lunedì, aprile 28, 2008

Quanto cresce il fotovoltaico

Sul sito del GSE è disponibile un contatore, aggiornato in tempo reale, delle installazioni di impianti fotovoltaici, suddivise tra quelle realizzate con il nuovo e il vecchio Conto Energia. Il vecchio Conto Energia fu approvato con il decreto del 28 luglio 2005 e ha trovato applicazione in tre trimestri, i due finali del 2005 e il primo del 2006, per un periodo complessivo di vigenza di circa 9 mesi. Il nuovo Conto Energia è stato approvato con il decreto del 19 febbraio 2007 e quindi ha un periodo di vigenza di circa 14 mesi.
Vediamo i risultati. Con il vecchio Conto Energia sono, ad oggi 28 Aprile, entrati in esercizio 4381 impianti fotovoltaici per una potenza complessiva di 71,273 MW (a fronte di 387 MW ammessi all’incentivazione), con il nuovo Conto Energia sono entrati in esercizio 5814 impianti fotovoltaici per una potenza complessiva di 34,313 MW. Quindi, il vecchio regime ha ottenuto, in meno tempo del nuovo e con un minor numero di impianti installati, una maggiore potenza installata, con una potenza media di 16,27 kW contro i 5,90 kW del nuovo regime. Inoltre, l’obiettivo indicato dal nuovo Conto Energia di 3000 MW di potenza installata al 2016 non sarebbe raggiungibile, in quanto occorrerebbero circa 105 anni al ritmo attuale di installazione. Anche considerando la tendenza in corso di una maggiore velocità di crescita delle installazioni, è molto improbabile ottenere questo ambizioso obiettivo, perché bisognerebbe moltiplicare di molti ordini di grandezza la potenza installata annualmente.
Sembrerebbero quindi confermate le conclusioni del mio articolo “Confronto tra vecchio e nuovo decreto di incentivazione del fotovoltaico” che individuava nella scarsa incentivazione degli impianti di potenza più elevata uno dei limiti del nuovo Conto Energia.
Ma quanta energia producono i 105,59 MW totali installati fino ad oggi? Ipotizzando un tempo equivalente di funzionamento medio in Italia di 1300 ore, otteniamo circa 0,14 TWh all’anno cioè lo 0,04% dell’intero Consumo Interno Lordo italiano (359 TWh nel 2006). Una quantità per ora irrisoria.
In prospettiva, per arrivare a produrre ad esempio il 10% del Consumo Interno Lordo italiano con il fotovoltaico occorrerebbero circa 1000 anni al ritmo annuale di installazioni del nuovo Conto Energia. Concludendo, nessuno dei due sistemi di incentivazione in conto energia (l’attuale meno del primo) è stato in grado di far crescere in maniera significativa la potenza fotovoltaica installata e, soprattutto, di abbattere i costi, uno dei principali ostacoli alla diffusione di questa tecnologia. E’ necessario a tal fine stabilire un nuovo regime incentivante che favorisca l’installazione di grandi impianti, gli unici in grado di accrescere rapidamente la potenza installata. E, soprattutto, promuovere anche con forti incentivi economici grandi impianti fotovoltaici collegati a sistemi di accumulo dell’energia elettrica prodotta (idrogeno, accumulo elettrochimico ecc.) per ovviare al principale fattore limitante delle fonti rinnovabili come il sole e il vento, descritto molto bene in questo articolo di Domenico Coiante, cioè la compatibilità di una produzione energetica intermittente con la rete di trasmissione dell’energia elettrica.

domenica, aprile 27, 2008

Come le migliori intenzioni possono fare grossi danni: il caso della filiera lunga dei biocombustibili



Burocrazia e incompetenza messe insieme possono fare danni immensi. Su questo punto, mi è sempre rimasta in mente una nota che aveva scritto James Gordon nel suo libro "La nuova scienza dei materiali resistenti". Gordon descriveva le leggi che regolavano la tassazione dei trasporti navali in Inghilterra e notava che a un certo punto queste leggi avevano fatto si che si costruissero navi che avevano forme della stiva adatte a minimizzare le tasse ma inadatte a tenere il mare.

Questa storia mi è ritornata in mente qualche giorno fa quando ho sentito una conferenza di Gianni Tamino sulla questione dei biocombustibili. Tamino ha raccontato delle tantissime iniziative per nuove centrali elettriche a biomassa in Italia. Ebbene, nessuna di queste centrali si farebbe se non fosse per il supporto finanziario che ricevono informa di "certificati verdi", soldi pagati dalle nostre tasse giustificati, in teoria, per la protezione dell'ambiente.

Ma perché una centrale a biomassa è considerata cosa buona per l'ambiente? Beh, si suppone che sia "neutrale" nei riguardi della CO2 emessa. Ovvero, si suppone che la CO2 che viene emessa quando si brucia la biomassa sia CO2 previamente assorbita dalle piante e che - quindi - non aumenta il totale di CO2 nell'atmosfera.

Vero, in teoria. Ma in pratica c'è un piccolo problema che Tamino ha fatto notare. Queste centrali sono piuttosto grandi - altrimenti non sarebbero un affare - e quasi mai la biomassa prodotta localmente è sufficiente per alimentarle. Spesso i promotori (quando sono onesti) dichiarano esplicitamente che importeranno olio di palma come combustibile, tipicamente arriva dall'Indonesia. Quando sono un po' meno onesti non dicono da dove arriva il combustibile e quando sono decisamente poco onesti dichiarano che arriva da fonti locali. Ma l'olio di palma dall'Indonesia è il combustibile che costa meno di tutti e in quasi tutti i casi si sa che è l'olio di palma che alimenta la centrale; perlomeno in parte.

Ora, in primo luogo portare l'olio di palma da grandi distanze vuol dire usare petrolio per il trasporto, il che è già un modo di produrre CO2 irreversibile. La CO2 viene anche prodotta dai macchinari agricoli, fertilizzanti e cose del genere. Un problema ancora più grave è che per piantare le palme e fare olio di palma - molto richiesto in Europa per queste centrali - in Indonesia stanno distruggendo ogni anno la foresta tropicale su una zona grande come la Toscana.

Il problema vero, fa notare Tamino, è che una piantagione di palma da olio assorbe circa 1/10 della quantità di CO2 che la foresta tropicale assorbiva per la stessa area. In altre parole, col cavolo che la centrale a olio di palma è "neutrale" in termini di emissioni di gas serra!

Si può essere pro o contro le centrali a biomassa per tante ragioni. Se usassero veramente risorse locali, potrebbero essere una cosa buona, sempre che si stia molto attenti alle emissioni. Ma è inaccettabile che i soldi delle nostre tasse vengono usati in nome dell'ambiente per sostenere attività che danneggiano l'ambiente.

Purtroppo, non tutti hanno chiaro questo punto e continuano a sostenere la "filiera lunga".



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venerdì, aprile 25, 2008

Automobile: quando il mezzo diventa il fine


Dopo la settecentesca fase embrionale (rudimentali veicoli a vapore), nella seconda metà dell'ottocento l'automobile comincia la sua avventura, con i modelli pionieristici di Peugeot, Benz, Daimler (motore a scoppio a benzina).
Verso la fine del secolo fu costruito il motore a ciclo Diesel, alimentato a olio di arachidi.
E' curioso ricordare come nelle gare del tempo concorressero anche veicoli a batteria elettrica, nati all'incirca nello stesso periodo.
Nella prima metà del novecento, il motore a scoppio ha continuato a svilupparsi e a diffondersi, anche sulla spinta della macchina bellica; è grazie alla maturazione di questa tecnologia che, dopo il secondo dopoguerra, l'automobile diventa un'icona dell'indipendenza e della mobilità delle famiglie.

Dalla fine degli anni '80 ad oggi assistiamo a una fase molto particolare: quella socio-edonista, in cui l'automobile diventa un culto più che un mezzo. La vettura è ora uno status symbol, che deve rispecchiare fedelmente la classe sociale di chi la possiede. La pubblicità presenta i nuovi modelli come innovativi, rimarcando le loro caratteristiche di potenza, confort, sicurezza, accessoristica, e "sorvolando" sul fatto che la core-technology sia di estrazione ottocentesca. Eccoci così all'attualissima proliferazione dei SUV!
Oggi l'auto costituisce uno dei maggiori settori industriali del mondo, con indotti impressionanti(progettazione, assemblaggio, componentistica, pneumatici...). La sfida che dovrà battere nei prossimi anni non sarà quella dello 0-100 in tot secondi, ma quella con il Picco del Petrolio: questo, accompagnato anche dalla saturazione "fisica" degli spazi di mercato, influirà pesantemente sulla spirale produzione - vendita - creazione nuovi "bisogni" - domanda.

Di per sè un bene di notevole utilità, l'automobile -replicata in un paradigma di massificazione - ha invertito la legge del possesso. E' l'auto a possedere noi! Per lei lavoriamo un mese l'anno, spendiamo ore e ore a curarla, lavarla, ci innervosiamo nel traffico, respiriamo male ...

Come liberarci da questa dipendenza? Non sarà facile, sarà un percorso, in cui con grandi sforzi di volontà si potranno fare piccoli progressi. Come tutte le transizioni culturali, anche questa può essere difficile da immaginare, ma non impossibile da attuare. Tenendo ben presente che, in caso di immobilismo, i contraccolpi saranno molto più duri.
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martedì, aprile 22, 2008

Mezzo centesimo al chilometro

Motorino elettrico in ricarica. Vedete al centro dell'immagine la scatolina che misura i kWh consumati.


Da quando mi sono comprato un misuratore di chilowattora, sto facendo una serie di scoperte interessantissime. Una è che ho potuto misurare con esattezza quanto consuma il mio motorino elettrico. Vedete la misura nella foto più sopra, con la scatolina dell'apparecchietto misuratore fra la presa di rete e la spina di carica.

Bene, i risultati sono andati al di là delle mie previsioni: per ricaricare il motorino dopo aver percorso i 14 km che ci sono dall'ufficio a casa mi ci sono voluti esattamente 0,46 kWh.

Al prezzo attuale del chilowattora in ora di punta (12 c), questo vuol dire che il viaggio lavoro-casa mi costa meno di 6 centesimi. Me ne costerebbe solo 4 se carico alla tariffa notturna e, ovviamente, a me non costa niente perché ho l'impianto fotovoltaico sul tetto. Fate un po' di conti per un motorino "normale" e vedrete che costa circa 10 volte tanto ai prezzi attuali della benzina (e vista la situazione, costerà sempre di più). Fa impressione il fatto di poter viaggiare con il motorino elettrico con mezzo centesimo al chilometro o anche meno, fra l'altro inquinando zero!

Va bene, lo so che devo conteggiare anche il fatto che le batterie ogni tanto vanno cambiate. Fatti un po' di conti viene fuori che al momento attuale il costo delle batterie di un motorino aggiunge circa 2 centesimi al km. Però tenete anche conto che ci sono nuove batterie che fanno molto meglio di così e, comunque, non esiste nessun mezzo di trasporto a motore a un prezzo così basso come un mezzo elettrico.

domenica, aprile 20, 2008

Abbiamo perso la guerra del petrolio

Alpini in ritirata sul fronte russo, Gennaio 1943

Cosa passava nella testa di Hitler, Mussolini, e dei loro accoliti negli ultimi anni della seconda guerra mondiale? Le forze italiane e tedesche avevano raggiunto il massimo dei loro successi (il loro "picco di Hubbert") in qualche momento nel 1942. Dopo di che, la tendenza si era invertita. Con le sconfitte in Russia e in Nord Africa del 1943, nessuno sano di mente poteva non capire che la guerra era perduta. Eppure, la guerra si trascinò ancora per due anni di inutili sofferenze per tutti

Forse la gente comune, intontita dalla propaganda, non si rendeva conto di cosa succedeva, ma cosa pensavano quelli sapevano; generali e alti esponenti del governo? E' difficile per noi penetrare nella mente di quelli che davano ordini che mandavano la gente a morire per una guerra ormai perduta. Può darsi che non si rendessero conto di quello che facevano, oppure, può darsi che fosse la maledizione della propaganda; una macchina infernale che bollava come "disfattista" chiunque avesse osato mettere in dubbio la vittoria finale.

Sulla stampa italiana, non ci fu un periodo in cui si parlò più di vittoria di quello in cui la sconfitta era ormai certa. Anche quelli che erano al potere non riuscivano più a sottrarsi all'ira del Golem che loro stessi avevano scatenato. Dire pubblicamente come stavano le cose avrebbe significato la loro fine politica e probabilmente anche fisica. In effetti, quelli che ci provarono in Italia nel 1943 finirono fucilati. Quelli che, in Germania, tentarono di assassinare Hitler finirono impiccati. Così, la guerra ha percorso la sua curva fino in fondo, a conferma dell'idiozia umana.

A distanza di più di mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale non ci può sfuggire l'analogia con la situazione del petrolio, del quale oggi, siamo vicini al picco di massima produzione (il picco di Hubbert). Vediamo la gente comune intontita dalla propaganda che parla di immensi nuovi giacimenti (come, all'epoca, di grandi vittorie) di super-tecnologie energetiche che risolveranno tutti i problemi (come, all'epoca, di "armi della vendetta"). Non mancano gli insulti ai catastrofisti (come, all'epoca, ai disfattisti). Chi è nella posizione di poter prendere delle decisioni non può non capire come stanno le cose, ma non può neanche dirlo pubblicamente. Per ora, nessuno rischia di finire fucilato o impiccato per aver parlato del picco del petrolio, ma la carriera e la posizione di molta gente dipende dal continuare il più possibile a ignorarlo.

Sembrerebbe che stiamo facendo lo stesso errore fatto nel 1943. Invece prendere atto della situazione e cambiare rotta, stiamo incrementando gli sforzi nella direzione che ci ha portato nei guai. Nel 1943, si faceva di tutto per intensificare gli sforzi bellici di un paese ormai allo stremo. Oggi si fa di tutto per intensificare la ricerca delle ultime gocce di petrolio di un pianeta ormai allo stremo. Per fortuna, per ora, la ricerca affannosa di petrolio non causa la morte di nessuno, perlomeno non direttamente. Però comincia ad essere chiaro che è uno spreco di risorse preziose che sarebbero meglio utilizzate in altre forme di energia.

Continueremo a insistere a scavare petrolio fino all'ultima goccia? Forse si. La storia, si sa, viene fatta da quelli che, per la loro ignoranza, sono condannati a ripetere gli errori del passato.




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sabato, aprile 19, 2008

Perché l’OPEC non aumenta la produzione col barile oltre i 100 dollari?



Lo studio del Picco del Petrolio, delle sue cause e implicazioni, rientra nella casistica dei cosidetti "modelli dinamici". Come tale è fortemente interdisciplinare e coinvolge un gran numero di scienze fondamentali.

In questo guest post, uno studente di Economia ci propone un estratto della sua tesi di laurea, in cui trova ampio spazio la sfaccettatura economica del Picco.

Grazie a Matteo per questo interessante contributo.
Perché l’OPEC non aumenta la produzione col barile oltre i 100 dollari?


created by Matteo Terrevazzi

In un'ottica “picchista”, la risposta a questa domanda è semplice: perché non ne ha la possibilità, dato che i rubinetti sono già aperti al massimo e molti dei suoi giacimenti sono ormai giunti all’inizio del proprio declino produttivo. Proviamo ora, invece, tenendo buona l’ipotesi che la produzione OPEC sia vicina al picco produttivo come sostenuto da ASPO, che esista qualche minima capacità di incrementare la produzione petrolifera Saudita: ma davvero gli arabi ne avrebbero l’interesse?

Cremer e Salehi-Isfahani[1] già all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, cercano di modellizzare il comportamento dei paesi OPEC anziché concentrarsi sulla forma del mercato petrolifero – monopolistica, oligopolistica ecc – concentrando i loro studi su aspetti finanziari e fiscali. Il loro modello, definito di Target Revenue, è incentrato sull’idea che i paesi produttori decidano l’offerta di greggio da immettere nel mercato in base ad un obiettivo di gettito fiscale (costituito dalle royalties e dalla compartecipazione agli utili delle società petrolifere) e che al raggiungimento di tale obiettivo, dipendente dal prezzo del petrolio, essi soddisfino il proprio fabbisogno finanziario e da quel punto diminuiscano la produzione petrolifera all’aumentare del prezzo del petrolio, al fine di mantenere un gettito costante. Questo comportamento è plausibile se si ipotizza una diversa capacità di assorbimento degli investimenti che i paesi OPEC avrebbero rispetto alle economie industrializzate. In altri termini, i paesi produttori di petrolio possono impiegare solamente uno stock limitato di capitali per effettuare investimenti all’interno del proprio Paese con un rendimento accettabile.
Economicamente, questo implica una curva di offerta autoregressiva: fino a quando l’obiettivo di gettito non è raggiunto, la produzione petrolifera cresce all’aumentare del prezzo, mentre, in seguito, se il prezzo del petrolio aumenta, allora i paesi OPEC abbassano il livello della produzione in quanto l’eccesso di introiti derivanti dalla vendita del petrolio non potrebbe essere impiegato vantaggiosamente. Graficamente la curva di offerta è riportata qui sotto.






Dal punto di vista della domanda, giocano un ruolo cruciale per la determinazione dell’equilibrio di mercato l’elasticità e l’altezza:






Se la curva di domanda è rigida, essa incontra l’offerta nei punti E3 ed E4: mentre in E4 siamo in presenza di un equilibrio di tipo stabile con la curva di domanda che taglia da sopra la curva dell’offerta positivamente inclinata, in E3 l’equilibrio tra domanda ed offerta è instabile.
La curva d’offerta, infatti, in quel tratto è negativamente inclinata e con un prezzo superiore a P3 si avrà un eccesso di domanda che provoca una spinta dei prezzi verso l’alto. L’aumento dei prezzi amplifica ulteriormente il gap tra domanda ed offerta ed il mercato non è in grado di frenare l’ascesa dei prezzi. Lo stesso discorso vale nell’ipotesi di una riduzione dei prezzi, che provoca un’aumento della quantità prodotta superiore all’aumento di domanda, causando un crescente eccesso di offerta ed un crollo dei prezzi. L’esistenza di questi punti di equilibrio instabile determina le oscillazioni di prezzo, anche violente, che possono essere osservate sul mercato.

Il modello si è dimostrato storicamente valido per le economie di paesi in cui la componente petrolio è importante, in relazione alle entrate totali: Libia, Kuwait, Emirati Arabi Uniti. Per l’Arabia Saudita ci sono anche motivazioni politiche che la spingono a produrre oltre il necessario e ad investire i proventi in attività finanziare straniere.

Logiche di tipo Target Revenue possono ritrovarsi nelle ultimissime dichiarazioni dei meeting OPEC, in cui si è sempre scaricata la colpa sull’inefficienza dei mercati finanziari occidentali, responsabili attraverso un eccesso di speculazione dell’incremento fuori controllo del prezzo del petrolio quando, secondo i membri OPEC, i “fondamentali” sono buoni: domanda e offerta, cioè, sono in equilibro e non ci sono spinte al rialzo dei prezzi. Sotto queste dichiarazioni, a mio avviso, c’è il tentativo di evitare di segnalare al mercato quale sia l’effettiva capacità produttiva aggiuntiva OPEC (forse perché è davvero vicina allo zero?) e di non utilizzarla per due essenziali ragioni:
1. Le entrate petrolifere sono già ottime e, a parte utilizzarle per comprarsi rubinetti d’oro o salvare banche americane rovinate dai mutui subprime, gli arabi non sanno cosa farsene;
2. Immettere petrolio aggiuntivo porterebbe a far cambiare idea agli operatori che speculano sul rialzo del petrolio per convinzioni di tipo peak-oil e provocherebbe l’inizio della discesa dei prezzi.

[1] Cremer, J. and Salehi-Isfahani, D. (1980), ‘Competitive Pricing in the Oil Market: How Important is OPEC?’, Working Paper, University of Pennsylvania, Phil.


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giovedì, aprile 17, 2008

Hillary for President

Negli Stati Uniti sono in corso delle appassionanti primarie nel Partito Democratico. I due candidati, Obama e Hillary Rodham (Clinton) stanno dando vita a un confronto elettorale serrato per l’assegnazione dei delegati che ad agosto dovranno indicare lo sfidante di John Mc Cain, già candidato per il Partito Repubblicano, nelle elezioni presidenziali di fine anno. Ad oggi, Obama mantiene un leggero vantaggio in termini di delegati, ma Hillary ha vinto in tutti gli Stati più popolosi, New York, California, Ohio, Texas ecc, compresa la Florida, dove le elezioni sono state annullate per problemi formali. Tutto lascia prevedere che questa situazione di equilibrio si manterrà fino alla convention finale dei democratici, in cui saranno decisivi i super delegati, personalità ammesse di diritto al di fuori delle primarie.
Il grande interesse non solo nazionale che accompagna queste emozionanti primarie è sicuramente legato all’incertezza sul risultato finale, ma anche alle caratteristiche dei due candidati. Se vincesse Obama, potrebbe diventare il primo Presidente di colore degli Stati Uniti, se la spuntasse Hillary, avrebbe buone probabilità di essere la prima donna a guidare la principale potenza mondiale.
La radicalizzazione dello scontro sta determinando anche una forte polarizzazione tra i sostenitori dei due candidati, non solo negli Stati Uniti.
Per quanto mi riguarda, mi dichiaro un hillariano convinto, oltre che per la grande preparazione, competenza e spessore politico della ex first lady, anche per i contenuti della sua proposta programmatica che contrastano, per livello di approfondimento e complessità con quelli di Obama, la cui ascesa mi pare il frutto più di un’abile operazione mediatica che di effettive capacità personali.
Anche nel settore ambientale e dell’energia, seguendo l’impulso del premio Nobel, Al Gore, la proposta di Hillary è non solo più interessante e condivisibile, ma anche più complessa e credibile. Vi propongo questa apprezzabile analisi di Beppe Caravita su Network Games che dimostra a mio parere quanto faccia sul serio questa donna per condurre il suo paese verso le politiche di riduzione delle emissioni di gas serra richieste dal Protocollo di Kyoto e verso ulteriori obiettivi più ambiziosi, in linea con le strategie europee.

martedì, aprile 15, 2008

Clima ed Energia: le sfide del futuro




Il titolo riprende la frase finale del meteorologo Luca Lombroso, socio Aspoitalia, intervistato il 9 aprile da Corrado Augias a Le Storie (cliccare sull'immagine per andare al link della puntata).

Il fatto che la televisione dia spazio in orari "abbordabili" a temi come questi è senz'altro positivo. Luca, in una mezz'oretta, ha avuto modo di toccare una gran quantità di aspetti che si intrecciano in quella che è la complessità dei sistemi. Buona visione.


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sabato, aprile 12, 2008

Il Dibattito sul Nucleare

(immagine da ecooutlet)


ASPO-Italia ha preso una posizione "ufficiale" sull'energia nucleare con un documento pubblicato sul sito dell'associazione (www.aspoitalia.net) dopo essere stato approvato dai soci.

Secondo la valutazione di ASPO-Italia, l'energia nucleare non deve essere demonizzata su basi ideologiche, ma non la si può nemmeno presentare come la soluzione magica a tutti i problemi di energia che abbiamo in Italia. In particolare, ASPO-Italia ritiene preoccupante l'attuale polarizzazione politica dell'energia, con le rinnovabili viste come "di sinistra" e l'energia nucleare vista come "di destra". Nessun progresso si potrà fare in Italia nella risoluzione del problema energetico senza un accordo che garantisca un sostegno politico a lungo termine delle scelte fatte.

Il documento di ASPO-Italia arriva in parallelo a un appello firmato da oltre 1000 docenti e ricercatori dell'università italiana che arriva a conclusioni simili, ovvero che l'energia solare è la migliore speranza per il futuro del paese. (Da notare che nel comitato promotore dell'appello ci sono tre membri di ASPO-Italia). Lo trovate a:

http://www.energiaperilfuturo.it/


Altri documenti e valutazioni sulla questione nucleare si trovano sul sito di aspoitalia a www.aspoitalia.net


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giovedì, aprile 10, 2008

Evoluzione del Consumo Interno Lordo di energia elettrica in Italia

I due grafici di quest’articolo, ricavati a partire dai dati disponibili sul sito di Terna, rappresentano il Consumo Interno Lordo di energia elettrica in Italia negli anni 2006 e 2007. Per Consumo Interno Lordo, si intende la produzione nazionale lorda, cioè quella misurata ai morsetti dei generatori elettrici più il saldo tra importazioni ed esportazioni. I dati (provvisori) del 2007, messi a confronto con quelli dell’anno precedente, mostrano un’ulteriore riduzione della dipendenza dal petrolio nella generazione termoelettrica, compensata da un aumento del ricorso al gas naturale, un contributo stabile dei combustibili solidi (carbone) e del saldo tra import ed export (principalmente energia nucleare proveniente dalla Francia) e un leggero calo del peso delle rinnovabili determinato dalla riduzione della produzione idroelettrica, solo parzialmente compensata da una crescita dell’eolico. Da notare che Terna conteggia impropriamente tra le rinnovabili anche la voce biomasse e rifiuti, in quanto una quota della produzione di energia elettrica dai rifiuti, quella derivante dalla combustione delle plastiche andrebbe scorporata. Il dato però, non modificherebbe sostanzialmente la ripartizione dei consumi descritta nei due grafici.
Complessivamente, il Consumo Interno Lordo italiano di energia elettrica aumenta pochissimo, da 359,1 TWh a 360,3 TWh (0,34%), a dimostrazione di una saturazione dei consumi elettrici finali (+ 0,4%), dovuta in parte alla stagnazione economica.
L’obiettivo strategico a medio termine non può che essere quello di ridurre ulteriormente la dipendenza dal petrolio principalmente attraverso una maggiore penetrazione delle rinnovabili (principalmente eolico).

mercoledì, aprile 09, 2008

Chi ha paura dello sparviero


Il titolo riprende un gioco collettivo per bambini, in cui un gruppetto di "cattivi" che si tengono per mano (lo "sparviero", appunto) si lancia contro un grande gruppo di altri giocatori, con lo scopo di "catturarne" il maggior numero possibile.

Man mano che il gioco evolve, lo sparviero si ingigantisce, integrando i catturati, e diventa così sempre più difficile sfuggirgli nella traversata del campetto di gioco.

Pur nella sua semplicità, questo gioco racchiude una certa componente di complessità. I singoli cercano di raggiungere il loro scopo con le proprie doti fisiche, ma esiste anche un forte contributo di interazione con decine di altri giocatori, per cui ci si urta in modo imprevedibile, si inciampa, si cade ... in una parola, è la " (s) fortuna ". Ad essa ci si affida quando le cose di mettono male... e si procede con il classico "io speriamo che me la cavo".

Nelle dinamiche economiche mondiali, pare che ci sia lo stesso approccio. I giornali economici titolano che la recessione è vicina, è peggio di quella del '29, anzi no, ne stiamo uscendo, teniamo duro ancora un annetto e poi si respirerà etc. etc.
"Esperti" e "manager", uno dietro l'altro, ognuno ha una sua storia da raccontare. Che, sfortunatamente, non è mai radicata in cause profonde, ma è spesso costruita su ragionamenti superficiali che si guardano bene dal mettere in discussione i paradigmi costituiti.

Ma se l'apparenza è psicologica, la realtà è termodinamica. E la realtà quella che stiamo osservando in queste settimane è ben più dura di quella che viene passata dai media.

Per chi ha presente cosa vuol dire essere immersi in un sistema che ha sempre più fame di Energia e di Materie Prime, e che nel contempo ne può offrire sempre meno, questo significa alcune cose. Chi soffrirà (e sta soffrendo) maggiormente la crisi energetica? Io credo, essenzialmente, gli Stati che hanno i consumi massimi (USA, Giappone) e quelli che hanno i consumi minimi (paesi africani e terzo mondo in generale).
Per i Paesi basati sull'iperconsumo di risorse fossili, una diminuzione della crescita può significare un aumento significativo del tasso di disoccupazione. Cioè, "basta poco per rompere l'incantesimo". Il che significa recessione.
Per i paesi arretrati, si osserva un sempre minore accesso alle risorse di base (acqua, cibo) e un ridotto flusso di aiuti internazionali.

I Paesi "di mezzo", quali ad esempio quelli dell'Europa, probabilmente incasseranno meglio, ma attenzione, si tratta solo di un differimento. Quando ci sono problemi di questa portata lo spazio e il tempo diventano molto, molto relativi. Fenomeni come disordini etnici, problemi sanitari di massa, migrazioni sono ottimi conduttori, quando non veri e propri amplificatori, al limite generatori di ulteriori tensioni.

Mi piace pensare all'Europa come una realtà che possa davvero fare qualcosa in queste situazioni limite. Che possa intensificare il lavoro che sarebbe dovuto iniziare con Kennedy, Mattei, M.L King. La condizione energetica e climatica è più difficile, il tempo è poco, ma ce la possiamo fare.





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martedì, aprile 08, 2008

Biocombustibili? No grazie!

"L'etanolo fa risparmiare petrolio e riduce l'inquinamento"


Una buona notizia dalla Germania, un'altra delle tante che ci arrivano da laggiù sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Il ministro dell'ambiente Gabriel ha annunciato il 4 Aprile 2008 la cancellazione del piano di introdurre il 10% di biocombustibili nel sistema di distribuzione di carburanti.

Ufficialmente, arriva per non costringere i proprietari di vecchie automobili a pagare di più la benzina. Spiegazione un po' curiosa, ma poco importa. Sicuramente hanno avuto effetto le proteste di quelli che vedevano i biocombustibili minacciare la produzione di cibo e devastare il suolo europeo. Probabilmente, la defezione della Germania darà il colpo di grazia ai piani della commissione Europea per lo sviluppo dei biocombustibili.

Sembra che i biocombustibili abbiano fatto molto alla svelta a passare il loro picco di Hubbert. Il petrolio ci ha messo 150 anni, i biocombustibili solo pochi anni. D'altra parte; è bene che sia così.


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http://www.dw-world.de/dw/article/0,,3243753,00.html?maca=en-rss-en-all-1573-rdf

Environment 04.04.2008
German Environment Minister Calls Off Biofuel Plans
Gabriel wants to fight climate change without punishing motorists

German Environment Minister Gabriel said the country would be shelving plans to develop biofuels because they were not appropriate for millions of vehicles. Environmental protection groups supported the move.

"We will not do it," Gabriel, a Social Democrat, told the television channel ARD on Friday, April 4. "It is not a measure dealing with environmental policy, but a measure destined to aid the automobile industry."

The news dealt a blow to so-called green fuels, which have been seen as a way to reduce global warming by reducing carbon dioxide emissions.

Mixing plant-based ethanol with fossil gasoline can reduce emissions of carbon dioxide, one of several so-called greenhouse gases that exacerbate climate change.

But ecologists have complained about the practice not least because a number of countries destroy tropical rain forests in order to cultivate the plants used to make biofuels.

Germany had initially hailed biofuel blending as a way of achieving reductions in greenhouse gases without imposing restrictions proposed by the EU, which could hit the country's performance car industry.

The German E10 project was supposed to ensure that 10 percent of petrol used by cars and light trucks in Germany was comprised of ethanol by 2009.

The initiative formed the cornerstone of Berlin's ambitious climate change policy package laid out in 2007, designed to cut emissions 40 percent by 2020 at a cost of 3.3 billion euros ($5.2 billion).

But politicians and industry groups had criticized the plans to raise the level to 10 percent for some gasoline grades from 5 percent, saying that the increase would damage older cars because the biofuels were more corrosive than conventional petrol and threatened to wear out certain engine parts too quickly.

Meanwhile, Otmar Bernhard, Environment Minister in Bavaria from the conservative CSU party, called the blending plans "climate policy hot air."

Gabriel said he would abandon the project if the number of vehicles that could not use the fuel surpassed 1 million.

On Friday he said the number had exceeded 3 million and that these cars were not ready for the new fuel and could be forced to switch to more expensive, unblended gasoline grades because of possible damage. Most of the cars in question are imported.

The environment minister said he feared the change could hit lower earners who generally own older cars.

"Our environmental policy does not want to be responsible for driving millions of car drivers ... to expensive super plus petrol pumps," he told the mass-circulation Bild tabloid.

Gabriel blamed the car industry for the switch in policy, saying it had revised its figures.

The German automakers association VDA had said Thursday that the number was much lower, at around 360,000, and that the jump in affected automobile was due to imported cars.

"The German automotive industry has done its homework and stuck to its word," VDA president Matthias Wissmann said.

sabato, aprile 05, 2008

Il rapporto della commissione interministeriale rifiuti



L'anno scorso, ho fatto parte di una commissione che aveva come nome esteso "commissione interministeriale per le migliori gestione e smaltimento dei rifiuti". Era detta "interministeriale" perché era un'iniziativa congiunta del ministero dell'ambiente e dello sviluppo economico. La commissione ha prodotto un rapporto che sta su internet ormai da quasi un anno e che ha avuto un certo successo dato che lo vedo citato e riprodotto abbastanza spesso. Perciò, credo che vi possa interessare la storia di come sono andate le cose.

Quello che è successo è che già da un certo tempo la questione dei rifiuti mi incuriosiva. Non che io sia un esperto di smaltimento o di combustione; non mi chiedete di fare il tuttologo. Però, studiando l'estrazione delle materie prime di origine minerale, viene logico chiedersi dove vanno a finire dopo che sono passate attraverso il ciclo industriale. Una volta che si entra in questo ordine di idee, si comincia a ragionare in termini di "ecologia industriale", ovvero di come il sistema industriale sia una cosa apparentata sotto molti aspetti ai sistemi biologici. Il sistema industriale, però, a differenza di quello biologico non è "chiuso". Ovvero, nei sistemi naturali non ci sono rifiuti, mentre in quello industriale ci sono e sono un imperfezione del sistema. Un sistema industriale ben organizzato dovrebbe produrre zero rifiuti.

Su questi argomenti, ci avevo lavorato sopra e avevo scritto qualche articoletto. Per esempio, uno che descriveva esplicitamente questi cicli e come la curva di produzione dei rifiuti rispecchia quella della produzione industriale (ne trovate qui una versione aggiornata). Ero poi andato a studiare la questione delle nanopatologie da inceneritore, che avevo descritto in questo articolo.

Queste e altre cose le avevo mandate al ministero dell'ambiente in un mio curriculum e - sorpresa - mi è arrivata una lettera di convocazione per la commissione interministeriale rifiuti. Non so se è stato perché gli è piaciuto il mio CV o perché hanno messo tutti i nomi in un'urna e li hanno estratti a caso. Incidentalmente, se vi incuriosisce, la lettera specificava fin dalle prime righe che i membri della commissione avrebbero prestato la loro opera gratuitamente. Ho sentito parlare di "stipendi d'oro" per certe commissioni sui rifiuti, ma non ho ancora capito dov'è che si fa domanda.

Così, ci siamo ritrovati a Roma in una commissione di quattro membri: io, Ennio Macchi del Politecnico di Milano, Antonio Cavaliere dell'Università di Napoli, e Fabrizio Fabbri del ministero dell'ambiente. Già il fatto di essere soltanto quattro era un buon inizio. In altre occasioni ho partecipato a commissioni di più di venti persone e il risultato è pura cacofonia dalla quale non esce fuori niente di buono. Per funzionare bene, una commissione non deve avere più di 5 o 6 membri, oppure, se sono di più, deve essere strutturata e gestita in modo draconiano da qualcuno che si prende la briga di farlo, ma questo è difficile che succeda.

Ciò detto, ognuno di noi nella commissione rifiuti aveva una sua storia professionale e una sua diversa visione. Come vi dicevo, io tendo a vedere i rifiuti come parte del ciclo delle materie prime e quindi bruciarli mi sembra uno spreco per definizione. Su questo punto, Fabbri è vicino alla mia posizione come esperto di gestione dei rifiuti. Sia Macchi che Cavaliere, invece, sono esperti di combustione e tendono a essere più favorevoli all'incenerimento dei rifiuti come una parte necessaria del ciclo di trattamento.

Quindi, nella commissione c'erano opinioni abbastanza diverse e sarebbe potuto anche succedere che avremmo passato tutto il tempo a litigare senza fare niente di buono. Invece, non è andata così. In una serie di riunioni nei vari ministeri a Roma, in stanze ovattate e sotto grandi lampadari di cristallo, siamo riusciti a metterci daccordo. Nel rapporto abbiamo trovato una serie di compromessi secondo il vecchio principio della "diplomazia della torta", ovvero il buon diplomatico è uno che riesca a fare delle fette di torta tali che a ognuno sembra di avere quella più grossa.

Può darsi che un fattore che ci ha spinto a trovare un accordo sia stata la contrapposizione del nostro modo comune di vedere le cose e un certo atteggiamento dei funzionari ministeriali che ci avevano convocato. Nella convocazione c'era scritto, e ce lo hanno anche ripetuto a parole più di una volta, che il nostro compito era di fare un "elenco" delle migliori tecnologie di smaltimento. In sostanza, si aspettavano da noi che facessimo una specie di "Festival di San Remo delle tecnologie" dove la giuria (la commissione) alla fine decide qual'è la canzone (la tecnologia) più bella. E' un modo di vedere le cose tipico del politico; che incasella tutto con accanto una crocetta sul "si" o sul "no", destra-sinistra, buono-cattivo, bello-brutto, eccetera.

Questo "elenco" delle tecnologie nel rapporto ce lo trovate, ma ci siamo rifiutati di limitarci a questo. Nella questione dei rifiuti, non c'è una tecnologia miracolosa che li fa sparire spedendoli nella galassia di Andromeda. Quello dei rifiuti è un problema di gestione, cosa che abbiamo scritto fino dalle prime righe del rapporto. Ovvero, lo smaltimento è un processo che va in diversi stadi, dove il primo, e quello più importante di tutti, è quello di creare meno rifiuti possibili. Dagli scarti che non si può fare a meno di creare, occorre recuperare il massimo possibile attraverso tecniche come la separazione, la raccolta porta a porta, e altre cose. L'ultimo stadio, quello dello smaltimento vero e proprio, può voler dire mettere i rifiuti in discarica, oppure anche bruciarli. Ma l'obbiettivo e di farci arrivare la minor quantità di materiale possibile.

Come vedete, abbiamo scritto cose semplici e addirittura ovvie. Ma sembra che prima del nostro rapporto queste cose non fossero state dette con la stessa chiarezza in un dibattito che è ormai ridotto a una barbarica contrapposizione fra inceneritori-si e inceneritori-no. Da questo, il modesto successo del nostro rapporto che potrebbe - forse - anche generare qualcosa di buono se ci decideremo finalmente a cambiare atteggiamento e considerare i rifiuti come una risorsa e non come un fastidio. Non è detto, però, e la gente alle volte rimane ancorata alle vecchie idee come un naufrago ai rottami del Titanic che affonda (vedi questo esempio, fra i tanti)

Ecco di nuovo il link al rapporto della commissione. Per approfondire, potete leggere anche l'ottimo libro di Antonio Cavaliere che si intitola "il mucchio selvaggio"



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venerdì, aprile 04, 2008

Il futuro è tutto rinnovabile



Non passa giorno che non si legga su internet di qualche mirabile innovazione; qualche ultracongegno nanostrutturato che, attraverso la genetica molecolare combinata con i computer quantistici, risolverà, tutti i nostri problemi mettendo in gioco anche la "free energy" del continuo spazio-temporale (e fa consumare anche meno benzina). Dopo di che, di solito, non se ne sente più parlare.

Invece, alle volte ci sono delle innovazioni vere; di quelle che cambiano le cose. Una recentissima arriva da un progetto di "solarserver" e ci porta una vera rivoluzione: le energie rinnovabili, da sole, possono bastare per avere l'energia che ci serve.

Quante volte avete sentito dire la solita frase che "le rinnovabili non potranno MAI sostituire i fossili?" Di solito, chi esprime questo concetto lo ritiene così ovvio da non aver nemmeno bisogno di spiegare perché, ma se lo pungolate dirà che è dovuto al fatto che, ovviamente, le rinnovabili sono intermittenti. Se non c'è vento o se non c'è sole, rimaniamo al buio, è ovvio.

E invece non è per niente ovvio. Lo dimostra questo esperimento di "Solarserver" secondo il concetto di "rete intelligente" (Smart grid). Trentasei impianti a fonti rinnovabili sparsi sul territorio tedesco sono stati connessi in un network controllato da un computer centrale. Le tecnologie erano biogas, eolico, solare fotovoltaico e idroelettrico. Tutti insieme, questi impianti hanno fornito il 100% di energia per 12.000 famiglie tedesche in tutte le ore della giornata e con qualsiasi condizione meteorologica.

Questo è ancora un esperimento su piccola scala e non è detto che lo si possa replicare ovunque. Inoltre, dai dati, non si capisce esattamente quanto è durato l'esperimento, ma si evince che è durato un anno. Notate anche che l'esperimento è stato fatto utilizzando soltanto tecnologie disponibili oggi su scala commerciale. Nel futuro, avremo certamente dei grandi miglioramenti in tutti i campi dell'energia rinnovabile; basti pensare all'eolico di alta quota tipo il "kitegen"

Quindi l'esperimento dimostra che, già oggi, con un pò di intelligenza si può andare ben oltre gli ottusi ragionamenti di chi vede l'energia ancora nella visione ottocentesca della grande centrale a carbone con le sue ciminiere che fumano. Non occorre aspettare secoli, e nemmeno decenni, per liberarsi dai combustibili fossili. Basta volerlo. Il futuro è tutto rinnovabile.

A questo punto, qualcuno ritirerà fuori il fatto che le rinnovabili costano più care del carbone. E' vero, al momento costano un po' più care. Ma quanto vale la nostra libertà? Pensateci sopra.


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Ringrazio Massimiliano Varriale per la segnalazione. L'articolo originale di "solarserver" si trova a

http://www.solarserver.de/solarmagazin/anlage-e.html

Qui di seguito, un riassunto in italiano, da "qualeenergia"

Energia, ma al 100% rinnovabile

Un esperimento realizzato in Germania ha dimostrato come una piccola rete costituita da impianti a fonti rinnovabili possa soddisfare ad ogni ora del giorno e nelle più svariate condizioni meteo tutto il fabbisogno di elettricità di base e di picco.

Una delle critiche rivolte alle fonti rinnovabili consiste nella presunta loro incapacità di soddisfare il fabbisogno di elettricità e quindi sull’ineluttabilità dell’utilizzo delle fonti fossili tradizionali e del nucleare. In sintesi l’accusa si basa sul concetto che le rinnovabili non sono in grado di coprire la domanda di base (baseload demand). Un approccio che fornisce poi l’occasione di considerare normale la possibile “abolizione” dell’eolico su tutto il territorio italiano, come si è sentito dire nel corso dell’attuale nostra campagna elettorale.

Lo scorso anno un esperimento ha dimostrato come un sistema di impianti distribuiti ad energia rinnovabile possa invece coprire una domanda di energia di base oltre che di picco in modo sicuro e affidabile. Trentasei impianti a fonti rinnovabili sparsi sul territorio tedesco sono stati collegati da 3 società e un’università in un network nazionale controllato da un computer centrale. Le tecnologie erano le più diverse: biogas, eolico, solare fotovoltaico e idroelettrico.

Schmack Biogas, Enercon, SolarWorld e l’ISET (Institute for Solar Energy Supply Systems) dell’Università di Kassel hanno progettato e gestito l’esperimento con 13 altri partner. L’obiettivo era mostrare, su piccola scala, come un sistema combinato di impianti energetici alimentati da fonti pulite potesse essere effettivamente realizzato e, per estensione, potrà essere sviluppato anche su scala nazionale rimpiazzando le centrali convenzionali.

La rete così costituita era in grado di produrre 50 MWh all’anno con i seguenti impianti: 3 parchi eolici da 12,6 MW di picco in totale (per il 61% della produzione), 4 impianti a biogas per 4 MWp (25%), 20 impianti fotovoltaici per 5,5 MWp (14%), oltre ad una stazione di pompaggio funzionante grazie all’energia eolica prodotta in eccesso. Una rete di impianti che era stata identificata per rappresentare 1/10.000 della domanda elettrica tedesca e, nel caso specifico, poteva rappresentava la domanda di una piccola città con 12.000 famiglie.

Questo sistema si è dimostrato capace di soddisfare la domanda di base e di picco a tutte le ore della giornata e con qualsiasi condizione meteorologica; anche nel giorno della presentazione alla stampa dei risultati dell’esperimento, quando in tutta la Germania non c’era né vento né sole, la copertura del fabbisogno elettrico è stata ottenuta; una situazione di estrema difficoltà, significativa del fatto che gli impianti a biogas avevano assolto il compito di coprire la domanda di energia elettrica del momento.

E’ stato valutato che i costi di generazione di un sistema a impianti rinnovabili combinati è oggi di 13 centesimi di euro per kWh prodotto, il doppio dell’elettricità convenzionale che però è in una fase di rapida ascesa in tutto il mondo.

Ora la replicabilità su larga scala di questa esperimento è legata a quanto rapidamente potrà crescere lo sviluppo delle fonti rinnovabili sia in termini di quantità che di rendimenti. Le potenzialità ci sono e gli impressionanti tassi di crescita degli ultimi anni lo dimostrano, ma il divario è ancora grande. Per questo motivi i governi dovrebbero fare scelte decisive, quasi rivoluzionarie, orientando la maggior parte delle risorse economiche nella direzione dell’efficienza energetiche e delle fonti pulite, magari sotto la doppia pressione del picco petrolifero e del riscaldamento globale.

LB

28 febbraio 2008

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giovedì, aprile 03, 2008

E alla fine non rimarrà più niente da mangiare


Peter Bracker, presidente di Nestle, non ha peli sulla lingua nel denunciare il pericolo dei biocombustibili in questo comunicato a AFP del 23 Marzo.

Bracker ha detto "se, come previsto, useremo i biocombustibili per soddisfare il 20% della domanda crescente di petrolio, non rimarrà più niente da mangiare"


Più chiaro di così, è difficile. Il fatto che lo dica il presidente della Nestle non è cosa da poco.


(Nota: se vogliamo essere proprio pignoli, il piano della UE prevede di usare i biocombustibili per sostituire "soltanto" il 10% del consumo di petrolio. Beh, allora possiamo stare tranquilli....)

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http://forums.myspace.com/t/3855746.aspx?fuseaction=forums.viewthread

Biofuel boom threatens food supplies: Nestle

by Staff Writers

Zurich (AFP) March 23, 2008

Growing use of such crops wheat and corn to make biofuels is putting world food supplies in peril, the head of Nestle, the world's biggest food and beverage company, warned Sunday.

"If as predicted we look to use biofuels to satisfy 20 percent of the growing demand for oil products, there will be nothing left to eat," chairman and chief executive Peter Brabeck-Letmathe said.

"To grant enormous subsidies for biofuel production is morally unacceptable and irresponsible," he told the Swiss newspaper NZZ am Sonntag.

While the competition is driving up the price of maize, soya and wheat, land for cultivation is becoming rare and water sources are also under threat, Brabeck said.

His remarks echoed concerns raised by the United Nations' independent expert on the right to food, Jean Ziegler.

Speaking at the UN General Assembly last year, Ziegler called for a five-year moratorium on all initiatives to develop biofuels in order to avert what he said might be "horrible" food shortages.

Diplomats from countries pursuing such fuels, such as Brazil and Colombia, disagreed with his forecast.



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mercoledì, aprile 02, 2008

Non piove, governo ladro ! Via col vento.




Sul sito di Terna, la società che gestisce la rete nazionale di trasmissione dell’energia elettrica, sono disponibili i dati provvisori relativi alla produzione di energia elettrica in Italia per il 2007. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, è preoccupante il calo di 4382 GWh (10,1%) della produzione lorda idroelettrica rispetto al 2006. Come si può vedere dal grafico qui accanto, che ho ricavato a partire dai dati storici disponibili sullo stesso sito, l’evoluzione della produzione idroelettrica italiana dall’inizio degli anni ‘60 ad oggi ha seguito una leggera tendenza alla crescita, con periodi di calo seguiti da successive crescite della produzione. Dall’inizio del millennio, siamo però in presenza di una nuova fase di decremento che coincide con una riduzione delle precipitazioni medie nel nostro paese. Come attestano numerosi studi, nel Nord Italia, dove sono localizzate la maggior parte delle centrali idroelettriche italiane, abbiamo un decremento delle precipitazioni che arriva ad essere pari anche al 30%-35% delle medie normali. Di converso, assistiamo da qualche anno a una crescita delle precipitazioni nel sud d’Italia, con il pieno negli invasi d’acqua. Questa situazione e le possibili cause, sono sintetizzate nell’articolo “Verso una meridianizzazione del clima?” di Anselmo Caputo.
Per fortuna, nel 2007, prosegue la crescita delle installazioni di centrali eoliche nel nostro paese, che compensa in parte la riduzione di energia idroelettrica. Nel 2007, la produzione eolica ha raggiunto i 4144 GWh, con un aumento rispetto all’anno precedente di 1173 GWh (39,5%), rilevandosi la fonte rinnovabile più promettente. Considerando che la potenza installata ha raggiunto i 2650 MW, abbiamo anche un ulteriore aumento della producibilità energetica, con 1564 ore equivalenti.
A questa notizia positiva, se ne aggiunge un’altra, relativa alla compatibilità tra energia rinnovabile intermittente prodotta e accettabilità nelle rete di tramissione nazionale. In un comunicato congiunto, Anev, Aper e Terna diradano i dubbi sull’attuale accettabilità di energia eolica nella rete di trasmissione. Inoltre, nel Piano di sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale, elaborato da Terna, sono riportati gli interventi di potenziamento della rete necessari a favorire la produzione di energia rinnovabile non programmabile, esistente e futura. Con gli interventi previsti, si prevede di poter accogliere senza problemi nella rete nazionale ulteriori 2700 MW di potenza intermittente.

martedì, aprile 01, 2008

La guerra contro l'energia rinnovabile

La crescita vertiginosa del fotovoltaico nel mondo (da "The Energy Blog").
In Italia, purtroppo, stiamo a guardare

Curioso paese, l'Italia. Facciamo parte del "G8" e lasciamo che una delle nostre città più grandi finisca sommersa dai rifiuti. Ci lamentiamo per il declino della nostra economia e il governo, invece di investire nelle nuove tecnologie, stanzia soldi sulle rottamazioni per sostenere l'industria automobilistica ormai decotta.

Un'altra particolarità del nostro paese è la presenza di un gruppetto di persone impegnate in una piccola guerra a livello politico contro le energie rinnovabili. Non risulta che in altri paesi esista un'opposizione del genere, se non come dei gruppi di ambientalisti oltranzisti che non concepiscono altro futuro che il ritorno all'agricoltura e al medio evo.

Questo gruppetto che si oppone alle rinnovabili in Italia rischia di avere un certo effetto nel far si che il paese perda ancora un altro treno economico - forse l'ultimo al quale possiamo ancora agganciarci per risollevare un po' le sorti del paese. In effetti, in Italia, nonostante non ci manchino le capacità tecniche e scientifiche, sul fotovoltaico stiamo restando indietro, come pure sulle rinnovabili in generale.

Oggi, non impegnarsi nella ricerca, sviluppo e produzione delle rinnovabili, vuol dire perdere il contatto con il campo industriale che sta conoscendo il massimo sviluppo a livello planetario. Vuol dire farsi definitivamente schiacciare dalla concorrenza dei cinesi, i quali stanno investendo molto pesantemente nelle energie rinnovabili e nel fotovoltaico in particolare.

Forse è destino che i nostri figli dovranno campare suonando il mandolino per i turisti cinesi, però, prima di arrivare a non avere altro sbocco, magari un tentativo di fare qualcosina di meglio si potrebbe anche fare.

Per illustrare le argomentazioni degli anti-rinnovabilisti italiani, vi passo qui di seguito un articolo recente di Carlo Cerofolini, apparso su "RagionPolitica" e che pubblichiamo con il consenso dell'autore insieme con i commenti che ci ha mandato Leonardo Libero, direttore di "Energia dal Sole".

Lo scopo di questa contrapposizione non è di far polemica gratuita, della quale abbiamo anche troppa. Tuttavia, su certe cose bisogna confrontarsi seriamente, cercando anche di capire il punto di vista degli altri. Il punto che fa Cerofolini, anche se condito da un po' di fluffa politica, in fondo è inoppugnabile: il fotovoltaico costa più del carbone, perlomeno oggi, e perlomeno secondo i metodi standard di calcolo dei costi dell'energia.

Tuttavia è ovvio che se il fotovoltaico costasse come il carbone, nessuno penserebbe nemmeno lontanamente a impestarsi a fare energia con il carbone. E' altrettanto ovvio che il fotovoltaico non crescerebbe al 48% all'anno se non ci fosse in giro la consapevolezza che il puro costo monetario non e il solo parametro in gioco. C'è anche una questione di costi esterni che non sono computati ma che qualcuno deve ben pagare. Allo stesso tempo, il fotovoltaico non crescerebbe tanto se non ci fosse la fiducia che seguirà le stesse curve di costi sempre più bassi che hanno reso tecnologie una volta costosissime oggi alla portata di tutti (per esempio, i telefoni cellulari).

In sostanza, è una questione di fiducia, che è quello che ci manca più di tutto oggi in questo paese che sta annegando nelle polemiche e nell'auto-distruzione. Ci vuole fiducia per tirarsi fuori dal pantano in cui ci siamo cacciati e per andare avanti verso un futuro nel quale, piaccia o non piaccia, l'energia rinnovabile avrà un ruolo fondamentale. Quindi, piuttosto che perdersi in polemiche, è meglio rimboccarsi le mani e lavorare.


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Di seguito, prima vi passo l'articolo di Cerofolini tal quale, poi i commenti di Leonardo Libero, direttore di "Energia dal Sole"


Le fragilità del fotovoltaico 03 Gennaio 2008
www.ragionpolitica.it

di Carlo Cerofolini

Una pubblicità martellante sta facendo pressione sugli italiani affinché decidano di installare pannelli fotovoltaici per produrre elettricità. Siccome in tali spot il fotovoltaico viene presentato in maniera parziale ed ideologica, è necessario fare alcune considerazioni riguardo a questa tecnologia, che è e deve rimanere di nicchia, e smascherare un altro falso mito «verde».

Le fragilità del fotovoltaico

Riguardo alla pubblicità martellante che fa pressione sui cittadini affinché installino pannelli fotovoltaici per produrre elettricità, facendo capire che il FV è un'importante e pulita fonte di approvvigionamento energetico, oltre ad essere conveniente, siccome le cose non stanno per niente così, al fine di rimettere i puntini sulle i e riportare i piedi per terra è necessario fare alcune sintetiche osservazioni riguardo a questa tecnologia che è e deve rimanere di nicchia:

1. Non contribuisce minimamente a risolvere i problemi energetici dell'Italia, in quanto - fra l'altro - la potenza nominale degli impianti fotovoltaici va divisa per 6 o addirittura per 9 (dipende dalla latitudine). Ed è proprio per questo che i 3 Giga Watt FV che si prevede di installare al 2016 al massimo corrispondono a 0,5 GW convenzionali, con però la grave limitazione di fornire un'energia (KWh) fluttuante e non in grado di soddisfare i picchi di domanda, dato che non sempre il sole splende;

2. E' super costosa e con il conto energia operante per 20 anni (l'energia del FV viene rivenduta all'Enel e società simili a prezzo maggiorato ed il conto viene pagato da tutti noi) con l'installazione di 3 GW FV si compra 1 e si spende ben 66 in confronto all'energia nucleare, e comunque anche se i pannelli fotovoltaici fossero gratis (l'impianto FV verrebbe a costare circa la metà) ed il costo del combustibile nucleare raddoppiasse, si comprerebbe sempre 1 ma si spenderebbe 26 (!). A questo proposito va detto che installare al 2016 i 3 G W FV prima menzionati, costerà in 20 anni agli italiani, «grazie» al conto energia, 50 miliardi, cifra con cui si potrebbero costruire 20 centrali nucleari da 1 GW ognuna, che ci libererebbero per sempre da tutte le problematiche connesse all'energia, gas serra - con relative forti penali per impossibilità a rispettare il protocollo di Kyoto - e «ricatti» energetici compresi;

3. Non porta - sorpresa - neppure significativi benefici per il contenimento dei gas serra, in quanto essendo - come detto - l'energia fornita dai pannelli fotovoltaici fluttuante, occorre avere centrali convenzionali di backup in stand-by sempre pronte a partire per non andare in black-out e questo determina sprechi di energia non indifferenti, che, oltre a far lievitare i costi, appunto riducono o annullano i risparmi dei gas serra dovuti al fotovoltaico stesso (cfr. qui). Detto comunque per inciso - anche senza considerare questo grave handicap - per ogni KWh erogato il FV «produce» mediamente 160 grammi di CO2 equivalenti mentre con il nucleare ci si ferma a 16 (ben 10 volte inferiore). Da quanto sopra, inoltre, si evince che l'energia elettrica prodotta con il FV è solo aggiuntiva e non sostitutiva e quindi non è possibile spengere neppure una centrale termoelettrica esistente. Il FV, in definitiva, serve solo a risparmiare (poco) combustibile, tant'è che nel mondo sono installati circa solo 5 GW FV, con contributo energetico insignificante da sottoprefisso telefonico internazionale.

Il fatto poi che ora Prodi annunci con sicumera che il 2008 sarà un anno «verde» (per le tasche di tanti italiani sicuramente), con tutti i tetti degli edifici pubblici ricoperti di pannelli fotovoltaici, non può che far aumentare il livello di allarme e portarlo in zona decisamente rossa. Dopo questa breve disamina sui «pregi» del FV è chiaro che la realtà non si cambia né con gli slogan né con le emozioni, e quindi è necessario «sporcarsi» le mani per uscire dal cul de sac energetico in cui l'Italia si è consapevolmente e colpevolmente rinchiusa - anche e soprattutto con la rinuncia al nucleare - ed uscire con chiari piani operativi per arrivare rapidamente a produrre elettricità abbondante, a basso prezzo e poco inquinante. Nel dettaglio:

Per l'immediato (entro 4 anni):

• estendere l'uso del carbone «pulito» nelle centrali termoelettriche;
• costruzione di nuove centrali termoelettriche a carbone «pulito»;
• costruire i rigassificatori (pochi);
• aumentare le importazioni di energia, specie da Paesi in cui si è proprietari o soci nelle centrali elettriche;
• potenziare gli elettrodotti esistenti e costruirne di nuovi;
• costruire centrali nucleari all'estero (ad esempio in Albania, che le vuole) e quindi da lì portare energia elettrica in Italia;
• potenziare e sfruttare al meglio l'idroelettrico, che è sottoutilizzato al 30% anche minimizzando perdite negli acquedotti - perché, oltre tutto, si ha spreco di energia non trascurabile nel captare, potabilizzare e mettere in rete, colabrodo (perdite dal 30% all'80%), l'acqua potabile - e incentivando l'irrigazione goccia a goccia nell'agricoltura, dove i consumi di acqua sono sul totale circa del 70% (risparmi fino all'80% acqua, con raccolti maggiori dal 20% al 60%);
• termoutilizzare i rifiuti urbani. Con il recupero d'energia dalla termoutilizzazione del 60% dei rifiuti è come avere a disposizione una centrale termoelettrica per la produzione di elettricità e calore della potenza di circa ben 0,8 GW con continuità dell'80%, senza poi considerare il risparmio aggiuntivo di miliardi e miliardi che si avrebbe evitando di smaltire i rifiuti in discarica o di esportarli (sic!) all'estero, come Napoli e la Campania, purtroppo, negativamente e da decenni insegnano.

Per il prossimo futuro (prima del 2015):

• costruire almeno dieci centrali nucleari di terza generazione da 1 GW ciascuna - simile a quella che si sta costruendo in Finlandia - anche in Italia (il problema delle scorie nucleari è essenzialmente di natura politica non tecnica);
• uso preponderante del carbone «pulito» nelle centrali termoelettriche;
• uso del gas solo per rispondere a picchi di richiesta d'energia.
Se invece non ci atterremo a quanto sopra, l'avranno definitivamente vinta coloro i quali, attraverso regole ambientali dirigiste, il catastrofismo, la ascientificità delle loro tesi e l'applicazione distorta del principio di precauzione, vogliono far rientrare dalla finestra l'economia pianificata, la lotta di classe e l'anticapitalismo duro e puro, che dovunque sono stati e sono applicati hanno determinato e determinano solo povertà e perdita di libertà.

cerofolini@ragionpolitica.it

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I COMMENTI DI LEONARDO LIBERO, Direttore di "Energia dal Sole"

Le fragilità del fotovoltaico
03 Gennaio 2008
www.ragionpolitica.it
di Carlo Cerofolini

Una pubblicità martellante sta facendo pressione sugli italiani affinché decidano di installare pannelli fotovoltaici per produrre elettricità.

Ma quando mai!? In Italia il FV è ostacolato da sempre e anche oggi, dalla burocrazia e dall’Enel. A “spingerlo” è solo la forza delle cose!

Siccome in tali spot il fotovoltaico viene presentato in maniera parziale ed ideologica

Niente affatto: i competenti veri ne conoscono i pregi, i difetti attuali e le ragionevoli prospettive future. Perciò lo presentano sempre in maniera esauriente e tecnica.

è necessario fare alcune considerazioni riguardo a questa tecnologia, che è e deve rimanere di nicchia

Cerofolini dixit !!,

e smascherare un altro falso mito «verde»

Il tedesco Kohl, il repubblicano USA Schwarzenegger, tutti i governi giapponesi degli ultimi 20 anni, lo spagnolo Aznar e l’italiano Scajola sarebbero o sarebbero stati “verdi”? Questa è nuova!.

Le fragilità del fotovoltaico Riguardo alla pubblicità martellante che fa pressione sui cittadini affinché installino pannelli fotovoltaici per produrre elettricità, facendo capire che il FV è un'importante e pulita fonte di approvvigionamento energetico, oltre ad essere conveniente, siccome le cose non stanno per niente così, al fine di rimettere i puntini sulle i e riportare i piedi per terra è necessario fare alcune sintetiche osservazioni riguardo a questa tecnologia che è e deve rimanere di nicchia:

(v sopra)

1. Non contribuisce minimamente a risolvere i problemi energetici dell'Italia,

Se anche fosse solo “di nicchia”, come la pretenderebbe Cerofolini, contribuirebbe, sia pure minimamente: Cerofolini si metta perciò d’accordo con sè stesso e/o con la logica

in quanto - fra l'altro - la potenza nominale degli impianti fotovoltaici

Gli impianti FV non hanno una potenza “nominale”. Ne hanno una “convenzionale” che si esprime in Wp e multipli. Paragonarla con le potenze nominali dei generatori di altro tipo significa giocare slealmente con le parole.

va divisa per 6 o addirittura per 9 (dipende dalla latitudine). Ed è proprio per questo che i 3 Giga Watt FV che si prevede di installare al 2016 al massimo corrispondono a 0,5 GW convenzionali, con però la grave limitazione di fornire un'energia (KWh) fluttuante e non in grado di soddisfare i picchi di domanda, dato che non sempre il sole splende

A parte che i picchi della domanda si verificano di giorno, la diffusione del FV in Italia, e non solo, rimarrà purtroppo ancora per molto tempo lontana dal limite del 10 (secondo alcuni del 20) per cento che è accettabile, oggi, dalla rete elettrica. Per il “dopo”, una ipotesi molto accreditata fra gli esperti è che alla “generazione distribuita” da fonti rinnovabili si aggiunga un “accumulo distribuito” che faccia da volano del sistema.

2. E' super costosa e con il conto energia operante per 20 anni (l'energia del FV viene rivenduta all'Enel e società simili a prezzo maggiorato ed il conto viene pagato da tutti noi) con l'installazione di 3 GW FV si compra 1 e si spende ben 66 in confronto all'energia nucleare, e comunque anche se i pannelli fotovoltaici fossero gratis (l'impianto FV verrebbe a costare circa la metà) ed il costo del combustibile nucleare raddoppiasse Ipotesi ottimistica: se il prezzo dell’uranio seguirà, come è logico, l’andamento di quello del petrolio, si moltiplicherà per ben più che per due, si comprerebbe sempre 1 ma si spenderebbe 26 (!). A questo proposito va detto che installare al 2016 i 3 G W FV prima menzionati, costerà in 20 anni agli italiani, «grazie» al conto energia, 50 miliardi, cifra con cui si potrebbero costruire 20 centrali nucleari da 1 GW ognuna,

Cerofolini dovrebbe per favore indicare dove lui, in Italia, installerebbe non 20, ma 1 (una) centrale nucleare. Interpellato prima delle ultime elezioni sul perché non avesse messo il nucleare nel programma della CdL in materia di energia (nel quale c’erano invece le fonti rinnovabili), il Cavaliere aveva risposto: “Avrei scatenato una rivolta”

che ci libererebbero per sempre da tutte le problematiche connesse all'energia, gas serra - con relative forti penali per impossibilità a rispettare il protocollo di Kyoto - e «ricatti» energetici compresi;

3. Non porta - sorpresa - neppure significativi benefici per il contenimento dei gas serra, in quanto essendo - come detto - l'energia fornita dai pannelli fotovoltaici fluttuante, occorre avere centrali convenzionali di backup in stand-by sempre pronte a partire per non andare in black-out e questo determina sprechi di energia non indifferenti, che, oltre a far lievitare i costi, appunto riducono o annullano i risparmi dei gas serra dovuti al fotovoltaico stesso (cfr. qui). Detto comunque per inciso - anche senza considerare questo grave handicap - per ogni KWh erogato il FV «produce» mediamente 160 grammi di CO2 equivalenti

Meno male che quel produce è fra virgolette: si riferisce palesemente alla CO2 emessa dalla produzione, con fonti fossili, dell’energia necessaria a produrre i materiali FV. A parte che non necessariamente, anche oggi, si devono usare fonti fossili, non si tiene conto che col progressivo diffondersi delle fonti rinnovabili quei 160g di Co2/kWh saranno destinati progressivamente a diminuire.

mentre con il nucleare ci si ferma a 16 (ben 10 volte inferiore). Da quanto sopra, inoltre, si evince che l'energia elettrica prodotta con il FV è solo aggiuntiva e non sostitutiva e quindi non è possibile spengere neppure una centrale termoelettrica esistente

Anche ammesso, ma non concesso, questo, tenendo una centrale al minimo invece che a piena potenza il risparmio è ovvio.

Il FV, in definitiva, serve solo a risparmiare (poco) combustibile, tant'è che nel mondo sono installati circa solo 5 GW FV, con contributo energetico insignificante da sottoprefisso telefonico internazionale

Il FV è la fonte rinnovabile a più rapido sviluppo nel mondo; la produzione di celle FV è cresciuta in media del 50% l’anno dal 1975 al 2007, nel 2007 è stata di 3,8 GWp e oggi il totale installato è di 12,4 GWp: più del doppio dei 5 che crede o vorrebbe far credere Cerofolini

Il fatto poi che ora Prodi annunci con sicumera che il 2008 sarà un anno «verde» (per le tasche di tanti italiani sicuramente), con tutti i tetti degli edifici pubblici ricoperti di pannelli fotovoltaici

Il Bundestag e la Casa Bianca hanno tetti fotovoltaici voluti da Kohl e da Bush, personaggi noti per la loro fede “verde”,

non può che far aumentare il livello di allarme e portarlo in zona decisamente rossa. Dopo questa breve disamina sui «pregi» del FV è chiaro che la realtà non si cambia né con gli slogan né con le emozioni.

Se Cerofolini permette, chi sostiene il FV lo fa sulla base di fondati ragionamenti, e quindi è necessario «sporcarsi» le mani per uscire dal cul de sac energetico in cui l'Italia si è consapevolmente e colpevolmente rinchiusa - anche e soprattutto con la rinuncia al nucleare - ed uscire con chiari piani operativi per arrivare rapidamente a produrre elettricità abbondante, a basso prezzo e poco inquinante Di consumarla con più razionalità, o diciamo pure di risparmiarla, Cerofolini non si pone neanche il problema.

Nel dettaglio: Per l'immediato (entro 4 anni): • estendere l'uso del carbone «pulito» nelle centrali termoelettriche

Ottima proposta, purchè di quel “pulito” si faccia garante Babbo Natale (chi crede al “carbone pulito”, che è in sostanza un nascondere la spazzatura sotto i tappeti, crede certamente anche al buon vecchio con la barba bianca, la slitta e le renne);

• costruzione di nuove centrali termoelettriche a carbone «pulito»
Vedi sopra ;
• costruire i rigassificatori (pochi); • aumentare le importazioni di energia, specie da Paesi in cui si è proprietari o soci nelle centrali elettriche; • potenziare gli elettrodotti esistenti e costruirne di nuovi;
• costruire centrali nucleari all'estero (ad esempio in Albania, che le vuole) e quindi da lì portare energia elettrica in Italia


Gli esperti di distribuzione elettrica raccomandano da anni la generazione distribuita anche perché quella centralizzata comporta reti tanto complicate che i black out sono considerati “act of God” cioè inevitabili. Uno gravissimo, su tutto il territorio nazionale, ce lo ha causato un albero caduto in Svizzera; vogliamo davvero rischiarne un altro per, magari, un traliccio caduto in Albania ?

• potenziare e sfruttare al meglio l'idroelettrico, che è sottoutilizzato al 30% anche minimizzando perdite negli acquedotti - perché, oltre tutto, si ha spreco di energia non trascurabile nel captare, potabilizzare e mettere in rete, colabrodo (perdite dal 30% all'80%), l'acqua potabile - e incentivando l'irrigazione goccia a goccia nell'agricoltura, dove i consumi di acqua sono sul totale circa del 70% (risparmi fino all'80% acqua, con raccolti maggiori dal 20% al 60%); • termoutilizzare i rifiuti urbani. Con il recupero d'energia dalla termoutilizzazione del 60% dei rifiuti è come avere a disposizione una centrale termoelettrica per la produzione di elettricità e calore della potenza di circa ben 0,8 GW con continuità dell'80%, senza poi considerare il risparmio aggiuntivo di miliardi e miliardi che si avrebbe evitando di smaltire i rifiuti in discarica o di esportarli (sic!) all'estero, come Napoli e la Campania, purtroppo, negativamente e da decenni insegnano

A proposito dei rifiuti campani, è sicuro Cerofolini che dopo l’esplosione di quello scandalo quindicennale, dopo la tragedia alla Tissen Krupp di Torino, dopo che per sola fortuna non ce n’è stata un’altra simile a Terni (perchè i controlli mancavano anche là), con le ferrovie, gli ospedali, gli acquedotti e – diciamo pure – certe leggi che abbiamo, il giorno che decidessimo davvero di costruire centrali nucleari, in patria o fuori, i paesi vicini non si opporrebbero, a difesa della loro incolumità?

Per il prossimo futuro (prima del 2015): • costruire almeno dieci centrali nucleari di terza generazione da 1 GW ciascuna - simile a quella che si sta costruendo in Finlandia

A)-
La Finlandia ha una piccola, ma non trascurabile, miniera di Uranio sul proprio territorio; B)- Per la costruzione di quella centrale EPR, con ottima tecnologia franco-tedesca, nel paese campione del mondo per efficienza e assenza di corruzione, sono oggi previsti almeno due anni di ritardo sulla data inizialmente fissata per le continue nuove difficoltà che vengono incontrate (fonte, Le Monde) - anche in Italia

(il problema delle scorie nucleari è essenzialmente di natura politica non tecnica);

Ma certamente! Con un’accorta “concertazione” le scorie si convinceranno a non irradiare più!!

• uso preponderante del carbone «pulito» nelle centrali termoelettriche

Sempre che garantisca Babbo Natale;

• uso del gas solo per rispondere a picchi di richiesta d'energia.

Se invece non ci atterremo a quanto sopra, l'avranno definitivamente vinta coloro i quali, attraverso regole ambientali dirigiste, il catastrofismo, la ascientificità delle loro tesi e l'applicazione distorta del principio di precauzione, vogliono far rientrare dalla finestra l'economia pianificata

Evidentemente Cerofolini non ricordava di aver definito “piani operativi”, solo mezza pagina prima, i ben 11 (undici) punti programmatici che aveva appena esposto. Si decida: è per pianificare o no ?,

la lotta di classe e l'anticapitalismo duro e puro, che dovunque sono stati e sono applicati hanno determinato e determinano solo povertà e perdita di libertà.