martedì, agosto 31, 2010

Lo stato sociale dopo il picco del petrolio

Le economie occidentali sono caratterizzate dalla presenza più o meno marcata dello Stato sociale, cioè dell’intervento pubblico nell’economia per finanziare esigenze sociali primarie come la sanità, l’istruzione, la previdenza sociale, la giustizia, la sicurezza ecc. e per sostenere il meccanismo della crescita economica anche attraverso politiche di investimento nelle opere pubbliche.
Gli Stati finanziano queste spese attraverso il prelievo fiscale e, negli ultimi anni, indebitandosi con l’emissione dei titoli di Stato. Attraverso questo meccanismo, lo Stato chiede in prestito ai propri cittadini il denaro necessario a garantire la copertura di disavanzi crescenti tra spese ed entrate e si impegna a restituirlo entro una certa data, maggiorato degli interessi. Si tratta di un meccanismo evidentemente perverso perché gli interessi sui titoli di Stato vanno ad aumentare ogni anno le spese e quindi la necessità di ricorso al mercato per finanziare il debito, alimentando un circolo vizioso generatore di nuovo debito, attraverso una sorta di catena di S.Antonio non molto dissimile da quella che ha mandato all’ergastolo di recente negli Stati Uniti il banchiere criminale Madoff.
Naturalmente, fin quando l’economia di un paese cresce costantemente, il maggior gettito fiscale e la maggiore propensione agli investimenti da parte dei privati tengono in piedi questo sistema traballante. Infatti, non a caso, il debito e il deficit pubblico vengono sempre valutati in rapporto al PIL. Dal dopoguerra ad oggi, il continuo progredire del benessere economico ha inculcato nell’opinione pubblica il concetto che “i soldi non finissero mai”. Ma i soldi non crescono sugli alberi per essere colti all’occorrenza, come molti sembra si siano ormai convinti. La tremenda crisi economica tuttora in corso determinata dall’irresponsabile indebitamento privato degli americani sta conducendo molti Stati nazionali, sotto la pressione della speculazione finanziaria, sull’orlo della bancarotta, proprio per i rischi sempre più concreti di insolvenza rispetto agli enormi debiti contratti negli anni. Se la sfiducia dovesse prevalere e le aste dei titoli di Stato cominciassero ad andare deserte si determinerebbe una situazione d’instabilità economica con conseguenze drammatiche per lo Stato sociale e la vita delle persone.
Purtroppo, molti sottovalutano ancora questa situazione, nell’attesa messianica di una nuova stagione di crescita economica che spazzi via le conseguenze nefaste della crisi. Sfortunatamente si sbagliano, perché non tengono conto di una variabile finora non considerata dalla scienza economica ufficiale, cioè l’esaurimento delle risorse energetiche e, a breve, l’impossibilità della produzione di petrolio e degli altri combustibili fossili di alimentare una domanda in continua crescita. Qualsiasi ripresa economica, questa volta sarà tarpata sul nascere da nuove tensioni sui prezzi dei prodotti energetici, che influenzeranno nuove ondate recessive.
Ma il conformismo dominante fa sì che gli strumenti di previsione e programmazione economica continuino ad essere impostati sull’assunto della crescita, relegando l’attuale crisi al livello di incidente di percorso sulla strada ineluttabile del progresso.
Un esemplificazione di questo atteggiamento la possiamo scorgere in Italia nell’aggiornamento per il 2009 del documento annuale curato dalla Ragioneria Generale dello Stato “Le tendenze di medio lungo - periodo del sistema pensionistico e socio – sanitario”.
Tutto il documento è impostato sul postulato dell’inevitabile ripresa della crescita economica. Per quanto riguarda le pensioni, si assume che i parametri di base della previsione evolutiva del sistema concordino con tale premessa: la speranza di vita deve aumentare ulteriormente rispetto agli attuali già alti livelli, l’immigrazione crescerà di 200.000 unità all’anno, in modo da sostenere economicamente la più ampia domanda pensionistica. Ma, soprattutto, come vediamo nel grafico allegato al documento, il PIL riprenderà a correre come niente fosse, consentendo di mantenere il rapporto tra spesa pensionistica e PIL a livelli sostenibili. Uno degli scenari presi a base di riferimento, contenuti nelle analisi del Comitato di Politica Economica del Consiglio Ecofin, definito “permanent shock” viene solo citato e nemmeno preso in considerazione.
Ma cosa accadrà realmente dopo il picco del petrolio? Difficile prevederlo con precisione, ma certamente il munifico Stato sociale a cui eravamo abituati si ridimensionerà. Nel caso delle pensioni, la stasi e la successiva decrescita economica costringeranno a ridurre i livelli previdenziali mentre la sostituzione della forza lavoro straniera con quella autoctona e il calo della speranza di vita conseguenti al minore livello dei servizi socio – sanitari, compenseranno solo parzialmente questa tendenza.
L’attenzione dell’opinione pubblica e conseguentemente delle forze politiche si sposterà gradualmente sui modi per attenuare e limitare le conseguenze di una minore protezione sociale. Lotta implacabile all’evasione fiscale, politiche dei redditi orientate a riequilibrare la ricchezza tra le fasce sociali, politiche del lavoro volte a incrementare la produttività e a favorire una parziale riconversione produttiva dall’industria all’agricoltura, saranno alcune delle azioni su cui si misureranno le capacità degli stati nazionali di resistere allo smantellamento dello Stato sociale.

venerdì, agosto 27, 2010

L'eolico d'alta quota ovvero spes ultima dea




Non molti comprendono l’importanza del progetto in fase di sperimentazione denominato kitegen, ma che io, da irriducibile italofono, continuo a chiamare eolico d’alta quota.
Si tratta in effetti di una delle poche se non l’unica possibilità tecnologica di produrre potenzialmente grandi quantità di energia rinnovabile, paragonabili a quelle delle centrali termoelettriche che soddisfano in prevalenza i consumi elettrici delle moderne società consumistiche, a costi competitivi con le fonti convenzionali e in maniera compatibile con la rete di trasmissione dell’energia elettrica, superando così i limiti intrinseci delle attuali tecnologie che utilizzano le fonti rinnovabili.
E’ una soluzione geniale al problema energetico che utilizza la forma più pura ed efficiente di energia, quella meccanica, con l’ausilio di tecnologie sofisticate come il sistema elettronico di regolazione del volo degli aquiloni, ma che allo stesso tempo colpisce per la semplicità e l’essenzialità del progetto e delle componenti tecnologiche. Per questi motivi non appaia un caso che l’autore di questa straordinaria invenzione della mente sia italiano ed ecologista.
Dopo un lungo periodo di incubazione costellato di resistenze, ostracismi, diffidenze e intoppi burocratici, sembra che finalmente il primo impianto sperimentale da 3 MW sia vicino alla costruzione. Ne ha parlato di recente persino la notissima trasmissione televisiva Superquark e ciò rappresenta un ulteriore segnale che il progetto, è proprio il caso di dirlo, stia per prendere il volo.
Per chi non lo avesse visto, propongo all'inizio dell'articolo la visione integrale del servizio televisivo.
Naturalmente, l’ottimismo e la speranza che l’eolico d’alta quota inocula in grandi proporzioni nelle nostre menti e nei nostri cuori, non ci deve illudere che una soluzione tecnologica risolva integralmente i problemi di un modello di sviluppo insostenibile per il pianeta. In questo articolo di qualche tempo fa, citando alcune delle simulazioni contenute ne “I limiti dello sviluppo”, mettevo in guardia da un approccio riduzionistico alla questione ambientale centrato solo sulla risposta tecnologica. Il celebre rapporto dimostrava invece che, senza disinnescare contemporaneamente la bomba demografica e la coazione a ripetere della crescita economica in un sistema finito come la Terra, sarebbe stato impossibile impedire il superamento dei limiti e il collasso finale del sistema.
Moderazione nei consumi, sobrietà, attenzione alla qualità della vita e alle relazioni sociali dovranno essere il necessario complemento delle tecnologie sostenibili. A pensarci bene, il silenzio, la leggerezza e la lentezza degli aquiloni energetici rappresentano bene anche la metafora di un’umanità in rapporto più armonico con la Natura.

mercoledì, agosto 25, 2010

La sindrome del politico




Ospitiamo volentieri questo intervento di Mirco Rossi, che alla luce di una sua recente esperienza approfondisce il tema delicato del rapporto tra politica, società e questione energetica.




Created by Mirco Rossi


L’attività di divulgazione sui temi dell’energia da molti anni mi porta a confronto con studenti, cittadini, insegnanti, gruppi e associazioni di varia estrazione. In concomitanza con la recente pubblicazione del mio libro “Energia e futuro – le opportunità del declino” sto registrando da qualche mese una crescita di interesse per questi argomenti in ambiti precedentemente rimasti estranei: amministratori pubblici, quadri di partito, politici in generale.
Sin dall’inizio ho accolto con favore la novità in quanto potenzialmente in grado di creare, almeno nelle concrete occasioni di confronto, le condizioni per una maggiore consapevolezza proprio in quegli ambienti dove più urgente è commisurare gli orientamenti e le decisioni con la realtà e le prospettive energetico-ambientali.
Sorprendente è stato anche registrare che l’interesse sta emergendo senza particolari distinzioni di colore politico. Certo, la sensibilità, il linguaggio, i frammenti di conoscenza già posseduti, risultano (di norma, ma non sempre) piuttosto diversi a seconda dall’appartenenza a un certo partito o movimento. Ritengo anche plausibile che sia ben diverso l’uso che poi le varie forze politiche fanno delle informazioni ricevute, dei dati acquisiti e delle considerazioni loro proposte (quest’ultimo argomento, se pur decisivo, esula dai compiti di un divulgatore).
Ma esaminiamo i fatti.
In questo quadro, positivo e promettente, un paio di settimane fa ho partecipato, in veste di co-relatore, a una tavola rotonda con alcuni esponenti storici dell’ambientalismo veneto, tutti con plurime e variegate esperienze amministrative di elevato livello sul territorio (ma non solo). Successivamente, a qualche giorno di distanza, a un incontro-dibattito assieme a una personalità storica dell’ambientalismo nazionale, con alle spalle una importante esperienza di governo, nonchè una parlamentare europea del nord-est, arrivata a quell’incarico soprattutto in forza a prese di posizione che l’hanno qualificata come esponente di punta del cosiddetto nuovo corso del maggior partito di opposizione.
Nella prima delle due occasioni sono stato obbligato a chiarire che il ruolo dell’eolico e del fotovoltaico non può essere valutato prendendendo in considerazione la sola potenza installata. I buoni risultati raggiunti dall’Italia in senso assoluto devono essere relativizzati alla luce dei contributi effettivi di energia che garantiscono, sia in riferimento ai dati complessivi dell’elettricità che ancor più in rapporto all’energia primaria. Vanno certo apprezzati ma enfatizzarli oltre il lecito, come avevano appena fatto due relatori (e di frequente fanno i media “ambientalisti”) rischia di essere molto controproducente in quanto implicitamente trasmette un pericoloso messaggio di “ormai è quasi fatta” e mette totalmente in ombra la necessità inderogabile di un cambio di paradigma generale. Uno dei tre interlocutori si è molto risentito ribattendo subito (mentre un secondo annuiva), con discreta animosità, che ormai le due fonti rinnovabili avevano assunto un peso superiore a cinque centrali nucleari. Ho avuto la precisa sensazione che i due non avessero così chiara la differenza tra il ruolo della potenza e quello dell’energia e, considerate le quantità di incarichi ed esperienze politiche da loro accumulate, rinunciai a ribattere ulteriormente limitandomi a continuare il mio intervento verso il pubblico. Che invece, come emerse dalle domande successive, aveva perfettamente compreso la differenza. I miei dubbi sulla chiarezza tra energia e potenza trovarono ben presto conferma, quando il terzo interlocutore, in un momento di calma si avvicinò e mi chiese, con apprezzabile modestia, di chiarirgli meglio la faccenda.
Alla fine della serata i due che si erano risentiti, e che mi conoscono da alcuni decenni, se ne andarono senza salutarmi.
Al secondo evento mi ero avvicinato con buone sensazioni perché sapevo che gli organizzatori erano stati molto colpiti dal contenuto della lettera che Aspo aveva inviato ai Presidenti di Regione e di Provincia italiani e che intendevano iniziare l’incontro proprio a partire da quel punto.
Così è stato e una mia relazione ha aperto i lavori. I limiti delle risorse, l’importanza della progressiva riduzione dell’Eroei, l’alta probabilità che a breve non sia più possibile coprire parte della richiesta attesa di petrolio, la “distruzione” definitiva dell’energia impiegata nei processi di produzione di ogni oggetto, la necessità di diventare consapevoli di un profondo inevitabile cambiamento, l’obbligo di agire contemporaneamente in direzione di: stile di vita sobrio, riduzione dei consumi, aumento della penetrazione elettrica, risparmio energetico (non reinvestito) e sviluppo immediato ed esponenziale di fotovoltaico ed eolico. Per queste due fonti ho messo anche in luce il ruolo purtroppo ancora ridotto che svolgono e il limite peculiare di poter produrre unicamente elettricità. Qualche accenno alla situazione italiana ed alle distorsioni della realtà cosi frequentemente proposte dai media. Solo mezz’ora di tempo ma comunque stavo riuscendo a dire l’essenziale.
E’ stato a questo punto che uno dei più noti e duraturi rappresentanti storici dell’ambientalismo italiano mi ha interrotto mettendo in discussione la fondatezza dei dati che proponevo nella relazione perché – come in effetti era successo per svista – avevo trascurato, nell’elencare le fonti rinnovabili italiane del 2009, l’apporto di biomassa+rifiuti riciclabili alla produzione elettrica (il 2,3%).
A questa osservazione – corretta ma del tutto ininfluente rispetto alla sostanza – il nostro famoso ambientalista aggiungeva che, contrariamente a quanto avevo precedentemente esposto, di carbone “ce n'é per oltre 500 anni e non ci sono problemi di disponibilità ma solo di emissione di CO2” e che “scoperte tecniche recentissime stanno permettendo di estrarre metano dagli scisti, per cui sta cambiando radicalmente la prospettiva di questo combustibile, tanto che la Russia si sta preoccupando e che gli USA ne hanno così tanto che già si è dimezzato il prezzo”.
Con qualche difficoltà riprendo a parlare e, senza entrare in polemica, confermo che le fonti a cui faccio riferimento sono ritenute attendibili e che la banale svista non cambia proprio nulla. Illustro in sintesi le grandi potenzialità del kitegen e termino velocemente distinguendo il concetto di crescita da quello di benessere.
Il pubblico, discretamente numeroso, dimostra rumorosamente d’aver gradito.
Mi acconcio ad ascoltare la relazione del nostro ambientalista di vaglia che prima di parlare della Green Economy, come previsto, pensa bene di continuare a fare le pulci al mio intervento. Conferma e amplia quanto detto in precedenza aggiungendo che non pensa sia proprio così probabile che le risorse energetiche possano risultare scarse a breve: ne esistono più di quelle che alcuni ritengono. Prosegue ipotizzando l’esistenza di una mia volontà a sminuire il ruolo delle rinnovabili mettendo in luce i limiti di fotovoltaico e eolico e trascurando i contributi sostanziali di maree, biomassa, rifiuti, solare termico e geotermico (bassa entalpia?). Solo dopo decide di svolgere la sua relazione in cui affronta normative europee e nazionali, migliorabili sì ma comunque in grado di rappresentare sostanziali punti di riferimento per uscire dall’attuale difficile momento e iniziare a ridurre il pericolo di riscaldamento globale. Il nostro non si nega comunque una netta presa di distanza dalla decrescita spiegando che non è percorribile in quanto metterebbe in crisi l’occupazione; anche perché “è un’idea concettualmente sbagliata”. La natura, spiega, non è in equilibrio. Nemmeno l’uomo può perseguirlo e ciò che ci distingue da tutto il resto è la “conoscenza”. La differenza che ha permesso e permetterà all’uomo di trovare sempre la soluzione (almeno così credo d’aver capito).
Tocca all’altro esponente politico, che a suo tempo sembrò incarnare la forza giovane del cambiamento nel suo partito, da tempo in mezzo al guado: sostanzialmente dice poco o nulla. Considera che certi allarmi siano eccessivi e racconta qualche aspetto di ciò che accade in Europa. Un intervento breve, di maniera, che sostanzialmente si appoggia a quello del noto ambientalista e non raccoglie nessuna delle vere e proprie “provocazioni” che avevo messo sul tavolo.
Un paio di domande dal pubblico entrano poi invece nel merito e mi permettono di precisare ulteriormente i concetti di Eroei e di sottolineare l’assoluta necessità di verificare il bilancio energetico di ogni fonte prima di considerarla tale e definirla “rinnovabile”.
E’ il turno di un altro relatore, ricercatore di provata esperienza e “responsabile regionale energia” di Legambiente. Usa slide scritte fittamente, scarsamente leggibili, e il suo procedere mostra qualche limite nella comunicazione; risulta però molto ben preparato ed espone concetti importanti. Dimostra d’aver lavorato a lungo e con estrema cura per esaminare con puntualità e rigore le potenzialità della sua regione dal punto di vista della produzione di cibo, di biomassa e d’installazione di fotovoltaico. Tre aspetti che, con passaggi verificabili e razionali, traduce in precisi quantitativi e che correttamente fa notare essere tra loro in diretta competizione. Conclude che è impensabile poter ottenere un apporto energeticamente risolutivo dalla biomassa anche occupando tutti i terreni disponibili e che questi comunque devono prima essere impiegati per soddisfare la produzione di cibo, tenendo ben conto della progressiva difficoltà che si incontrerà nel produrre concimi chimici. Dimostra che una buona parte di fotovoltaico può trovare collocazione sulle costruzioni esistenti e, con tutte le prudenze necessarie, i terreni possono eventualmente essere occupati con maggiore efficienza per installare questa fonte piuttosto che per produrre biomassa. Critica pesantemente l’abitudine di alcuni agricoltori di piantare in mezzo al campo l’impianto a biomassa (granturco, a coltivazione altamente intensiva) con l’unico obiettivo di lucrare sul prezzo riconosciuto al kWh, pur in presenza di basse efficienze energetiche. Richiama l’attenzione sul fatto che ci vorrebbero comunque tempi molto lunghi per poter installare tutto il fotovoltaico potenzialmente installabile e che forse già prima di terminare bisognerebbe iniziare a sostituire i primi impianti. Chiude sottolineando che è necessario cominciare a introdurre elementi di cambiamento radicale con la consapevolezza che lo sviluppo delle fonti rinnovabili non sarà sufficiente a parare il declino dei fossili e a garantire la tendenza attuale dei consumi.
Subito viene apostrofato dal solito noto ambientalista come “ambientalista che lavora contro le rinnovabili” e che vedrà di parlarne in Legambiente a Roma. Torna poi alla carica richiamando in sala maree, onde, correnti, biomassa legnosa, alghe, con una determinazione che si potrebbe considerare sospetta. (Una successiva visita al sito della fondazione di cui è presidente non è risultata affatto risolutiva.)
Prima di chiudere assicura anche che il forte sviluppo della biomassa per usi energetici può offrire elevati e duraturi livelli di nuova occupazione: centinaia di migliaia di posti.
In sala si evidenziano sguardi perplessi, ammiccamenti e bisbigli tra vicini. Anche i due alti rappresentanti politici vi partecipano, ma solo tra di loro. Poco dopo noto anche uno scambio di bigliettini.
Viene nuovamente il turno dell’altro esponente, parlamentare e dirigente politico, cui viene esplicitamente richiesta una sintesi politica dei lavori. Si dilunga sulle normative europee; spiega che i socialisti europei si sono espressi (inutilmente) contro la decisione di considerare alternativa ai fossili anche l’energia nucleare; indica come esempio da seguire la Germania che ha deciso di non costruire altro nuke e che sta sviluppando eolico e fotovoltaico molto velocemente e che ricava grandi quantità di energia dallo sfruttamento di biomassa. Ricorda che il suo partito è favorevole allo sviluppo delle rinnovabili. Alla fine non sa esimersi dal sottolineare che “mettere in luce i limiti delle rinnovabili rischia di essere controproducente e di scoraggiare le scelte per il loro sviluppo”. Chiude ricordando che l’occupazione e i livelli produttivi possono e devono essere mantenuti incrementando l’efficienza ed il risparmio. Si può mantenere lo sviluppo riducendo gli sprechi e migliorando la tecnologia.
Non un solo cenno alle problematiche di fondo che l’intervento mio e del ricercatore hanno posto alla discussione. L’esaurimento delle risorse, i limiti, l’Eroei, la preziosità dei terreni, le contraddizioni tra il mantenimento degli attuali approcci politici e la realtà che ormai si impone, la necessita impellente di alcune scelte. Sono passati come acqua su marmo.
Le impostazioni del partito e – con qualche distinguo – le normative europee bastano a tracciare la strada giusta. Si deve solo riportare l’Italia nel giusto contesto.
Terminato l’evento, e prima che i nostri due se ne andassero, solo l’ambientalista ha salutato chi restava; anche se poi è stato riferito che, una volta lontano, non ha saputo nascondere il proprio disappunto.
Attorno a un tavolo con qualche bibita, tra le persone del pubblico e alcuni organizzatori rimasti, lo sconforto era generale. C’era, latente, quasi un vago senso di rabbia.
Si era discusso per oltre 3 ore nel merito di argomenti complessi e delicati, di vitale importanza per definire una strategia politica di largo respiro; ma si doveva prendere atto che i nostri importanti interlocutori erano stati completamente sordi. Chiusi, isolati, inossidabili, autoreferenziali. Non avevano inteso ascoltare alcuna parola che mettesse in discussione le posizioni definite nel chiuso delle “commissioni” o nei ristretti circoli dei “decisori”.
Avevano appena testimoniato che la verità non va cercata nel confronto con pareri di studiosi, di esperti, con il contributo delle dimostrazioni tecnico-scientifiche, bensì nelle mediazioni politiche, nei documenti approvati nelle commissioni istituzionali o nelle segreterie di partito, nelle delibere, nei decreti e nelle formulazioni legislative infarcite di arzigogoli giuridici.
Gli sforzi che erano appena stati fatti per “portare in alto” alcuni elementi di riflessione, alcuni avvertimenti, erano serviti solo a sommergere chi li aveva fatti di amarezza.
Al di là dei risultati piuttosto positivi raggiunti comunque con il pubblico, gli esiti indesiderati di queste due diverse esperienze hanno confermato la veridicità di quello che anch’io, come altri, mi illudevo fosse soprattutto un luogo comune: l’impossibilità di realizzare un vero confronto di merito con gli esponenti politici di più alto livello, con i cosiddetti “vertici”. Anche, come nei casi in esame, se chiamati a svolgere la loro funzione nell’ambito di quelle forze che – evidentemente, troppo spesso solo a parole – fanno della partecipazione attiva, del confronto con i cittadini, con gli esperti, con la cultura, la loro bandiera e, ancor più, rivendicano ciò come una peculiarità, una caratteristica cromosomica.
In anni lontani, nell’arco di quasi un ventennio, ho fatto numerose e significative esperienze di politica attiva: si cominciava a (e alla fine si terminò di) discutere contro o a favore del centralismo democratico. Di norma le indicazioni provenienti dai vertici, difficilmente modificabili, nascevano spesso dopo “ampio e approfondito dibattito”. La “forma partito”, particolarmente efficiente in qualche caso, offriva una serie importante di momenti di discussione prima che si costruissero le conclusioni. Su molte delle quali, anche dopo essere diventate operative, proseguiva la discussione aperta, con libertà di posizioni perlomeno “teoriche”, cui veniva riservata pari dignità. D’altronde era quello un periodo permeato dalla pratica diffusa e costante, in molti settori della società, della discussione, della partecipazione attiva e collegiale: un’abitudine che creava condizioni favorevoli per una crescita “dal basso” del processo di formazione delle decisioni.
Molti dei maggiori esponenti politici, i più rappresentativi dirigenti di partito, tenevano in grande considerazione questo processo di costruzione decisionale da cui traevano linfa culturale, autorevolezza politica, potere e reale legittimazione di ruolo.
Oggi questi preziosi meccanismi che sostanziano e qualificano il funzionamento della democrazia rappresentativa troppo spesso non sono più agibili. O meglio, non riguardano né interessano più l’empireo della politica, gli “eletti” che, almeno per la durata del loro mandato, risultano pressoché intoccabili: nobili feudali con regole e leggi autonome, rinchiusi nei castelli delle istituzioni, delle fondazioni, delle ristrette segreterie (o consorterie ?) di partito, lontano dal popolo a cui ogni tanto fingono di concedere udienza. Senza mai scendere dal trono, spesso controvoglia e con malcelato disagio.
Salvo ritornare, con sorrisi, fiori e doni tra le mani, a immergersi, con la cenere sul capo, notte e giorno tra la plebe quando occorre racimolare le preferenze per mantenere il vecchio o conquistare un nuovo feudo.
Sarebbe sbagliato voler rappresentare con questa descrizione tutto il ceto politico. Le eccezioni ci sono, anche se faccio sempre più fatica ad individuarle, ma forse è un mio limite.
Di certo il fenomeno è molto meno presente quanto più si scende nei gradini dell’importanza dei ruoli, degli incarichi.
Le esperienze fatte con numerosi amministratori, consiglieri comunali e provinciali, con gli attivisti di base di qualche partito o movimento, testimoniano di una significativa disponibilità a voler capire. Inizia ad emergere, soprattutto tra chi lavora più a diretto contatto con i cittadini, il desiderio di appropriarsi di nuove analisi e nuove visioni; la volontà di cercare risposte a una realtà che si sta facendo sempre più complessa, imperscrutabile e sfuggente alle vecchie chiavi di lettura.
In effetti, sembra proprio che con il crescere della valenza del ruolo politico, della permanenza ai livelli alti e pressoché intoccabili della politica, cresca anche l’incapacità d’ascolto, l’indisponibilità a verificare le proprie convinzioni, il disprezzo per le idee dell’altro, l’arroganza della propria “verità”, l’indifferenza, il rifiuto dell’approccio tecnico-scientifico, la miopia e l’opportunismo delle consorterie, il separatismo di casta.
Una vera e pericolosa sindrome cronica, per la quale è sempre più difficile individuare una cura efficace.

domenica, agosto 22, 2010

Ceccobao e il tram di Prato













Proseguiamo la triste saga degli errori italiani in materia di trasporto pubblico locale, iniziata con le storie “trammatiche” di Parma e Firenze, per occuparci del caso di Prato.
Di recente, il Sindaco della città del tessile ha annunciato la volontà di sostenere un progetto targato Ansaldo – Breda relativo alla costruzione di una linea tranviaria che, oltre a un tracciato urbano, preveda anche l’utilizzo dei binari ferroviari esistenti, per collegare con lo stesso mezzo il centro di Prato con quello del capoluogo toscano, Firenze.
Niente da dire, si tratta di una proposta che si colloca nell’alveo delle politiche di trasporto più avanzate in Europa, dove alcune città, come Karlsruhe, Saarbrucken, Parigi, Strasburgo, Mulhouse, Kassel, Alicante, L'Aja e molte altre, hanno realizzato o stanno per completare progetti di integrazione totale di linee tranviarie urbane con la rete delle ferrovie locali, attraverso l’utilizzo della moderna tecnologia del “tram – treno” (per guardare meglio il tram - treno di Kassel, cliccare sulle due immagini). Ottenendo, grazie all’elevata qualità del servizio offerta dai moderni veicoli tranviari e al collegamento diretto e frequente, senza rotture di carico, di città e località di aree urbane contermini, la moltiplicazione esponenziale dei passeggeri trasportati e, conseguentemente, il netto miglioramento dei conti del servizio di trasporto pubblico.
Ma, dopo qualche giorno dall’annuncio pratese, ecco intervenire pubblicamente il nuovo assessore regionale Ceccobao che, scusate la licenza poetica, fa marameo al Sindaco, annunciando che la Regione Toscana non sosterrà il progetto perché, “per prima cosa si dovrebbero adeguare i convogli ai binari ferroviari, un’operazione dal punto di vista tecnico problematica”, e poi perché “si dovrebbe richiedere l’omologazione del tram – treno ai ministeri competenti”, in quanto “oggi in Italia non è consentito a un mezzo non ferroviario di transitare sui binari”. Quindi, molto meglio secondo l'assessore, potenziare il servizio ferroviario esistente.
Si tratta evidentemente di pretesti, perché 1) la tecnologia del tram – treno è da anni utilizzata nelle aree urbane di mezza Europa senza alcun problema tecnico e, in alcuni casi come quello tedesco, in condizioni di compatibilità con le linee ferroviarie molto più difficili di quelle presenti in Italia. 2) in Italia esistono già tre realtà urbane, Sassari, Cagliari e Bergamo che utilizzano materiale di tipo tranviario sui binari ferroviari, per cui anche per quanto detto al punto 1) l’omologazione dei ministeri competenti è solo un problema burocratico che, una volta individuate le specifiche soluzioni tecniche si può superare rapidamente, soprattutto se c’è la volontà politica di sostenere il progetto.
Ma se gli argomenti contrari sono pretestuosi, quali sono i veri motivi dell’opposizione al progetto? A mio parere due: il primo è l’arretratezza culturale degli amministratori italiani rispetto alle innovazioni tecnologiche, il secondo e principale è la sudditanza di molte regioni italiane alle politiche di trasporto delle Ferrovie dello Stato che preferiscono fare investimenti su materiale ferroviario che possono gestire direttamente, evitando sulle linee locali la concorrenza delle società di gestione dei nuovi servizi tranviari.
Ma l’apertura dei mercati è secondo me uno dei fattori decisivi per rendere i servizi di trasporto collettivo più efficienti e appetibili per gli utenti.

venerdì, agosto 20, 2010

Un blog anticonformista


Ho accettato con qualche titubanza il compito di coordinare questo blog in sostituzione di Frank Galvagno, che in questi anni ha svolto il ruolo con garbo, equilibrio e sobrietà, doti sempre più rare in un paese sempre più pervaso di sopraffazione, maleducazione e volgarità.

Ho scritto frequentemente su queste pagine elettroniche, ma indubbiamente il compito di regolare la pubblicazione degli articoli e gestire le discussioni è sicuramente più impegnativo e rischia di contrastare con le attività lavorative e della vita. Proveniamo comunque da una generazione che considera l’impegno civile un fatto costituivo della propria vita e anche per questo ho alla fine deciso di cimentarmi in questa nuova esperienza.

Il blog Risorse, Economia, Ambiente è uno degli strumenti informativi di Aspoitalia. Come è noto agli assidui lettori (nel grafico l’andamento giornaliero dei contatti), l’associazione si occupa di divulgare presso l’opinione pubblica e i decisori politici il problema molto sottovalutato e purtroppo poco conosciuto dell’esaurimento delle risorse non rinnovabili. La teoria del picco è stata per anni rifiutata o ignorata, ma oggi c’è una quasi generale concordanza sulla validità del modello. La data del picco del petrolio, che ASPO colloca intorno al 2010, è stata per anni confutata dall’ottimismo delle organizzazioni ufficiali, ma oggi persino l’amministrazione americana ne ammette l’imminenza. Un altro argomento tabù delle società contemporanee, al centro delle nostre riflessioni, è la critica all’attuale modello sociale fondato sulla crescita continua ed esponenziale dell’economia. A tale proposito, continueremo nell’opera di rivalutazione dei documenti, bollati come eretici, su i limiti dello sviluppo, il cui precursore fu il celeberrimo studio commissionato nei primi anni ’70 dal Club di Roma. E, infine proveremo a sviluppare il tema cruciale delle possibili soluzioni per affrontare in maniera adeguata i tempi duri e difficili che attendono l’umanità nell’era del post picco.

Cercheremo di trattare queste tematiche poco rassicuranti e anticonformistiche con il consueto rigore scientifico che contraddistingue la nostra associazione, ma anche con un approccio integrato, indispensabile per affrontarne l’estrema complessità, approfondendo i vari aspetti, tecnologici, economici, sociali e politici che la contraddistingue. Buona lettura.

giovedì, agosto 19, 2010

Comunicazione sul blog di Aspo


In questo breve post vorrei solo fare un rapido saluto ai lettori. No, non vado via :-)  , le idee di Aspo sono troppo vicine alle mie per poterlo fare! Semplicemente, ho chiesto l'aiuto di qualcuno per sostituirmi nella gestione del blog.  A causa di una serie di impegni, in testa a tutti la preparazione del matrimonio, mi sono davvero reso conto che non stavo più erogando la "potenza" che avrei voluto e che grosso modo ero riuscito a tenere abbastanza costante da fine 2007, quando avevo accettato la proposta di Ugo Bardi di dargli una mano.  Per la verità, ho sì scritto qualche pezzo, ma ho soprattutto potuto vedere "dal di dentro" pezzi straordinariamente interessanti, scritti da Ugo Bardi, Terenzio Longobardi, Toufic El Asmar, Gianni Comoretto, Giorgio Nebbia, Luca Mercalli, Eugenio Saraceno, Marco Pagani, Pietro Cambi, Anacho, Armando Boccone, Maurizio Tron, Massimo Nicolazzi, Silvano Molfese, Roberto De Falco, Tommaso Virnicchi, Mirco Rossi, Marco Bertoli [spero di non aver dimenticato nessuno visto che ci sono pezzi individuali anche di un paio di anni fa].

Il nuovo coordinatore sarà Terenzio Longobardi, che si è gentilmente offerto per dare una mano in questo nella vita del blog. Terenzio é già conosciuto ai lettori per i suoi istruttivi interventi, le sue analisi e gli approfondimenti, soprattutto su tematiche quali le evoluzioni energetiche, i trasporti, le politiche economiche generali a ogni livello, e altro ancora.

Oltretutto, credo sia benefico un cambiamento in quanto permette di ampliare le vedute e gli stili. Grazie mille allora a Terenzio e a tutti quanti vorranno contribuire alla ricchezza del blog: potranno farlo inviando a terenzio_longobardi@yahoo.it  il loro potenziale post, completo di eventuali files in formato immagine.

domenica, agosto 15, 2010

I consumi di energia elettrica italiani nel 2009

Il grafico che vedete qui accanto rappresenta la suddivisione per fonte del Consumo Interno Lordo di Energia Elettrica in Italia nel 2009. I dati statistici definitivi con cui ho costruito il grafico, sono disponibili sul sito di Terna s.p.a.. Rispetto ai dati provvisori pubblicati da Terna qualche mese fa, non si registrano sostanziali differenze, ma qualche leggera modifica che è opportuno segnalare.
Innanzitutto, preciso quali assunzioni nell’aggregazione dei dati Terna sono alla base delle mie elaborazioni:
1) Il Consumo Interno Lordo (la somma della produzione nazionale lorda e del saldo con l’estero) è considerato al lordo dei pompaggi, cioè quella quota di produzione idroelettrica che si ottiene pompando durante le ore notturne di minore richiesta negli invasi idroelettrici una parte delle acque di valle da utilizzare nei momenti di picco dei consumi elettrici. I dati storici italiani del Consumo Interno Lordo, disponibili sempre sul sito di Terna, sono costruiti su questa assunzione. Per questo motivo, anche se anche quest’anno i documenti di Terna fanno riferimento al Consumo Interno Lordo al netto dei pompaggi, ho ritenuto di operare in continuità con le mie elaborazioni precedenti.
2) Per questo motivo, la quota di rinnovabili da me calcolata, 22,2% è leggermente diversa da quella indicata da Terna in 20,8%. La differenza è proprio l’energia ricavata tramite pompaggi.
3) La quota di produzione termoelettrica da gas naturale è ottenuta considerando anche i derivati del gas naturale.
4) La quota di termoelettrico da altri combustibili è depurata delle biomasse agricole e forestali e dai rifiuti, che sono inserite ovviamente nelle rinnovabili. A tale proposito, come ho precisato anche in precedenti articoli, bisognerebbe scorporare da questa quota la parte dei rifiuti contenenti plastiche, ma la differenza sarebbe poco significativa.

Rispetto ai dati provvisori, quelli definitivi ridimensionano in piccola parte l’elemento più significativo della drastica riduzione rispetto all’anno precedente del Consumo Interno Lordo, descritta in un mio precedente articolo. Infatti, dai 359,2 TWh del 2008, si passa ai 339,1 TWh invece che ai 333,6 Twh dei dati provvisori (- 5,7% invece che -6,7%). Rimane però il dato storico di un crollo mai verificato dei consumi elettrici, attribuibile alla terribile crisi economica iniziata nel 2008, da cui si può ipotizzare il raggiungimento di un picco, bene esemplificato nel grafico aggiornato che allego qui accanto e, ancor di più, dall'ultimo grafico che rappresenta l'andamento storico del consumo specifico, cioè per abitante, in cui si rileva una sostanziale stagnazione dei consumi a partire dal 2002 e un crollo nel biennio 2008 - 2009 (tutti i grafici si possono ingrandire cliccandoci sopra). C'è da aggiungere però che, in collegamento con la ripresina economica in corso, i dati Terna aggiornati a luglio 2010 rivelano una crescita della richiesta di energia elettrica del 2,5% rispetto allo stesso periodo del 2009. Quindi, se la tendenza dovesse essere confermata, a fine anno i consumi potrebbero recuperare circa la metà delle perdite del 2009. Ma, se la ripresa globale dovesse consolidarsi, assisteremo a una nuova crescita dei prezzi petroliferi, che mentre scrivo hanno di nuovo superato gli 80 dollari al barile, con effetti depressivi sull'economia e conseguentemente sui consumi energetici.
Per il resto, continua la tendenza verso una sempre più marginale (4,7%) dipendenza dal petrolio della produzione termoelettrica, la conferma del ricorso al gas naturale come principale fonte di produzione termoelettrica, ma in calo rispetto all'anno precedente di oltre 5 punti percentuali, soprattutto a favore delle rinnovabili che registrano una crescita del 4%. Abbiamo infine un contributo stabile dei combustibili solidi (carbone), e un aumento del saldo tra import ed export.
Il sensibile aumento del peso delle rinnovabili è determinato da una crescita della produzione idroelettrica, da 41623 GWh a 49137 GWh (+ 18,1%), grazie al persistere di condizioni meteorologiche favorevoli alle precipitazioni, e da una crescita sostenuta dell’eolico, da 4861 GWh a 6543 GWh (+ 34,6%). Infine si registra un’esplosione relativa dell’energia fotovoltaica, da 193 a 676 GWh (+ 250%).

martedì, agosto 10, 2010

La morte di Matthew Simmons


Matthew Simmons, uno dei fondatori del movimento del "peak Oil" è morto ieri a 67 anni a casa sua, nella cittadina di North Haven, in Maine. E' stato colpito da un attacco cardiaco mentre faceva il bagno.


L'avevo conosciuto personalmente a Parigi, a una delle conferenze internazionali di ASPO. Di lui mi ricordo l'energia e la chiarezza del pensiero. Recentemente, si era dimesso dalla sua posizione di membro del comitato scientifico di ASPO-USA, forse già non si sentiva bene. Ultimamente, aveva commentato in modo forse un po' troppo catastrofista la questione della perdita di petrolio dal pozzo BP nel golfo del Messico. Può darsi che anche queste sue posizioni un po' eccessive siano state dovute a problemi di salute, come alcuni avevano già ipotizzato.

Di Matt Simmons ci ricordiamo parecchi contributi importantissimi come i molti interventi alle varie conferenze ASPO. E' stato anche uno dei primi a rivalutare il lavoro dei "Limiti dello Sviluppo" dopo la campagna di disinformazione che lo aveva demolito. Il suo libro "Twlight in the desert" rimane un'eccellente descrizione del sistema petrolifero dell'Arabia saudita.

Ecco la notizia, da Bloomberg

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Matthew Simmons, Peak-Oil Advocate and Simmons & Co. Founder, Dies at 67

Matthew R. Simmons, an energy investment banker who was a leading proponent of the “peak oil” theory that claims the Earth is running out of crude, died yesterday. He was 67.
The former chairman of Simmons & Co. International “passed away suddenly,” according to an e-mailed statement today from the Ocean Energy Institute, which Simmons started in 2007 to explore opportunities for harvesting energy from the seas. He is survived by his wife, Ellen, and their five daughters.
Simmons started Houston-based Simmons & Co. in May 1974 with a focus on the oil-services industry, according to the company’s website. The firm expanded to offer research, institutional sales and investment banking in the energy industry. Simmons promoted the idea that world oil reserves are peaking, and he explored the implications in a 2005 book called “Twilight in the Desert.”
“He was somebody that was very comfortable challenging conventional wisdom, someone that thought beyond the near term and was a very good analyst in terms of identifying big trends,” said Dan Pickering, who worked at Simmons & Co. from 1996 to 2004 and is now co-president of the Tudor Pickering Holt & Co. investment bank in Houston.
Emergency medical workers responded to a possible drowning a little before 10 p.m. local time yesterday, said John Dietter, a crew chief for North Haven, Maine. He declined to comment on the cause of Simmons’s death. The Knox County sheriff’s office in Maine didn’t immediately respond to a request for comment.
Engineering Reports Used
On a tour of Saudi Arabia’s oil industry in 2003, Simmons was inspired to estimate the world’s largest oil reserves, and from research that included poring through neglected engineering data, determined that the country was close to or nearing peak output, Peter Maass wrote in his book, “Crude World: The Violent Twilight of Oil.”
“He built his own energy firm and, having done that successfully, used his knowledge of the industry to challenge one of its biggest accepted truths -- that there are nearly unlimited quantities of oil in the world,” Maass said today in an e-mail.
Demand for energy has become a “runwaway train that cannot be easily slowed or reversed,” Simmons said in a slide presentation in May at the Offshore Technology Conference in Houston. “We are in early stages of a global train wreck when demand outstrips supply and shortages begin,” according to the slides on the website for the Ocean Energy Institute.
‘Tight Supply’ Warning
Simmons said in 2008 that oil was more likely to hit $200 per barrel than drop to $50 over the next six months because supply wasn’t meeting demand.
Oil touched a record $147.27 a barrel in July 2008 and closed that year at $44.60 in New York futures trading.
“We have unbelievably tight supply,” Simmons said July 16, 2008, in a Bloomberg Television interview. “We have a lot of gasoline stations closing because they cannot afford to be in business.”
Pickering said Simmons was sometimes intentionally provocative because he wanted people to think beyond what is happening today or this year. He said the industry will miss Simmons pushing, even if his thoughts weren’t accepted by all.
“As much as anyone he brought the whole idea of peak oil into the public consciousness,” said Arthur Berman, a geologist who lives near Houston and writes for the Oil Drum energy website.
Retired in June
Berman said he shared Simmons’s views on peak oil. Simmons did have “some peculiar ideas” on the BP Plc spill such as the size of the disaster, Berman said, and he’d hoped to talk with Simmons about the reasons for some of his thoughts on the disaster.
Simmons was a frequent critic of BP’s efforts to stanch its oil spill in the Gulf of Mexico, suggesting at one point that the best option would be to detonate a small nuclear bomb undersea to kill the well.
On June 16, Simmons announced his retirement as chairman emeritus from Simmons & Co. so he could focus on the Ocean Energy Institute. His departure came after years of growth. By the end of 1981, Simmons & Co. had a staff of 13. About 17 years later, the company opened its first office outside Houston, in Aberdeen, Scotland.
“We are deeply saddened by the unexpected loss of a true visionary and friend,” Michael E. Frazier, chief executive officer of Simmons & Co., said today in a statement. “As a pivotal figure in the lives of many of our employees, and countless others across the energy industry, Matt will be sorely missed. Our thoughts and prayers are with his family during this difficult time.”
Wind Power
Simmons founded the Ocean Energy Institute as a think tank and venture-capital fund for U.S. offshore renewable energy, including wind-powered energy, according to that group’s website.
“His group really had some excellent and substantial ambitions,” Ethan Zindler, an analyst at Bloomberg New Energy Finance in Washington D.C., said today in a telephone interview. “This group was poised to make an impact, but was essentially still just starting to get off the ground.”

lunedì, agosto 09, 2010

FIAT VOLUNTAS TUA

Il grande vecchio del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, ha scritto di recente su Repubblica un illuminante editoriale a proposito del declino e del destino dell’industria automobilistica nel nostro paese. Rimando a una lettura integrale del testo per comprendere i motivi di strategia industriale che determineranno gradualmente un evento epocale, cioè la scomparsa dell’azienda automobilistica nazionale che ha, nel bene e nel male, influenzato una parte importante della storia italiana, per limitarmi ad approfondire la parte conclusiva dell’analisi che, a mio parere, attiene maggiormente alle riflessioni che periodicamente svolgiamo su questo blog.
Scalfari si domanda: “Andiamo dunque verso un rapido azzeramento delle conquiste sindacali e dell’economia sociale di mercato degli anni Sessanta fino agli inizi di questo secolo?” e risponde: “Io temo di sì. Temo che la direzione di marcia sia proprio quella ed ho cercato di definirla parlando della legge chimico – fisica dei vasi comunicanti. In ogni sistema globalmente comunicante il liquido tende a disporsi in tutti i punti del sistema allo stesso livello, obbedendo all’azione della pressione atmosferica (?). In un'economia globale questo meccanismo funziona per tutte le grandezze economiche e sociali: il tasso di interesse, il tasso di efficienza degli investimenti, il prezzo delle merci, le condizioni di lavoro. Tutte queste grandezze tendono allo stesso livello, il che significa che i paesi opulenti dovranno perdere una parte della loro opulenza mentre i paesi emergenti tenderanno a migliorare il proprio standard di benessere. La prima tendenza sarà più rapida della seconda. Al termine del processo il livello di benessere risulterà il medesimo in tutte le parti, fatte salve le imperfezioni concrete rispetto al modello teorico”.
A parte le imprecisioni nella descrizione del meccanismo fisico dei vasi comunicanti, comprensibili in una persona di formazione umanistica, la metafora è efficacissima e descrive perfettamente quello che sta avvenendo. Ciò che invece colpisce è la presa d’atto, da parte di un progressista convinto, sostenitore del valore positivo del meccanismo di continua crescita economica delle società industriali, di un limite invalicabile a tale crescita. Infatti, rimanendo nella metafora dei vasi comunicanti, egli indirettamente ammette che non è più possibile immettere altra acqua (ricchezza) nel sistema globale per ridistribuire il benessere materiale, continuando a mantenere però gli attuali livelli di opulenza nei paesi sviluppati. In altre parole, che il sistema non è destinato ineluttabilmente a crescere illimitatamente, ma piuttosto evolve verso una configurazione di stazionarietà. E’ un fatto sorprendente, e ci fa comprendere che la ragione in qualche caso continua a prevalere sull’ideologia.
Molto condivisibili sono poi le conclusioni del noto giornalista: occorre “… far funzionare il sistema dei vasi comunicanti non solo tra paese e paese, ma anche all’interno dei singoli paesi. L’Italia è certamente un paese ricco. Anzi fa parte dei paesi opulenti del mondo, che sono in prevalenza in America del Nord e nella vecchia Europa. Ma l’Italia è anche un paese dove esistono sacche di povertà evidenti e dislivelli intollerabili nella scala dei redditi e dei patrimoni individuali. Tra l’Italia dei ceti benestanti e quella dei ceti poveri e miserabili il sistema dei vasi comunicanti è bloccato, non funziona. Il benessere prodotto non viene ridistribuito, rifluisce su se stesso e alimenta il circuito perverso e regressivo dell’arricchimento dei più ricchi e dell’impoverimento dei poveri”. Come perseguire questo nobile obiettivo? “Attraverso una riforma fiscale che sbloccasse il meccanismo e ridistribuisse il benessere”.
Bel compitino per una sinistra ancora in cerca di un’identità precisa. Da parte nostra le consigliamo di volgere la testa al passato e alle radici socialdemocratiche piuttosto che continuare a gingillarsi con nuove quanto evanescenti elaborazioni politico – culturali.

venerdì, agosto 06, 2010

Anniversario del bombardamento di Hiroshima



Oggi è il sessantacinquesimo anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima. Sembra quasi miracoloso che siamo qui a ricordarcene dopo tanti anni e che, a parte la seconda bomba su Nagasaki poco dopo, le bombe atomiche non siano state mai più utilizzate in guerra.

Sembra, in effetti, che le bombe atomiche stiano passando rapidamente di moda - le stiamo smantellando quasi tutte per farci combustibile per le centrali nucleari. Se tutto va bene, in qualche decina di anni non ce ne saranno più; o quasi (vedi questo mio articoletto).

Non credo che si possa attribuire la sparizione delle bombe nucleari a un particolare rinsavimento degli esseri umani. Credo, piuttosto, che la bomba atomica si sia rivelata un'arma poco pratica. Diceva Von Clausewitz che la guerra è simile a due lottatori che si affrontano; ognuno dei due cerca di forzare l'altro a fare qualcosa che non vorrebbe fare. Ora, per vincere un incontro di lotta libera si potrebbe anche pensare di atomizzare l'avversario, ma questo non servirebbe allo scopo di forzarlo a fare qualcosa - un po' eccessivo, fra le altre cose.

Quindi, credo che le bombe atomiche stiano percorrendo un po' la stessa parabola che hanno percorso le centrali nucleari: tante speranze e tante illusioni all'inizio, per poi rivelarsi oggetti ingombranti, costosi e poco utili. Questo non vuol dire che non ci siano ancora degli entusiasti di entrambe le cose. Con calma, passeranno di moda anche loro; sperabilmente senza fare troppi danni.


Una curiosità: c'è un interessante articolo di Steph dove troviamo un calcolo dei possibili effetti climatici diretti delle esplosioni atomiche degli anni 1950. In sostanza, sono molto ridotti in confronto a quelli dovuti alle emissioni di gas serra. Solo nel caso di una guerra nucleare importante, ci potrebbe essere un forte effetto di raffreddamento dovuto al pulviscolo emesso nell'atmosfera. Sarebbe il famoso "Inverno nucleare," uno scenario che per fortuna sta diventando rapidamente obsoleto con lo smantellamento delle testate.

giovedì, agosto 05, 2010

Per un paio di alberi

Due giorni fa scoppiarono feroci sparatorie tra l'esercito Libanese e quello Israeliano. Il tutto e' iniziato quando gli Israeliani avevano violato il confine per tagliare tre alberi (gli ultimi 3 rimasti in quel punto) per questioni di sicurezza (secondo loro). Non avendo coordinato tale attivita' con le forze dell'ONU, i soldati Libanesi volendolo ricordare al vicino (sempre invasore) sparano alcuni colpi in aria, gli Israeliani rispondono con colpi di cannone dal Merkava, ammazzono due soldati ed un giornalista, lanciano una bomba al fosforo bianco che ha bruciato dei terreni agricoli e attaccano altre postazioni libanesi con gli elicotteri Apache. L'esercito Libanese risponde con i pochi e insufficienti mezzi a sua disposizione .... fucili d'assalto e RPG, ammazano un alto ufficiale Israeliano e ne feriscono un secondo. Questa era la cronaca.


Il fatto e' che tutto sto sangue per un albero, l'UNICO tra l'altro, che poi il giorno dopo e' stato comunque sradicato (oltre ad altri due). La foto seguente mostra i due confini: a destra quello Israeliano - Palestinese VERDE pieno di arbusti, boscaglia e alberi; a sinistra quello Libanese ormai arido (alberi, arbusti, oliveti, agrumi, etc... sono sempre stati distrutti ad ogni invasione Israeliana) .......... vedete anche la gru israeliana che sta sradicando la pianta.


(fonte immagine: Quotidiano www.alnahar.com)

mercoledì, agosto 04, 2010

La fine della guerra in Iraq

Produzione petrolifera irachena (da Aspo-Netherlands). La produzione negli ultimi tempi è stata in in aumento, ma l'Iraq non è stato - e probabilmente non sarà mai - il paese dell'abbondanza petrolifera come era stato dipinto prima della guerra del 2003.

Si conclude dopo sette anni la guerra in Iraq. Il presidente Obama ha annunciato oggi il ritiro entro Settembre di tutte le truppe americane impiegate direttamente in combattimento. Rimarranno 50.000 "advisors" che se ne andranno anche loro entro la fine del 2011. E' un accordo fra il governo americano e quello iracheno che risale al tempo del presidente Bush.

Cosa resta di sette anni di guerra? Ben poco di tutto quello che si era detto prima della guerra. Le famose armi di distruzione di massa sono risultate un'invenzione, così come i fiori che dovevano accogliere i liberatori occidentali. Saddam Hussein è stato impiccato - probabilmente se lo meritava, ma forse non più di altri dittatori sanguinari che infestano questo pianeta. Gli iracheni hanno adesso delle elezioni, ma il paese rimane dominato dalla divisione settaria fra le due anime religiose del paese: i Sunniti e gli Shiiti. Questa divisione sta provocando una guerra civile ancora ben lontana da arrivare a una conclusione. In queste condizioni, la "democrazia in Iraq" è altrettanto illusoria di quanto non lo fossero le bombe atomiche irachene che si diceva fossero nascoste nei bunker sepolti nel deserto. Per non parlare delle enormi sofferenze degli iracheni, queste per niente illusorie.

Si è detto che la guerra era una "guerra per il petrolio" e più d'uno ha sbandierato l'idea che la conquista dell'Iraq avrebbe portato a un grande aumento della produzione petrolifera e a un forte abbassamento dei prezzi. Questa idea si è rivelata ancora più illusoria di quella delle armi di distruzione di massa. La guerra in Iraq ha inaugurato una nuova fase di prezzi alti del petrolio e la produzione petrolifera irachena non è mai veramente decollata. Al momento è ancora ben lontana dal picco del 1978, raggiunto prima dell'inizio della guerra Iran-Iraq. Trent'anni di guerra praticamente ininterrotta non hanno fatto bene alle infrastrutture petrolifere irachene e, secondo alcuni, potrebbero aver irreparabilmente danneggiato alcuni dei pozzi più importanti.

Può darsi, come dice qualcuno, che ci sia ancora un grande potenziale petrolifero inesplorato all'Ovest del paese. Può darsi; ma ci sono buone ragioni geologiche per dubitarne. Ma si sa che quando si parla di petrolio si parla spesso di sogni e di fantasmi. Questo grande potenziale petrolifero potrebbe essere altrettanto illusorio quanto tutte le altre illusioni di cui si è parlato in questa guerra - una vera serie di miraggi nel deserto.

Certo, se lo scopo degli Americani era di dimostrare la loro potenza militare, ci sono riusciti molto bene con questa guerra. Sono riusciti anche, e forse ancora meglio, a dimostrare la potenza del loro apparato propagandistico. Riuscire a convincere praticamente tutti dell'esistenza di "armi di distruzione di massa" inventate di sana pianta è stato un risultato non da poco; un vero trionfo di quello che oggi si chiama l'industria della "costruzione del consenso". Ancora maggiore è stato il fatto di poterla fare franca dopo aver imbrogliato tutti in quel modo. Anche questa è un'illustrazione del concetto che le balle sono tanto più credibili quanto più sono grosse.

Rispetto a sette anni fa, sono cambiate molte cose. C'è stato, probabilmente, il picco globale del petrolio nel 2008, c'è stata l'impannata dei prezzi arrivati a quasi 150 dollari al barile, c'è stata la grande crisi finanziaria del 2009 - che non è ancora finita. Il mondo di oggi è completamente diverso da quello che, nel 2003, contemplava come credibili le previsioni di una guerra che "sarebbe durata cento anni" o addirittura la "guerra infinita."

Nelle condizioni economiche in cui si trova oggi l'Occidente sarebbe impossibile impegnarsi in una nuova guerra importante, anche solo di una settimana - per non parlare di una "guerra infinita" (o di cento anni). Forse è per questo che, miracolosamente, ultimamente non si sono viste nascere nuove guerre. Le ultime convulsioni di qualche importanza sono state la guerra fra Russia e Georgia dell'Agosto del 2008 e l'attacco a Gaza da parte di Israele, cominciato il 27 Dicembre del 2008. Il 2009 non ha visto cominciare nessuna nuova guerra e - per ora - nemmeno il 2010. Rimane attiva la guerra in Afghanistan, ma sembra sempre di più che si cerchi di finirla anche con quella.

Chissà che questo periodo di relativa pace non sia dovuto anche in parte al picco del petrolio. In effetti, per fare la guerra ci vogliono risorse e la risorsa principale per la nostra società è il petrolio. Meno petrolio, meno guerre? Può anche darsi; nel qual caso si potrebbe dire che non tutti i mali vengono per nuocere. In ogni caso, siamo a quasi due anni senza nuove guerre. Facendo i dovuti scongiuri, speriamo che continui così.





ATLANTA — Nearing a milestone in the long and divisive Iraq war, President Barack Obama on Monday hailed this month's planned withdrawal of all U.S. combat troops — "as promised and on schedule" — as a major success despite deep doubts about the Iraqis' ability to police and govern their country.

Portraying the end of America's combat role in the 7-year war as a personal promise kept, Obama said Iraq will have 90,000 fewer U.S. troops by September than when he took office — a steady homeward flow he called "a season of homecomings." But there could still be more fighting involving U.S. forces.

"The hard truth is we have not seen the end of American sacrifice in Iraq," the president said in a speech to the national convention of the Disabled American Veterans. "But make no mistake, our commitment in Iraq is changing — from a military effort led by our troops to a civilian effort led by our diplomats."

A transitional force of 50,000 troops will remain, down from the peak of 170,000 in 2007. Their mission will be to train and advise Iraqi security forces, protect U.S. civilians, manage the chain of supplies and equipment out of Iraq and conduct counterterrorism operations.

Those soldiers and Marines will remain in harm's way and will be likely to engage at times in some form of fighting. Iraqi commanders will be able to ask the U.S. for front-line help.

All American troops are to leave Iraq by the end of next year, as mandated under an agreement negotiated before Obama took office, between the Iraqis and President George W. Bush.

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domenica, agosto 01, 2010

Aspo censurata

Sul Sole 24 Ore di lunedì 26 luglio è apparso un articolo di Giorgio S. Frankel dal titolo “L’incognita del picco petrolifero”, che dà conto in maniera un po’ confusa delle varie previsioni sulla data del picco petrolifero. Non mi soffermo su cose che i lettori di questo blog già conoscono come il recente allarme lanciato dallo Stato Maggiore statunitense, gli errori di previsione e le successive smentite dell’Agenzia Energetica Internazionale.
Mi preme sottolineare che ASPO non viene mai nominata direttamente, anche se nell’articolo si fa esplicitamente riferimento alle sue previsioni in materia di picco. Così, se “organismi molto influenti” come AIE ed EIA avevano previsto il picco dopo il 2030, “altri l’avevano già previsto per questi anni”. Inoltre, “oggi, all’improvviso, si parla del 2014 – 2015 non da parte di scienziati militanti (?) e no global”.
Ma il colmo di questa strana censura si raggiunge nella pubblicazione, a margine dell'articolo, del grafico (riportato anche sul sito di Aspoitalia) corrispondente alle previsioni di ASPO internazionale relative alla produzione mondiale di greggio e gas, dove la fonte viene completamente omessa.
Speriamo che si tratti solo di un refuso e non di un tentativo inutile quanto maldestro di occultamento del merito innegabile della nostra associazione di aver previsto e denunciato da tempo quello che altri si ostinavano a negare.