcuno se la prende con i manager e gli operatori finanziari corrotti o spregiudicati, altri con l’assenza di regole dei mercati finanziari, o con la preponderanza dell’economia virtuale a scapito di quella reale.
Non c’è dubbio che tutte queste analisi siano corrette, ma colgono solo una parte della verità. In cima alla piramide delle responsabilità c’è qualcosa di più difficile da individuare e combattere perché attiene alla natura stessa delle moderne società industriali e consumistiche: la fede nella crescita economica illimitata. Negli ultimi duecento anni, l’uomo ha cercato con feroce determinazione di eliminare tutti i limiti fisici ed economici che si frapponevano contro questo sogno prometeico. La scoperta e l’uso dei combustibili fossili gli ha dato l’illusione di alimentare perennemente il motore della crescita, ma in alcuni momenti l’espansione economica è stata frenata dai limiti intrinseci del modello produttivo. Questi limiti sono stati cinicamente superati con alcune immani tragedie belliche come le due guerre mondiali, dalle cui tremende distruzioni il sistema ha trovato la linfa per nuove fasi di crescita.
Ma il diffondersi planetario del benessere economico ha gradualmente sottratto il consenso di massa alla violenza rigeneratrice della guerra. Il fascino luciferino del consumismo (Lucifero prima di essere scacciato da Dio era tra gli angeli più belli del Paradiso) ha ammorbidito gli istinti aggressivi dell’umanità.
La guerra fredda si è per fortuna conclusa con la sconfitta quasi incruenta e il dissolvimento dell’Unione Sovietica, consegnandoci un apparentemente incontrastato dominatore economico e culturale, gli Stati Uniti d’America. Tutto sembrava procedere a favore delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità.
I colossi orientali cominciavano a crescere a ritmi impressionanti e le economie occidentali, anche se più lentamente, continuavano a produrre ricchezza. La crescita costante del PIL (Prodotto Interno Lordo), questa sorta di feticcio contemporaneo venerato da schiere di sacerdoti e fedeli, richiedeva però un aumento altrettanto costante del potere d’acquisto dei consumatori. Per superare questo limite interno al sistema, gli Stati nazionali utilizzavano la leva degli investimenti pubblici, indebitandosi, e le famiglie sostenevano i propri consumi attraverso i prestiti bancari. Questa corsa parossistica e irresponsabile al debito per sostenere la crescita economica era guidata dagli Stati Uniti d’America, i cui cittadini continuavano a dissipare e bruciare risorse, sostenuti da quell’ingenuo e ottimistico sogno progressista che fa parte della loro cultura pionieristica.
Ma quanto più si superano e si trascurano i limiti, tanto più le conseguenze sono devastanti. In questa tabella della Banca d’Italia si vede l’enorme differenza tra il debito delle famiglie americane rispetto a quelle europee (con esclusione della Gran Bretagna). L’insolvenza di milioni di americani verso i mutui concessi generosamente dalle banche per l’acquisto delle case, faceva scoppiare una colossale bolla immobiliare che a sua volta innescava una spaventosa reazione a catena nel sistema bancario e finanziario globale i cui effetti distruttivi sono ancora in corso, mentre si avvicina paurosamente lo scoppio di altre bolle finanziarie come quella del credito al consumo.

Se l’umanità sapesse trarre lezione dai propri errori e prendesse atto che al vertice della piramide delle responsabilità dell’attuale crisi economica e delle future crisi ambientali c’è l’idea della crescita economica illimitata, potrebbe cercare di porre rimedio a un modello di sviluppo insensato. L’amara medicina contro questa epidemia planetaria causata dal superamento dei limiti, consisterebbe nell’arrestare la crescita, nel fermare i sostegni artificiali all’economia, nell’impedire l’ulteriore indebitamento degli Stati e delle famiglie, nello scoraggiare il consumismo. Favorendo invece gli investimenti nei settori dei servizi che garantiscano la qualità della vita e il risparmio di risorse.
In altre parole, bisognerebbe operare per giungere a un stato stazionario dell’economia, in cui la felicità individuale non si misura in funzione della produzione e del consumo di merci, ma del soddisfacimento di tutti quei bisogni immateriali che attengono al sistema di relazioni sociali e personali e a un equilibrato rapporto con l’ambiente naturale e culturale in cui viviamo.

Ma il pessimismo della ragione e le prime reazioni allo sconquasso economico che stiamo vivendo mi fanno pensare che ciò non avverrà. Agli “uomini di buona volontà” non resta che operare per attutire il più possibile gli effetti delle crisi che si susseguiranno per il progressivo superamento dei limiti.

lunedì, giugno 23, 2008

Non si può mangiare la torta e averla ancora

Ospitiamo qui un intervento di Alberto di Fazio, membro storico di ASPO-Italia e probabilmente il primo in Italia a interessarsi di picco del petrolio. L'unico Italiano che ha partecipato alla mitica conferenza ASPO di Uppsala, nel 2002, che dette inizio all'avventura di ASPO nel mondo.





Non si può mangiare la torta e averla ancora

created by Alberto di Fazio


Ad un membro della lista di discussione di ASPO-Italia che concludeva uno scherzoso intervento con la frase: "Poi io sono un sognatore come Asimov, spero sempre nella dispersione dell'umanità nello spazio, ma prima ci vuole una grossa paura (e energia) per spingere l'acceleratore verso lo spazio .. Nello spazio poi la crescita potrà continuare all'infinito.." ho pensato bene di rispondere - con qualche limatura di aggiustamento - così come segue:

Mahh, .... nello spazio.... Io penso più banalmente che la crescita, a patto di usare un buon lievito (tipo il lievito Bertolini, oppure il classico e mai dimenticato lievito di birra) potrà continuare anche qui, sulla Terra. Comunque, a scanso di eventuali "complicazioni", intanto propongo di modificare il programma di esame di laurea degli economisti, tramite inserimento del seguente pre-esame, il cui esito andrà naturalmente considerato dalla Commissione di Laurea la "conditio sine qua non" per procedere al resto dell'esame di laurea.

Questo "test per economisti" è stato da me derivato da una precedente versione di un analogo "test" ideato dal mio collega statunitense Jay Hanson. Premetto che ovviamente questo test sarebbe certamente approvato (e probabilmente inasprito) da quei – purtroppo rari – economisti di alto livello scientifico e preparazione multidisciplinare, come il famoso Herman Daly (autore di "Beyond Growth", "For the common Good", e "Valuing the Earth") che si battè strenuamente contro la teoria della crescita infinita nell'istituto per cui lavorava (la World Bank, organo UN) e che ne uscì poco più di dieci anni fa in una famosa polemica, e dall'altrettanto famoso Joergen Randers, co-autore, insieme a Dennis Meadows et al., dei tre lavori (1972, 1992, 2002) modellistici sui "limits to growth", il primo dei quali costituente il famoso Rapporto del MIT al Club of Rome.

DUNQUE, il candidato entra dinanzi alla Commissione di laurea, e comincia la PROVA TEORICA del pre-esame: gli viene assegnato il compito di scrivere 100 volte, sulla lavagna, la frase: "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse", "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse", "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse", "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse",.... etc, senza commettere errori.

Se il candidato dovesse superare questa fase, gli viene assegnato di ripetere ad alta voce, e senza esitazioni, 200 volte (e senza sbirciare sugli appunti) la frase: "Siccome la Terra contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse, il consumo di tali risorse - e quindi la crescita economica - può durare SOLTANTO per un tempo limitato: il rapporto del MIT al Club of Rome e Herman Daly avevano totalmente ragione", "Siccome la Terra contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse, il consumo di tali risorse - e quindi la crescita economica - può durare SOLTANTO per un tempo limitato: il rapporto del MIT al Club of Rome e Herman Daly avevano totalmente ragione",.... etc.

Se il candidato riuscisse a superare anche questa parte della prova teorica (senza pause o segni di tentennamento, e guardando sempre dritto negli occhi dei Commissari), egli viene ammesso a sostenere la PROVA PRATICA.

La prova pratica inizia, e viene fatto entrare un cameriere che porta al candidato un vassoio con sopra una bella fetta di torta di mele, con un coltello e un cucchiaio. La Commissione chiede al candidato di tagliare a metà la fetta di torta e di mangiare una delle due metà. Se il candidato ci riesce, la Commissione poi chiede al candidato se se la sente di rispondere al volo alla domanda: "avendo lei appena mangiato metà della fetta di torta, quanta parte di fetta è rimasta sul piatto?" Se il candidato non se la sentisse, è bocciato, e deve ripetere sia l'esame, sia la tesi di laurea. Se invece se la sente, la Commissione lo esorta dunque a rispondere senza alcun timore (se qualcuno suggerisse al candidato la risposta, il candidato è bocciato, e il suggeritore cacciato in malo modo, a pedate nel sedere, ed esposto al pubblico ludibrio). Se invece il candidato dovesse rispondere in maniera esatta ("ne è rimasta metà fetta"), la commissione procede, e chiede al candidato se ora lui sia in grado di prendere dal piatto e di mangiare più di metà dell'iniziale fetta di torta. Se il candidato rispondesse di sì, è bocciato e interdetto a vita da ulteriori esami. Se rispondesse di no, la Commissione esorta il candidato a mangiare anche la rimasta metà dell'iniziale fetta di torta. Se il candidato lo fa senza esitazioni (altrimenti è bocciato) la Commissione procede a chiedergli quanta torta è ora rimasta sul piatto. Solo nel caso in cui il candidato eventualmente riuscisse a rispondere correttamente "zero" (è ammessa anche la risposta "una frazione circa pari a zero, considerando le briciole cadute sul piatto"), il candidato viene ammesso a proseguire l'esame. Se il candidato dovesse invece rispondere frasi del tipo "dipende, perchè attendendo abbastanza tempo e investendo nelle corrette tecnologie, la fetta – e anche più di una fetta – può ricomparire da sola sul piatto come per magia" o similari, non solo viene bocciato e interdetto a vita da ulteriori esami, ma viene anche condannato a farsi fare una perizia giurata da un ragioniere iscritto ad apposito albo ogni volta che nella vita dovesse trovarsi costretto ad eseguire un calcolo di qualsiasi sorta. Il candidato, inoltre, nell'eventualità appena considerata, e prima di essere cacciato dalla sala lauree, viene dichiarato dalla Commissione "individuo dalla elevata pericolosità per il genere umano", gli viene rilasciato apposito tesserino e gli vengono interdetti a vita tutti i mestieri, tranne quelli manuali, nel rango di sotto-manovale.

Penso che un tale pre-esame garantirebbe la formazione di economisti – non dico certo come Herman Daly e Joergen Randers – ma almeno all'altezza della situazione che si sta delineando nel mondo, ... anche se purtroppo, così facendo, di economisti... ne rimarrebbero pochini.

Beh, che ne dite? Lo proponiamo al Parlamento per fare un ddl, oppure al Governo per un decreto legge? Visti i peggiori scenari di global change in atto e previsti, l'urgenza ci sarebbe e penso che il Presidente Napolitano non si opporrebbe... Il problema è che tale legge dovrebbe essere varata anche da tutti gli altri circa 180 paesi aderenti alle UN... E l'Assemblea Generale dovrebbe anche – di conseguenza – sciogliere la WB (la Banca) e lo IMF (il Fondo
Monetario)...

P.S.: non propongo un analogo test per politici, non perché i politici comprendano già i dilemmi dell'umanità connessi alla crescita illimitata e alle sue conseguenze, ma molto più banalmente perché come noto essi non devono sostenere alcun esame, e la loro "preparazione" è nelle mani del fato…..

Saluti, Alberto Di Fazio

Dr. Alberto Di Fazio
senior scientist,
National Institute of Astrophysics/Astronomical Observatory of Rome
member of the CNR/IGBP Italian National Commission on Global Change
Italian Focal Point of the IGBP/AIMES Core Project (ex-GAIM)(Analysis,
Integration, and Modeling of the Earth System)
president Global Dynamics Institute
permanently accredited to the COP under the UNFCCC as observer scientist