Uno degli argomenti usati da alcuni ambientalisti ad oltranza contro l’eolico è la presunta marginalità di questa fonte rispetto al fabbisogno energetico italiano. Si tratta di un argomento molto capzioso, perché la marginalità è un concetto alquanto relativo. Come ho scritto in questo mio articolo, una potenzialità eolica del 7%-8% del consumo interno lordo di energia elettrica è sicuramente marginale in valore assoluto, ma lo è molto meno nel quadro degli scenari energetici futuri del nostro paese, considerando che la piena utilizzazione di tale potenzialità permetterebbe di sostituire interamente il petrolio usato per la produzione di energia elettrica, senza costruire nuove centrali a carbone o nucleari. Se poi, come ho scritto in quest’altro articolo, si assumesse il dato di Terna pari a 15.000 MW di potenzialità eolica in Italia compatibile con i limiti di immissione in rete dovuti all’intermittenza della fonte e un dato medio di ore equivalente di produzione di 2000 ore, addirittura la produzione di energia eolica sviluppabile sarebbe di poco inferiore a quella prevista nel programma nucleare del governo per i 4 impianti nucleari da 1600 MW, ma con il vantaggio di tempi di esecuzione notevolmente più rapidi e certi.
Quindi la domanda a cui dovrebbero decidere di rispondere gli ambientalisti ad oltranza e tutti gli oppositori dell’eolico è: “Siete favorevoli al nucleare o al carbone, inconsapevolmente o in cattiva fede?”
Un altro argomento capzioso usato dagli ambientalisti ad oltranza è quello di un presunto eccesso di incentivazione a favore dell’eolico. Questo argomento è diventato di recente anche un deciso cavallo di battaglia di alcune autorevoli personalità nazionali come il giornalista di Repubblica Mario Pirani e la radicale Emma Bonino, che hanno osannato il Ministro Tremonti per aver eliminato, con l’art. 45 della manovra economica, l’obbligo da parte del GSE di ritirare a un prezzo fisso i certificati verdi in eccesso rispetto alla domanda di mercato.
In particolare, in un recente articolo, il giornalista ha scritto che i certificati verdi “li acquistavano le industrie inquinanti, a cominciare da alcuni petrolieri, che in tal modo «ripagavano» le multe che altrimenti avrebbero dovuto sborsare per non aver ancora ottemperato all' obbligo di risanare le produzioni, figurando virtualmente come produttori di energia verde senza in realtà procedere alla svolta ecologica reale. Gli accordi internazionali obbligano infatti l'Italia a raggiungere la quota del 25% di produzione energetica da fonti rinnovabili, salvo pagamento di salate sanzioni. In definitiva i «palazzinari del vento» avevano convenienza a costruire torri eoliche anche dove non spira un alito di brezza e gli inquinatori trovavano una facile scappatoia per continuare ad avvelenare l' ambiente. Il tutto scaricato sulle bollette.”
Si tratta di una ricostruzione del meccanismo di incentivazione inesatta e demagogica.
In effetti, l’art. 11 del D.Lgs. 79/1999 ha introdotto l’obbligo, a carico dei produttori e degli importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nel sistema elettrico nazionale, a decorrere dal 2002, una quota minima di energia elettrica, gradualmente sempre più elevata, prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili, e non si capisce perché Pirani si opponga a un giusto meccanismo orientato a far pagare ai produttori da fonti convenzionali lo sviluppo delle rinnovabili. Che poi questo obbligo venga assolto direttamente o acquistando certificati verdi dai produttori di energia eolica o altra rinnovabile, non mi pare che cambi sostanzialmente il perseguimento di un giusto obiettivo. Quanto alla affermazione sulla convenienza a costruire impianti eolici in assenza di vento, mi pare denoti una scarsa conoscenza del meccanismo incentivante. Il kWh eolico è attualmente remunerato da due componenti: il valore dei certificati verdi venduti e la valorizzazione dell’energia immessa in rete, entrambi dipendenti dall’energia effettivamente prodotta, per cui non si capisce come un imprenditore possa trovare conveniente investire in impianti che non producano energia.
Il fatto che le obiezioni siano in larga parte infondate, non deve però evitarci di individuare i punti deboli del sistema dei certificati verdi per cercare di correggerli, invece di smantellare l’intero meccanismo incentivante, come vorrebbero gli oppositori dell’eolico.
Attualmente il prezzo di base per la contrattazione nel mercato dei certificati verdi è dato da 180 €/ MWh meno il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia elettrica nell’anno precedente, il risultato della differenza è circa 100 – 110 €/MWh. Ma siccome in poco tempo l’offerta ha superato abbondantemente la domanda di certificati verdi, questi prezzi sono diminuiti, costringendo il legislatore a introdurre il meccanismo di ritiro dei certificati invenduti da parte del GSE. Il problema si può in parte superare, senza l’eliminazione di questa ciambella di salvataggio che deprimerebbe sensibilmente gli investimenti del settore, aumentando la quota d’obbligo di rinnovabili dei produttori di energia.
Se al valore dei certificati verdi, si aggiunge poi il corrispettivo per la vendita dell’energia eolica prodotta, il kWh eolico ha oggi una remunerazione comunque oscillante tra i 15 – 20 cent.€, più del doppio del costo di produzione. Questo spiega la vivacità del settore, ma anche il fatto che si rendono in questo modo convenienti siti con ventosità relativamente basse e ciò impedisce in prospettiva di massimizzare il contributo dell’energia eolica alla produzione nazionale. Come ho già detto in altre occasioni, la soluzione a questo problema potrebbe essere la graduazione del valore dei certificati in funzione delle ore equivalenti di produzione, privilegiando i siti più ventosi.
Quindi la domanda a cui dovrebbero decidere di rispondere gli ambientalisti ad oltranza e tutti gli oppositori dell’eolico è: “Siete favorevoli al nucleare o al carbone, inconsapevolmente o in cattiva fede?”
Un altro argomento capzioso usato dagli ambientalisti ad oltranza è quello di un presunto eccesso di incentivazione a favore dell’eolico. Questo argomento è diventato di recente anche un deciso cavallo di battaglia di alcune autorevoli personalità nazionali come il giornalista di Repubblica Mario Pirani e la radicale Emma Bonino, che hanno osannato il Ministro Tremonti per aver eliminato, con l’art. 45 della manovra economica, l’obbligo da parte del GSE di ritirare a un prezzo fisso i certificati verdi in eccesso rispetto alla domanda di mercato.
In particolare, in un recente articolo, il giornalista ha scritto che i certificati verdi “li acquistavano le industrie inquinanti, a cominciare da alcuni petrolieri, che in tal modo «ripagavano» le multe che altrimenti avrebbero dovuto sborsare per non aver ancora ottemperato all' obbligo di risanare le produzioni, figurando virtualmente come produttori di energia verde senza in realtà procedere alla svolta ecologica reale. Gli accordi internazionali obbligano infatti l'Italia a raggiungere la quota del 25% di produzione energetica da fonti rinnovabili, salvo pagamento di salate sanzioni. In definitiva i «palazzinari del vento» avevano convenienza a costruire torri eoliche anche dove non spira un alito di brezza e gli inquinatori trovavano una facile scappatoia per continuare ad avvelenare l' ambiente. Il tutto scaricato sulle bollette.”
Si tratta di una ricostruzione del meccanismo di incentivazione inesatta e demagogica.
In effetti, l’art. 11 del D.Lgs. 79/1999 ha introdotto l’obbligo, a carico dei produttori e degli importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nel sistema elettrico nazionale, a decorrere dal 2002, una quota minima di energia elettrica, gradualmente sempre più elevata, prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili, e non si capisce perché Pirani si opponga a un giusto meccanismo orientato a far pagare ai produttori da fonti convenzionali lo sviluppo delle rinnovabili. Che poi questo obbligo venga assolto direttamente o acquistando certificati verdi dai produttori di energia eolica o altra rinnovabile, non mi pare che cambi sostanzialmente il perseguimento di un giusto obiettivo. Quanto alla affermazione sulla convenienza a costruire impianti eolici in assenza di vento, mi pare denoti una scarsa conoscenza del meccanismo incentivante. Il kWh eolico è attualmente remunerato da due componenti: il valore dei certificati verdi venduti e la valorizzazione dell’energia immessa in rete, entrambi dipendenti dall’energia effettivamente prodotta, per cui non si capisce come un imprenditore possa trovare conveniente investire in impianti che non producano energia.
Il fatto che le obiezioni siano in larga parte infondate, non deve però evitarci di individuare i punti deboli del sistema dei certificati verdi per cercare di correggerli, invece di smantellare l’intero meccanismo incentivante, come vorrebbero gli oppositori dell’eolico.
Attualmente il prezzo di base per la contrattazione nel mercato dei certificati verdi è dato da 180 €/ MWh meno il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia elettrica nell’anno precedente, il risultato della differenza è circa 100 – 110 €/MWh. Ma siccome in poco tempo l’offerta ha superato abbondantemente la domanda di certificati verdi, questi prezzi sono diminuiti, costringendo il legislatore a introdurre il meccanismo di ritiro dei certificati invenduti da parte del GSE. Il problema si può in parte superare, senza l’eliminazione di questa ciambella di salvataggio che deprimerebbe sensibilmente gli investimenti del settore, aumentando la quota d’obbligo di rinnovabili dei produttori di energia.
Se al valore dei certificati verdi, si aggiunge poi il corrispettivo per la vendita dell’energia eolica prodotta, il kWh eolico ha oggi una remunerazione comunque oscillante tra i 15 – 20 cent.€, più del doppio del costo di produzione. Questo spiega la vivacità del settore, ma anche il fatto che si rendono in questo modo convenienti siti con ventosità relativamente basse e ciò impedisce in prospettiva di massimizzare il contributo dell’energia eolica alla produzione nazionale. Come ho già detto in altre occasioni, la soluzione a questo problema potrebbe essere la graduazione del valore dei certificati in funzione delle ore equivalenti di produzione, privilegiando i siti più ventosi.