sabato, marzo 31, 2007

Il picco: un'idea che avanza



Il concetto di picco del petrolio sta avendo un successo addirittura dirompente. Basterebbe a testimonarlo la varietà di smentite che arrivano un po' da tutte le fonti ufficiali, dalle alte sfere delle compagnie petrolifere e dai sacerdoti dell'ortodossia accademica. Il presidente della Exxon si dice "scioccato da quanta gente crede nella teoria del picco" mentre Riccardo Varvelli pubblica un ulteriore libro-zombi dal titolo "Petrolio e dopo?" dedicato alla demolizione delle teorie dei catastrofisti.

I catastrofisti, da parte loro, non sembrano sentirsi particolarmente demoliti e continuano ad accumulare dati che provano la validità delle loro idee. Le idee sono nell'aria, a un certo punto si fanno strada con la loro forza nonostante tutti i tentativi di fermarle.

Un buon esempio della forza con cui il concetto di picco si sta imponendo è il recente libro di David Strahan "L'Ultimo Shock del Petrolio, una guida per sopravvivere all'imminente estinzione dell'uomo petrolifero" Il libro tutto intero non l'ho ancora letto, sto aspettando che mi arrivi, comunque vi posso dire che sono stato in contatto con Strahan mentre lo stava scrivendo. Quando l'avrò letto, vi farò una recensione dettagliata, ma già da ora ve lo posso consigliare.

Strahan è un ben noto giornalista inglese che ha pubblicato molto su questioni ambientali e energetiche. Questo suo libro sul petrolio è destinato ad avere un bell'impatto; guardate solo il suo sito internet e capite subito come si fa a diffondere un'idea in modo professionale e efficace.

Quindi, l'idea avanza e si sta imponendo. Che cosa può fermarla ormai? Solo una guerra, purtroppo, ce la può far dimenticare portandoci altre preoccupazioni.



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venerdì, marzo 30, 2007

Petrolio annacquato

Nel suo post del 3 marzo Ugo Bardi nota come la produzione petrolifera dell'Arabia Saudita (che fa da sola un ottavo della produzione mondiale) sia calata lo scorso anno di un milione di barili (da 9,5 a 8,5) di petrolio il giorno. Si discute nelle alte sfere se questo sia un preoccupante segno premonitore della fine prossima, o sia semplicemente dovuto alla volontà dei sauditi di tenere alti i prezzi.
Sul sito "The Oil Drum" sono comparsi diversi articoli di analisi: i dettagli della curva di produzione mostrano come questa sia poco sensibile alle violente fluttuazioni di prezzi degli ultimi anni, ma invece indichi piuttosto bene l'entrata in produzione dei nuovi pozzi. Si sottolinea come gli impianti di perforazione siano passati da 18 a 55 negli ultimi due anni, senza riuscire apparentemente a far altro che a mantenere i livelli di produzione del 2004.
Qualche giorno fa in questo sito Stuart Stanifold ha scritto un commento ad un articolo (Hussain et al, International Petroleum Technology Conference Paper #10395, 2005) apparso su una rivista della Society of Petroleum Engineers. L'articolo è scritto da un gruppo di ingegneri della Aramco, la compagnia petrolifera saudita, e racconta come questa sta combattendo il problema della sempre maggiore quantità di acqua nel petrolio estratto dal giacimento di Ghawar, la madre di tutti i giacimenti (2 milioni di barili il giorno nel 2001, per la regione studiata nell'articolo, 4 milioni e mezzo per tutto il giacimento).
Al di là del problema specifico, l' articolo è interessante perché dai dati esposti si riesce a capire qualcosa dello stato del giacimento. E Stainfold sfrutta questi dati per dirci che lì sotto, di petrolio estraibile, non c'e n'è rimasto granché. Pochi anni, e tutto quel che ci tireranno fuori sarà acqua sporca.
Per chi sa l'inglese e ha voglia di sciropparsi diverse pagine di ragionamenti ed analisi, rimando alla pagina citata (e all'articolo). Per tutti gli altri provo a riassumere qui le principali conclusioni.

Il petrolio inzuppa uno strato di rocce porose (carbonati, nel caso specifico). Lo strato inzuppato è coperto da uno strato di roccia impermeabile a forma di catino rovesciato. Spesso sotto il petrolio c'è acqua, e per mantenere la pressione si inietta nuova acqua ai margini del giacimento. L'acqua e il petrolio finiscomo per coesistere e nel petrolio estratto c'è spesso una certa quantità di acqua.
Nella figura, ricavata dall'articolo originale, si vede una sezione di due regioni del giacimento, si presume abbastanza tipiche, con in vari colori che indicano la percentuale di acqua sul totale (cliccate per ingrandire). Le zone azzurre contengono solo acqua, quelle viola solo petrolio. Con l'andare del tempo le zone rosse e viola si ritirano, e il grosso del giacimento è occupato oggi dalle zone verdi, cioè un mix di circa il 30% di petrolio e 70% di acqua.
Bé, non è poi così male, verrebbe da dire, abbiamo ancora 1/3 del petrolio, lì sotto, anche se mescolato con l'acqua. Ma c'è un problema. Se abbiamo della roccia (per facilitare l'immaginazione pensiamo a sabbia compatta) e la inzuppiamo di petrolio ed acqua, possiamo farli scorrere insieme solo se sono all'incirca nella stessa proporzione. Se tentiamo di "lavare" la roccia facendoci scorrere attraverso dell'acqua, il petrolio forma goccioline che si appiccicano alla roccia, mentre l'acqua non fa che scorrergli intorno. Un 20-30% del petrolio resta sempre indietro, e non lo recuperemo mai.
Questo che significa, in pratica? Due cose. La prima, che affrontano gli ingegneri, è che i pozzi buttano acqua più che petrolio. Ma loro mostrano come si può rimediare, facendo pozzi orizzontali che pescano solo nella zona rossa, o mettendo del tappi alla profondità giusta nei vecchi pozzi verticali.
Ma la seconda, piu' preoccupante, è che il petrolio estraibile che resta è solo quello indicato in rosso, nella figura. Cioè solo lo strato vicino alla cima del giacimento, un decimo del totale o poco più. E ai ritmi attuali di estrazione, non ci vorrà molto a finirlo. Non servono calcoli complicati, basta guardare la figura. E non esiste un altro Ghawar da scoprire.

Gianni Comoretto

giovedì, marzo 29, 2007

Il Petrolio di Carta

Esce su www.aspoitalia.net un articolo di Ugo Bardi, dove si esamina la questione del "prezzo del barile" entità di cui si parla molto ma della quale, in pratica, si sa poco.

Il prezzo del barile così come viene menzionato sulla stampa e sui media, non si riferisce direttamente al prezzo del barile "vero", ovvero il petrolio che potrebbe essere comprato da chi possiede o gestisce una raffineria. Si riferisce piuttosto a un "petrolio di carta", ovvero un contratto detto "future" che viene scambiato nelle borse internazionali dei futures.

Il petrolio di carta e quello vero sono due cose strettamente correlate, ma non sono esattamente la stessa cosa. In particolare, il valore del future del petrolio può avere delle forti oscillazioni dovute a fenomeni speculativi. Queste oscillazioni possono trarre in inganno chi non conosce bene il mercato. E' rimasto famoso l'errore clamoroso che fece un giornale che ha fama di essere serio, l "Economist" quando, basandosi sulla tendenza dei prezzi a breve termine, nel marzo del 1999 predisse che "il petrolio a 5 dollari al barile potrebbe essere dietro l'angolo".

Il mercato del petrolio è cosa complessa e difficile, ma ha le sue regole che dipendono, alla fine dei conti, dall'equilibrio fra domanda e offerta. E' sbagliato pensare che i rialzi che abbiamo visto negli ultimi tempi siano "pura speculazione," come qualcuno ha detto. E' altrettanto sbagliato farsi impressionare da un'oscillazione a breve termine per concludere che "la fine del petrolio sta arrivando" oppure che "non c'è nessun problema". Tutto ha una sua logica; bisogna però stare attenti a non confondere il petrolio di carta con quello vero.



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Il sogno di Coiante


Esce sul sito www.aspoitalia.net un articolo di Domenico Coiante intitolato "Ho fatto un sogno". La tesi di Coiante è che l'energia fotovoltaica è una forma di agricoltura e che come tale deve essere considerata. Il mondo del futuro potrebbe essere un mondo dove una parte del terreno agricolo viene utilizzata per produrre energia elettrica che viene venduta attraverso la rete ai clienti in città, proprio come un prodotto agricolo. Secondo Coiante, le aziende agricole potranno anche attrezzarsi con elettrolizzatori, produrre idrogeno molto puro dall'abbondante energia elettrica di cui dispongono, e venderlo in bombole, anche queste come se fossero ceste di pomodori.

Questi concetti cominciano a farsi strada, come in Germania dove gli agricoltori parlano comunemente del loro "secondo raccolto" fotovoltaico e come era stato detto per la prima volta in Italia con il sito www.agrienergia.it.

E' necessario inquadrare l'energia rinnovabile in quelle che sono le sue vere caratteristiche, quella di una tecnologia agricola, altrimenti rimarrà per sempre un giocattolo nella percezione della gente. Purtroppo, una serie di malintesi hanno fatto si che in Italia per "agrienergia" si intenda di solito soltanto energia elettrica prodotta con la biomassa, che è un modo estremamente inefficiente di usare il terreno agricolo. Non solo, ma gli stessi malintesi hanno fatto si che nell'ultimo decreto sul conto energia si penalizzino le installazioni a terra, che sarebbero quelle che le aziende agricole potrebbero fare con il massimo profitto.

Ci vorrà tempo, come sempre.


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Siamo Cicale o Formiche?


La cicala che imprudente

tutta estate al sol cantò,

provveduta di niente

nell'inverno si trovò,

senza più un granello e senza

una mosca in la credenza.

Compri oggi e paghi quasi quando vuoi. E se non hai i soldi, che problema c’è? Esiste più di una soluzione per saldare il debito secondo le modalità più comode e vantaggiose. E’ questo il messaggio che sempre più frequentemente arriva nelle case degli italiani attraverso spot pubblicitari, maxi offerte e vendite promozionali messe in atto da ogni tipo di esercizio commerciale, dai grandi magazzini ai negozi di elettronica, dai mobilifici alle concessionarie di auto (La Repubblica).


Stamattina su “Radio Anch’io” professori economisti, operatori finanziari, esperti del settore non hanno fatto altro che dire quanto sia positivo per l’economia indebitarsi, pagare tutto a rate, consumare, comprarsi qualsiasi cosa. Sembra che questo sia il metodo più moderno al mondo per aumentare i consumi e fare "girare" l'economia. Ma quando arriverà la crisi "post peak", quella che quasi nessuno si aspetta o alla quale quasi nessuno crede, che succederà? Come faranno tutte le persone indebitate con mutui ventennali o trentennali o addirittura quarantennali a pagare i propri debiti? e le banche in periodo di crisi una volta pignorati gli appartamenti delle persone insolventi a chi li venderanno?

Stiamo a vedere

Toufic



martedì, marzo 27, 2007

La soluzione letale


George Monbiot non ci va con mano leggera nel suo articolo sul Guardian del 27 Marzo dedicato ai biocombustibili, intitolato "La Soluzione Letale".
Qui di seguitoi, ecco alcuni passaggi tradotti per rendere l'idea.


In teoria, i combustibli fatti dalle piante possono ridurre l'ammontare di biossido di carbonio emesso da automobili e veicoli commerciali. Le piante assorbono il carbonio quando crescono, lo rilasciano di nuovo quando il combustibile viene bruciato.


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Cosa c'è di sbagliato? Una cosa è che questi programmi (per i biocombustibili)sono la formula per un disastro ambientale e umanitario. Nel 2004, questa colonna aveva avvertito che i biocombustibili avrebbero dato luogo a una competizione per il cibo fra le automobili e la gente. La gente avrebbe perso per forza. Quelli che possono permettersi di guidare sono, per definizione, più ricchi di quelli che sono in pericolo di morte per fame. Porterebbe inoltre alla distruzione della foresta pluviale e di altri importanti habitat.

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Dall'inizio dell'anno scorso, il prezzo del mais è raddoppiato. Il prezzo della farina ha anche raggiunto il suo massimo negli ultimi 10 anni e le scorte globali di tutte e due i cerali hano raggiunto i livelli più bassi degli ultimi 25 anni. <..> Secondo la FAO, la principale ragione è la richiesta di etanolo come combustibile, che può essere fatto sia dal mais come dalla farina.

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L' ONU ha appena pubblicato un rapporto secondo il quale il 98% della foresta pluviale in Indonesia sarà degradato o scomparso al 2022. Solo cinque anni fa, la stessa agenzia non lo prevedeva fino al 2032. Ma non avevano fatto i conti con le piantagioni di olio di palma che producono biodiesel per il mercato europeo.

Leggi tutto nell'originale

Può darsi che, se usati con criterio, i biocombustibili non siano una cosa così terribile come dice Monbiot; comunque il dubbio resta che non abbia tutti i torti. Per approfondire, andate a vedervi la campagna contro i biocombustibili a www.biofuelwatch.org.uk.




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lunedì, marzo 26, 2007

Il grande ventaglio del futuro

Debora Billi, la "signora del petrolio" non è soltanto preparatissima sul suo argomento, ma è anche capace di intuizioni fulminanti che ti aprono tutto un mondo che non ti saresti neanche immaginato senza il suo aiuto.

Recentemente, Debora ha pubblicato un post eccezionalmente interessante intitolato "ma non avremo letto troppa fantascienza?" dove si domanda se ci sia un denominatore comune fra quelli che si interessano di picco del petrolio, i "picchisti," che permette loro di vedere cose che gli altri non vedono. Debora ritiene di averlo trovato da una sua inchiesta informale che ha fatto durante ASPOItalia-1. Sembrerebbe che questo elemento comune dei picchisti sia di essere, o essere stati, avidi lettori di fantascienza.

Debora potrebbe aver centrato qualcosa che va in profondità nel modo di pensare di alcuni di noi. Leggendo il suo post, mi è venuto quello che si dice il "flash" di comprensione, la classica lampadina che si accende quando i personaggi dei fumetti hanno un'idea.

Le idee, si sa, vengono quando si accostano cose apparentemente diverse, scoprendone le similarità e le relazioni. Questa è la definizione di creatività; le idee non ti arrivano dalle muse ma sono soggette anche loro a un feedback positivo, più idee accosti fra di loro, più te ne vengono. Allora, l'accostamento qui è fra il "corpus" della letteratura fantascientifica e la "pianificazione per scenari", un'idea che si fa risalire a Pierre Wack della Shell Oil che usò il metodo nei primi anni '70 per prevedere la grande crisi del petrolio che cominciò nel 1973. Si, la crisi che sorprese tutti a quel tempo in realtà era stata ampiamente prevista e qualcuno ci fece sopra anche dei bei soldi; ma questa è un'altra storia.

La pianificazione per scenario è la formalizzazione di un'idea molto vecchia che, in fondo, sta nella testa di tutti noi. Consiste nel preparare una serie di "storie" riguardo a quello che potrebbe succedere nel futuro. E' una cosa che facevamo da bambini ("facciamo finta che....") ma che si può fare sistematicamente. E' anche una cosa che fanno comunemente i militari per essere preparati di fronte agli eventi ed è stata la base dello studio del 1972 "I Limiti dello Sviluppo".

In sostanza, si tratta di creare un "ventaglio di scenari." Usando metodi matematici o pura intuizione si creano una serie di catene di eventi che ti portano in un futuro plausibile. Nessuno di questi futuri è una predizione, ancora di meno una profezia. E' semplicemente uno scenario che ti mette in grado di affrontare il futuro senza esserne sorpreso. Come si sa, la fortuna arride a chi è preparato.

Borges diceva che tutta la letteratura umana è un unico grande libro scritto a più mani. Potrebbe darsi che tutta la fantascienza sia un unico grande esercizio di pianificazione strategica scritto a più mani. La fantascienza risale come idea a più di un secolo fa, ma ha avuto la sua grande espansione a partire dagli anni '30 del ventesimo secolo, a partire dal momento in cui il progresso tecnologico diventava sempre di più parte della vita di tutti. Diventava vitale, a quel punto, prepararsi per il futuro. L'umanità ci ha messo a lavorare sopra un certo numero di menti brillanti e il risultato è stato un "corpus" di scenari che si sono evoluti per quasi un secolo e si stanno ancora evolvendo.

Alcuni di noi, sono vissuti con quegli scenari in mente. Nella nostra vita, abbiamo visto cambiare quegli scenari. Via via che l'umanità si muoveva verso il futuro, alcuni scenari diventavano sempre meno probabili e venivano abbandonati. L'idea che gli esseri umani avrebbero esplorato lo spazio e colonizzato i pianeti vicini è progressivamente scomparsa; mentre sono in ascesa le idee parallele dell'olocausto nucleare o batteriologico, oppure della presa del potere delle intelligenze artificiali. Il futuro è una destinazione che non raggiungiamo mai, ma verso la quale ci dirigiamo sempre.

Ora, l'atteggiamento verso il futuro dipende da come uno si è abituato a considerarlo. Per una certa frazione di umanità, il futuro è statico: è la profezia. Se leggete i vangeli o la Bibbia, vedrete che è comune la frase "e questo avvenne perché si avverasse la profezia...." Chi ragiona in questi termini vede il mondo come statico, determinato, prevedibile. E' un modo di vedere tipico di periodi in cui le cose non cambiavano molto in fretta. Per un'altra frazione di umanità, il futuro è dinamico, è il ventaglio degli scenari. Chi ragiona in questi termini vede il mondo come variabile, influenzabile, sempre diverso. E' il modo di vedere tipico dei nostri tempi, in cui le cose cambiano terribilmente in fretta.

Il modo di atteggiarsi verso la vita di queste due categorie di persone è completamente diverso. Il primo gruppo tende a forzare la realtà entro le proprie teorie, e se ci sono problemi, tanto peggio per la realtà. Il secondo varia continuamente le proprie teorie per adattarle alla realtà. I "picchisti" ne fanno parte in pieno. E' perfettamente possibile che la nostra esposizione alla letteratura fantascientifica ci abbia preparati a mantenere quella flessibilità mentale necessaria per andare controcorrente. Con questa flessibilità siamo arrivati a capire prima degli altri come la teoria del picco si adattava perfettamente a una realtà in movimento che non era più la realtà della crescita infinita che era (ed è tuttora) il paradigma generale.

In un mondo che cambia a velocità pazzesca, la flessibilità e la capacità di cambiare idea sono doti vitali - chi non è preparato per il futuro, lo subisce. I picchisti sono gente che quando arriva lo tsunami hanno una tavola da surf a portata di mano.

Mitica Debora!



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venerdì, marzo 23, 2007

Rinnovabili contro nucleare, chi vince?

C'è voluto un po' di tempo prima di capire la centralità della questione energia, ma alla fine sembra che ci stiamo arrivando. Il dibattito non solo è in corso, ma sta diventando sempre più urlato. Cosa dobbiamo fare? Sembra ormai assodato che dobbiamo abbandonare i vecchi combustibili fossili; ma è meglio passare al nucleare? Oppure investire sulle rinnovabili?

Ognuno dice la sua e molto del dibattito consiste nel denigrare le soluzioni presentate dagli altri. Per molti ambientalisti, il nucleare è il demonio incarnato, mentre per i nuclearisti le rinnovabili sono al massimo dei giocattolini divertenti, ma non seri. Per entrambi, la soluzione è ovvia se solo gli oppositori ragionassero, invece di basarsi sulle ideologie.

Possiamo cercare di valutare la cosa oggettivamente, al di là dell'urlio quotidiano sulla stampa? Si, ci sono dei criteri scientifici che permettono di valutare le tecnologie energetiche per le loro reali prestazioni. Questi criteri non possono basarsi solo sul prezzo dell'energia prodotta; il prezzo è una variabile che dipende da troppe cose: sovvenzioni, investimenti pregressi, percezione del mercato, oscillazioni, conversioni monetarie, eccetera. Quello che oggi costa poco, potrebbe costare tantissimo domani.

Invece, se lo scopo di una tecnologia è di produrre energia, possiamo valutarla da quanta energia consuma per unità di energia prodotta. Ovvero quanta energia utile può produrre l'impianto comparato a quanta ce ne vuole per costruirlo, manutenzionarlo e poi smantellarlo. Questo concetto viene detto "energia netta" o "ritorno energetico" (EROEI) e non è influenzato dalle follie dei mercati o dalle sovvenzioni statali. La tecnologia migliore è quella che produce la maggiore "energia netta" o EROEI.

Ciò detto, si tratta di andare ad analizzare le varie tecnologie, nucleare, rinnovabili, eccetera, secondo questo criterio. La cosa è piuttosto complessa, ma si può fare. Fra i vari studi recenti, l'università di Sidney ha pubblicato nel novembre 2006 uno studio molto accurato (vedi nota) dedicato più che altro a un esame delle prospettive dell'energia nucleare in Australia ma dove si comparano anche le altre prospettive, ovvero le rinnovabili e i combustibili fossili.

E' un lavoro molto impegnativo di 181 pagine; detto in altri termini, un bel mattone. Vale la pena, però di darci un occhiata, anche se è dura sorbirselo tutto. Cosa è meglio? Il vecchi fossili, il nucleare o le rinnovabili? I risultati sono molto interessanti; soprattutto perché basati su dati aggiornati e ben documentati.

I ricercatori dell'università di Sidney non calcolano direttamente l'EROEI ma piuttosto un parametro che chiamano "intensità energetica" che è il rapporto fra l'energia termica necessaria e l'energia elettrica generata. Così come è definito, il parametro penalizza le energie fossili, ma è equivalente all'inverso dell'EROEI sia per il nucleare come per le rinnovabili. Così, possiamo prendere i dati della tabella che troviamo a pagina 158 del rapporto e riportarli translati in EROEI.

Tenete presente che più alto è il valore dell' EROEI migliore è la tecnologia. Ecco qua i dati:

tecnologia ......................................EROEI

Nucleare, acqua leggera ..............5.5 (2.5 - 6.2)
Nucleare, acqua pesante .............5.0 (2,8 - 5.5)
Turbine eoliche..........................15.1 (8.3 - 24)
Fotovoltaico .............................3.0 ( 1.5 - 6.2)
Mini-idro ..................................21.7 (7.3 - 50)

Questi risultati non vanno presi come vangelo, altri studi nella letteratura danno risultati leggermente diversi (per esempio, molti studi danno un EROEI migliore per il fotovoltaico). Tuttavia , questa tabella ha un notevole valore in quanto tutti i dati sono stati ottenuti con lo stesso metodo. In questo differisce dalle molte compilazioni di dati tratti da lavori di autori diversi; pertanto possiamo utilizzarla per fare un confronto significativo.

Allora, fra nucleare e rinnovabili, chi vince? Il risultato è forse inaspettato se ci si rifà al dibattito (chiamiamolo così) che si può leggere sui giornali, ma in realtà conferma altri dati che si trovano nella letteratura seria. Fra nucleare e rinnovabili, le rinnovabili in forma di vento e idroelettrico vincono nettamente. Il fotovoltaico rimane un pò indietro ma non di molto.

Questi dati vanno anche visti in termini dinamici, ovvero come varieranno nel tempo. Qui, ci possiamo aspettare sostanziali progressi tecnologici sia nel campo dell'eolico (per esempio con lo sviluppo del kitegen) del fotovoltaico (nuove generazioni di celle) e anche del nucleare (con la "terza generazione"). Tuttavia, le rinnovabili hanno il vantaggio di fondo sul nucleare che non hanno bisogno di combustibili. Il progressivo esaurimento dei minerali estraibili di uranio è destinato a ridurre l'EROEI della tecnologia della fissione fino a renderla del tutto non competitiva in confronto alle rinnovabili. Certo, forse un giorno saranno disponibili nuove e più efficienti forme di energia nucleare, ma per il momento le energie rinnovabili sembrano la scommessa migliore per affrontare il futuro.

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Nota del 9 dicembre 2007. Lo studio dell'università di Sidney citato in questo post si trovava inizialmente a questo link:

Life-Cycle Energy Balance and Greenhouse Gas Emissions of Nuclear Energy in Australia,

A study undertaken for the Department of Prime Minister and Cabinet of the Australian Government,

ISA, The University of Sydney, 3 November 2006,

http://www.dpmc.gov.au/publications/umpner/docs/commissioned/ISA_report.pdf

Questo link non funzionava a Novembre; quando una ricerca su internet ha ritrovato lo stesso documento a

http://www.dpmc.gov.au/umpner/docs/nuclear_report.pdf

che pero' a una ricerca fatta il 9 Dicembre 2007 è stato trovato non esistere più nemmeno quello. Emilio Martines mi segnala che il documento si trova adesso a:

http://www.isa.org.usyd.edu.au/publications/documents/ISA_Nuclear_Report.pdf

Ho qualche sospetto (scusate il complottismo) che questi rimbalzi siano dovuti al fatto che i risultati dello studio non sono troppo lusinghieri per l'industria nucleare. Se sparisce di nuovo, fatemelo sapere, ne ho una copia sul mio hard disk (U.B.)




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giovedì, marzo 22, 2007

Ancora sul picco dell'uranio

Arriva una discussione interessantissima sul "picco dell'uranio" su "The Oil Drum". La figura qui sopra aggiorna alcuni dati che erano già stati presentati sul blog ASPOItalia da Pietro Cambi.

Come vedete, siamo in presenza di un deficit di uranio minerale che continuerà almeno fino al 2020 anche nelle ipotesi più ottimistiche. E anche se si riuscira a far pari con la domanda nel 2020, questo avrà in ogni caso breve durata. Il picco è previsto verso il 2040.

Notate anche come, con tutta la buona volontà, il "reference scenario" della IEA non mostra niente che potrebbe essere considerato come un'espansione della produzione di energia nucleare a livelli tali da avere un'effetto sulla probabile futura carenza di petrolio. Come si era già detto più volte su ASPO-Italia, le risorse di uranio estraibili consentono di mantenere l'attuale parco reattori, al meglio espanderlo leggermente. Si può considerare l'energia nucleare come una risorsa utile per passare li periodo di transizione, si può pensare che il picco si possa spostare in avanti con uno sfruttamento migliore delle risorse, ma non si può pensare di sostituire il petrolio con l'uranio. (o, perlomeno, non per dare energia a tutti ai livelli attuali)

E' istruttivo anche leggere i commenti sul sito di TOD: i nuclearisti hanno reagito molto male, nel senso di scortesia e insulti, alla presentazione di questi dati. Sembra che per molti sia un articolo di fede che le risorse di uranio siano "infinite" o comunque basteranno "per millenni". Apparentemente hanno un approccio calcistico al problema energetico; tifano per l'uranio come si potrebbe tifare per una squadra di calcio. C'è chi è di fede giallorossa, c'è chi di fede semplicemente gialla (come il colore dello "yellow cake", l'ossido di uranio).



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Buon Norouz a tutti



Con la festività del Norouz, in Iran siamo entrati da ieri nell'anno 1386. Il Norouz è una festività molto antica, ne potete trovare una descrizione, per esempio, qui.

La festività del Norouz coincide anche con l'anniversario della nazionalizzazione del petrolio iraniano, che avvenne nel Marzo del 1951 ad opera, fra gli altri, di Mohammed Mossadeq che divenne primo ministro contemporaneamente alla nazionalizzazione. A quel tempo, l'ENI di Enrico Mattei ebbe un ruolo importante nello sviluppo dell'industria iraniana; è una storia lunga e complessa che si sta tuttora svolgendo.

A più di 50 anni di distanza dalla nazionalizzazione, l'Iran è ancora uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio. Tuttavia, l'Iran si trova anche in una situazione molto difficile; mentre l'aumento dei prezzi del petrolio ha generato un flusso importante di risorse; allo stesso tempo l'aumento dei consumi interni sta facendo diminuire le capacità di esportazione del paese.

Come alternativa al petrolio e al gas, l'Iran ha poco carbone (e di cattiva qualità), nonché una modesta produzione di energia idroelettrica. L'Iran ha discrete risorse di uranio, anche se non abbondantissime; per cui una possibile strategia per ridurre il consumo interno di petrolio potrebbe essere lo sviluppo di centrali nucleari. Ma l'energia nucleare porta con se problemi politici immensi, come tutti sappiamo.

Probabilmente, la cosa migliore per l'Iran sarebbe lo sviluppo di energia rinnovabile, ma sembra che per adesso non si facciano molti sforzi in questo senso. Sembra che il governo iraniano, come molti altri governi, incluso quello italiano, non riesca ancora a vedere l'immenso potenziale dell'energia rinnovabile. E' un peccato, perché l'energia rinnovabile sarebbe un ottimo investimento per i ritorni delle esportazioni del petrolio. Ci vorrà un po' di tempo, ma prima o poi sarà una cosa ovvia per tutti.

Può darsi che le esportazioni di petrolio iraniane siano destinate a declinare nel prossimo futuro. Tuttavia, nel probabile declino generalizzato della produzione mondiale, l'Iran è destinato a rimanere uno dei massimi esportatori petroliferi ancora per molti anni.

Ma perché sempre parlare di petrolio? L'Iran è anche una zone abitate più antiche del pianeta, una culla della civiltà, un tesoro mondiale di poesia e letteratura, un'immensa ricchezza di cultura. Apprezziamolo per queste cose che, a differenza del petrolio, non finiranno mai!

Così, buon Norouz a tutti!




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mercoledì, marzo 21, 2007

Il picco del petrolio si è già "consumato"


Un articolo di Sara Capuzzo su "La Scossa" riprende e espande la presentazione di Ali Morteza Samsam Bakhtiari a ASPOItalia-1 il 10 Marzo scorso.

Siamo ormai alla svolta. Confortato dai dati di estrazione che ha collezionato in quarant'anni di esperienza nel settore petrolifero, l'esperto iraniano Ali Morteza Sam Sam Bakthiari, intervenuto al convegno "Energia, materie prime e ambiente" organizzato da ASPO Italia (Firenze, 10 marzo 2007), ne è fermamente convinto. Se nel 1972 si fosse dato ascolto alle teorie del Club di Roma sui limiti dello sviluppo e sulla limitatezza delle risorse oggi non saremmo qui a confrontarci sul picco del petrolio. Apostrofando "i grandi" che trent'anni fa hanno ignorato e calunniato il messaggio lanciato da Aurelio Peccei e dallo stesso Club di Roma, Bakthiari ha paragonato l'ottusità degli ultimi decenni a quella degli abitanti di Pompei (79 d.C.) che scelsero di non prestare attenzione al monito dei brontolii della terra, con le sciagurate conseguenze a tutti ben note.

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martedì, marzo 20, 2007

Metterselo bene in zucca



Uno degli iscritti ad Aspo Italia, Fisico, ha appena scritto "Nel mondo non c'e' piu' spazio per chi dice ce n'e' in abbondanza".
Lui si riferiva all'uranio ma questa frase andrebbe scritta a lettere cubitali ad ogni angolo di strada, ribadita ad ogni convegno, declamata da poeti, cantori, mentori e politicanti di tutte le risme.

Insomma non c'e' quasi nulla, su questa Terra di cui si possa dire che ce n'e' in abbondanza.

Bisognerebbe metterselo bene in zucca

Quasi.

Parliamo pur sempre di elemnti naturali, materie prime e risorse in genere.
Crudeltà, Cecità dogmatica, Stupidità invece abbondano.

Detto questo inviterei i difensori del nucleare o quelli che semplicemente pensano che, alla fin fine, sarà il nucleare a toglierci dalle peste a dare un occhio al seguente grafico:


Tratto da qui:
E' l'andamento del prezzo dell'Ossido di Uranio in Dollari alla libbra ( mezzo kg scarso).
A parte il fatto che all'estremo destro del grafico bisognerebbe aggiungere un pezzettino "pregnante" relativo agli ultimi due mesi, visto che siamo arrivati a 91 $ alla libbra, mi sembra Importante osservare una cosa fondamentale, che non viene mai a sufficienza ribadita dagli
"analisti" economici.
Il prezzo del petrolio, essendo di gran lunga la fonte energetica prevalente nell'economia mondiale, GUIDA gli altri prezzi.
Insomma: il carbone il gas ed ANCHE il nucleare devono essere competitivi con il prezzo del petrolio e quindi, se questo sale, si porta dietro gli altri, a prescindere dalla scarsità o meno di questi ultimi.
Sintesi :
Non sappiamo se l'Uranio abbia già raggiunto il suo picco di capacità produttiva ( alcuni coomentatori ed analisti ritengono di si) ma in ogni caso sappiamo e PER CERTO che il suo prezzo continuerà a salire almeno fino a che salirà quello del petrolio.
Come facciamo a saperlo con "certezza" ?
Ma perchè è già successo, ad esempio nel 1974 ai tempi della prima crisi energetica che, come sappiamo fu dovuta prevalentemente a fattori politici.
L'energia non sara' mai più a buon mercato come negli anni passati, petrolio, gas, carbone, uranio eolico o fotovoltaica che sia.
Chi fa i piani energetici dei paesi ( del NOSTRO paese) dovrebbe metterselo bene in zucca.




lunedì, marzo 19, 2007

L'Iraq è lontano: ferrovie e oleodotti fra Europa e Medio Oriente



Quando si sente parlare dell'Iraq in televisione sembra che parlino di un posto sull'altra faccia della Luna. Eppure, non è tanto lontano. Ci si potrebbe andare via terra senza quasi bagnarsi i piedi, a parte lo stretto del Bosforo. Ma i collegamenti con l'Iraq sono sempre stati pessimi. L'Orient Express, che connetteva Londra a Istambul, sarebbe dovuto arrivare fino a Baghdad ma nonostante molti tentativi e molti sforzi, la linea non è mai stata completata.

Un articolo di Ugo Bardi pubblicato su www.aspoitalia.net esamina la storia delle connessioni fra Europa e Iraq; una storia che si snoda fra guerre e conflitti geopolitici di ogni genere che, fino ad oggi, hanno tenuto lontano in Medio Oriente dall'Europa. Ancora oggi, non esiste un oleodotto che connetta direttamente l'Iraq con i paesi che potrebbero essere i suoi migliori clienti: i paesi europei.

L'articolo è disponibile in formato pdf



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Re Carbone contro Re Petrolio, chi vince?

Il ritorno del carbone è un fatto evidente; ce ne accorgiamo fra le altre cose per le notizie degli incidenti nelle miniere, l'ultimo dei quali recentissimo in Siberia.

Ma "Re Carbone" sta veramente insidiando "Re Petrolio"? Mettendo le cose in prospettiva, sulla stessa scala in "Esajoules" (EJ), vediamo che la produzione mondiale di energia dal carbone è ancora lontana da quella del petrolio.

I dati per il carbone nella figura sono presi da fonti standard su internet, mentre quelli per il petrolio sono presi da ASPO e includono un estrapolazione per il futuro. Se il carbone continuerà a crescere e il petrolio seguirà la curva di Hubbert, come ci si aspetta che faccia, ci possiamo aspettare che Re Carbone prima o poi detronizzi Re Petrolio, ma non prima del 2020.

Ma siamo sicuri che il carbone continuerà a crescere? In realtà, nessuno lo sa con esattezza; non esistono "forecasting" delle tendenze produttive del carbone paragonabili a quelle che abbiamo per il petrolio. Le risorse di carbone sono - in teoria - molto abbondanti; ma sono abbondanti in termini di carbone di cattiva qualità, difficile da estrarre e localizzato in zone lontane e impervie. Non è affatto detto che il carbone continui a crescere nel futuro come ha fatto finora. Più di così, per ora non possiamo dire.



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sabato, marzo 17, 2007

Lo scoppio della bolla immobiliare: ci siamo?

Si parla molto della sopravvalutazione degli immobili, ovvero di prezzi che sarebbero molto superiori al valore reale - secondo la banca centrale europea di circa il 25%. Da qui nasce il discorso della "bolla immobiliare" che potrebbe scoppiare da un momento all'altro con il conseguente crollo dei prezzi. Molti sono però scettici su questo punto. Il mercato immobiliare, il beneamato "mattone"ci appare una cosa così solida, così ben nota, così consueta che pensare che possa crollare sembra altrettanto assurdo di come potrebbe essere immaginarsi il Papa che scappa in Brasile con una ballerina.

E, in effetti, ci sono delle buone ragioni per vedere il mercato immobiliare come una sicurezza. Guardate i prezzi degli immobili in Italia degli ultimi 30 anni (dal Sole 24 ore):


Dato "100" il valore di un immobile nel 1971, secondo questi dati valeva circa 35 volte tanto nel 2003. Non c'è male ma, attenzione, questi sono dati che non tengono conto dell'inflazione. Se la prendiamo in considerazione, le cose cambiano notevolmente (da incentivionline.mcc.it):


A parte i due picchi nel 1974 e nel 1980, che corrispondono a momenti di alta inflazione dovuti alla crisi del petrolio, l'aumento dei prezzi degli immobili c'è stato anche in termini reali, ma non è più così spettacolare. In questa serie di dati, l'aumento dei prezzi non corretto per l'inflazione dal 1970 al 2005 è di circa 20 volte, corretto per l'inflazione è solo poco più di un fattore 2; per l'esattezza in 40 anni dal 1965 al 2005 è stato di un fattore 2.3. Calcolandoci l'interesse composto, questo vuol dire che una casa comprata nel 1965 ha reso circa il 2.1% di interesse reale (al netto di inflazione) all'anno in termini di aumento del valore immobiliare. Non poi tantissimo, anzi è molto poco, considerato quello che costa un mutuo.

D'altra parte, è anche vero che, se il rendimento speculativo non è stato spettacolare, bisogna aggiungere che dalla casa uno può prendere un affitto da un inquilino oppure, dalla propria casa, uno risparmia sull'affitto. Ma, a compensazione di questo vantaggio, dobbiamo tener conto della manutenzione dell'immobile e delle tasse catastali. Ne consegue che la resa monetaria di un immobile è modesta. Tuttavia, come si diceva, la casa è sempre li', è solida, è il mattone, è qualcosa che resta e, in fin dei conti, si rivaluta.

Quindi, se possiamo supporre che le cose rimarranno le stesse nel futuro come sono state negli ultimi quarant'anni, la casa rimane un buon investimento; non è la stessa cosa che speculare nei futures, ma, insomma, conviene. Ovvero, se le cose rimarranno così per altri quaranta anni.... ma ne siamo veramente sicuri?

Nell'ultimo periodo, in effetti, la tendenza agli aumenti dei prezzi degli immobili si è molto ridotta. Un recente studio del FIAIP (Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali) indica che l'aumento dei prezzi nel 2006 è stato di circa l'1.7% ovvero meno dell'inflazione. In sostanza, in termini reali le case non sono aumentate per niente di prezzo quest'anno, anzi sono leggermente diminuite.

E' questo l'inizio della temuta esplosione della "bolla immobiliare"? Mah? C'è chi se la aspetta a breve termine e chi dice che non ci sarà mai. Non sappiamo bene come si comporterà il mercato nel futuro. Può darsi che con il peggioramento della crisi del petrolio già in atto gli Italiani corrano con ancora maggiore foga verso il loro bene-rifugio preferito, il mattone, facendone aumentare i prezzi di nuovo, come è già successo negli anni '70. Oppure può darsi che questa crisi sia più pesante di quella degli anni '70 e che causi, per esempio, un'inversione di tendenza dell'immigrazione verso l'Italia. Accoppiando questo fenomeno alla stagnazione demografica e all'esplosione di edificazione di case degli ultimi anni ci si potrebbe trovare di fronte a un tale eccesso di offerta di immobili che i prezzi crollerebbero in modo vertiginoso. La situazione potrebbe essere veramente disastrosa per quelle case che si trovano distanti dai mezzi di comunicazione pubblica e i cui abitanti si troverebbero ad essere pesantemente colpiti dall'aumento dei costi del trasporto. Peggiore ancora sarebbe la situazione di edifici costruiti con scarso isolamento termico che mal sopporterebbero gli aumenti di prezzi del riscaldamento e del raffreddamento.

Tutte le ipotesi sono buone - ma l'investimento negli immobili potrebbe essere l'esatto contrario di quello che viene ritenuto normalmente; ovvero un investimento estremamente rischioso. In fondo, è un investimento di tipo speculativo e gli investimenti speculativi sono, di norma, "giochi a somma zero", ovvero si guadagna sulla perdita di un altro.

Volete invece un investimento veramente sicuro? Pensate a un impianto fotovoltaico. Ci metterà il suo tempo a rendere, ma non è un investimento speculativo. Comunque vada, per l'energia elettrica ci sarà sempre un mercato - niente rischio di "scoppio della bolla". In effetti, corredare una casa di un impianto fotovoltaico sul tetto o in giardino è un paradigma completamente diverso della gestione dell'immobile; non più rendita immobiliare (ovvero speculativa) ma rendita reale, ovvero che deriva dalla produzione di un bene che si può vendere (elettricità). Un giorno ci sembrerà ovvio che i tetti delle case servano a questo più che a riparare la gente dalla pioggia.



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Il Mucchio Selvaggio


Si dice spesso che gli accademici italiani non sanno fare divulgazione. Non è vero. Una dimostrazione è questo bel libro di recente pubblicazione, scritto da Antonio Cavaliere, docente presso l'Università "Federico II" di Napoli.

Cavaliere ha affrontato un tema ostico e difficile, quello dei rifiuti, è l'ha trattato in modo magistrale. Leggibile, comprensibile, addirittura affascinante; "Il Mucchio Selvaggio" è un compendio di quello che si sa sui rifiuti e di come di fronte ai rifiuti ci dovremmo comportare.

Un testo così è particolarmente utile in un periodo in cui di rifiuti si discute molto e, purtroppo, quasi sempre a un livello bassissimo, riducendo tutta la questione a una polemica fra inceneritoristi e anti-inceneritoristi.

Chiaramente, Cavaliere non ama molto gli inceneritori ma, realisticamente, si rende conto che in certe situazioni non se ne può fare a meno. In casi di aree fortemente degradate, come in Campania, gli inceneritori sono comunque meglio delle discariche illegali gestite dalla camorra. Qui, leggiamo un'interessantissima discussione di una situazione che è stata descritta nel recente libro di Roberto Saviano "Camorra". Per chi non ha esperienza diretta della situazione, è difficile dire quanto nel libro di Saviano sia reale e quanto sia romanzo. Ma Cavaliere conferma nel capitolo "le mani sull'immondizia" che la camorra gestisce le discariche campane e che la lotta "spontanea" contro gli inceneritori è in realtà pagata dalla camorra per evitare di perdere il controllo di un'attività estremamente lucrativa. E al diavolo la salute della gente.

Comunque si vedano le cose, è chiaro a Cavaliere, come lo dovrebbe essere a tutti noi, che la gestione dei rifiuti va ben oltre lo sterile scontro fra inceneritoristi e antiinceneritoristi. E', soprattutto, un problema che va affrontato a tutti i livelli e specialmente a livello domestico dove si può fare molto per ridurre la quantità di rifiuti che si producono. Cavaliere è particolarmente favorevole al concetto di restituzione (ovvero, per esempio, la restituzione delle bottiglie vuote), un concetto che sicuramente molti di noi accetterebbero con entusiasmo ma che non possiamo mettere in pratica se non ci sono le strutture per farlo. In sostanza, il problema dei rifiuti è un problema di gestione.

L'unico punto in cui mi sento di fare una critica al libro di Cavaliere è nella mancanza di una descrizione del ciclo dei rifiuti in termini di "ecologia industriale," ovvero correlare la generazione dei rifiuti a tutto il ciclo di produzione industriale che parte dall'estrazione dei minerali e delle risorse energetiche. Questa è una visione che spesso manca a chi si occupa professionalmente di rifiuti: sanno tutto su come smaltirli, ma si preoccupano meno di come e perché i rifiuti sono creati dal sistema industriale. Ma è anche vero che non è corretto criticare un libro per le cose che non dice, per cui mi sento di consigliarne la lettura a tutti; specialisti e semplici cittadini interessati.

Infine, con questi libri c'è sempre il solito problema: il sistema editoriale italiano scoraggia in pratica la produzione di libri come questo: belli, utili e interessanti, ma va a finire che vengono completamente ignorati. Questo libro l'ho cercato nelle librerie, ma non si trova e alla fine l'ho dovuto barattare con l'autore in cambio di un mio libro sul petrolio - che anche quello non si trova nelle librerie. Scrivere un libro è un grande impegno e richiede moltafatica E' scoraggiante vedere come ottimi lavori come questo di Cavaliere finiscano per passare inosservati. Ma non è neanche colpa degli editori, sono gli Italiani che leggono poco. Siamo nell'era della televisione. Che ci possiamo fare? Beh, "Il Mucchio Selvaggio" lo possiamo comprare su internet, per esempio a http://www.libreriauniversitaria.it, una serata passata a leggerlo è una serata di meno davanti allo schermo che ci rincretinisce



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venerdì, marzo 16, 2007

Il Picco e l'Unione Sovietica

Riceviamo da Eugenio Saraceno questo interessante post di soggetto geopolitico. Per approfondire l'argomento degli effetti del picco del petrolio sull'economia sovietica, si veda per esempio un articolo di Douglas Reynolds e una presentazione di Marek Kolodzej.

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Riflessioni sulla transizione dell'economia pianificata sovietica verso l'economia di mercato, le conseguenze del picco della produzione di risorse.

Eugenio Saraceno
eugeniosaraceno@yahoo.it

Quando si discute dello stato ad oggi dell'economia russa si deve considerare che ai tempi di El'cin gli economisti della "scuola di Chicago" imposti come consulenti al governo russo come contropartita per la concessione di aiuti FMI, ne hanno attuato una scientifica distruzione mediante l'imposizione di liberalizzazioni (che altro non erano che svendite degli asset di valore ad "oligarchi" prestanome di grandi gruppi finanziari occidentali) dell'economia sovietica risultante nel default del '98.

La distruzione dell'economia è avvenuta appunto privatizzando le attività economiche una volta monopoli di stato che potevano generare dei profitti (sostanzialmente energia e materie prime) e lasciando in mano allo stato tutte le attività in perdita, che venivano ripianate grazie ai prestiti del FMI. In particolare si noti che tutti i grandi oligarchi del periodo eltsiniano erano oscuri funzionari della pubblica amministrazione che improvvisamente si ritrovano in mano fondi e fidejussioni tali da poter rilevare gigantesche imprese di stato. L'amministrazione El'cin non poteva opporsi a questi prestanome che operavano con capitali esteri ed all'estero trasferivano la gran parte dei profitti, per via del fatto che gli operatori finanziari internazionali interessati a rilevare gli asset ex sovietici erano gli stessi che influenzano il FMI nella politica di concessione dei prestiti di cui El'cin aveva assoluta necessità per far fronte alla spesa pubblica, ma probabilmente anche perchè gli esponenti politici russi erano cooptati nel sistema e beneficiavano dei reciproci favori degli oligarchi.

Meccanismi analoghi sono stati messi in atto anche in altre repubbliche, si pensi ad esempio alla carriera dell'attuale presidente Ucraino Yushenko, anche lui oscuro funzionario pubblico assurto alla direzione della Banca centrale Ucraina e la cui moglie negli anni '80 e '90 lavorò al Dipartimento di Stato e al ministero del Tesoro per i governi Reagan e Bush padre.

In parallelo servizi segreti anglo americani con l'appoggio di alcuni paesi islamici portavano avanti la strategia di dissoluzione politica della federazione russa, finanziando i guerriglieri ceceni (che in molte fasi della guerra si appoggiavano alla vicina Georgia, posta sotto la protezione Usa, penetrando poi nel territorio ceceno attraverso la gola del Pankisi) e e gli atti di terrorismo sul suolo russo. Nel '98, con i bassi prezzi del petrolio e i debiti sempre più ingenti, nell'impossibilità di risollevarsi lo stato russo va in default e da allora alcune lobby militari e burocratiche nazionaliste hanno cercato di invertire la tendenza, lentamente e con juicio. Il loro leader è Putin, che gode del sostegno del 70% dei russi.

Putin ha lavorato per riportare gli asset strategici sotto il controllo dell'autorità centrale. Sul fronte politico sono state ridotte le autonomie delle repubbliche (si pensi ad esempio che la reubblica autonoma cecena aveva un proprio esercito armato di tutto punto con parte degli arsenali ex sovietici con cui ha invaso una repubblica confinante provocando la prima guerra cecena) riducendo quindi la possibilità che utilizzassero le armi l'una contro l'altra o contro l'esercito federale, che vendessero asset strategici agli stranieri come stavano cercando di fare gli oligarchi eltsiniani ex governatori di province siberiane Abramovich (rifugiato a Londra non per caso) e Khodorkosky (finito in galera per evasione fiscale, come Al Capone) e infine che dessero appoggio ai terroristi che organizzavano attentati a Mosca o nel nord del Caucaso. Il rialzo dei prezzi petroliferi ha dato man forte a questa strategia rendendo disponibili le risorse finanziarie per supportare l'azione. Per queste ragioni sui media occidentali, controllati da quegli stessi gruppi finanziari ed industrali che sono stati danneggiati dal cambio di rotta a Mosca si dice quotidianamente male di Putin e della Russia.

Ora si vede chiaramente che, rimossi i vincoli, in breve la Russia ritornerà ai livelli di PIL che aveva negli ultimi anni di potere sovietico. Infatti il debito con FMI è stato quasi azzerato grazie ai proventi petroliferi e gli economisti di Chicago sono stati cacciati via, gli asset strategici come materie prime e industrie militari sono, in base alla nuova legge, cedibili agli stranieri non oltre il 49%, così l'economia russa cresce stabilmente intorno al 7% annuo e si avvia lentamente verso una fase di capitalismo misto statale/privato con nuovi oligarchi fedeli a Putin (la mafia Russa) ed un reddito procapite in crescita. Niente di diverso da quello che è accaduto ad esempio qui in Italia con la differenza che da noi è il governo a fare gli interessi dei capitalisti e da loro sembrano i capitalisti ad essere al servizio del governo. Per dettagli sull'andamento dell'economia russa nell'era Putin si veda http://www.ice.gov.it/estero2/russia/default.htm

Questa lunga premessa dovrebbe sfatare la leggenda diffusa nel mondo occidentale per cui la pianificazione sovietica è responsabile del crollo dell'economia, il crollo vero e proprio, del 30-40% in quasi tutte le repubbliche ex sovietiche, è avvenuto dal '91 in poi, in pieno regime economico di transizione al neoliberismo, come spiegato sopra. La cosiddetta crisi dell'economia pianificata sovietica che attanagliava il paese dagli anni di Breznev era in realtà una stagnazione: dopo la forte crescita del dopoguerra, in cui i paesi socialisti competevano con il blocco occidentale in quanto a tasso di sviluppo e crescita della produzione (nel blocco sovietico il calcolo del PIL non avveniva su base finanziaria, ma calcolando gli incrementi di produzione nei vari settori: acciaio, petrolio, cemento, agricoltura etc.) dai primi anni ottanta tutti i settori registrarono bassa crescita o stagnazione poichè il sistema era saturo. Per approfondimenti su questo argomento si veda anche http://it.wikipedia.org/wiki/Critiche_al_comunismo#Sviluppo_economico_e_sociale

In altre parole quel sistema, basato su priorità produttive imposte dall'alto, dopo aver raggiunto un livello di consumi di beni e servizi essenziali abbastanza uniforme sulla popolazione (a parte i privilegi concessi alla nomenklatura del partito) non era in grado di generare nuovi bisogni per far crescere l'economia, come generalmente avviene in un sistema capitalistico. Una spiegazione di tali difficoltà ci viene da una articolo sui giacimenti del Caspio e sul picco del petrolio sovietico del Prof. Ugo Bardi consultabile in http://www.aspoitalia.net/documenti/bardi/petroliocaspio2004/petroliocaspio2004.html#_edn2

La difficoltà dell'economia sovietica sopraggiunge in concomitanza con il picco della produzione petrolifera sovietica e i pianificatori del partito sapevano che questo era un vincolo grave se si voleva progettare l'aumento dei consumi allo scopo di far crescere l'economia. Si noti che gran parte della crescita economica occidentale è dovuta al settore dei trasporti, con la esplosione dell'auto privata (e delle infrastrutture connesse, compresa l'edilizia e lo sprawl urbano che consegue alla diffusione dall'auto privata) che si ha proprio negli anni in cui i sovietici iniziano ad esperire difficoltà; nel mondo sovietico l'auto privata è un lusso di pochi, gli altri usano i mezzi pubblici che comunque sono molto efficienti. Se avessero cercato di seguire i metodi di crescita, basati sull'auto privata ispirandosi a quanto avveniva nel blocco capitalista i sovietici avrebbero solo acuito le difficoltà energetiche e impiegato ingenti risorse per le infrastrutture necessarie.

L'economia sovietica si trovò dunque a metà del guado, i cittadini sovietici erano sempre più attratti dal modello consumista di oltrecortina, non perchè mancassero i prodotti di consumo, ma perchè il loro mercato imponeva in molti settori un prodotto standard omologato e progettato per minimizzare i costi: un solo tipo di detergente multiuso, un unico snack al cioccolato, poche concessioni alla moda nell'abbigliamento e via continuando. D'altra parte il complesso produttivo sovietico soffriva per dover destinare gran parte delle risorse al settore militare e spaziale, indispensabile per tener dietro allo sviluppo di quello NATO, senza questo sforzo, detto col senno di poi, avrebbe potuto sussistere il malaugurato scenario di un attacco atomico da parte di una NATO convinta di essere militarmente e tatticamente superiore.

Altro pesante vincolo allo sviluppo dell'economia sovietica fu la necessità di rifornire di derrate alimentari i paesi amici di Mosca nel terzo mondo, sempre nell'intento di tener testa al blocco filoamericano. Attualmente, pur non avendo introdotto significative migliorie in agricoltura la Russia e le altre Repubbliche ex sovietiche ed ex patto di Varsavia sono esportatori netti di derrate alimentari, ciò è dovuto al fatto che i paesi ex assistiti sono stati abbandonati negli anni '90 per la già precaria situazione interna. Si pensi al caso di Cuba, che in cambio di petrolio e derrate alimentari esportava nel blocco sovietico grandi quantità di zucchero di canna, nonostante la stessa unione sovietica avesse un enorme potenziale per la produzione di zucchero da barbabietola nelle regioni agricole dell'Ucraina.

Le logiche geopolitiche insostenibili e i limiti delle risorse disponibili nel blocco sovietico che determinavano l'impossibilità di perseguire la via ocidentale al consumismo, nonostante la crescente attrazione per il cittadino medio sovietico per tale tipo di sviluppo provocarono una situazione di stallo in cui l'insufficienza delle risorse venne tamponata gonfiando il debito estero per importare derate alimentari e risorse ponendo poi le basi per la dissoluzione politica dell'unione e per la successiva azione dei consulenti economici "sciacalli" inviati dal nemico occidentale sotto mentite spoglie per accelerare e rendere ineluttabile la fine del pericoloso antagonista.

Il processo di saturazione economica sovietica provocato dal picco di produzione delle risorse sarebbe interessante da approfondire perchè è l'esempio più vicino per capire come possa essere costruita una economia stazionaria nell'era moderna. In mancanza del nemico esterno che, fidando sulle proprie maggiori risorse, ha attirato il blocco sovietico in una corsa in cui era destinato ad esaurire per primo la propria capacità di aumentare la produzione, la stazionarietà sarebbe stata l'evoluzione probabile dell'economia pianificata sovietica, non sostenibile perchè comunque basata sui fossili, ma con consumi essenziali e popolazione costante o in diminuzione. Un modello di quel tipo di economia, basata però su fonti di energia rinnovabile e criteri di sostenibilità, magari con più libertà politica ed economica è senz'altro preferibile al caos, alla guerra ed alla strada di Olduvai ora che il picco delle risorse è in arrivo ed è globale.


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mercoledì, marzo 14, 2007

Il picco dei rifiuti?


Un'anteprima del lavoro che sto facendo con la commissione interministeriale rifiuti. Quelli che vedete qui sopra sono i dati per la generazione dei rifiuti solidi urbani (RSU) negli USA, sia globalmente come per persona. La tendenza all'aumento ha chiaramente rallentato negli ultimi anni, per i rifiuti per persona siamo chiaramente passati da un picco e siamo in declino. Sembrerebbe che le tendenze siano le stesse per l'italia, ma fatemici lavorare sopra un attimo.

La mia interpretazione? L'impoverimento generale della società costringe gli americani a "tirare la cinghia". E' vero che continuano a imperversare i vari fast food, drive in, disposable diapers, e tutto il resto; forse è anche vero che chi può genera ancora più rifiuti di prima. Ma la media si può permettere meno sprechi, da questo viene l'inversione di tendenza. Dovrebbe essere una tendenza generale in tutti i paesi industrializzati.

A sua volta, secondo me l'impoverimento è causato dall'aumento dei costi delle materie prime; il tutto è correlato al picco del petrolio che sta per arrivare; ma non è il solo picco in arrivo. Ho un modellino che sto sviluppando che dice che il picco dei rifiuti deve arrivare in contemporanea al picco delle materie prime. Sembrerebbe che tutto torni più o meno come deve. Tutto si compie....

Ma è tutto ancora molto incerto. Nessuno sembra interessato a fare forecasting della generazione di rifiuti, mi tocca lavorarci di notte, quando posso. Se qualcuno si intende di studi statistici e ha voglia di perderci tempo, mi scriva (per inciso, i membri della commissione interministeriale lavorano gratis)



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ASPOItalia-1, A che servono i convegni?


Visto che ASPOItalia-1 è finito e adesso possiamo rilassarci, pensavo di raccontarvi una piccola storia sul tema "a che servono i convegni?"

La storia risale a qualche anno fa. Ha a che fare con una mia studentessa che si era laureata in chimica a pieni voti (e anche la lode) e che cercava lavoro. Fece domanda a una grande industria e fu invitata per un colloquio. Tornata a casa, mi disse che le era parso di aver fatto benissimo al colloquio e che le avevano detto che la avrebbero ricontattata. Passato un mesetto, però, non si erano fatti vivi.

Mi capitava di conoscere piuttosto bene una persona che lavorava nella ditta dove la mia studentessa aveva fatto domanda. Interpellato per telefono, la persona rispose "si, la tua studentessa ha fatto bene il colloquio e sarebbe adattissima per lavorare da noi. Ma la politica aziendale è di non assumere donne eccetto che come segretarie".

Come vi potete immaginare, non fui particolarmente contento della risposta. Non potevo prendermela col mio contatto il quale, poveraccio, non ne aveva colpa. A parte mandare qualche accidente, la sola altra cosa che mi venne in mente fu di telefonare al comitato per le pari opportunità di un ente pubblico (regione o provincia o forse comune, non mi ricordo).

Al telefono furono abbastanza gentili. Chiesi se la mia studentessa poteva fare qualcosa per protestare, al che mi risposero che in pratica era impossibile, a meno che non avesse prove evidenti e specifiche di discriminazione nei suoi riguardi. Chiesi se loro potevano fare qualcosa; al che mi risposero che non erano affari loro e che non potevano far nulla.

Chiesi allora quali fossero gli "affari loro" ovvero che cosa facesse la commissione pari opportunità per realizzare il proprio scopo di favorire, appunto, le pari opportunità. Al che mi risposero "beh, al momento stiamo organizzando un convegno sulle donne imprenditrici".

Il tempo passa e lenisce tutto ea mia ex-studentessa ha trovato altri sbocchi per la sua carriera. Forse la situazione della parità nei posti di lavoro oggi è migliorata. Ma quando ripenso a questa storia, mi viene ancora da mandare accidenti, sapete, quei segnetti che si leggono sui fumetti quando un personaggio è arrabbiato nero; cose tipo &%$@!

Tutto questo per dire che spesso i convegni sono un modo per seppellire i problemi sotto la tavola del buffet. Forse la storia insegna anche che le commissioni non servono a nulla (c'è un'altra vecchia storia che dice che un elefante è un topo realizzato secondo le specifiche di una commissione)

D'altra parte è anche vero che che un buon modo per capire come stanno le cose è sentirne parlare gli esperti. Per quanto ne posso dire, da ASPOItalia-1 ho imparato diverse cose che non sapevo e mi sono fatto un idea di come è il caso di procedere per il futuro, magari quando ho tempo proverò a scriverne nel blog.

Nel frattempo, se qualcuno che segue il blog ha qualche ulteriore commento su ASPOItalia-1, possiamo vedere di farne un post. Fatemi sapere.


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martedì, marzo 13, 2007

ASPOItalia-1, un commento di Ugo Bardi


I convegni sull'energia e sul clima si sprecano in questo periodo. Valeva la pena di organizzarne un altro? Forse si; almeno nel senso che questo particolare convegno ha affrontato il problema in modo diverso dal solito.

Nella maggior parte dei casi, quando si parla in pubblico di energia e di clima, se ne parla come di problemi marginali. Per quasi tutti i politici, che sono quelli che organizzano la maggior parte dei convegni, l'energia e le risorse sono questioni di cui si chiacchera per dare un contentino agli ambientalisti. Metteremo qualche pannello per l'acqua calda sui tetti, qualche lampadina a basso consumo, pale eoliche si, ma per carità, solo dove non si vedono (ovvero in nessun posto, in pratica). Questo si percepisce come sufficiente a nascondere sotto il tappeto il problema climatico e il problema energetico. I problemi veri sono altri, lo sviluppo, le infrastrutture, gli investimenti, eccetera.

Dall'altra parte, che il problema delle risorse e dell'energia sia grave è ben noto in certi ambienti accademici e professionali, ma è raro che si facciano delle iniziative comprensibili da tutti. Ovvero, più esattamente, è raro in Italia, mentre nel mondo anglosassone la cosa è diversa, vedi per esempio il film di Al Gore "An inconvenient truth". Ma in Italia, che cosa abbiamo? C'è qualcuno che si è sentito di parlare seriamente in pubblico di picco del petrolio? C'è qualcuno che ha avuto la coerenza di dire che non basta qualche lampadina a basso consumo per risolvere tutto? Delle figure di divulgatori scientifici di una certa notorietà in Italia, solo Luca Mercalli ha detto pubblicamente le cose come stanno. Dagli altri, niente o al massimo qualche accenno, ma solo per rassicurare.

ASPOItalia-1 ha il merito di essere il primo evento pubblico di una certa rilevanza dove si parla in italiano di certe questioni e se ne mette in luce la drammaticità. Il "cuore" del convegno sono stati i quattro interventi di Bakhtiari, Bardi, Mercalli e Pardi, dove si sono esaminati i quattro aspetti fondamentali della crisi che abbiamo di fronte, rispettivamente energia, materie prime, clima e popolazione. Il convegno ASPOItalia-1 ha detto chiaramente che l'esaurimento delle risorse accoppiato al deterioramento del clima e alla popolazione tuttora in aumento sono problemi gravi e immediati.

Di fronte a questa situazione, il primo requisito è che la soluzione non deve aggravare il problema. Per esempio, invocare maggiori investimenti nello sviluppo industriale per favorire la crescita economica mette pressione sulle risorse, aggravando il problema dell'esaurimento. Oppure, cercare di risolvere il problema dell'esaurimento dei combustibili fossili incrementando la ricerca e lo sfruttamento dei giacienti aumenta le emissioni di gas serra e aggrava il problema climatico.

Il secondo requisito è che la soluzione deve essere efficace a breve termine, non semplicemente cosmetica e spostata a vari decenni nel futuro. Si invoca spesso il risparmio energetico come soluzione; questo può essere utile sotto molti aspetti, ma risulta inefficace se applicato sporadicamente e senza una strategia. Allo stesso modo, molte iniziative ampiamente pubblicizzate si rivelano puramente di facciata; un esempio ne è il concetto di "economia basata sull'idrogeno" che si materializzerà (se mai si materializzerà) non prima di qualche decennio nel futuro - comunque troppo tardi per avere un impatto sulle difficoltà che abbiamo già oggi.

Delle soluzioni possibili, efficaci e non controproducenti, la migliore per i problemi planetari sarebbe una gestione globale delle risorse che ci aiutasse a rientrare gradualmente e dolcemente a livelli di consumo delle risorse e di produzione di rifiuti che siano sostenibili per l'ecosistema. Il trattato di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra è il risultato di questo tipo di visione. Purtroppo, oltre a essere insufficiente, il trattato di Kyoto sta incontrando enormi difficoltà politiche a essere messo in pratica. Allo stesso modo, incontrano immense difficoltà le iniziative mirate a incoraggiare una riduzione della natalità nelle regioni del mondo dove la crescita demografica è ancora molto rapida. Tuttavia, queste iniziative possono e devono continuare.

L'altra possibile soluzione ai problemi planetari è quella di sviluppare e incoraggiare tecnologie sostenibili che permettano di sostituire gradualmente i combustibili fossili arrivando a una condizione di sfruttamento delle risorse planetarie compatibile con il loro rinnovamento. Queste tecnologie basate sull'energia solare hanno la caratteristica di essere naturalmente limitate dall'ammontare limitato di energia solare disponibile. Pertanto, la loro diffusione è naturalmente soggetta a un limite superiore, per quanto ampio possa essere. Queste tecnologie si prestano a "raffreddare" la crescita tumultuosa degli ultimi secoli e favorire una stabilizzazione dell'economia.

Su questo punto, ASPOItalia ha un buon numero di proposte innovative. Fra queste c'è una nuova tecnologia per l'energia eolica: il kitegen di Massimo Ippolito; tecnologia estremamente promettente che potrebbe veramente rivoluzionare il panorama dell'energia rinnovabile. ASPOItalia propone anche una visione innovativa dell'energia solare, sia in termini di produzione di nuovi materiali (Lavacchi), gestione della rete (Coiante) e diffusione nei paesi mediterranei (El Asmar). Più lontana nel tempo, ma tuttavia interessante, la fusione nucleare (Martines). La gestione dei sistemi urbani (Grazzini) e del trasporto (Longobardi) sono anche elementi cruciali nella visione del futuro. Infine, fare ricerca in queste aree richiede finanziamenti (Buonfrate).

Comunque la si voglia vedere, il primo passo per affrontare un problema è rendersi conto che esiste. Questo è quello che sembra mancare principalmente al giorno d'oggi e che ASPOItalia-1 ha cercato di segnalare. Se ci rendiamo conto di cosa stiamo fronteggiando, possiamo affrontarlo La strada è lunga è difficile, ma non impossibile a percorrere.


(foto cortesia di Patrick Marini)

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lunedì, marzo 12, 2007

ASPOItalia-1, ringraziamenti


Credo che oltre ai vari commenti che si stanno accumulando su ASPOItalia-1 sia appropriato anche un ringraziamento a tutti quelli che hanno contribuito.

Per prima cosa, dunque, un ringraziamento a tutti gli oratori, in particolare a Ali Morteza Samsam Bakhtiari che è arrivato fino da Tehran per parlare a ASPOItalia.

Un ringraziamento all'assessore all'ambiente del comune di Firenze, Claudio del Lungo, che ha reso possibile il convegno concedendoci il prestigioso Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Un ringraziamento va anche a Fabio Roggiolani, membro del consiglio regionale toscano, il cui appoggio non ci è mai mancato e che è uno dei pochi politici italiani (forse l'unico?) ad aver capito i concetti che ASPO cerca di diffondere.

Ringraziamo Intesa Sanpaolo, e Carlo Buonfrate in particolare, per aver sostenuto
finanziariamente il convegno, come pure l'università di Firenze per averlo sponsorizzato.

Un grazie ai miei collaboratori che hanno lavorato senza compensi per il convegno. Federico Baldi ha curato l'amministrazione ed è responsabile per la scelta del buffet (che ha avuto un notevole successo). Claudia Borri, Martina di Ferdinando, Andrea Giorgetti e Giovanni Pancani si sono alternati alle telecamere, al banchino dei poster, all'assistenza con il pubblico, a portare il microfono e ai vari compiti che un convegno come questo richiede. Visto che parlavo di buffet, ringrazio anche il ristorante ("Osteria dell'Olio") che ha ospitato la cena degli oratori sabato sera.

Ringrazio Andrea Fanelli per la registrazione video e per la diffusione in diretta del convegno su internet. Un grazie va anche a Francesco Meneguzzo per le registrazioni, le interviste, e la diffusione sul sito di Ecquologia. Un ringraziamento anche a Mario Ferrandi per il design del logo del convegno.

Insomma, grazie a tutti e ci vediamo la prossima volta



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ASPOItalia-1, un commento di Claudio Lanconelli


Dal Blog S.gas, Claudio Lanconelli commenta il convegno

Sabato scorso, a Firenze, Aspo Italia si è riunita a convegno. Credo che per molti il 10 marzo sarà ricordato per questo grande evento.

La maestosità del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio ha dato corpo ed enfasi ai temi trattati. Ma sopra ogni intervento ha esaltato la compostezza, la semplicità ed il garbo con cui Ali Samsam Bakhtiari ha esposto le sue considerazioni sui probabili esiti conseguenti al peak oil.

Dalla sua analisi puntuale e dal suo colto discorso ho potuto estrarre quattro indicazioni interessanti per attenuare gli eventi del dopo picco:

a) pensare solo a progetti minimi, realizzabili nel giro di pochi anni per mantenerne il controllo: l’energia richiesta per imprese come ad esempio la Torino Lione erano fattibili forse vent’anni fa, ora non si possono concepire, sono un’ inutile spreco di risorse, non potranno mai essere terminate;

b) cambiare i costumi di vita quotidiani verso modi più sobri e frugali;

c) adattare le nostre abitudini materiali ed economiche e, ancora più importante, preparare psicologicamente le popolazioni: ci saranno cambiamenti sui piano personale, sul piano della famiglia, sul piano delle comunità, sul piano della città, sul piano della nazione sul piano globale;
d) tornare alla sorgente, alla radice della nostra cultura, la sola che ci può garantire l’equilibrio con la nostra terra.

L’interessante dell’analisi si Bachtiari è che sono considerazioni fondate esclusivamente sulle conseguenze economiche del picco del petrolio e che, di per sé, non riguardano la salvaguardia dell’ambiente. Curiosamente però la “ricetta” è la stessa che viene addotta da chi cerca di affrontare l’emergenza climatica e non pensa all’esaurimento delle fonti fossili.
In questo suo scritto (From ‘Peak Oil’ to ‘Transition One’) trovate le “5 R” che sono la sua lista dei comportamenti da tenere.

Il suo interveno si può vedere dal blog di ecoalfabeta o lo si puo ascoltare con real player o in mp3 da radio radicale

I lavori sono proseguiti con poche pause ma l’attenzione della platea non è venuta meno e c’è stato un ascolto sempre molto partecipato.

Dopo Bakhtiari il padrone di casa, Ugo Bardi, ha riesaminato i “Limiti dello sviluppo“, famoso lavoro del MIT del 1972 sponsorizzato dal Club di Roma, focalizzando sulla visione dinamica che stava dietro quel rapporto e facendo riscoprire come il pensiero, i modelli e le interazioni proposte allora siano validi tuttora, soprattutto alla luce dei più recenti report.

Luca Mercalli con la sua efficacissima comunicativa ci ha erudito sulla situazione climatica globale e sui riflessi locali.

Massimo Ippolito ci ha esposto i concetti ed i presupposti che stanno alla base della sua fantastica intuizione, il KiteGen; avrei forse preferito qualche cosa di più tecnico, ma si deve capire che forse non sarebbe stato apprezzato dalla sala. Una grande speranza, e per questo merita attenzione dal mondo politico, qui si deve investire.

Domenico Coiante invece non ci ha graziato, e da studioso illuminato ha provato ad illuminarci con una buona dose di formule. Estremamente interessante il suo discorso che analizza il limite di “sopportazione” della rete elettrica italiana riferito all’incremento di fonti energetiche “incostanti” come possono essere il fotovoltaico o l’eolico. Apprezzabili anche i suggerimenti che ha fornito per innalzare questo limite o per superarlo.

Emilio Martines ci ha parlato dello stato dei progetti internazionali che riguardano la ricerca sul nucleare a fusione. Tecnologia risolutrice? Ci sono le premesse ma la strada è ancora lunga e sebbene venga invocata da tutte le parti si scopre che però gli investimenti previsti negli anni sono meno di un quarto di quello che si investe per la realizzazione di un nuovo caccia o due terzi di quanto è la previsione di spesa per il tunnel della Torino Lione (TAV).

Toufic el Asmar ha esposto di alcune collaborazioni inter-mediterranee tra università enti statali e ditte private per lo sviluppo di tecnologie per utilizzare l’energia solare nel condizionamento di ospedali o alberghi, nello sviluppo di impianti di dissalazione, nella progettazione di trattori per l’agricoltura.

Alessandro Lavacchi ha discusso della produzione di silicio per l’industria fotovoltaica e come questa produzione per essere competitiva possa e debba svincolarsi dagli standard richiesti per i microprocessori; attualmente il silicio per il fotovoltaico è un “sottoprodotto” della filiera legata all’informatica.

Terenzio Longobardi ci ha intrattenuto con la mobilità, soffermandosi sugli inconvenienti di natura sanitaria ambientale ed energetica del modello attuale, illustrando nuove tecnologie ed avanzando proposte per la mobilità sostenibile.

Giuseppe Grazzini ha puntualizzato come vengano spesso non considerati, o sottovalutati nei computi, i consumi energetici urbani, mentre rappresentano una grande parte dell’energia utilizzata. Si tratta di un campo dove è possibile effettuare una drastica riduzione degli sprechi, a patto di compiere un’adeguata azione educatrice.

In fine Luca Pardi ha messo il dito nella piaga della sovrappopolazione che è il parametro che quasi sempre manca nel momento in cui ci si propone di ipotizzare dei piani energetici. Un po’ per via delle pensioni, un po’ per non alterare il sentimento religioso, un po’ per la morale comune, non si ha il coraggio di dire che siamo troppi su questa terra, che occorre una politica che governi un “rientro dolce” verso un numero sostenibile dalle risorse del pianeta. Senza questo coraggio politico si va incontro ad un “rientro aspro” fatto di guerre, fame, malattie. E sarà a livello globale, non risparmierà nessun luogo.

E’ strano, dopo tutte quelle dosi massicce di catastrofismo, non mi sono sentito abbattuto, al contrario, ero reattivo e pieno di voglia di fare. Forse perché Bakhtiari prevede che l’Italia emerga verso la “diritta via” (per la sua struttura di piccole imprese e per le sue “radici” che si sono evolute in tutti i tempi). Ma questa può essere una magra consolazione.
E’ stata proprio una bella giornata, per me l’inizio di una nuova era.

Commenti sulla giornata e sui vari interventi si possono leggere anche sul blog petrolio ed ovviamente sul blog di aspoitalia

Grazie amici di Aspo.



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