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giovedì, agosto 04, 2011

Rapporto ISPRA Rifiuti Urbani 2009



Sul sito dell’ISPRA, l’istituto nazionale per la protezione ambientale, è disponibile il Rapporto 2009 relativo alla situazione dei rifiuti urbani in Italia. Nel primo grafico, che ho ricavato dai dati del rapporto, sono rappresentate le Province che hanno superato nel 2009 l’obiettivo di legge nazionale di raccolta differenziata, pari al 50% dei rifiuti prodotti. L’analisi va fatta a questo livello, perché la normativa nazionale prevede che gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti siano le province o aggregati di province. Bene, vediamo che delle 107 province italiane “solo” 26 (24%) hanno superato questo importante risultato, ma ci sono altre 12 (11%) che sono vicine al conseguimento dell’obiettivo, con una percentuale superiore al 45% (nell’ordine, Torino, Mantova, Modena, Avellino, Ravenna, Salerno, Alessandria, Milano, Como, Venezia, Cagliari, Cuneo).
Si tratta di realtà territoriali prevalentemente delle regioni settentrionali, ma si comincia a registrare l’ingresso nel gotha della raccolta differenziata anche di alcune province meridionali, in particolare di quelle sarde. Le Province di Treviso, Rovigo, Pordenone, Novara, Vicenza, Trento, Medio Campidano, hanno già raggiunto nel 2009 l’obiettivo di legge del 60% da rispettare nel 2011 e le prime tre, addirittura quello del 65% previsto per il 2012.

Il motivo di questi risultati (come ho scritto in questo articolo) è ormai un “segreto di Pulcinella”: l’estensione a gran parte del territorio provinciale dei sistemi di raccolta definiti domiciliari o “porta a porta”, che consentono di intercettare grandi quantità di rifiuti urbani, garantendo nel contempo un’ottima qualità del rifiuto selezionato e costi concorrenziali se non inferiori a quelli delle gestioni convenzionali.
Se si vuole quindi dare priorità al recupero dei materiali rispetto allo smaltimento e rispettare gli obiettivi di legge nazionali, non c’è alternativa a togliere dalla strada i grandi cassonetti stradali e passare a modalità di raccolta più vicine all’utente.

Nel secondo grafico, ho riportato i dati di raccolta differenziata a livello regionale. Qui vediamo che “solo” Trentino Alto Adige e Veneto hanno abbondantemente superato l’obiettivo 2009, mentre Friuli Venezia Giulia e Piemonte lo hanno sostanzialmente raggiunto e la Lombardia gli è molto vicina. Per la cronaca, l’Italia nel suo complesso raggiunge un non entusiasmante 33,6%.

Infine, allego un grafico tratto direttamente dal Rapporto, in cui osserviamo un dato molto importante: la produzione procapite di rifiuti urbani suddivisa per regioni. Come abbiamo detto più volte in passato, questo parametro è fortemente influenzato dalle politiche di assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali provenienti dalle attività commerciali, artigianali e industriali e dalle modalità di raccolta differenziata adottate dai Comuni. Le Regioni che praticano politiche di forte assimilazione agli urbani e tardano a passare alle più efficienti raccolte porta a porta, sono quelle con la più elevata produzione procapite di rifiuti solidi urbani e con minori percentuali di differenziata. Meditate gente, meditate. Tutti i grafici si possono ingrandire cliccandoci sopra.

sabato, giugno 25, 2011

Togliete i rifiuti dalle strade di Napoli





Prima delle ultime elezioni amministrative, avevo scritto un commento al ballottaggio napoletano tra De Magistris e Lettieri, ma altre esigenze editoriali mi avevano impedito di pubblicarlo. Ve lo ripropongo a consuntivo (in verde) perchè mi pare ancora drammaticamente attuale, aggiungendo in fondo (in rosso) alcune valutazioni positive sulle prime azioni amministrative avviate dal nuovo Sindaco.

Guardate nel video uno stralcio dell'ultima puntata di Ballarò, relativamente al confronto sul problema dei rifiuti a Napoli, tra Luigi De Magistris e Gianni Lettieri, i due candidati a Sindaco passati al ballottaggio. Se non avete voglia di seguire il teatrino politico che lo precede, spostatevi al minuto 3:10.

I due candidati hanno descritto brevemente alcune proposte di gestione dei rifiuti anche condivisibili e addossato le colpe a chi gli pareva, però non hanno detto l'unica cosa che attualmente è importante per Napoli, cioè come levare immediatamente dalle strade le tonnellate di rifiuti che rappresentano un vero e proprio attentato alla salute dei cittadini e alla rispettabilità internazionale del nostro paese.

Sarebbe opportuno che prima del voto ce lo dicessero. Nel mio piccolo ho illustrato qui la situazione e spiegato che senza l'individuazione di nuovi siti di discarica qualsiasi buona intenzione gestionale sarebbe destinata al naufragio.

Dopo l'elezione quasi plebiscitaria, De Magistris ha adottato alcune scelte condivisibili e in linea con gli orientamenti annunciati. Ha nominato Raphael Rossi alla presidenza dell'azienda dei rifiuti napoletana, ASIA. Il nuovo presidente è noto per essere un esperto di raccolta differenziata porta a porta e per la sua onestà, avendo denunciato i tentativi di corruzione nei suoi riguardi durante la precedente esperienza nell'azienda torinese.

Inoltre, dopo qualche annuncio un pò ingenuo, sembra che la nuova giunta si sia orientata a trovare alcuni siti temporanei sul territorio cittadino per collocare i rifiuti ammassati nelle strade ed eliminare lo scempio quotidiano che si trascina da diversi mesi.

Staremo a vedere, ma penso che De Magistris meriti fiducia e il suo operato debba essere sostenuto.















sabato, marzo 05, 2011

Ombrelli Cinesi



Testo di Armando Boccone


Da qualche tempo a Bologna, nella città in cui vivo, ho notato un particolare fenomeno. Quando piove i cestini dei rifiuti che sono sistemati lungo le strade si popolano di un rifiuto “particolare”: l’ombrello.

Sono ovviamente ombrelli che si sono rotti e che quindi vengono buttati via.
Il fenomeno è particolarmente evidente quando piove a dirotto e tira vento: si verifica una ecatombe di ombrelli rotti che sono buttati via dappertutto.

Può darsi che questo fenomeno sia sempre avvenuto e che non lo abbia mai notato oppure può darsi che sia un fenomeno moderno: può darsi che non ci siano più gli ombrelli di una volta!!

Per saperne di più ho dovuto fare una ricerca. Nei grossi negozi come i supermercati e nei mercati all’aperto ho analizzato l’etichetta degli ombrelli in vendita. Recavano tutti l’espressione Made in China e 100% Polyestere (alle volte però c’era solamente questa seconda espressione). Nei mercati all’aperto quando i venditori notavano il mio interessamento agli ombrelli si affrettavano subito a dirmi il prezzo: era sempre fra i 3 e i 5 euro. Negli altri esercizi invece il prezzo andava dai 5 ai 10 euro circa.

Ma la ricerca non poteva limitarsi a questo. Negli ultimi tempi quando a Bologna ha piovuto sono uscito e nel percorso che ho fatto ho dato una occhiata agli ombrelli buttati nei cestini dei rifiuti: ho dato una occhiata nel senso che li prendevo, li aprivo e leggevo l’etichetta.

Qualcuno il lavoro sporco dovrà pur farlo!! Forse si riferiva a questo un professore dell’Università che ho frequentato quando diceva, a proposito della ricerca sociale, che questo comportava sporcarsi le mani!

Comunque, tornando al tema, la lettura dell’etichetta ha dato questo risultato: Made in China e 100% Polyestere (ma alle volte c’era solamente questa seconda espressione). Per la precisione una volta ho trovato scritto Made in Marocco e un’altra volta ho trovato l’indicazione di una conosciuta marca di valigie e accessori vari.

La Cina ormai è diventata una delle maggiori manifatture del Mondo. E’ ovvio che in Cina si fanno anche delle produzioni di qualità come in molte altre parti del mondo. La Cina però esprime in sommo grado quella tendenza che è ormai diffusa nell’economia che è l’aumento di quel feticcio che è il PIL (prodotto interno lordo) e questo significa che bisogna produrre cose che devono durare poco in modo da acquistarne subito altre. Si parla di beni a obsolescenza programmata. Alcuni beni inoltre vengono fatti in modo che non si possano riparare.

Ma per quanto tempo potrà durare questa tendenza allo sviluppo continuo dell’economia? Secondo molti studiosi non si può avere uno sviluppo illimitato in un Mondo che è limitato. Le prospettive che sono delineate sono pessime anche se da adesso cambiassimo comportamento.

Ricordo da bambino per le strade del mio paese passava l’ombrellaio. Evidentemente allora gli ombrelli venivano fatti per durare e quindi erano fatti bene: e ovviamente, sia per questo che per altri motivi, conveniva ripararli.

Nell’ultima ricerca che ho fatto sugli ombrelli buttati via si è rotto definitivamente il mio ombrello (questo mi ha fatto venire in mente il concetto di “ricerca partecipata” che usava un mio professore a proposito della ricerca sociale) . Era un ombrello di quelli che si rimpiccioliscono e che sono comodi da portare in borsa ma era ormai da qualche tempo che lo aprivo e chiudevo con difficoltà.

Ho chiesto a una collega dove avrei potuto comprare un ombrello: mi ha indicato un negozio di cinesi che è all’angolo della strada!!

martedì, ottobre 26, 2010

L'infinita Terzigno



Gli ennesimi episodi di guerriglia urbana nel napoletano continuano a rappresentare l’esito perverso di una gestione fallimentare dei rifiuti in alcune aree del nostro paese.

Come ho più volte precisato su queste pagine, i nodi irrisolti del problema sono i seguenti:

1) Incapacità, frammista a volontà politica, di applicare le migliori pratiche di raccolta differenziata domiciliare molto diffuse invece in parti estese del nostro territorio, soprattutto in Veneto, Piemonte e Lombardia. In tal modo si potrebbero raggiungere in maniera economicamente efficiente percentuali di raccolta differenziata tra il 60% e il 70%.
2) Inadempienza del governo relativamente al commissariamento, previsto dalla legge, di quelle realtà che non riescano a conseguire gli obiettivi avanzati di raccolta differenziata. E’ a mio parere inaccettabile e politicamente deprecabile che, ad esempio, una città come Napoli sia ferma ancora al 18% di raccolta differenziata.
3) Il commissariamento non dovrebbe avvenire attraverso i consueti criteri di spartizione partitocratica, ma utilizzando le innumerevoli competenze del settore acquisite in anni di “buone pratiche” sul territorio nazionale.
4) Eccessiva demonizzazione, derivante anche da irrazionalismo scientifico, degli impianti di smaltimento finale dei rifiuti (discariche e inceneritori), comunque necessari anche a valle di raccolte differenziate efficienti. Si tratta di impianti industriali come tanti altri che invece godono di un’accettazione sociale più elevata, il cui impatto ambientale può essere contenuto a livelli sostenibili attraverso l’adozione delle tecnologie disponibili.
5) Debolezza delle istituzioni e accondiscendenza delle forze politiche nei confronti di proteste illegali e incivili da parte di frange della popolazione che impediscono l’applicazione della legge e l’eliminazione dei gravi rischi sanitari per la generalità dei cittadini causati dal mancato smaltimento dei rifiuti che permangono nelle strade.

giovedì, maggio 13, 2010

Il picco dei rifiuti?

Sul sito dell’Ispra è disponibile il consueto rapporto annuale sui rifiuti urbani relativo al 2008. Un primo dato significativo è il calo della produzione nazionale rispetto all’anno precedente, che si attesta a un valore di 32.471.591 tonnellate. Una tendenza analoga a quella dei consumi energetici, già commentata più volte su questo blog, strettamente connessa alla crisi economica iniziata nel 2008, che certamente produrrà una riduzione ancora più marcata nel 2009.

Un secondo elemento di riflessione è la produzione procapite dei rifiuti sintetizzata nella tabella allegata. Le regioni che guidano nettamente questa classifica non dignitosa sono la Toscana e l’Emilia Romagna, rispettivamente con 686 kg/abitante * anno e 680 kg/abitante * anno. Le regioni con la minore produzione di rifiuti sono quelle meridionali, ma incredibilmente esse sono praticamente affiancate da regioni molto ricche e industrializzate come il Veneto (494 kg/abitante * anno), il Piemonte (509 kg/abitante * anno) e la Lombardia (515 kg/abitante * anno).

Se i più bassi livello di consumo giustificano i valori delle regioni meridionali, cosa determina comportamenti così virtuosi nelle regioni del nord? Inoltre, i toscani e gli emiliani sono proprio degli inguaribili spreconi consumistici? Le risposte sono due, strettamente intrecciate tra di loro. I Comuni delle due regioni “rosse” adottano politiche spinte di assimilazione agli urbani dei rifiuti speciali prodotti dalle attività commerciali e artigianali, mentre quelli delle regioni iperconsumistiche del nord hanno scelto in maggioranza una gestione integrata dei rifiuti basata sulle raccolte differenziate domiciliari. Il primo motivo determina il mantenimento di sistemi di raccolta con grandi cassonetti stradali adatti a soddisfare più facilmente le esigenze delle utenze non domestiche, il secondo motivo riduce fortemente il conferimento di rifiuti diversi da quelli domestici. Quindi, come ho scritto in questo mio precedente articolo, le ragioni di queste apparenti incongruenze sono in gran parte politiche.


E infatti, anche nel 2008, le regioni del Nord continuano ad essere le più virtuose per quanto riguarda i livelli di raccolta differenziata. Come possiamo leggere agevolmente in questa seconda tabella, Trentino e Veneto hanno abbondantemente superato nel 2008 il 50%, obiettivo nazionale previsto per il 2009, Piemonte e Lombardia hanno scavalcato nettamente l’obiettivo del 45% stabilito dalla legge per il 2008. Tutte le altre regioni sono ampiamente inadempienti, con molte regioni, tra cui la Toscana, molto lontane persino dall’obiettivo 2007. Un maggiore approfondimento delle tematiche qui appena delineate le potrete leggere in questo mio documento sul sito di Aspoitalia.

giovedì, gennaio 28, 2010

In visita al lato B della società dei Consumi




created by Luca Lombroso


Sabato 29 novembre 2009 Hera ha aperto le porte di casa nostra (in quanto pagato, in fin dei conti, con i soldi di noi contribuenti, specialmente tramite i CIP6), ovvero dell’impianto di incenerimento di rifiuti di Modena. Ho così deciso di partecipare, non come conferenziere e divulgatore ambientale, ma come cittadino, non rinunciando però se vi era occasione a dire la mia e chiedere.
 “Conoscere per giudicare”, lo slogan dell’iniziativa e la prima impressione che si ha avvicinandosi all’impianto è di avvicinarsi alla tomba della società dei consumi: file di camion, un vero funerale agli scarti della produzione. Scarti che si avviano alla peggiore delle soluzioni: i fuochi dell’inferno. L’impianto appare comunque pulito, in ordine, e senza odori sgradevoli: una macchina indubbiamente complessa e all’avanguardia, come ci viene illustrato dai dirigenti Hera, ma vorrei anche vedere che così non fosse!

Ci sarebbe tanto di che raccontare e discutere, anche alla luce delle domande poste durante la visita: qual è l’EROEI dell’impianto? quanta CO2 si immette per kWh elettrico prodotto? Secondo i dirigenti presenti poco importa, dato che l’organico rientra nel ciclo del carbonio, ma come quantificare la parte effettivamente ascrivibile a biomasse organiche, e quella di plastica e altri materiali che invece si aggiunge in atmosfera sotto forma di ulteriori gas serra? Domande a cui nessuno ha saputo darmi risposta (mi risulta un EROEI inferiore a 1 e circa 1 kg CO2/kWh, più di una centrale a carbone), liquidate con un “ l’impianto produce energia netta"  e “noi evitiamo CO2, non la emettiamo”, cosa che mi sa da contabilità creativa di gas serra.

Il punto però è che oltre ai dettagli tecnici, non si può fare a meno di meditare su quanto si vedeva entrare, così come arrivava dai camion dell’indifferenziato, e quanto si scorge dal finestrino del forno: lattine, carta, cartoni, imballaggi, bottiglie di plastica e di vetro, umido… insomma, i nostri consumi che finiscono all’inferno.

Tutto materiale che non dovrebbe finir bruciato: una parte perché riciclabile, una parte perché non bruciabile, un’altra parte perché bruciarlo aggiunge gas serra e altre cose non certo buone. E del resto alla fine del processo viene ammesso che restano il 10% di ceneri, rifiuto speciale, a regime dunque su 250.000 t di rifiuti saranno 25.000 t da trasportare, indicativamente, con un migliaio di camion all’anno, 2-3 al giorno. Viene anche ammessa, dopo l’incredibile affermazione che “i rifiuti che bruciano per autocombustione”, la presenza di un bruciatore, descritto infatti nel sito.



Al fine di garantire il mantenimento della temperatura in corrispondenza della camera di combustione di ogni linea, sono installati due bruciatori ausiliari a metano che entrano in funzione automaticamente al raggiungimento della temperatura di set point (generalmente 870°C - 900°C) al fine di mantenere temperature superiori al suddetto limite di legge ma non è chiaro quanto metano (e quanta acqua) consuma l’impianto.



Invece “ridurre la produzione di rifiuti è molto difficile”, e così non ci proviamo neanche: così come sono, bisogna sbarazzarcene, poco importa se i rifiuti rappresentano nel loro ciclo di gestione il 3% dei gas serra e il 9% delle PM10 emesse. Poco importa se il processo di termovalorizzazione si sostiene solo grazie ai famigerati CIP6. Dobbiamo sbarazzarcene, ridurli di volume e massa, e il resto sparisce: chiudiamo le discariche, nascondiamo le ceneri da qualche parte sotto al tappeto, ma apriamo un’altra discarica: l’atmosfera, la nostra discarica abusiva.

sabato, novembre 14, 2009

Grazie, uomo-inceneritore!

"Metterò fine al tuo malvagio piano di riciclaggio, Dr. Nemico, ora!"
"Grazie, uomo-inceneritore, grazie!"
"Sei arrivato appena in tempo!"
"Per un attimo abbiamo pensato di dover cambiare stile di vita."

(immagine da http://polyp.org.uk/environmental_cartoons/cartoons_about_environmental_issues.html)

domenica, agosto 02, 2009

Le tre I

La Legambiente ha di recente presentato il consueto Premio dei Comuni Ricicloni per il 2009 che delinea anche un quadro generale delle politiche di differenziazione dei rifiuti solidi urbani nel nostro paese. Il rapporto, consultabile sul sito nazionale dell’associazione non si limita a premiare i comuni che hanno conseguito le percentuali più elevate di raccolta differenziata, ma da qualche anno effettua una valutazione più approfondita della gestione complessiva dei rifiuti attraverso un “indice di buona gestione”. Il quadro che emerge da quest’ultimo rapporto non cambia sostanzialmente la realtà consolidata di un paese a tre velocità, con un Nord caratterizzato dalle esperienze più avanzate del settore e da livelli di raccolta differenziata molto elevati, nel rispetto delle normative nazionali, un Centro che fatica a porsi a livello delle migliori esperienze del Nord, a causa di una forte resistenza ad adottare in maniera estesa i sistemi di raccolta domiciliare, un Sud molto arretrato che però comincia a segnalare esperienze interessanti di un’inversione di tendenza, come la città di Salerno (quasi 150.000 abitanti) che ha raggiunto in poco tempo una percentuale del 45,7% di r.d.
La Tabella allegata contenuta nel rapporto (fonte Ispra) riporta sinteticamente le considerazioni precedenti riferite all’anno 2007.
Non resta che chiederci come mai tante realtà locali non si decidano a intraprendere convintamente la strada virtuosa della raccolta differenziata porta a porta che, per i motivi contenuti in questo mio articolo sul sito di Aspoitalia, consente di avviare a recupero grandi quantità di rifiuti in maniera economicamente conveniente. La mia risposta si può sintetizzare con tre I: Incapacità gestionale, Interessi locali, Inceneritori. La prima discende dall’inefficienza storica dei pubblici servizi in molte parti d’Italia e si può affrontare, a mio parere, costruendo una task force nazionale finalizzata a supportare i livelli locali più arretrati, estendendo ad essi le pratiche gestionali delle esperienze più avanzate d’Italia. La seconda deriva dalla resistenza di alcune categorie economiche locali, come quelle dei commercianti e degli artigiani, che preferiscono ai sistemi domiciliari i grandi cassonetti stradali, che meglio si adattano alle politiche di assimilazione spinta dei loro rifiuti agli urbani e si può superare offrendo a queste categorie specifici servizi dedicati di raccolta differenziata domiciliare a costi accettabili. La terza nasce dal contrasto di interesse con i costruttori degli inceneritori e si risolve in una logica di libero mercato che impedisca la corresponsione di impropri sussidi statali agli inceneritori, come quelli del regime Cip 6 che alterano i principi di una corretta competizione economica tra i vari sistemi di gestione dei rifiuti.

lunedì, luglio 20, 2009

I rifiuti fra Napoli e Capannori



Questo è il resoconto di una presentazione sui rifiuti che ho fatto qualche tempo fa in un comune toscano. Non è una trascrizione, ma una versione scritta a memoria che cerca di mantenere il tono e la sostanza di quello che ho detto.



Buonasera a tutti e grazie di essere qui stasera. Oggi sono qui in sostituzione di Alessio Ciacci, assessore all'ambiente del comune di Capannori. Quindi, cercherò di raccontarvi quello che so sull'esperienza di Capannori con la raccolta porta a porta. Prima di andare nei dettagli, però, vorrei cercare di inquadrare la faccenda un po' in generale.

Quindi, pensavo di cominciare raccontandovi una storia. E' a proposito di Napoli, dove ho fatto parte della commissione prefettizia per i rifiuti nel 2007, al tempo del governo Prodi. Premetto - solo per chiarire rapidamente - che questa cosa l'ho fatta gratis; non mi hanno nemmeno rimborsato le spese. E' una vita che sto cercando di capire dove si fa domanda per avere le consulenze d'oro. Anzi, se qualcuno di voi mi sa dire a che sportello rivolgersi, mi farebbe comodo. Ma lasciamo perdere.

Al lavoro della commissione sui rifiuti di Napoli ho contribuito piuttosto poco. Non che non abbia cercato di fare del mio meglio, ma è stato per questioni di distanza e anche perché, quando ho cominciato, della situazione di Napoli non sapevo molto. Però è stata una cosa estremamente interessante. Una delle cose interessanti è stata proprio Napoli e anche i Napoletani. Una città splendida, se mi dite stasera "partiamo per Napoli fra un'ora"; beh, io ci vengo. A Napoli ci vado sempre volentieri se appena ho una scusa per andarci. E questa è anche una cosa che ti fa rabbia che Napoli e i Napoletani siano stati così umiliati per questa faccenda dei rifiuti. Esposti al pubblico ludibrio in tutta Europa e in tutto il mondo - come se fosse colpa loro. Ci sono delle colpe su questa faccenda e sono sparpagliate a tanti livelli; ma Napoli è stato additato come un paese di barbari incivili, e questo non è vero. Non c'è bisogno che ve lo dica io, credo; ma la faccenda va capita.

Allora, l'errore di base che era stato fatto a Napoli al tempo di Bassolino era stato quello di chiudere le discariche prima di avere un sistema alternativo a disposizione. Credo che Bassolino è i suoi credessero veramente di fare una cosa buona che avrebbe reso Napoli una città più "moderna". Come si dice, le strade dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni. Nella pratica, è stato un disastro. Le discariche erano chiuse, non c'era un posto dove mettere i rifiuti: e allora non c'è da stupirsi se rimanessero per le strade. Per la verità, le cose sono più complicate di così ed è probabile che sulla crisi più di uno ci abbia marciato sopra; un po' per farsi pubblicità, un po' forse anche per tornaconto personale. Ma, alla fine dei conti, quello che non sai dove buttare, alla fine ti si accumula sotto le finestre.

Così, a partire dal 2007, la commissione prefettizia sui rifiuti di Napoli ha fatto una cosa che, nel complesso, era abbastanza semplice: un piano che prevedeva la riapertura delle discariche. Il piano è stato applicato e alla fine l'emergenza si è risolta. Mentre la commissione lavorava, è cambiato il governo ed è andata a finire che il merito di aver risolto la crisi è andato tutto a Berlusconi, il quale è stato veramente molto bravo a sfruttare la faccenda in senso propagandistico. Invece, tutto il ludibrio si è scaricato sul ministro dell'ambiente del governo Prodi, Pecoraro Scanio. Ora, io credo che Pecoraro sia stato un pessimo ministro dell'ambiente per tante ragioni ma, sulla faccenda dei rifiuti di Napoli, non aveva senso prendersela con lui. E' curioso pensare che se il governo Prodi fosse rimasto in carica altri sei mesi, il vanto di aver risolto la crisi di Napoli sarebbe andato a Prodi, e forse anche a Pecoraro Scanio. Ma è così che funziona la politica.

Ma quello che vi volevo raccontare è un'altra cosa. Come membro della commissione sui rifiuti di Napoli, ho imparato tante cose, conosciuto tantissime persone in gamba, dentro e fuori la commissione. Per me, come per loro, il problema non si poteva risolvere soltanto riaprendo le discariche. Il problema si doveva risolvere principalmente con delle buone pratiche di gestione. Allora, sappiamo quali sono queste buone pratiche. Separare i rifiuti alla fonte: raccolta differenziata, possibilmente porta a porta.

Bene, con questa idea di separare i rifiuti alla fonte ci siamo scontrati contro un muro di sfiducia spaventoso. Sfiducia a tutti i livelli; dal prefetto al barista del bar all'angolo. Separare i rifiuti a Napoli? Ma voi siete pazzi! A Napoli, certe cose non si possono fare.

Questa sfiducia è una cosa terribile. E' l'equivalente sociale di una malattia che si chiama depressione. Avete mai conosciuto qualcuno depresso? Intendo dire, certe volte uno lo dice, "stamattina mi sento depresso". Si dice per scherzare. Ma uno che ha la depressione per davvero, non è che ci scherza sopra. Sta proprio male da cani. Tipicamente, se ne sta seduto li' fermo, magari al buio e se gli dici "fai una passeggiata", oppure "perchè non vai al cinema", ti risponde "e perchè dovrei?". Non è una cosa da scherzarci - la depressione - a parte stare male, ti porta al suicidio. E' una cosa molto seria.

Ora, la depressione per il singolo si può risolvere con una pasticca di Prozac, ma non c'è un Prozac sociale da dare ai politici e ai votanti. Eppure, la cosa ci somiglia molto. Quando vai a proporre delle soluzioni, delle idee, ti scontri davanti a un muro di "non si può fare". E' esattamente la stessa cosa che con un depresso.

Com'è che a Napoli - e non solo a Napoli - ci siamo ridotti in questo stato? Com'è che non riusciamo a trovare nessuna soluzione ai problemi altro che affidarci a qualcun altro che ce li risolva mentre noi guardiamo la televisione? Non è solo questione di rifiuti. Succede lo stesso con l'energia. Mettersi all'anima di installare pannelli fotovoltaici è un'impresa - e poi fanno di tutto per scoraggiarti. Così, finisce che uno ci rinuncia. Ti viene la depressione per davvero; ti piazzi alla televisione a guardare l'Isola dei Famosi e pensi, "faranno le centrali nucleari". E così, si aspetta sempre che qualcuno ci risolva i problemi che non riusciamo a risolvere da soli. Ci pensino loro, il governo, le autorità, insomma, chi di dovere.

Ora, io credo che questo atteggiamento sia alla base del problema che abbiamo con i rifiuti. Una volta, i rifiuti urbani non erano un gran problema. Nei centri urbani c'erano gli spazzini che passavano da casa e raccoglievano i rifiuti porta a porta. Fuori città, non c'era nemmeno questo servizio. Non serviva; i rifiuti erano quasi completamente organici: li si buttavano nel campo e si faceva compost. Si ricorda mia moglie che meno di cinquanta anni fa, a casa sua - che era in periferia, non in campagna - non arrivavano gli spazzini; i rifiuti si sparpagliavano nell'orto. Poi venne fuori che bisognava pagare per forza la tassa sui rifiuti, anche se non se ne producevano; anche se uno li buttava nell'orto. Già vedete da questa piccola storia come le cose siano state organizzate fin dall'inizio per farti produrre più rifiuti possibile: tanto devi pagare lo stesso!

Allora, se uno volesse pensare male - e non fatemi fare il complottista - penserebbe che il modo che abbiamo di gestire i rifiuti sia studiato apposta perché sia inefficiente. Anzi, che sia studiato apposta per farci produrre quanti più rifiuti possibile. Pensateci un attimo: nessuno misura quanti rifiuti producete in casa vostra. Dovete pagare la tassa sui rifiuti indipendentemente da quanti ne producete; e questo già e un bel disincentivo a produrne di meno. Poi ci sono questi cassonetti per la raccolta differenziata. Potete buttarci dentro tutto quello che volete. Nessuno controlla cosa ci va dentro - si, in teoria ci sono delle multe per il conferimento improprio. Dalle mie parti, ogni tanto il comune fa la voce grossa: se buttate nei cassonetti la roba che non dovete buttarci, vi facciamo la multa. Ma cosa volete fare? Un vigile per ogni cassonetto? Una telecamera spia per ogni cassonetto? Follia. Anche questo metodo, sembra fatto apposta per far si che la separazione dei rifiuti sia difficile e costosa. Poi, andate a vedere il cosiddetto "organico" che viene fuori dai cassonetti con sopra pomposamente scritto "un fiore dai rifiuti". Eh, beh, nelle vostre fioriere quella roba li non ce la buttereste.

Poi ci sono vari stadi di separazione e trattamento - non vi sto a entrare in dettagli. Ma guardiamo soltanto il punto finale della catena: l'inceneritore. Parlavo di inefficienza e l'inceneritore è proprio il massimo, Un vero monumento all'inefficienza.

Che l'inceneritore sia inefficiente, non è una cosa controversa. Ci sono molti ottimi studi che lo dimostrano. Se avete voglia e tempo, potete cercarvi quelli del prof. Sergio Ulgiati, per esempio. Vedrete che dei tre metodi principali usati per smaltire i rifiuti, incenerimento, discarica, e riciclaggio, l'inceneritore è il meno efficiente; di gran lunga. Poi, potete andare a vedere il sito di Terna e verificare quanta energia producono i cosiddetti "termovalorizzatori." Senza esagerare, perchè c'è chi ha detto che non producono niente, ma non è vero. Gli inceneritori con recupero energetico producono qualcosa; ma molto poco. Secondo i miei calcoli, producono meno dell'1% dell'energia elettrica totale prodotta in Italia. Questo se si va a calcolare l'energia netta, attenzione. Energia netta vuol dire l'energia che l'inceneritore produce meno l'energia che bisogna dare all'inceneritore perché la produca. Questo è il trucco dei sussidi del famoso CIP6. Ma non fatemi entrare nei dettagli; ci perderemmo troppo tempo.

Ma quello che volevo farvi notare è come il dibattito - chiamiamolo così - non parla quasi per niente dell'efficienza dell'incenerimento. Tutta la polemica contro l'inceneritore si basa sul concetto che sono pericolosi per la salute. Nanopolveri, diossine e tutto il resto. Ora, non mi fate dire che gli inceneritori puliscono l'aria. C'è chi l'ha detto, ma non è vero: sicuramente gli inceneritori non fanno bene alla salute. Ma ci dobbiamo domandare come mai tutta questa polemica su queste cose non abbia portato a niente, anzi, tutti i maggiori partiti politici hanno gli inceneritori nei loro programmi. Allora, dobbiamo domandarci che cosa c'è che non funziona. Come mai una tecnologia che è tanto inefficiente, impopolare, e anche di sicuro non salutare - va per la maggiore, così che tutti i politici la vogliono?

La mia interpretazione è che il movimento contro gli inceneritori ha sbagliato completamente la strategia. Esattamente come ha sbagliato tutto il movimento contro l'energia nucleare. Tutti e due hanno cercato di spaventare la gente e questo non ha funzionato.

Spaventare la gente è una tattica ben nota. La usano i governi, vi ricordate delle "armi di distruzione di massa"? E poi, visto che siamo a parlare di Napoli, la usa anche la Camorra. Serve per far chiudere in casa la gente. Se sei un camorrista, va benissimo così - è una tattica perfetta - basta sparare nelle gambe di qualcuno ogni tanto. Funziona. Il problema è che se non sei un camorrista o se non hai a disposizione almeno un canale TV di quelli nazionali, è meglio che non ti ci metti perché troverai sempre qualcuno che spaventa la gente di più e meglio di te.

A Napoli, ci sono stati vari comitati contro l'inceneritore. Ma, con i rifiuti sotto le finestre di casa, la gente ha avuto più paura di finire sommersa da rifiuti che vedeva benissimo che dalle nanopolveri, che non vedeva. E' questo che ti genera quella cosa che ho descritto prima; quello che ho detto che è una forma di depressione sociale. A furia di spaventare la gente, gli viene la depressione. Alla fine, se hai a che fare con gente depressa non puoi fare nulla.

Ora, non è che da qualche parte un gruppetto di complottisti si è riunito in una stanza buia per decidere "adesso creeremo una falsa emergenza a Napoli," no, questo sicuramente non è successo. L'emergenza c'era davvero ed era il risultato dell'inefficienza del sistema. Ma il sistema è inefficiente per delle ragioni e una delle quali è che l'inefficienza si nutre di emergenza - e viceversa. Pensate ai militari mandati a raccogliere i rifiuti di Napoli. Bravi ragazzi, ma non era il loro mestiere - pensate all'inefficienza di avere della gente addestrata per la difesa del paese e trasformarli in spazzini. Non ha senso.

Qualcosa di simile succede anche per gli inceneritori. Solo con lo spauracchio dell'emergenza si può sostenere che dobbiamo pagare un extra nella nostra bolletta elettrica per sostenere delle macchine così inefficienti. Gli inceneritori si nutrono di emergenza - è perchè sono inefficienti. No emergenza, no inceneritori. Così vanno le cose. Allora, il movimento cosiddetto, fra virgolette, ambientalista con la sua polemica sopra le righe sugli effetti sulla salute degli inceneritori ha creato ulteriore emergenza con lo spaventare la gente. La gente, spaventata, ha lasciato perdere e ha detto "qualcuno ci risolva il problema, non ci importa come". E così, via libera all'inceneritore.

Ora, non mi fate dire che si devono tacere alla gente i rischi di certe cose. Assolutamente no. Le cose vanno dette, e vanno dette come stanno. Ma bisogna fare dell'informazione corretta. Le fesserie che dici, poi te le ritrovi. E' come nei film americani, quando il poliziotto ti dice "tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te". E' vero, succede proprio così - devi stare estremamente attento a essere corretto - cosa di cui il movimento anti-inceneritori si è spesso dimenticato, lanciandosi in polemiche molto discutibili. Anzi, alle volte proprio sbagliate. Ma, soprattutto, è proprio una questione di strategia: non bisogna spaventare la gente; bisogna dire alla gente che cosa fare. Nel caso dei rifiuti, si tratta di far vedere concretamente come si può fare a meno dell'inceneritore. Se ci si riesce, non serve più mettersi a litigare. E come quando cercano di venderti un'enciclopedia per telefono: non è che devi perdere tempo a spiegare cose strane. Gli dici che non ti serve, ringrazi e riattacchi. Lo stesso se ti propongono l'inceneritore: non ci serve, grazie.

E ora siamo arrivati a Capannori dove sono state fatte, appunto, delle cose concrete e positive nel campo dei rifiuti. Sono partiti dalla raccolta porta a porta. Non è stato facile. Mi raccontava Eugenio Baronti, che era assessore all'ambiente a Capannori quando hanno cominciato, che ci sono state delle polemiche incredibili. Mi ha detto che quelli che non volevano il porta a porta gli buttavano i sacchetti di spazzatura nel giardino di casa sua. Poi, invece, una volta che la cosa è partita, alla gente è piaciuta molto. Oggi hanno fatto delle inchieste e il gradimento per la raccolta porta a porta a Capannori è oltre il 70%. Tanto è vero, che alle ultime elezioni, tutti i candidati avevano promesso che l'avrebbero potenziata.

Un bel risultato, ed è anche strano perché la gente si deve ricordare che ogni giorno deve mettere fuori dalla porta un tipo diverso di rifiuto. Carta, organico, indifferenziato, eccetera.... Sembra incredibile che la gente ne sia contenta e invece è così. Ci vuole un po' di fiducia nella gente. La "gente" non è una banda di imbecilli - la gente è tua moglie, i tuoi figli, e anche tu.

Ora, la raccolta porta a porta è una cosa abbastanza rivoluzionaria. Non so se ci avete fatto caso. Avete capito perché? No... non ci avete pensato a fondo. Ma è facile capirlo; basta che ci pensiate su un attimo. E' rivoluzionaria perché inverte una tendenza ormai inveterata nella gestione dei rifiuti. E' rivoluzionaria perchè non incoraggia la gente a produrre sempre più rifiuti! Anzi, li incoraggia a produrne di meno; specialmente nella versione che chiamano "puntuale", il che vuol dire che paghi in proporzione alla quantità di rifiuti che produci. Meno produci, meno paghi, fantastico! Quindi, finisce che si producono meno rifiuti. Il cittadino risparmia e la società pure. E se non ci pensavano a Capannori, in Toscana non veniva in mente a nessuno! Il problema è che se i cittadini e la società risparmiano, qualcuno guadagna di meno. E' per questo che la cosa è rivoluzionaria. Ed è per questo che trova opposizione.

A Capannori sono stati anche più rivoluzionari di così. Se i vostri rifiuti li portate all'isola ecologica; tutti ben separati in carta, metalli, eccetera, ve li pesano e vi danno una ricevuta. E poi, a fine mese, vi mandano un assegno per tutti i rifiuti che avete portato. Nessuno ci fa i soldi sopra in questo modo - magari a fine mese hai fatto qualche decina di euro. Uno potrebbe dire che non ne vale la pena, ma è l'idea che conta. Vuol dire che il cittadino ha una scelta. Vuol dire che può fare altre cose oltre che semplicemente pagare tutti i mesi senza poter protestare, a parte ogni cinque anni mettere una crocetta per scegliere uno o un altro che poi ti faranno pagare uguale. Vuol dire che il cittadino ha un ruolo attivo: fa delle cose. Non è depresso perchè nessuno si diverte a spaventarlo.

E' per questo che ci sono state tante polemiche su Capannori e sulla raccolta porta a porta. Ce ne sono tuttora e ovunque troverete qualcuno che cercherà di spaventarvi e di dirvi "non si può fare". Beh, non ci cascate. Lo so che a questo punto vi sta venendo sulla punta della lingua lo slogan di Obama, avete capito cosa voglio dire. Non credo che Obama abbia mai parlato della raccolta porta a porta, e neppure che sia stato a Capannori (Credo che il posto gli piacerebbe, comunque, perché non l'hanno fatto li', il G8?). Ma il concetto è quello. Si, lo possiamo fare.

Allora, per concludere vorrei dire che non tutto si può risolvere con la raccolta porta a porta. Anzi, bisogna stare molto attenti a evitare un errore comune. Quello di mitizzare la frazione differenziata. 70%, 80%, quello che sia. Non è tanto la questione di quello che si raccoglie, quanto quello che si fa di quello che si raccoglie, ovvero quello che si ricicla. Nel campo dei rifiuti, tutto sta cambiando. Cambiano le quantità, le composizioni, il valore dei rifiuti. E stiamo vedendo un cambiamento epocale: in tutto il mondo si cominciano a produrre meno rifiuti come risultato della minor disponibilità di materie prime. Con meno rifiuti, comincia a essere sempre più difficile proporre e sostenere soluzioni inefficienti - come gli inceneritori - che si giustificano solo in vista di emergenze. Via via che ci muoviamo in questa direzione diventerà sempre più importante gestire i rifiuti in modo efficiente e economico - riciclandoli il più possibile.

Purtroppo, ci sono degli interessi economici che sono trincerati nei vecchi metodi; per cui non ci possiamo aspettare che le cose cambino in tempi brevi. Ci vorrà del tempo per vedere sparire gli inutili sussidi agli inceneritori. Ancora più tempo ci vorrà per veder sparire gli inceneritori stessi. Ma già ora possiamo prendere in mano le cose da noi. L'esperienza di Capannori ci dimostra che è possibile. Ci vuole buona volontà e concentrarsi su fare cose positive; ovvero non perdere tempo in polemiche inutili (e soprattutto, non spaventare la gente). E non ci sono solo i rifiuti su cui lavorare. A Capannori troverete anche altre soluzioni che richiedono un po' di partecipazione da parte dei cittadini. Latte appena munto "alla spina", detersivi e altri liquidi alla spina nei negozi, acqua gratis dalle fontane pubbliche e altro. Tutte cose che, se le proponete, vi diranno "non si può fare". Bene, invece si può fare. Vi viene in mente Obama? Non importa, basta pensare a Capannori.


mercoledì, maggio 06, 2009

I dinosauri di cemento


L' Unité d'Habitation di Marsiglia, nota anche come "La Cité Radieuse", progettata e costruita da Le Corbusier a partire dal 1945. Questo dinosauro di cemento armato è stato il prototipo di molta dell'architettura popolare moderna.


Anni fa, mi è capitato di vivere in Francia, a Marsiglia. L'edificio dove abitavo, come molti altri nella zona, aveva un sistema di raccolta dei rifiuti che si chiamava "vide-ordure" (svuota immondizia). In cucina, c'era uno sportellino che, aperto, mostrava un vano in cui si poteva mettere il sacchetto dei rifiuti. Richiuso lo sportellino, si sentiva il sacchetto precipitare giù per una conduttura verso profondità plutoniche dove veniva fatto sparire, non era dato di sapere come.

Il vide-ordure era abbastanza comune negli edifici di Marsiglia. Mi risulta che sia stato l'eredità dell'opera di Le Corbusier, che aveva costruito, a poca distanza da casa mia, la sua "Unité d'habitation", nota in città più che altro come la "cité radieuse". Non so se sia stato Le Corbusier a inventare il vide-ordure, ma era stato sicuramente uno dei primi architetti ad adottarlo.

La Citè Radieuse non era notevole soltanto per il suo sistema interno di trasporto dei rifiuti. Era un concetto completamente nuovo dell'archiettura abitativa. Per molto tempo, nessuno, o quasi, aveva veramente pensato a fare delle abitazioni "per il popolo". L'architettura era qualcosa per i ricchi, i poveri si dovevano arrangiare in baracche malsane. Ma, in un epoca di grandissima espansione demografica e di inurbamento della popolazione come era l'Europa nella prima metà del ventesimo secolo, Le Corbusier si era posto il problema di come gestire in modo razionale gli agglomerati urbani che stavano nascendo un po' ovunque. A questo problema, gli americani nel dopoguerra rispondevano con infinite distese di casettine, l'automobile privata e i grandi centri commerciali: era la "suburbanizzazione" spinta della società. Le Corbusier aveva pensato a una soluzione diversa, più adatta per un'Europa che, a quel tempo, era ancora povera e poco motorizzata. L'Unité d'habitation era una vera "città verticale." Conteneva al suo interno negozi, scuole e altri servizi che dovevano ricreare un villaggio interno che gli abitanti potevano raggiungere con gli ascensori, senza bisogno di altri mezzi di trasporto.

Senza dubbio, Le Corbusier vedeva l'edificio come un qualcosa di organico, non soltanto un villaggio verticale, ma addirittura una vera e propria creatura vivente. Aveva un senso, in questa visione, che l'edificio avesse una specie di tratto intestinale: il vide-ordure che depositava i rifiuti in una buia cantina come se fossero escrementi del grande dinosauro. Era il massimo del concetto di rifiuto inteso come "immondizia", una cosa che non si poteva portare in giro per le scale in qualche bidone puzzolente. La si doveva vedere e toccare il meno possibile, per questo la si faceva scomparire in una tana buia, attraverso dei condotti invisibili.

Ma il vide-ordure non era il solo tratto quasi biologico del dinosauro di cemento di Le Corbusier, che era avanzatissimo per i suoi tempi. Per esempio, aveva un sistema di ventilazione interno - cosa inusitata per quell'epoca. Lo possiamo considerare l'equivalente archiettonico dei polmoni biologici. Ci potremmo divertire con le analogie fra architettura e biologia, non solo nell'opera di Le Corbusier. Il sistema idrico e l'acqua sanitaria, per esempio, sono equivalente al sistema urinario; il gas naturale e l'elettricità che portano energia in tutti gli appartamenti sono l'equivalente dei globuli rossi che portano energia all'organismo, eccetera.

Come i dinosauri avevano scoperto al loro tempo, ci sono dei vantaggi a essere grossi e massicci. Le grandi dimensioni favoriscono il mantenimento di temperature interne costanti senza pesare troppo sul metabolismo. Ma essere grossi e massicci significa anche essere specializzati avere delle forti esigenze. I dinosauri dell'epoca mesozoica non si adattarono bene ai cambiamenti climatici che si verificarono alla fine del Cretaceo e si estinsero. I dinosauri di cemento del ventesimo secolo potrebbero fare la stessa fine a breve termine.

Se un vantaggio dei grandi edifici di cemento armato è quello di aver bisogno di relativamente poca energia per essere scaldati, hanno anche degli enormi problemi. Il principale è la dipendenza totale da flussi di energia e di materia dall'esterno. Un appartamento senza acqua per due giorni diventa già invivibile. Senza elettricità, e quindi senza aria condizionata, gli appartamenti ai piani alti diventano forni crematori in estate e comunque sono impraticabili in mancanza di ascensori. Nonostante il lavoro pionieristico di Le Corbusier, la qualità dell'aria interna degli edifici moderni lascia spesso a desiderare. Negli edifici commerciali e pubblici ci sono sistemi di ventilazione conformi a delle norme internazionali, ma nella maggior parte degli edifici abitativi queste norme non sono richieste e - comunque - sono del tutto ignorate. Si sa molto poco degli effetti sulla salute umana di questo inquinamento interno, ma è sicuramente un problema altrettanto grave quanto trascurato. Il tentativo occasionale di rendere "più efficienti" queste abitazioni dal punto di vista del riscaldamento si risolve spesso nel sigillarle, peggiorando ulteriormente la qualità dell'aria interna. E, ancora, in mancanza di energia elettrica, la ventilazione si ferma e l'edificio diventa invivibile.

I problemi si fanno più gravi se consideriamo tempi lunghi e la probabile futura carenza di risorse. Se un edificio in cemento armato manca di manutenzione per qualche anno, si trasforma in una entità cavernosa, buia, fredda, umida e puzzolente. L'intonaco, se c'è, va a pezzi (e, non per nulla, Le Corbusier non lo aveva previsto). Lo stesso cemento armato tende a degradarsi se non è stato costruito correttamente: miscelando ferro e cemento della giusta qualità e nelle giuste proporzioni. Il cemento di Le Corbusier ha retto bene a cinquant'anni di vita, ma chi può dire come siano stati costruiti tantissimi edifici più moderni che - per ora - stanno in piedi; ma per quanto tempo? Il giorno in cui crolleranno sapremo se dentro il cemento c'era tondino di ferro oppure rete da pollaio, oppure proprio niente. Nel recente terremoto in Abruzzo, si è visto come le norme anti-sismiche, teoricamente esistenti, tendono ad essere ignorate.

Persino il vide-ordure, meraviglia tecnologica degli anni '50, si è rivelato un disastro. Già negli anni '70, quando abitavo a Marsiglia, c'erano delle grosse difficoltà con questi sistemi per via del grande aumento nella quantità di rifiuti prodotti. A casa mia, il vide ordure funzionava, ma quelli della cité radieuse, più vecchi e con delle condotte troppo strette, erano ostruiti e inservibili. Mi è parso di capire che molti anni dopo i condotti sono stati ripristinati, utilizzando probabilmente delle tubazioni più capienti. Ma, anche se oggi funziona di nuovo, l'idea del vide-ordure rimane un concetto che fa a botte con i concetti moderni di differenziazione del rifiuto. Il grande dinosauro soffre di stitichezza.

Si possono salvare i dinosauri di cemento? Probabilmente no. Corrispondono a un concetto abitativo che ormai si sta facendo obsoleto: grandi concentrazioni urbane abitate da quelli che Le Corbusier chiamava gli hommes en serie, gli uomini in serie. Operai tutti uguali che tutte le mattine andavano a lavorare in fabbrica, tutti insieme, per poi tornare la sera nella loro unité d'habitation, sempre tutti insieme e tutti uguali. Un mondo che era ottimizzato per lo sfruttamento efficiente di risorse naturali che, allora, erano abbondanti. Ma già oggi questo modello comincia a diventare obsoleto.

Con il "rientro" demografico e previsto per i prossimi anni, e già in atto per l'Italia e molte società cosiddette "ricche", ci troveremo rapidamente in grave difficoltà a mantenere in efficienza i grandi dinosauri di cemento. E' probabile che ben presto decideremo di abbandonarne una gran parte che saranno lasciati a marcire; inabitati e inabitabili, finché non crolleranno.

In fondo, i nostri antenati sono vissuti in capanne e tende per almeno centomila anni e solo per un paio di secoli in edifici multipiano. Le casette - tanto aborrite da una certa scuola di architettura - sono meno efficienti in termini di riscaldamento, ma sono più resilienti, richiedono meno risorse e meno manutenzione, sono più facilmente riparabili e il giardino si può trasformare in un orto dove si possono coltivare ortaggi e patate. E non c'è bisogno del vide-ordure, così sei sicuro che non si intaserà mai!












lunedì, aprile 13, 2009

I giorni della vergogna

Ho parlato un po' della crisi di Napoli in un post precedente che era stato ispirato dal libro di Bruno Vespa intitolato "Viaggio in un'Italia diversa". Il libro di Marco Imarisio "I giorni della Vergogna" (ed. L'Ancora, 2008) tratta dello stesso argomento, ma fra i due libri c'è un abisso di differenza.

Vespa racconta Napoli come un turista che passa di li', senza nemmeno la macchina fotografica. Intravede questo e quello, trancia qualche giudizio fra buoni e cattivi, e se ne va senza aver capito niente. Imarisio, invece, sulla questione di Napoli ti racconta la storia dall'interno come un testimone che ci soffre e che capisce. Come direbbero i napoletani "ci mette sentimento".

Ed'è veramente una storia interessante questa dei rifiuti di Napoli, dove tutto si intreccia in una serie di legami indissolubili e mortali: politica, camorra, rifiuti, miseria, e tante altre cose che hanno creato quella crisi del 2008 dove sembrava davvero che un'intera città potesse essere sommersa da quella strana e materia che chiamiamo "rifiuti".

Teoricamente, i rifiuti dovrebbero essere una ricchezza da cui estrarre le materie prime che sono sempre più difficili da trovare. In pratica, non riusciamo a gestirceli come si deve e i risultati sono disastrosi come nella storia di Napoli degli ultimi anni. Da quello che ci racconta Imarisio, e da quello che io stesso so della faccenda, non c'è stato nessun cattivo mostruoso e nemmeno nessun salvatore miracoloso. Ci sono stati degli errori di fondo al tempo di Bassolino che hanno complicato una situazione già enormemente difficile. Tutto si è risolto, alla fine dei conti, quando è stato possibile riaprire la discarica di Chiaiano. Fosse durato qualche mese di più, il merito della soluzione della crisi sarebbe andato a Prodi e al suo governo.

Ma la storia dei rifiuti di Napoli è destinata a lasciare delle cicatrici che non si rimargineranno tanto presto, se mai si rimargineranno. Le pagine più impressionanti del libro di Imarisio sono quelle che descrivono l'ondata di razzismo che ha percorso Napoli. La descrizione della distruzione dei campi Rom di Ponticelli è un pezzo che fa rabbrividire, come pure quello del cosidetto "ratto della bambina di Ponticelli" da parte di una ragazza Rom. E' una bufala, ma di quelle che fanno male. Napoli razzista? E' possibile? Se lo chiede anche Imarisio. Che cosa, ormai, non è più possibile?

Il libro di Imarisio non si trova sugli scaffali del supermercato, come invece quello di Vespa.

giovedì, aprile 02, 2009

La guerra contro il recupero delle risorse: una sconfitta per tutti




Una volta, recuperare il ferro era considerato un dovere patriottico. Anche oggi, il recupero delle "materie seconde" è una sorgente di materiali preziosi per l'economia. In Toscana, tuttavia, si fanno chiudere le cooperative che recuperano il ferro, togliendo il lavoro a molte famiglie e facendo un danno a tutti quanti.


Riciclare il ferro è un'attività che si fa da tempo immemorabile: era un lavoro non nobile ma che aveva una sua dignità. Al tempo del fascismo "dare ferro alla patria" era diventato addirittura un dovere patriottico. Oggi, ci sembra di essere più ricchi di allora, ma riciclare il ferro è pur sempre un attività che rigenera delle preziose materie prime che altrimenti dovremmo importare dall'estero. Ed è materiale che altrimenti finirebbe in discarica o disperso ai bordi delle strade. Chi potrebbe mai dir male del recupero del ferro?

E invece, in Italia, ci ritroviamo con delle leggi che possono essere interpretate in modo da rendere illegale il recupero del ferro o di qualsiasi altro materiale. Non solo, ma abbiamo anche qualcuno che si è messo di buona volontà a interpretarle in questo modo e anche ad applicarle distruggendo un'attività che stava dando lavoro a decine di famiglie e facendo un'opera utile a tutti.

La storia comincia qualche anno fa, in Toscana dove, con il supporto delle istituzioni e della magistratura, sono nate tre cooperative sociali gestite principalmente dai Rom locali per il recupero del ferro di scarto. Era un lavoro duro e pesante, che però rendeva anche discretamente e permetteva ai membri delle cooperative di vivere in modo dignitoso.

Negli ultimi mesi, tuttavia, queste cooperative sono state soggette a una serie di ispezioni da parte dalla polizia del corpo forestale. Gli agenti si sono presentati all'improvviso, mitra in mano, requisendo i documenti e controllando tutto. Ma, nonostante le irruzioni spettacolari, non è stato possibile trovare niente di illegale o estraneo alle attività delle cooperative. Niente droga, niente refurtiva, niente del genere. La documentazione di rito era tutta a posto, con tutti i fogli e i moduli del caso: i "Fir" formulari di identificazione rifiuti, regolarmente compilati in quattro copie per ogni carico riciclato.

Poteva finire così? Assolutamente no! E, infatti, una delle norme fondamentali della burocrazia è che qualsiasi cosa fai, anche se ti ha detto di farla un funzionario, puoi sempre trovare un funzionario uguale e contrario al quale non va bene. Se questa norma si aggiunge all'altra che dice che comunque vada, devi sempre pagare, allora la burocrazia si trasforma in una trappola mortale dove qualsiasi cosa fai sei fregato.

Qui, i funzionari che hanno esaminato la documentazione delle cooperative hanno deciso di interpretare in senso restrittivo e letterale la norma detta della "tracciabilità dei rifiuti" che vuole che se ne debba sapere la strada percorsa fin dall'origine. La norma è sensata in termini generali ma, ovviamente, se la si applicasse alla lettera, non sarebbe possibile riciclare niente. Ogni tappo e ogni bottiglia avviate al riciclo dovrebbero essere accompagnate da un modulo fir in quattro copie con il nome, cognome, indirizzo e codice fiscale della persona che le ha buttate nel cassonetto.

Questo vale anche per il ferro raccolto dalle cooperative, che era ferro trovato agli angoli delle strade o recuperato presso cantieri e cose del genere. Nei moduli fir, come "origine del rifiuto" c'era la cooperativa. Questa è un'interpretazione valida della legge e, comunque, l'unica possibile se uno vuole riciclare quello che altrimenti resterebbe abbandonato in giro.

Ma chi ha inventato questa guerra contro il recupero del ferro ha trovato il modo di usare la norma per distruggere le cooperative. Stabilito che l'origine dichiarata dei carichi di ferro non era quella giusta, ne consegnue che ogni modulo era irregolare. Siccome la norma prevede una multa da 1000 euro in su per ogni irregolarità, il risultato finale è stato un totale di 19 milioni di euro di multa fatte alle tre cooperative (questo è un totale provvisorio, le multe continuano ad arrivare). Ovviamente, le cooperative non possono che chiudere in queste condizioni; fra le altre cose si sono visti anche sequestrati i furgoncini che usavano per lavorare.

Così, il risultato è che decine di famiglie hanno perso il lavoro, le cooperative hanno chiuso e riciclare il ferro è diventato un'attività illegale in Toscana. Adesso, i Rom che gestivano le cooperative non potranno fare altro che tornare a lavori saltuari e al nero - se non illegali - e ad essere un peso per la comunità. Un altro risultato è stato di fermare un'attività che poteva essere un esempio su come gestire quelle cose che chiamiamo "rifiuti" ma che non lo sono, ma sono invece materie seconde di cui abbiamo disperatamente bisogno per mandare avanti il "sistema Italia".

Non so cosa pensate voi di questo disastro. A me ricorda cose come il "cupio dissolvi" di cui parlava Paolo di Tarso, oppure l' "istinto di morte" di cui parlava Sigmund Freud. O forse la leggenda dei lemming che corrono come pazzi per buttarsi giù tutti insieme dal precipizio. Oppure, quelle belve in gabbia che finiscono per impazzire e per automutilarsi.

Per ogni volta in questo paese che qualcuno riesce a mettere su qualcosa di buono, viene sempre fuori qualcun altro che lo distrugge facendo del male anche a se stesso e a tutti quanti. Questa è l'essenza di questa guerra contro il recupero delle risorse: comunque vada, siamo tutti sconfitti.

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Qui di seguito, riporto l'articolo di Repubblica sulla faccenda. Ho contattato l'avvocato Luca Mirco che mi conferma che tutto questo è vero. Io stesso ve lo posso confermare in quanto conosco i gestori di una di queste cooperative.

La repubblica, 15/3/09 (Firenze III) 
Il Caso

Coop dei rom, maxi multa da 19 milioni euro

FRANCA SELVATICI

LE COOPERATIVE sociali specializzate nella raccolta di rottami metallici sono in ginocchio. Nel giro di sei mesi il Corpo Forestale dello Stato ha elevato verbali di contravvenzione per quasi 19 milioni di euro nei confrontidelle cooperative La Bussola di Pistoia, I Ferraioli di Prato e L’Olmatello di Firenze e dei soci raccoglitori di ferraglie, per lo più rom e slavi. La loro colpa: aver trasportato «rifiuti speciali non pericolosi con formulari di identificazione rifiuto (Fir) recanti dati inesatti». Per molti dei soci, avviati al lavoro dalla magistratura e da enti che si occupano del recupero sociale di ex detenuti, è a rischio il percorso di riabilitazione.
Spiega l’avvocato Luca Mirco, che li assiste nei ricorsi alla Amministrazione Provinciale: «Questo sistema di cooperative è nato con il favore della politica. È un lavoro utile all’ambiente e contribuisce alla sicurezza sociale, perché allontana dalla illegalità soggetti svantaggiati. Ai soci vengono dati in comodato gratuito furgoncini sui quali caricano ferraglie raccolte nei cassonetti dei rifiuti o fra gli scarti dei cantieri edili, per portarle ai centri di raccolta autorizzati, come Toscana Rifiuti. Qui i rottami vengono pesati e i raccoglitori incassano subito il corrispettivo, che per l’80% va a loro e per il 20% alla cooperativa. In questo modo riescono a mantenere le famiglie».
Dopo i controlli del Corpo Forestale, però, molti di loro hanno ricevuto verbali di contravvenzioni per cifre spaventose. E i furgoncini sono stati sequestrati. «Si era creato un circolo virtuoso — sottolinea l’avvocato Mirco — era un modo per riabilitare molti soggetti. Ora però sono spaventati a morte».
La Forestale ha applicato le norme in materia ambientale, che prescrivono la tracciabilità dei rifiuti. I Fir (formulari di identificazione rifiuti) devono riportare nome e indirizzo del produttore e del detentore. Nei formulari controllati dalla Forestale, alla voce produttore o detentore risulta indicata la cooperativa di appartenenza dei raccoglitori. Ma nessuna delle tre coop produce o ha in deposito rifiuti. Di qui le contestazioni. Per ogni Fir inesatto la legge prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 1600 a 9300 euro. Poiché, secondo le accuse, tutti i Fir sono inesatti, le sanzioni hanno raggiunto cifre stratosferiche.
«Ma come si fa a indicare la provenienza di un cassonetto o una discarica?», obietta l’avvocato. Una via di uscita per non distruggere il lavoro dei ferraioli potrebbe esserci. La legge sui rifiuti esenta gli ambulanti dalla compilazione dei formulari. Ma chi rilascia la licenza di ambulante? La Camera di Commercio dice che deve farlo il Comune. Il Comune dice che con la legge Bersani la licenza non c’è più. E allora? È stato chiesto un parere all’Albo nazionale gestori ambientali. Ma nessuno ha risposto.

martedì, febbraio 24, 2009

Il porta e incassa funziona!


La mappa dei centri di raccolta dei rifiuti in Campania, dove i cittadini possono portare i loro rifiuti differenziati e riceverne un compenso monetario. Dal sito http://www.emergenzarifiuticampania.it/erc/Home/Informazione/Notizie/ERC-ERC_Layout_locale-1199880667264_1199887877985.htm


In un post precedente, vi avevo già parlato del decreto "porta e incassa" (conferimento remunerato dei rifiuti), promulgato a Novembre dell'anno scorso dal consiglio dei ministri. In Italia, capita non di rado che decreti bene intenzionati restino lettera morta, ma in questo caso per fortuna non è successo. Il decreto è stato attuato molto seriamente e i cittadini campani possono oggi portare plastica, vetro, alluminio e acciaio a ben 28 centri di raccolta sparpagliati per la regione. Ne ricevono un piccolo compenso, da 1.28 euro per 100 kg per la carta a 28.8 euro per 100 kg per l'alluminio. A questi compensi, decisamente nessuno diventa ricco. Per l'alluminio, per esempio, una lattina di 20 g vale meno di un centesimo. E' poco, però è qualcosa e, vista la situazione generale, aiuta.

La cosa interessante è che, anche a questi prezzi bassi, il sistema funziona. Mi riferiscono da napoli che la gente porta davvero carta, vetro, eccetera ai centri di raccolta. Se la cosa prende campo, Napoli e le città Campane potrebbero diventare le città più pulite d'Italia.

Fra le altre cose, è nato anche un progetto della prefettura di Napoli per incoraggiare i Rom a ripulire i loro campi e le zone limitrofe sfruttando il sistema "porta e incassa". Lo riferisce "La Repubblica" del 20 Febbraio 2009. Un'altra buona idea che potrebbe dare risultati eccellenti sia per ripulire zone degradate sia per migliorare l'immagine sociale dei tanto bistrattati Rom.

Potete leggere i dettagli dell'operazione in Campania a questo link.
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Ringrazio Mariella Maffini del commissariato per l'emergenza rifiuti in Campania per le informazioni che mi ha dato su questo argomento.

martedì, febbraio 10, 2009

Io e il lampredotto

Il panino col lampredotto è un'antica tradizione fiorentina. E' buono, a buon prezzo e nutritivo, anche se non è proprio leggero per lo stomaco. Di solito lo si mangia stando in piedi davanti al banchino e lo si accompagna con un bicchiere di rosso. Questa storia che vi racconto è avvenuta davanti a un banchino come questo.


Io: "Uno col lampredotto, grazie."
Venditrice: "Ecco"
I: "Un bicchiere di rosso, si può avere?"
V: "No. C'è una nuova legge. Non possiamo più vendere vino sfuso"
I: "Ah....?"
V: "Può prendere una bottiglietta. Sono 25 cc., un bicchiere e mezzo"
I: "Va bene, una bottiglietta."
V: "Vuole anche un bicchiere?"
I: "Per forza, non vorrà che lo beva con la cannuccia!"
V (sorride): "Non si sa mai, abbiamo tanti turisti americani...."
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I: "La bottiglia glie la ridò indietro?"
V: "Solo se me la ridà piena"
I: "Non la può riprendere?"
V: "Non si può."
I: "Allora dove la butto?"
V: "La butti nel cestino, lì, a lato."
I: "Ma il vetro non si butta da qualche parte.... sa... separato?"
V: "No."
I: "Ci butto anche il bicchiere di plastica?"
V: "Si."

(butto bottiglia di vetro, bicchiere di plastica, carta e nylon dove era avvolto il panino, tutto insieme del bidoncino dove c'è altra carta, plastica, bottiglie, lattine, tappi in plastica e in metallo e resti di panini vari)

I: "Grazie e arrivederci"
V: "Arrivederci"
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Questo dialogo si è svolto a duecento metri dalla sede della provincia di Firenze dove ho passato una mattinata a parlare con vari assessori e funzionari a proposito della necessità di incrementare la frazione della raccolta differenziata dei rifiuti.

venerdì, gennaio 30, 2009

Abitudini, inerzie e altre patologie / 5 : horror - pannolini



Anche se non ci pensiamo molto spesso, il classico "pannolino" non è un prodotto così banale come può sembrare a chi non è del ramo (come me), ma è ormai un vero e proprio concentrato di tecnologia, e ci sono fior di multinazionali che sviluppano materiali e architetture "ottime" per migliorare ancora le prestazioni (che, per la verità, sono molto prossime a un asintoto).

Riporto di seguito la storia, così come l'ho tratta da un sito scientifico/divulgativo.


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Anni ’50-’60: la struttura di base

Tutte le innovazioni che hanno portato al pannolino usa e getta moderno, immesso sul mercato nel 1961, furono effettuate a partire da una struttura di base messa a punto nel 1951 dalla stessa Donovan e composta da una parte esterna impermeabile, da un sistema assorbente a base di carta e da un metodo di chiusura in cui le spille da balia furono sostituite con fermagli di metallo e di plastica.


Anni ’70: si perfeziona la qualità

È dagli anni settanta in poi che il pannolino monouso subì le variazioni qualitative più significative in termini di maggiore potere assorbente e traspirante che, insieme alla perfetta vestibilità e all’elevato comfort, sono i requisiti essenziali dei prodotti attualmente disponibili. Furono introdotte le fibre di cellulosa al posto della carta assorbente e utilizzati sistemi di chiusura sempre con caratteristiche di maggiore praticità (strisce di velcro, linguette regolabili).


Anni ’80: un migliore potere assorbente e drenante

Agli inizi degli anni ottanta al corpo centrale assorbente, formato da due strati di fluff in pura cellulosa a fibra lunga, venne aggiunto un polimero superassorbente (super absorbent polymer o SAP) in grado di ritenere una quantità di urina pari a 20-30 volte il proprio peso. In pratica lo strato di cellulosa contenente SAP consente la tenuta e l’imprigionamento dei liquidi, mentre l’altro strato possiede un effetto drenante. Nello stesso periodo fu anche dimezzato lo spessore del pannolino modificando il rapporto tra la consistenza dello strato fluff (più ridotto) e quella del SAP (più spesso), con evidenti vantaggi in termini di vestibilità e di praticità d’uso, caratteristiche che vennero ulteriormente migliorate negli anni successivi.


Dal 2000 ad oggi: tecnologia all’avanguardia al servizio della delicatezza e ipoallergenicità cutanea

Gli anni 2000 sono stati contrassegnati dall’introduzione di uno strato sottofiltrante - formato da fibre atte a velocizzare l’assorbimento dei liquidi - interposto tra il nucleo centrale assorbente e la superficie a contatto della pelle formata da un tessuto-non tessuto (polipropilene) resistente e ipoallergenico.L’ultima innovazione in termini cronologici è stata la realizzazione di un rivestimento esterno microforato traspirante che, lasciando circolare liberamente l’aria, abbassa l’umidità interna e mantiene la cute più fresca e asciutta, caratteristiche essenziali a prevenire o ridurre i casi di dermatite da pannolino così frequenti tra i neonati e i bambini.




Prima degli anni '60, esistevano soltanto i "pannolini tradizionali riutilizzabili", che a loro volta costituivano il naturale perfezionamento di fasciature in cotone/lino utilizzate nei secoli precedenti.

E' fuori discussione il fatto che il livello qualitativo di oggi non ha paragoni, soprattuto in termini di resistenza nel tempo alla penetrazione dell'umidità; si tratta però di un'iper-prestazione, più che tutto di una "comodità" (essenzialmente, in termini di tempo speso per l'igiene del bimbo) che paghiamo tutti in termini energetici e ambientali. Non è un caso che l'esplosione dei pannolini "usa e getta" sia avvenuta negli anni di grande crescita nella disponibilità petrolifera ed economica pro capite (il boom degli anni '60).

Se al tempo "buttare via" dei pannolini aveva un effetto praticamente trascurabile, oggi non è più così. Lascio a un'altra occasione (o a qualche lettore curioso) lo sfizio di calcolare la massa o il volume di pannolini gettati ogni giorno nel mondo, e mi limito ad osservare che si tratta di rifiuti "da discarica" (o da inceneritore), in quanto non elevabili a materie secondarie. Una vera sequenza horror per chi ha a cuore lo stato di salute dei cicli energetici.



PS Non vorrei fare dell'assolutismo, soprattutto perchè non mi sono mai occupato del problema in prima persona, non avendo figli :-) Tuttavia, se oggi siamo a un 99,99999% di usa e getta, una società al 90% di lavabili, e 10% di usa e getta (per quando si ha proprio fretta) sarebbe davvero così fuori dal mondo?

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Gli altri post della saga:


- Abitudini, inerzie e altre patologie / 4 : paranoie da lavapiatti
- Abitudini, inerzie e altre patologie / 3 : il paradosso del frigorifero
- Abitudini, inerzie e altre patologie / 2 : l'etica del rasoio
- Abitudini, inerzie e altre patologie / 1 : la pausa caffè

giovedì, gennaio 29, 2009

Jutta Gutberlet e la "community economics" per la gestione dei rifiuti urbani


Jutta Gutberlet in piena azione "sul campo" mentre intervista uno dei 1800 catadores della discarica di Rio de Janeiro, in Brasile. E' docente presso la facoltà di Geografia dell'Università di Victoria, in Canada


Lo scorso dicembre (poco più di un mese fa), abbiamo avuto a Firenze la gradita visita del prof. Jutta Gutberlet, di cui vi avevo già parlato in un post precedente.

Avevo invitato Jutta Gutberlet da noi per raccontarci la sua esperienza con la gestione dei rifiuti a San Paolo, in Brasile. Questo lo ha fatto con due interessantissimi seminari; uno a Firenze (polo di scienze sociali) e l'altro a Sesto Fiorentino (polo scientifico). Peccato che fossimo già vicini alle ferie natalizie e che la visita è stata breve; per cui non c'è stata la possibilità di un'interazione approfondita con il gruppo ASPO-Italia. Comunque, è stato già un ottimo inizio.

Il concetto di "picco del petrolio" non è centrale nel lavoro di Jutta, ma il suo approccio è perfettamente coerente con la visione dei "picchisti". La riduzione della disponibilità delle materie prime, in effetti, ci sta portando in una situazione in cui il mondo globalizzato si trova ad aver preso una china discendente che lo porterà a scomparire in tempi più o meno lunghi. A questo punto, le ricette di una volta per combattere la povertà - per esempio sviluppo o grandi opere - non funzionano più.

Lo sviluppo inteso in senso tradizionale crea posti di lavoro, è vero, ma anche consuma risorse di cui siamo sempre più a corto. Per cui, se vogliamo creare lavoro e combattere l'impoverimento generalizzato non possiamo fare a meno di affrontare il problema del recupero delle "materie seconde". Questo recupero si genera nel modo migliore nell'ambito di quella che oggi chiamiamo "filiera corta" che ha il vantaggio, fra le altre cose, di ridurre i costi di trasporto. Inoltre, il basso valore monetario del materiale recuperato si gestisce al meglio in una situazione di economia di comunità dove non pesano le infrastrutture burocratiche dei processi tradizionali. Quindi, è essenziale recuperare le materie seconde attraverso strutture "leggere". Queste possono essere del tutto informali, a livello individuale; oppure possono essere cooperative come quelle che Jutta Gutberlet ha studiato in modo approfondito in Brasile. Le cooperative di San Paolo, in effetti, sembrano aver avuto un notevole successo sia nel recupero dei rifiuti, sia nell'essere riusciti a creare posti di lavoro e un notevole miglioramento dell'accettazione sociale dei propri membri.

Il campo di studi di Jutta Gurberlet è, in realtà, più vasto e più complesso della sola gestione dei rifiuti. E' quello che si chiama "community economics"; ovvero lo studio dell'economia nelle comunità - in particolare quelle povere e svantaggiate. L'economia di comunità non si occupa soltanto di rifiuti, ma di varie e molteplici problematiche. Ci sono questioni di educazione, microcredito, pianificazione, logistica, cittadinanza, accettazione sociale, eccetera. Tutte queste cose fanno parte di un insieme che sta generando un grandissimo interesse che si sta affermando, fra le altre cose, anche nella forma nota come le "Transition Town" che stanno cominciando ad apparire anche in Italia. In effetti, i dati recenti ISTAT che indicano che in Italia il 5% delle famiglie ha difficoltà a trovare abbastanza soldi per pagare il cibo ci rendono le favelas brasiliane più vicine di quanto non ci potessero sembrare fino a non molto tempo fa.

Questo è il lavoro di Jutta Gutberlet, che è nata in Germania, ma che è cresciuta in Brasile e che ora vive in Canada. Una persona di grandissimo valore che speriamo di poter avere di nuovo in Italia nel prossimo futuro. Ulteriori informazioni su questo argomento si trovano al sito del "Participatory Sustainable Waste Management"

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Alcune immagini del lavoro di Jutta Gutberlet.





Pedra sobra Pedra, un sobborgo di San Paolo


Riciclaggio informale, Pedra sobre Pedra



"Catadores" (riciclatori) a Diadema, San Paulo


Riciclaggio fatto a mano alla cooperativa "cooperpires"



La grande discarica di San Paolo, trasfigurata e trasformata in una specie di piramide Maya in questo disegno. E' la copertina del libro di Jutta Gutberlet "Recycling Resources, Recycling citizenship"