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giovedì, dicembre 22, 2011

L'irresponsabilità di essere (tecno)ottimisti

Di Antonio Turiel 


Apparso il 19 Aprile 2010 su The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti.
Pubblicato anche su Effetto Cassandra



Cari lettori,

sulla base dell'ultimo commento di Agustìn (un lettore del blog, ndT) fatto al precedente post, ho creduto che il tema toccato fosse talmente ampio che meritasse un post a sé.

Circa la descrizione che facevo dei problemi di fornitura di frutta e verdura nel Regno Unito provocata dal blocco del traffico aereo (è il periodo dell'eruzione del vulcano islandese Eyiafjallajokull, ndT), Agustìn diceva quanto segue:

Sono chiare due cose: Primo: che in questo pianeta siamo di passaggio e quasi per caso, quindi qualsiasi crisi ci può spazzar via dalla faccia della Terra. Secondo:che la tecnologia (in questo caso l'aeronautica) può ben poco di fronte a questo. Ma non importa, ci sarà sempre gente che protesta perché non sono state previste le conseguenze dell'eruzione e perché non si è cercata una soluzione al “loro" problema.

Agustìn ha ragione, perché sono questi due i problemi ricorrenti e che spiegano in gran parte la nostra incapacità di approcciarci in modo razionale al problema del Picco del petrolioGrosso modo (scritto così nel testo originale, ndT), questi due problemi sono la nostra incapacità di accettare i nostri limiti e il tecno-ottimismo.

L'essere umano è, intrinsecamente e necessariamente, limitato. Questo lo capiamo presto da bambini: non possiamo correre tanto quanto vorremmo, non possiamo sollevare cose molto pesanti, non possiamo volare... E nemmeno possiamo fare ciò che crediamo, nel contesto dei nostri limiti fisici, per via di altri limiti intangibili ma ugualmente inflessibili: la famiglia, la società, la scuola... Tuttavia, questa evidenza si va disperdendo con l'età, nella misura in cui si insedia un'altra idea, non tanto naturale ed evidentemente fallace, che dice che è possibile ottenere qualsiasi cosa, con i giusti mezzi. La nostra società dei consumi ci sta permeando con l'idea che con sufficiente denaro si può ottenere tutto e dove la nostra capacità fisica non può arrivare,sarà capace di arrivare l'onnipotente tecnologia. Questa nuova realtà prefabbricata risulta essere molto comoda e conveniente; elimina l'incertezza del mondo reale, rende più rarefatta la più terribile di tutte le certezze, quella della propria morte, e spinge le persone a consumare senza riflettere.

Tuttavia, occasionalmente, la disgrazia arriva comunque, la gente muore in incidenti, terremoti, malattie.... L'economia ha problemi, la disoccupazione aumenta, l'insicurezza cresce... Per lottare contro questa realtà spigolosa, che intacca la nostra cortina di illusioni, abbiamo il tecno-ottimismo, vale a dire la rigida credenza nel fatto che la tecnologia possa risolvere qualsiasi problema, se solo siamo disposti ad investire a sufficienza nel suo sviluppo. Questo sta alla base di molte politiche che sono in corso di attuazione oggigiorno, man mano che si comincia a percepire il fatto che abbiamo un problema intrinseco col modello attuale: che, eventualmente, dobbiamo cercare energie alternative; che, eventualmente, l'auto elettrica ci potrà aiutare a superare la nostra dipendenza dal petrolio, ecc. L'infantilismo nel quale ci ha gettati il consumismo ci porta a credere che tutti i problemi si possono risolvere e che Papà-Stato-Autorità-Tecnologia-Scienza-Chiperloro, in ogni caso l'autorità superiore e responsabile, non solo può, ma addirittura ha l'obbligo di risolvere i problemi. Trovo frustrante che, in tutti gli incontri che vado proponendo sull'Oil Crash, quando arriva il momento delle domande ci sia sempre qualcuno che ci chiede, quasi esige da noi – noi che siamo scienziati e che pertanto siamo parte di questo establishment onnipotente – che risolviamo un problema tanto complesso come quello di adattare una società autistica ed egoista ad uno scenario di diminuzione dell'energia; fuori le soluzioni, forza!

Il problema veramente grave è che le diverse amministrazioni accettano questo ruolo di fornitori di soluzioni che, in realtà, non possono ricoprire. Non si vendono più automobili? “Non vi preoccupate, metteremo sovvenzioni per fare in modo che si continuino a vendere”, anche se entro tre anni non si sa da dove estrarremo il petrolio, non tanto a buon mercato, ma a qualsiasi prezzo. La gente si preoccupa perché il prezzo del petrolio sale? “Non vi preoccupate che con l'auto elettrica il problema del petrolio scompare”, ignorando il fatto che il petrolio non si usa solo per le auto, ma per quasi tutto e che in ogni caso non abbiamo idea da dove verrà l'energia per ricaricare queste auto e per la costruzione delle quali non abbiamo, in ogni caso, sufficienti materiali (per esempio le terre rare, ndT). La domanda di petrolio per gli altri usi energetici, oltre alle auto, continua? “Non vi preoccupate, che possiamo moltiplicare per due o per tre la produzione di energia rinnovabile attuale”, ma ignorando che questo è molto lontano dal moltiplicare il suo potenziale per 20, che è quello di cui avremmo bisogno per eguagliare il consumo attuale. Fra l'altro perché è impossibile, perché l'energia rinnovabile non ha un tale potenziale e questo senza parlare della mancanza di materiali per le installazioni e della loro scarsità associata all'aumento del prezzo del petrolio (perché serve petrolio, ed in quantità ingenti, per estrarre, raffinare e processare tutti i materiali). La gente ha paura della disoccupazione? “Non vi preoccupate e consumate, consumate, maledetti, che dobbiamo far crescere il PIL fino al magico 2,6% che farà in modo che la disoccupazione torni a scendere”, anche se questo non è possibile, visto che il nostro consumo di petrolio scende ad un ritmo medio del 3% ogni anno.

Essere tecno-ottimisti, credere che la tecnologia risolverà tutto, è un modo socialmente accettabile di essere suicidi. Io, se permettete, scelgo la vita. Sono uno scienziato, ma non un idiota e non voglio credere ai benefici della tecnologia come se fosse un atto di fede; proprio perché sono uno scienziato so che ci sono dei limiti nella natura (le leggi della termodinamica, per esempio) e che non possiamo fare miracoli, anche se possiamo e dobbiamo migliorare le condizioni di vita degli umani. Ma cerchiamo di essere razionali. 

Saluti,

AMT

giovedì, maggio 13, 2010

Il picco dei rifiuti?

Sul sito dell’Ispra è disponibile il consueto rapporto annuale sui rifiuti urbani relativo al 2008. Un primo dato significativo è il calo della produzione nazionale rispetto all’anno precedente, che si attesta a un valore di 32.471.591 tonnellate. Una tendenza analoga a quella dei consumi energetici, già commentata più volte su questo blog, strettamente connessa alla crisi economica iniziata nel 2008, che certamente produrrà una riduzione ancora più marcata nel 2009.

Un secondo elemento di riflessione è la produzione procapite dei rifiuti sintetizzata nella tabella allegata. Le regioni che guidano nettamente questa classifica non dignitosa sono la Toscana e l’Emilia Romagna, rispettivamente con 686 kg/abitante * anno e 680 kg/abitante * anno. Le regioni con la minore produzione di rifiuti sono quelle meridionali, ma incredibilmente esse sono praticamente affiancate da regioni molto ricche e industrializzate come il Veneto (494 kg/abitante * anno), il Piemonte (509 kg/abitante * anno) e la Lombardia (515 kg/abitante * anno).

Se i più bassi livello di consumo giustificano i valori delle regioni meridionali, cosa determina comportamenti così virtuosi nelle regioni del nord? Inoltre, i toscani e gli emiliani sono proprio degli inguaribili spreconi consumistici? Le risposte sono due, strettamente intrecciate tra di loro. I Comuni delle due regioni “rosse” adottano politiche spinte di assimilazione agli urbani dei rifiuti speciali prodotti dalle attività commerciali e artigianali, mentre quelli delle regioni iperconsumistiche del nord hanno scelto in maggioranza una gestione integrata dei rifiuti basata sulle raccolte differenziate domiciliari. Il primo motivo determina il mantenimento di sistemi di raccolta con grandi cassonetti stradali adatti a soddisfare più facilmente le esigenze delle utenze non domestiche, il secondo motivo riduce fortemente il conferimento di rifiuti diversi da quelli domestici. Quindi, come ho scritto in questo mio precedente articolo, le ragioni di queste apparenti incongruenze sono in gran parte politiche.


E infatti, anche nel 2008, le regioni del Nord continuano ad essere le più virtuose per quanto riguarda i livelli di raccolta differenziata. Come possiamo leggere agevolmente in questa seconda tabella, Trentino e Veneto hanno abbondantemente superato nel 2008 il 50%, obiettivo nazionale previsto per il 2009, Piemonte e Lombardia hanno scavalcato nettamente l’obiettivo del 45% stabilito dalla legge per il 2008. Tutte le altre regioni sono ampiamente inadempienti, con molte regioni, tra cui la Toscana, molto lontane persino dall’obiettivo 2007. Un maggiore approfondimento delle tematiche qui appena delineate le potrete leggere in questo mio documento sul sito di Aspoitalia.

venerdì, marzo 19, 2010

The age of clever



A furia di sentirne parlare in Aspo e dintorni non ho resistito alla tentazione di andare a vedere il film “The age of stupid”, offerto da Legambiente in un piccolo cinema della Toscana. Sono arrivato tardi e la sala era stracolma sicchè, non trovando posto a sedere, mi sono sorbito la proiezione in piedi fin quasi alla fine, quando uno spettatore visibilmente contrariato ha lasciato prematuramente la comoda poltrona, su cui mi sono immediatamente lanciato come un naufrago sulla ciambella di salvataggio. Era dai tempi di “Via col vento” che non assistevo in piedi a uno spettacolo, ma erano passati quasi quarant’anni e li sentivo tutti.
Alla fine della proiezione mi sono guardato intorno ad osservare gli spettatori. Avevano quasi tutti quell’aria di incredulo stupore che spunta immancabilmente sul volto dei miei interlocutori quando parlo loro di picco del petrolio e limiti dello sviluppo. Mi aspettavo che da un momento all’altro si alzasse il Fantozzi di turno esclamando nel delirio generale: “Per me, the age of stupid è una cagata pazzesca”, quando è cominciato il dibattito con gli esperti chiamati da Legambiente, tra cui il buon Meneguzzo di Aspoitalia. Beh, confesso che dopo un po’ sono andato via anch’io. Per carità, non per la qualità degli interventi, apprezzabili e condivisibili, semplicemente perché non sentivo bisogno di una ripassata di concetti già noti. Repetita iuvant, ma fino a un certo punto.
Così, pian pianino, mi sono incamminato verso casa, rimuginando lentamente sugli aspetti contenutistici e formali del film (scusate quest’espressione da cinefilo incallito) che più mi avevano colpito. Non so se capita anche a voi, ma quando esco dal cinema mi rimane ancora addosso per qualche minuto la sensazione strana di far parte del film, come se fossi uscito direttamente dallo schermo. Comunque, provo qui a sintetizzare il frutto delle mie elucubrazioni vaganti:
1) Il film è di buona fattura. Il ritmo è incalzante e il montaggio della storia tiene viva l’attenzione. La scelta di alternare scene reali con cartoni animati per illustrare la storia energetica dell’umanità è originale e indovinata, come pure la figura del narratore nella torre-biblioteca che compulsivamente richiama spezzoni dei filmati di quando e quanto eravamo stupidi. La fotografia è ottima.
2) La storia mostra un pianeta stravolto dalle conseguenze planetarie dei cambiamenti climatici indotte dall’uso dei combustibili fossili e, forse per questo, sottovaluta e approfondisce poco la questione cruciale del limite delle risorse. All’inizio del film la voce narrante ci annuncia che il petrolio finirà tra quarant’anni, senza spiegare che oggi la produzione ha iniziato a declinare, inducendo anche nello spettatore l’effetto di sottovalutazione del problema.
3) Il titolo del film non mi convince, io l’avrei chiamato “The age of clever”, l’era dell’intelligente, e spiego perché. L’enorme potenza distruttrice dell’ecosistema che l’umanità ha prodotto negli ultimi centocinquant’anni, è stata possibile solo grazie alle innumerevoli scoperte scientifiche e tecnologiche necessarie per sfruttare le risorse naturali disponibili sulla Terra, che non erano accessibili alle generazioni precedenti. Tali scoperte sono state partorite da poche menti con intelligenza superiore alla media e hanno consentito alla maggioranza della popolazione umana il comportamento consumistico che sta portando la specie all’autodistruzione. L’intelligenza è una delle caratteristiche della nostra specie che presenta una distribuzione statistica nella popolazione rappresentata, guarda un po’, proprio da una gaussiana. Circa il 16% della popolazione è caratterizzata da un’intelligenza superiore alla media (con un 2% di geni), un altro 16% ha un’intelligenza inferiore alla media (con un 2% di minorati mentali). Il resto è il famigerato uomo medio delle ricerche di mercato contemporanee. In genere nelle popolazioni animali avviene che meccanismi genetici (e culturali nell’uomo) emarginano i devianti dalla norma (cioè dalla media) impedendone una diffusione nella popolazione con potenziali effetti distruttivi. Nel caso dell’intelligente invece, la società umana (tranne che in qualche raro caso come l’Italia) ha trasformato questo meccanismo escludente in un meccanismo di valorizzazione che tende a premiare questa qualità intellettiva. Il motivo è comprensibile: lo sfruttamento della risorsa costituita dagli intelligenti consente di migliorare le condizioni di vita dell’intera società.
Lo so, qualcuno ora osserverà che la colpa non è degli intelligenti, ma degli stupidi che applicano male le loro intuizioni e invenzioni. Ma è un dettaglio secondario, la causa prima rimangono sempre le brillanti menti che hanno progettato il progresso umano e hanno aperto la strada ai comportamenti umani consumistici e dissipativi.

Ho aperto la porta di casa e sono andato a letto. Prima di addormentarmi ho pensato che non sarà l’intelligenza a salvare l’uomo, ma la temperanza.

domenica, gennaio 31, 2010

La globalizzazione impazza




created by Armando Boccone


Ogni analisi della realtà e ogni ipotesi sull’andamento futuro di qualsiasi fenomeno richiedono una serie di dati, di conoscenze di base. Solamente in questo modo, per esempio, è possibile fare degli apprezzamenti sul consumo energetico del commercio mondiale oppure scoprire perché in alcune parti del mondo manca il cibo. E, soprattutto, solamente in questo modo è possibile farsi una idea delle conseguenze che, sul comportamento e le condizioni di vita quotidiane, avrà la futura minore disponibilità di combustibili fossili.

Nel periodo natalizio (circa 1 mese fa), mentre con la mia compagna stavamo facendo la spesa, ho pensato di fare una ricerca su alcuni prodotti venduti dal supermercato.

I dati che di seguito saranno presentati sono stati presi (nel periodo natalizio come anzidetto), in due supermercati di una media città dell’interno del Nord Italia. Con essi si intende mettere in evidenza l’enorme consumo di combustibili fossili richiesti dal commercio mondiale così come è stato caratterizzato da quel fenomeno chiamato “globalizzazione”. E’ una analisi di prima approssimazione, perché uno studio approfondito richiederebbe una ulteriore e non indifferente quantità di dati (per esempio la conoscenza dell’incidenza della vendita dei singoli prodotti sul complesso dei prodotti venduti, il tipo di mezzo di trasporto utilizzato [nave, aereo oppure autocarro], la necessità o meno di refrigerazione e/o di altri trattamenti durante il trasporto, ecc.)

La ricerca ha riguardato i settori “frutta e verdura”, “prodotti ittici” e “carni”.

Settore “frutta e verdura”

Per il settore “frutta e verdura” sono stati indicati la provenienza geografica e il prezzo al kg. E’ sempre stato indicato il prezzo pieno perché alcune volte (pochissime per la verità) è applicato uno sconto. In molti casi la merce è venduta in confezioni di plastica trasparente e in pezzatura di pochi etti.
Questo è l’elenco dei prodotti rilevati:

1 Mirtilli dal Cile € 15,84

2 Lamponi dalla Spagna € 19,84

3 More dal Mexico € 18,24

4 Alchechengi della Colombia € 11,90

5 Granadilla dalla Colombia € 12,40

6 Peperoncini dolci dall'Egitto € 2,94

7 Patate dolci da Israele € 2,18

8 Pomodoro grappolo dall'Olanda € 1,68

9 Asparagi dal Perù € 7,10

10 Papaja dal Brasile € 3,98

11 Ananas dal Costarica € 1,18

12 Pitahaya dal Vietnam € 13,19

13 Mangosteen dall'Indonesia € 15,40

14 Carambola dalla Malesia € 14,30

15 Rambutan dalla Thailandia € 15,40

16 Ananas baby delle Isole Mauritius € 3,95

17 Bananito della Colombia € 9,98

18 Ciliegie dal Cile € 13,80

19 Banane baby dall'Ecuador € ………….

20 Pistacchi dall'Iran-Spagna € 4,97

21 Mandorle da cocktail dagli USA € …………

22 Uva Aledo dalla Spagna € 2,84

23 Meloni gialli dal Brasile € 1,28

24 Litchees dal Madagascar € 3,98

25 Banane dall'Ecuador € 1,68

26 Avocados da Israele € 3,58

27 Caco-mela dalla Spagna € 2,59

28 Peperoncini piccanti dal Marocco € ………….

29 Fagiolini body dal Marocco € 2,68

30 Insalata belga dall'Olanda € 2,78

31 Ponpelmi rossi da Israele € 1,28

32 Fagiolini spuntati dal Marocco € 1,98

33 Fagiolini body verdi dal Marocco € 2,98

Le tradizionali frutta, verdura e ortaggi di stagione (come mele, pere, arance, mandarini, lattuga, cicorie, radicchio, rape, carote, patate, cipolle, sedano, ecc.) provengono dalle varie regioni italiane.

Settore “prodotti ittici”

Questi prodotti in piccola parte sono distribuiti interi e sfusi attraverso la tradizionale vendita col banco del pesce mentre in buona parte sono venduti attraverso il libero servizio con i banchi frigo. Con questa seconda modalità di vendita il prodotto è venduto porzionato e confezionato nelle comuni vaschette di polistirolo coperte da una pellicola di polietilene su cui viene indicato il peso, il prezzo e altre informazioni relative al prodotto.

Nei banchi frigo sono stati rilevati i seguenti prodotti, di cui viene indicato solamente la provenienza e se pescato oppure allevato.

1 Filetti di tonno a Pinne Gialle pescato oceano indiano orientale

2 Gamberetto boreale pescato atlantico nord orientale

3 Cappasante dell'atlantico pescato atlantico nord orientale

4 Mazzancolle tropicali allevato Brasile

5 Branzino fresco allevato Grecia

6 Polpo pescato atlantico centro orientale

7 Astice americano pescato atlantico nord occidentale

8 Pesce spada pescato pacifico sud orientale

9 Gambero gigante pescato atlantico centro orientale

10 Code mazzancolle allevato Ecuador

11 Mazzancolle tropicali allevato Thailandia

12 Filetto merluzzo pescato atlantico nord orientale

13 Filetto orata allevato Grecia

14 Filetto branzino pescato atlantico nord orientale

15 Tranci salmone allevato Norvegia

16 Filetto di platessa pescato atlantico nord orientale

17 Filetto cernia pescato atlantico centro orientale


I prodotti ittici venduti nel tradizionale banco del pesce sono interi e sfusi. Sono in gran parte di provenienza dal mediterraneo, in gran parte pescate mentre solamente in piccola parte sono di altra provenienza e sono allevate.

Per quanto riguarda i prodotti pescati nel mediterraneo non viene indicato la provenienza specifica per cui avrebbero potuto essere anche di importazione.


Settore “carni”

Le carni fresche sono vendute solamente attraverso la vendita a libero servizio con i banchi frigo (non c’è la “macelleria”).

Per quanto riguarda le carni fresche bisogna fare una netta distinzione fra quelle bovine (tutte di importazione da Paesi dell’Unione Europea) e le altre (suine, avicole, cunicole, ovine, ecc.) che sono invece tutte di produzione nazionale.

La ricerca fatta ha riguardato quindi la provenienza delle carni bovine. La caratteristica di queste carni è che provengono da capi che nascono in una nazione ma che poi sono allevati e/o macellati in un’altra e infine inviate in Italia dove sono sezionate, porzionate e confezionate.

Nei banchi frigo sono stati rilevati i seguenti “tagli”.

Nella prima colonna è indicato il “taglio”, nella seconda il Paese di nascita del capo, nella terza quello di macellazione e nella quarta quello in cui è stata sezionata la carcassa, porzionata e confezionata. Come si vede l’ultima operazione, che si articola in più aspetti, avviene nel paese (l’Italia in questo caso) in cui avviene la vendita.

1 Rollè di vitello Lituania Olanda Olanda Italia

2 Costate di vitello Olanda Olanda Olanda Italia

3 Roast beef a fette Germania Germania Germania Italia

4 Entrecote Francia Francia Italia Italia

5 Costata con osso Austria Austria Austria Italia

6 Saltinbocca di vitello Polonia Olanda Olanda Italia

7 Arrosto scelto di vitello Lituania Olanda Olanda Italia

…però non ci siamo fatti mancare niente!!!


Molti studiosi dipingono il futuro a tinte molto fosche. Le cause individuate sono tante e convergerti verso la suddetta previsione: la diminuzione della disponibilità di combustibili fossili, l’incremento demografico, il cedimento di molti equilibri ecologici, ecc. Molte persone comunque potranno dire ”… però non ci siamo fatti mancare niente, nemmeno la carambola della Malesia e il pitahaya del Vietnam!!!”

giovedì, marzo 05, 2009

La sottile differenza tra taccagneria e risparmiosità



Zio Paperone è il taccagno per antonomasia


A volte chi mi conosce, scherzosamente (spero) mi attribuisce doti di "spilorceria". Da come lo interpreto io, si tratta di un pourparler, in quanto non mi pare esistano motivazioni energetiche che supportano il discorso.

Più che tutto deve trattarsi di un'impressione legata al fatto che parlo spesso di ritorni energetici, distanze medie coperte con un litro di carburante, metri cubi o kWh annui impiegati, "rifiuti" prodotti per unità abitativa eccetera. Cioè, paio uno che "contabilizza" tutto [in ASPO per fortuna questo non succede, in quanto c'è gente che ne sa ben più di me].

Ma qual è la vera differenza tra taccagneria e risparmiosità?

La taccagneria è un male che risiede in chi non sa, o non vuole vedere al di là del proprio naso. Si è tirchi ad esempio quando si scrocca sistematicamente la sigaretta, il caffè, un passaggio; oppure, quando non ce la sentiamo di fare delle spese oggi in quanto non ne "immaginiamo" un'utilità futura.

Molti, ad esempio, non credono nella spesa di qualche migliaio di euro per aumentare l'autonomia energetica della propria casa. Intanto, anno dopo anno, i contatori macinano numerini e divorano migliaia di euro; e nel contempo, magari, si riescono a spendere cifre anche 3-4 volte maggiori in veicoli inefficienti e in altri beni/servizi voluttuari.

Possiamo associare la taccagneria all'attaccamento morboso al denaro accumulato, che impedisce di vedere la giusta via.

Al contrario, la risparmiosità tende ad astrarre dal denaro, per legarsi alla sensatezza dei cicli termodinamici. Il risparmioso cerca di risolvere problemi di ottimizzazione, minimizzando le risorse necessarie per il raggiungimento di obiettivi di interesse generale. Tende ad acquistare e a condividere beni durevoli che si interfacciano con flussi energetici rinnovabili, anche se "costano" qualche sacrificio iniziale in più. E' consapevole che ogni "benessere" opulento e consumistico è l'immagine speculare di un malessere profondo da qualche altra parte del mondo.
Il risparmioso organizza di tanto in tanto delle sobrie (si fa per dire) feste con gli amici, in cui tra l'altro non riesce mai a evitare discorsi relativi ai problemi energetici, ed è consapevole che la festa è bella perchè non è tutti i giorni.

Il risparmioso sa che la conoscenza scientifica (e non solo), distribuita e gratuita è il più prezioso bene rinnovabile.

Personalmente, quando riesco ad essere un "risparmioso doc", mi sento molto bene con me stesso e con gli altri.

venerdì, gennaio 30, 2009

Abitudini, inerzie e altre patologie / 5 : horror - pannolini



Anche se non ci pensiamo molto spesso, il classico "pannolino" non è un prodotto così banale come può sembrare a chi non è del ramo (come me), ma è ormai un vero e proprio concentrato di tecnologia, e ci sono fior di multinazionali che sviluppano materiali e architetture "ottime" per migliorare ancora le prestazioni (che, per la verità, sono molto prossime a un asintoto).

Riporto di seguito la storia, così come l'ho tratta da un sito scientifico/divulgativo.


[...]


Anni ’50-’60: la struttura di base

Tutte le innovazioni che hanno portato al pannolino usa e getta moderno, immesso sul mercato nel 1961, furono effettuate a partire da una struttura di base messa a punto nel 1951 dalla stessa Donovan e composta da una parte esterna impermeabile, da un sistema assorbente a base di carta e da un metodo di chiusura in cui le spille da balia furono sostituite con fermagli di metallo e di plastica.


Anni ’70: si perfeziona la qualità

È dagli anni settanta in poi che il pannolino monouso subì le variazioni qualitative più significative in termini di maggiore potere assorbente e traspirante che, insieme alla perfetta vestibilità e all’elevato comfort, sono i requisiti essenziali dei prodotti attualmente disponibili. Furono introdotte le fibre di cellulosa al posto della carta assorbente e utilizzati sistemi di chiusura sempre con caratteristiche di maggiore praticità (strisce di velcro, linguette regolabili).


Anni ’80: un migliore potere assorbente e drenante

Agli inizi degli anni ottanta al corpo centrale assorbente, formato da due strati di fluff in pura cellulosa a fibra lunga, venne aggiunto un polimero superassorbente (super absorbent polymer o SAP) in grado di ritenere una quantità di urina pari a 20-30 volte il proprio peso. In pratica lo strato di cellulosa contenente SAP consente la tenuta e l’imprigionamento dei liquidi, mentre l’altro strato possiede un effetto drenante. Nello stesso periodo fu anche dimezzato lo spessore del pannolino modificando il rapporto tra la consistenza dello strato fluff (più ridotto) e quella del SAP (più spesso), con evidenti vantaggi in termini di vestibilità e di praticità d’uso, caratteristiche che vennero ulteriormente migliorate negli anni successivi.


Dal 2000 ad oggi: tecnologia all’avanguardia al servizio della delicatezza e ipoallergenicità cutanea

Gli anni 2000 sono stati contrassegnati dall’introduzione di uno strato sottofiltrante - formato da fibre atte a velocizzare l’assorbimento dei liquidi - interposto tra il nucleo centrale assorbente e la superficie a contatto della pelle formata da un tessuto-non tessuto (polipropilene) resistente e ipoallergenico.L’ultima innovazione in termini cronologici è stata la realizzazione di un rivestimento esterno microforato traspirante che, lasciando circolare liberamente l’aria, abbassa l’umidità interna e mantiene la cute più fresca e asciutta, caratteristiche essenziali a prevenire o ridurre i casi di dermatite da pannolino così frequenti tra i neonati e i bambini.




Prima degli anni '60, esistevano soltanto i "pannolini tradizionali riutilizzabili", che a loro volta costituivano il naturale perfezionamento di fasciature in cotone/lino utilizzate nei secoli precedenti.

E' fuori discussione il fatto che il livello qualitativo di oggi non ha paragoni, soprattuto in termini di resistenza nel tempo alla penetrazione dell'umidità; si tratta però di un'iper-prestazione, più che tutto di una "comodità" (essenzialmente, in termini di tempo speso per l'igiene del bimbo) che paghiamo tutti in termini energetici e ambientali. Non è un caso che l'esplosione dei pannolini "usa e getta" sia avvenuta negli anni di grande crescita nella disponibilità petrolifera ed economica pro capite (il boom degli anni '60).

Se al tempo "buttare via" dei pannolini aveva un effetto praticamente trascurabile, oggi non è più così. Lascio a un'altra occasione (o a qualche lettore curioso) lo sfizio di calcolare la massa o il volume di pannolini gettati ogni giorno nel mondo, e mi limito ad osservare che si tratta di rifiuti "da discarica" (o da inceneritore), in quanto non elevabili a materie secondarie. Una vera sequenza horror per chi ha a cuore lo stato di salute dei cicli energetici.



PS Non vorrei fare dell'assolutismo, soprattutto perchè non mi sono mai occupato del problema in prima persona, non avendo figli :-) Tuttavia, se oggi siamo a un 99,99999% di usa e getta, una società al 90% di lavabili, e 10% di usa e getta (per quando si ha proprio fretta) sarebbe davvero così fuori dal mondo?

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Gli altri post della saga:


- Abitudini, inerzie e altre patologie / 4 : paranoie da lavapiatti
- Abitudini, inerzie e altre patologie / 3 : il paradosso del frigorifero
- Abitudini, inerzie e altre patologie / 2 : l'etica del rasoio
- Abitudini, inerzie e altre patologie / 1 : la pausa caffè

giovedì, gennaio 01, 2009

Il riciclaggio dei regali



created by Armando Boccone


Non è da molti anni che sono venuto a conoscenza del fenomeno del riciclaggio dei regali. Questo fenomeno consiste, come si può intuire, nel regalare ad altri i regali ricevuti. La prima impressione che mi feci fu quella di un fenomeno molto squallido, e che io non avrei mai fatto niente del genere.
Ultimamente sto rivedendo questa posizione, non nel senso che abbia iniziato a riciclare regali ma nel senso di rivedere tutto il fenomeno.
Il dono ha un significato antropologico molto importante: serve a rinsaldare la solidarietà fra le persone e prevede che il ricevente faccia a sua volta un dono verso la persona da cui lo ha ricevuto. Fu l’antropologo Marcel Mauss ad indagare antropologicamente questo fenomeno. Forse le cose sono però un po’ più complesse e forse un po’ diverse da come le aveva intese questo studioso.

Non è il caso di addentrarsi in una complicata spiegazione antropologica del dono ma limitarci alla situazione odierna.
In passato, in condizioni di penuria, il regalo nei ceti popolari aveva sicuramente un valore d’uso e non andava sprecato.
Ricordo che quando ero ragazzino nelle settimane successive al matrimonio gli sposi ricevevano amici e parenti. Gli sposi offrivano ai visitatori una tazza di caffè oppure un bicchierino di rosolio mentre ricevevano in regalo derrate alimentari o generi di conforto come pacchi di caffè, di zucchero, di pasta, di riso e cose simili.
Adesso però le cose sono cambiate rispetto al passato!
Ricordo che qualche tempo fa fra colleghi di lavoro si trattò di decidere di quale regalo fare ad un collega che andava in pensione. Qualcuno fece la proposta di regalare una stampa artistica ma decidemmo di chiedere ad una collega (al momento non presente) che conosceva meglio il collega che andava in pensione. La risposta fu di eliminare quella proposta perché il pensionando aveva la cantina piena di regali simili.
Ricordo che molti anni fa una amica mi regalò un profumo. Non faccio uso di profumi ma, visto che lo ebbi in regalo, in seguito, 2-3 volte all’anno, lo ho usato. La conseguenza è che adesso ho 7-8 confezioni di profumi, alcuni delle quali mai aperte e il profumo di quella amica non è ancora esaurito. Alcune volte ho usato uno di questi profumi come deodorante per il bagno, usando la boccetta come quando il prete benedice la casa con l’acqua santa.
Il motivo del riciclaggio del regalo risiede nella mancanza di valore d’uso per il ricevente del regalo stesso per cui a conti fatti è meglio riciclarlo che buttarlo via o accantonarlo in soffitta o in cantina.

Per il fenomeno regali penso che sia avvenuto quello che ultimamente è successo nella finanza: ambedue hanno perso ogni contatto con la realtà.

Quale sbocco dare al fenomeno dei regali, in un contesto caratterizzato dalla prospettiva dell’esaurimento dei combustibili fossili e del rischio del venire meno di molti equilibri ecologici? La soluzione al fenomeno dei regali potrebbe essere anche un modo di impostare migliori rapporti sociali.

Una cosa da fare sicuramente è quella abbandonare l'idea di regali legati a gusti personali che non si conoscono.
I genitori, nel caso di feste per il proprio figlio, potrebbero dire chiaramente di non accettare regali. In questo caso una soluzione potrebbe essere quella di accettare denaro che poi i genitori potrebbero utilizzare per acquistare regali “mirati” per il figlio.
Per i bambini, sarebbe bello che genitori, parenti ed amici insegnassero dei giochi o raccontassero delle storie invece che coprirli di regali inutili.
Sarebbe bello che si fosse disponibili verso gli amici e verso i parenti nel caso di esigenze reali, come quella di badare al bambino oppure ad un genitore non autonomo nel caso di loro assenza.
Sarebbe bello ...

lunedì, dicembre 29, 2008

Abitudini, inerzie e altre patologie / 4 : paranoie da lavapiatti



Chi non ricorda le pubblicità televisive dei detersivi anni '70 e '80, in cui si esortavano i "consumatori" a irrorare le stoviglie da lavare con cucchiaiate di detersivo liquido? Al tempo, l'idea di abbondanza era sinonimo di benessere e qualità del risultato.
In realtà, ancora oggi in molte famiglie la tendenza a "iperdosare" il detersivo è abbastanza diffusa. Avere più concentrazione di tensioattivi rende in effetti lo sgrassaggio molto più rapido e completo; tuttavia, un eccesso di detersivo si traduce semplicemente in uno spreco (analogamente a quanto succede per la concimazione, von Liebig docet).

La molecola più popolare, il sodio lauril solfato, è un tensioattivo anionico (con cariche "meno" nella parte che "lega" con l'acqua) che dal secondo dopoguerra è anche un affezionato discendente della petrolchimica. Come possiamo ridurne considerevolmente il fabbisogno, favorendo così un ritorno di detersivi ottenuti a partire dagli oli vegetali? Alcune idee ...

- non lasciare piatti ultra-unti (più c'è olio, più ci vuole detersivo ...). Con un po' di pane e con tecniche al limite del galateo si possono fare miracoli
- piatti e padelle con molto olio riscaldato, che è bene non ingerire: "asciugare" con carta assorbente, che può bruciare in buone condizioni in stufa ad alta temperatura (procurarsi un "putagé")
- residui di cibo semisolidi: buoni per il compost
- frequenza di lavaggio: non sta scritto da nessuna parte di dover riempire un lavandino di 15 L di acqua, con la quantità consigliata sull'etichetta del prodotto ogni volta che si ha una tazza e un cucchiaio da lavare. Si può lavare una volta al giorno in modo cumulato, magari dopo pranzo, così si usa anche l'acqua calda da energia solare (e poi va beh, si fa un po' come si può :-D ).
Le stoviglie in "attesa" se ne possono stare tranquille 10 ore con dell'acqua dentro, che agevolerà il lavaggio. Va anche considerato che esagerando con il detersivo il risciacquo risulta più difficoltoso, dunque si sprecherà più acqua e si aumenta il rischio di allergie / afte.

C'è poi chi ha la lavastoviglie, che pure offre buone possibilità di ottimizzazione. Attenzione, però: come ci insegna Marco Pagani in questo post, per renderla efficiente come un sobrio lavaggio a mano occorre riempirla bene, accumulando le stoviglie di 4 pasti successivi (con le difficoltà del caso). Inoltre, le lavastoviglie attuali non sono studiate per interfacciarsi direttamente al circuito di acqua calda sanitaria, pertanto utilizzano l'inefficientissimo riscaldamento elettrico.

giovedì, settembre 25, 2008

Abitudini, inerzie e altre patologie / 2 : l'etica del rasoio



Riceviamo e pubblichiamo questo post di Pippo Lillo che tocca un argomento apparentemente marginale, ma che in realtà è importante per i volumi in gioco. Personalmente io mi ero limitato ad allungare il ciclo di vita del rasoio (oggi arrivo a circa un mese); Pippo Lillo va oltre e propone una soluzione migliore (FG).

created by Pippo Lillo


I nostri comportamenti individuali sono fondamentali per ridurre l'inquinamento ed i rifiuti.
Molte persone oramai fanno attenzione all'uso dell'automobile, ai prodotti che acquistano.
I rifiuti sono un problema che va affrontato sin dall'inizio della catena produttiva, va bene differenziare, riciclare ma i risultati migliori li si ottengono producendone meno.
Un esempio per tutti: i rasoi a lametta usa e getta.
In alcuni modelli vi sono anche solo le testine da sostituire ma guarda caso costano quasi il doppio di quelli completamente usa e getta!
Oramai si è arrivati a 4-5 lame assolutamente inutili, non si possono nemmeno girare per sfruttare l'altro lato delle lame. Poi i manici sono in plastica bicomponente perché non scivolino tra le mani quando bagnati, ma così anche volendo, non si riciclano più! Pensate alle migliaia di rasoi che tutti i giorni finiscono nelle discariche, o peggio negli inceneritori...
Io ho ridotto drasticamente i rifiuti in questo settore con questo modello piuttosto vecchio ma perfettamente funzionante (vedi foto in allegato), ruotando il manico si aprono due sportellini superiori e si può inserire la lametta. La barba la fa lo stesso e l'unica cosa che getto via è... una lametta in acciaio perfettamente riciclabile!
Le lamette si trovano in molti supermercati, molto difficile invece trovare il rasoio "modello eterno"!

[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

domenica, settembre 14, 2008

Senza potersi fermare


Riceviamo e pubblichiamo questo scritto di Ivo Quartiroli, che amplia un po' le tematiche dei nostri post, il cui taglio è solitamente tecnico-scientifico e economico (a volte anche psicologico).
In esso ci propone la sua visione filosofica del consumismo di oggi, di cui il petrolio è il motore "fisico" principale.


created by Ivo Quartiroli

C’è una profonda convinzione nella nostra civiltà, per cui si creano e cadono governi, si dedicano intere vite, si titolano le prime pagine dei giornali. Pur distinguendosi nei modi di gestione dell’economia e nei criteri di ripartizione delle risorse tra le diverse parti sociali, tutte le componenti politiche dell’occidente concordano su un punto: che la crescita economica continua è cosa buona e giusta.
Il modello di sviluppo attuale basato sui consumi sta devastando il pianeta e i suoi abitanti, compresi gli artefici stessi dell’economia. Sono visibili a tutti le conseguenze dell’iperproduzione sulle risorse del pianeta e sulle popolazioni del terzo mondo, le quali si trovano invece ben al di sotto del tenore di vita dignitoso che porta a quel tanto che basta di felicità. E’ paradossale a questo proposito che l’intero meccanismo dell’automazione, ideato per sostituirsi al lavoro, lo chiamiamo disoccupazione e gli diamo dei connotati negativi.
Produrre è dunque un imperativo, a prescindere dai suoi effetti. Non ci si può fermare, ed è altrettanto paradossale che nei paesi più ricchi, Stati Uniti e Giappone in testa, i lavoratori godano progressivamente di meno ferie.

Nell’inconscio collettivo dell’occidente vi sono strati di convinzioni profonde che non ci consentono di abbandonare l’illusione che dallo sviluppo economico arriverà ogni bene. Lo strato delle idee più evidenti che muovono gli sforzi produttivi è:
1) L’attesa di un mondo migliore (benessere, pace, giustizia, democrazia, diritti) tramite la produzione, la distribuzione e il consumo di beni e di tecnologie.
2) La necessità di agire nel mondo per giungere a tali fini. A questo scopo lo sfruttamento delle risorse naturali e produttive del pianeta è fondamentale per alimentare le macchine produttive. Il libero accesso alle risorse mondiali e il consenso delle nazioni sono elementi non trascurabili dell’intrapresa. Da qui si passa al dover esportare i sistemi economico-politici e culturali dell’occidente, fenomeno conosciuto come globalizzazione.
3) Le azioni sono svolte in modo compulsivo e frettoloso, ingrediente decisivo che impedisce la consapevolezza del proprio stato interiore e delle conseguenze sociali ed ecologiche nel medio/lungo termine.
4) Il futuro immaginato al primo punto non arriva mai, a prescindere da ciò che si è ottenuto fino a quel momento, quindi bisogna intensificare gli sforzi. Non è mai “abbastanza”. Torna al punto 1).

Il meccanismo si colloca in un circolo vizioso che ricorda la tossicodipendenza. Da dove viene l’idea trainante di partenza, la visione di un mondo migliore tramite la produzione di beni? Le radici profonde di questa idea germinale risalgono alla tradizione giudaico-cristiana.
Secondo la Bibbia, Dio ha creato l’essere umano solo al termine del processo di creazione. Di conseguenza il mondo e tutto ciò che ne fa parte esisteva prima degli esseri umani ed è qualcosa di profondamente diverso dalla specie umana, che è invece stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Il resto dell’universo è qualcosa di oggettivo, “là fuori”, delle “cose” create dal divino. Tuttavia, a differenza degli esseri umani, ciò che non è umano non è altrettanto connesso al divino, di fatto privo dell’elemento divino, meramente materia oggettiva.
Secondo la dottrina, solo l’essere umano può avere un posto nel cosmo come immagine e somiglianza del divino (ma come vedremo, sempre secondo la stessa tradizione, senza poterlo veramente raggiungere su questa terra). La Bibbia afferma inoltre che la natura è stata creata affinché l’essere umano la usi a suo beneficio.
L’uomo quindi ha il diritto, conferito da una superiore autorità, di utilizzare il creato per i propri scopi. A questo ingrediente dell’avere un ruolo speciale nella creazione, il cristianesimo aggiunge i concetti del peccato e del libero arbitrio. L’essere umano è nato nel peccato originale però, tramite il dono del libero arbitrio, può decidere di agire il bene invece che il male e così redimersi. Questi messaggi sono stati decisivi nello sviluppo tecnologico e sociale delle grandi religioni monoteiste.

Oltre a questi vi sono altri messaggi ricevuti dai cristiani ed entrati profondamente nell’inconscio collettivo. Il riscatto dal peccato originale può avvenire tramite le buone azioni, che sono confluite nella meccanica, nella scienza e nella tecnologia.
Ma vi è un problema. Queste azioni non porteranno i loro frutti su questa terra ai loro artefici. Difatti, secondo la dottrina, la vita e la felicità eterna è del regno dei cieli e non di questa vita terrena. Tutto ciò che possiamo fare in questa vita, è meritarci quella futura, migliore, tramite le nostre azioni virtuose.
Eppure, si potrebbe obiettare, c’è stato un uomo che si è ricongiunto con il divino in forma umana, e si chiama Gesù. La dottrina si affretta, però, a dirci che Gesù è l’unico figlio di Dio e che nessun altro uomo potrà aspirare alla sua condizione. Al più possiamo imitarne l’esempio. Non ci si illuda, la vita eterna risiede in qualche luogo “altro” da noi, non è “qui e ora”, ma “là”, in un non ben specificato futuro.

C’è un’altra via d’uscita, in verità: la redenzione, la salvezza generale alla fine dei tempi, preceduta da una fase di calamità e distruzione chiamata apocalisse. Una specie di “tana libera tutti” che annulla gioco e giocatori.
Quindi l’essere umano è qualcosa di speciale all’interno del creato, però è nato nel peccato. Poiché ha il libero arbitrio, potrà redimersi tramite le sue azioni, usando a questo fine il creato, ma non potrà pretendere di incontrare il divino in questa vita perché è un’esclusiva di Gesù. Potrà entrare nel regno dei cieli in un futuro, presumibilmente dopo la morte (se si è comportato bene.

Inoltre, a differenza di altre religioni che prevedono la reincarnazione, la dottrina cristiana afferma che c’è una sola vita terrena, quindi non si avrà una seconda possibilità. La redenzione dai peccati, e tutti si nasce nel peccato, va attuata in questa stessa vita. E’ stato così aggiunto l’ingrediente della fretta. Se c’è fretta per il nostro riscatto dai peccati, si comprende l’incoscienza che ha la nostra civiltà nel prevenire le conseguenze future delle nostre scelte.
Dio potrà darci dei segnali per le nostre scelte verso la redenzione, ma poiché ci è stato conferito il libero arbitrio, l’opera di redenzione dipende unicamente da noi. Se ci comporteremo male, finiremo nella dannazione eterna, ma, pur comportandoci bene, non potremo goderne i frutti in questa vita.
Quindi si potrà vivere solo per un futuro migliore perché la felicità su questa terra è preclusa. Si perde dunque la capacità di vivere nel presente, si vive per un futuro che non arriva mai, ma nello stesso momento si deve agire con fretta; ma non c’è alternativa all’agire in prima persona poiché questa è l’unica vita terrena. Non ci si può fermare.

Dopo aver ricevuto tale serie di messaggi, questo essere umano si trova di fronte a una serie di doppi vincoli, definiti da Gregory Bateson come messaggi contraddittori ad alto contenuto emotivo senza una chiara via d’uscita o interpretazione dei contenuti. Bateson teorizzava che tali messaggi avrebbero potuto portare alla schizofrenia.
Alcuni dei doppi vincoli in cui si trova il nostro essere umano:
a) Dover imitare le azioni virtuose di Gesù ma non poter mai diventare come lui.
b) Doversi redimere tramite le buone azioni ma non avere mai la certezza della salvezza
c) Essere speciale e separato dal mondo e dover sfruttare la natura per i propri scopi, ma poiché nei fatti l’essere umano, ecologicamente e spiritualmente, non è separato dal mondo, il tentativo di considerarsi come separato dalla natura sarà necessariamente frustrato e lo porta a scavarsi la fossa con le proprie mani.
d) Dover lavorare per la salvezza eterna e per un futuro radioso che però non arriva mai.
Confuso e ansioso, il povero uomo fa quello che può. Per liberarsi dai doppi vincoli cerca il paradiso su questa terra e la salvezza tramite le proprie azioni. Ha la coscienza a posto perché vuole fare il bene imitando il comportamento di Gesù attuando “azioni virtuose”, in separazione dal mondo, per “lo sviluppo” e un “futuro migliore”. Nonostante le sue azioni virtuose, queste non lo porteranno mai a poter essere come Gesù e non gli daranno la certezza della salvezza dunque la tecnologia lo conduce alla ricerca di pseudo-salvezze all’interno di questa vita terrena.
Esempi di tali tecnologie sono quelle che agiscono sul piano divino della creazione e dell’immortalità, quali le biotecnologie. La cultura che ha fatto del miracolo una prova del divino si sviluppa nelle tecnologie che ricordano il miracoloso.
Abbandonare la spinta verso la produzione estrema e la ricerca delle tecnologie “miracolose” significherebbe abbandonare la speranza di redenzione e salvezza su questa terra, abbandonare l’idea che l’uomo abbia un ruolo speciale nel creato, abbandonare le identità individuali costruite su ciò che uno ha “fatto” nella vita. Sono le proprie azioni che possono portare alla redenzione in terra; senza poter agire l’uomo si trova sperduto e schiacciato dai sensi di colpa.


La versione estesa di questo articolo è stata pubblicata su www.innernet.it con il titolo Senza potersi fermare: le radici della dipendenza a produrre

giovedì, marzo 27, 2008

I locali? Sempre più pieni


created by Luca Lombroso


A proposito di ristoranti pieni o meno, l'esperienza che fatto un venerdì sera è stata sicuramente eloquente di come nell’era della crisi climatica e del post-picco “lo spettacolo deve continuare”.

L’occasione era uno dei consueti riti del ritrovo "scapoli e ammogliati" della compagnia di gioventù, riservato rigorosamente ai maschi. Gli ultimi appuntamenti li avevo mancati per impegni vari, ieri sera invece sono stato prelevato quasi a forza ma vi assicuro che ne val la pena, apre gli occhi (semmai ce ne fosse bisogno), anche per quanto portiamo avanti come ASPO pensiero.

Il locale è un vecchio ristorante tradizionale, sulle colline modenesi, trasformato in un moderno risto-disco-bar. Si arriva, si entra nel parcheggio fra SUV, Porsche e monovolumi giganti; 3-4 "geometri" in divisa fosforescente, paletta e ricetrasmittente aiutano a parcheggiare. Vista spettacolare del famigerato comprensorio ceramico, quello che consuma quasi 2 miliardi di metri cubi di gas e che pensa che il futuro sia ancora in strade e mattonelle. Si gode di uno splendido panorama sull’inquinamento luminoso straordinario di questa città diffusa, sembra giorno, ma non si vede la "nube grigia" di smog della Valpadana perchè ci siamo probabilmente dentro.

Entrata, col metodo della lista: l'organizzatore della serata aveva intortato tempo fa una “PR” che gli ha tenuto un tavolo, altrimenti si sta in fila fuori, al caldo o freddo, appena riparati dalle intemperie, in attesa che un tizio auricolare nell’orecchio decida se e chi entri. Non c'erano, come in altri casi i funghi riscaldatori: segno del marzo già mite? Ma la prova del global warming sono le pance fuori, con malcelate lamentele del freddo, e i fondoschiena tatuati da cui erge un pezzo di perizoma.

Faccio un passo indietro nel racconto: dei 10-12 soliti ci ritroviamo solo in 5, ma andiamo con 3 auto. sembra Fantozzi, con 12 taxi in 9 persone. Molte quindi defezioni per cause varie: mal di pancia, figli malati, moglie a una analoga cena… e forse il costo, si il costo: nessuno lo ammette ma le ultime volte i mugugni per la spesa giustamente non mancavano. Ho con me un amico carissimo ormai edotto e cosciente della crisi climatica e del picco del petrolio e nel tragitto parliamo di queste cose, del clima, del caldo precoce con le fioriture e del petrolio alle stelle.

Entriamo, tavolate da 20-30 40 persone, ci saranno almeno 300 coperti, forse 400, fra luci, fari, musica ancora soft ma chiaramente pronta ad esplodere. Le cene vanno dal semplice divertimento al compleanno, addio al celibato o nubilato, laurea, e forse pensione... per fortuna comunque senza degenerazioni di altri locali con cene erotiche, lap dance e similari, tutto sommato un posto “tranquillo” per questi tempi.

Il pensiero va subito ai consumi di un mostro simile, stimo che ogni ora faremo fuori almeno 50 kW, o forse il doppio e in una serata il contributo serra supera sicuramente il quintale, ovvero le emissioni annue di un abitante del CIAD o del Burkina Faso.

Decido comunque di rilassarmi un po' e di divertirmi con gli amici, si mangia una pizza fra la musica che sale, le urla, le luci psichedeliche e stroboscopiche, la gente è di tutte le età, non giovanissima ma la fascia va comunque dai 25 ai 50 abbondanti. Mi torno però a chiedere quanti sanno del picco, quanti sono coscienti del problema climatico e della necessità di sobrietà. Non solo energetica ma anche.... alcolica. In bagno infatti ci sono distributori di alcol test a fianco di distributori di profilattici. Al che penso: ma se... soffio l'alcol test col profilattico?

Non credo che nessuno dei presenti abbia problemi a tirare fine mese, o se ce l'ha non lo dà certo a vedere. Anzi in occasioni simili ho provato a intavolare discorsi sui temi ASPO e la risposta andava dal chi se ne frega al, “si, ma non chiedetemi di rinunciare a divertirmi dopo una settimana di lavoro”.
E francamente non mi sento di dargli del tutto torno. Uno dei miei amici è una "razza in via di estinzione" o, come si definisce lui "fa il lavoro più vecchio del mondo". Ovvero, il metalmeccanico. Salda pezzi di ferro tutta la settimana, unico Italiano e ancor più in dettaglio modenese fra immigrati extracomunitari che interrompono la catena di montaggio per pregare nel Ramadah.
Ma conosco anche di persone che di mestiere fanno il taglia-vena a galline in stabilimenti industriali: le galline vive scorrono veloci e con una forbicina viene recisa la vena nel collo, e poi spennate istantaneamente in soffi di acqua bollente e vapore: che prospettiva di vita può avere, che gliene può fregare del picco, che conoscenza può avere uno che taglia il collo a galline tutto il giorno per rinunciare a tutto questo?

Accenno nelle chiacchierate e discussioni a qualche frecciata sul clima, a qualcuna sul costo del petrolio, ma gli argomenti prediletti sono l'oroscopo, l'abbinamento cravatta-camicia dell'amico don Giovanni, e simili. Ovvio. Allora scatto un po' di foto e faccio qualche filmatine pensando a questo.

Continua la festa, arriva la torta di un compleanno, candela gigante con scintille pirotecniche, portata da 5 cameriere succinte ognuna con torta. Spegne la candelona, regalo del locale ai festeggiati: buono sconto per un viaggio a scelta. La PR gli dice: dai, vai a Sharm!!

La musica si alza di volume, cedimento e ormai stufato, vado a casa, decido, ma chiaramente li si va avanti fino alle 4.
Conto per una pizza, bevande, fettina torta e caffè 22 Euro: 44000 vecchie lire per una pizza!!!
Con cena si superano tranquillamente i 30 euro per il cibo dei poveri di un tempo, le tigelle.

Usciamo in 2, gli altri restano, anzi arriva gente, in uscita timbrano la DRINK CARD, niente scontrino, e fuori si sta formando la coda all'aperto per entrare con un buttafuori-armadio (a proposito a Modena stanno organizzando un CORSO PER BUTTAFUORI PROFESSIONISTI) che squadra tutti.

Slalom in uscita fra SUV e coupé che entrano, ci saranno 200 auto, 2 conti: incasso non meno di 15-20000 euro, ma quanti scontrini o ricevute fanno non si sa. Non è azzardato stimare che fra auto, consumi, cibo ecc se ne siano andati 4-5 barili e altro che un quintale, forse una tonnellata di gas serra
Locali come questi nascono e chiudono anche in meno di 6 mesi, e infatti in rientro davanti a un altro locale simile, sorto in un capannone industriale, all'una di notte, lunga coda di attesa per entrare. Sempre al rientro a Maranello in centro città mi sorpassa un Ferrari nero con partenza da F1: ma Raikoonen non è al GP di Australia, oggi, penso?

Ma la serata è stata istruttiva: è questa la realtà del mondo, sembrava veramente il Titanic, l'orchestra che suona, tutti si divertono, ma la nave affonda e nessuno lo vuol sentire dire.

Al rientro con l'amico, agricoltore, parliamo di tutto e commentiamo e mi dice che non trova più concimi e che sono aumentati del 30% in un anno. E che il gasolio agricolo è raddoppiato in 2 anni, essendo esente da accise, il costo è aumentato praticamente quanto il petrolio.

E' qui però che bisognerebbe fare conferenze, convegni o perchè no show picco-climatici, forse un po' ci riderebbero su, un po' ci mediterebbero poi dopo.
I missionari vanno dove ci sono i pagani, o no?


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venerdì, marzo 07, 2008

Il picco del petrolio? Ce la siamo cercata!



created by Patrick Marcantelli


Stamani sono andato dal parrucchiere.

Come tutte le volte in cui devo andare da qualche parte, ormai è diventata un'abitudine, mi sono infilato nella mia automobile e ho girato la chiave pronto per partire. Poi è successo qualcosa... sarà colpa di una delle ultime pagine del blog di ASPO (quei terroristi sovversivi...) in cui si parlava del picco de petrolio in tutto il suo fulgore, sarà stata l'ennesima notizia del nuovo record storico del petrolio degli oltre 100 $ al barile, sarà stato il cielo un pò più terso degli altri giorni, sarà stata la temperatura pre-primaverile o forse sarà che sto ingrassando a vista d'occhio?

Non so dirlo, probabilmente sarà stato l'insieme di questi elementi, una specie di congiuntura internazionale. Fatto sta che ho spento la macchina, sono rientrato in casa e ho preso la bicicletta, sono montato in sella e in soli 9 minuti di orologio sono arrivato davanti al laboratorio del mio barbiere. Per tornare ci ho messo invece solamente 8 minuti: all'andata 2 chilometri e 600 metri e al ritorno 2 chilometri e 400 metri.

Devo dire la verità: non ho neanche corso come un pazzo e non mi sono affaticato più di tanto, anzi mi rendo conto solo adesso di quanto le mie gambe avessero bisogno di sgranchirsi un pò con una bella biciclettata.

Il risultato più grande però non è stato l'esercizio fisico (seppure importante) ma piuttosto il fatto di aver risparmato più di mezzo litro di benzina, che quando l'ho calcolato non ci credevo nemmeno e ho rifatto i conti una ventina di volte. Si, avete letto bene: a prendere la bici anziché la macchina ho risparmiato più di 500 ml di benzina, che tradotto in anidride carbonica fa la bellezza di 1,150 kg di CO2 (quasi seicento litri di gas serra in condizoni di temperatura ambiente e pressione atmosferica).

Se poi ci interessa di più il portafoglio che l'ambiente non dimentichiamo che al giorno d'oggi 500 ml di benzina costano quasi 70 centesimi di euro (ma sicuramente tra pochi giorni si dovrà correggere il "quasi" con un "più di").

Ma avrò fatto il bene del Paese e dell'economia mondiale? IL P.I.L. non è di certo aumentato grazie alla mia decisione di non prendere la macchina. Lo Stato non incasserà 39 centesimi di euro tra accise e imposta sul valore aggiunto che, vista la dispendiosa campagna elettorale in pieno svolgimento, di certo non si buttano via...

Che abbiano ragione Beppe Grillo e Maurizio Pallante quando ci ricordano che la crescita del P.I.L. non misura il benessere del Paese? Che abbiano ragione coloro che ci dicono che lo spreco di energia e di materie prime non rappresenta una fonte di benessere ma semmai una perdita?Continuiamo a prendere la macchina per andare a comprare il giornale... che così l'economia cresce e il picco si avvicina! E dopo, finalmente, tutti a piedi.

Note e riferimenti

Per stimare il consumo della mia macchina in quel tragitto ho preso i dati dal database del Governo Australiano "Fuel Consumption" vedi alla pagina Internet http://www.greenhouse.gov.au/fuelguide/

Alla data del 25 Febbraio 2008 gli introiti dello Stato sulla benzina rappresentano il 57,4% del prezzo totale, ripartite tra IVA (29%) e accise (71%). Vedi il sito del Ministero delle Attività Produttive all'indirizzo http://dgerm.attivitaproduttive.gov.it/dgerm/cercabphitalia.asp?id=ultimo

Per stimare il consumo dell'organismo in bicicletta ho usato il grafico http://ecoalfabeta.blogosfere.it/images/grafici/Biciletta%20energia%20km.jpg e ho considerato che 100 ml di latte equivalgono a circa 65 kcal.



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lunedì, dicembre 31, 2007

Le impronte di Babbo Natale


Il titolo del post porta probabilmente a pensare alle orme che Babbo Natale lascia sulla neve, mentre si aggira tra le case intento a distribuire regali.
Invece, quello che vorrei fare è discutere un po' dell'impronta ecologica, che per essere relativa ad un personaggio di fantasia, risulta essere tutt'altro che immateriale.

Nella cultura dominante, a Natale bisogna regalare qualcosa. E se qualcuno, per caso, inizia a domandarsi il perchè, ecco che un parente, amico o collega gli chiede che cosa ha ricevuto, o cosa ha regalato. Naturalmente, deve essere un oggetto fisico e tridimensionale per poter essere presentato con una certa "dignità".
Io ho già pronta una lista di risposte, che a seconda dei casi pescano in un calderone reale del passato, altre volte attingono a un mondo puramente virtuale; allo scopo di cambiare argomento in tempi brevi.
Più che una questione di taccagneria (argomento caro ai "regalisti"), a me pare un discorso di razionalità. Se una persona cara ha un bisogno reale, che so un paio di scarpe, a inizio novembre che si fa, si aspetta il 25 dicembre? Oppura, si dona l'oggetto in tempo utile, e si regala qualche cianfrusaglia a Natale?

Viste le tendenze, più che "tutti più buoni", a Natale, forse bisognerebbe essere un po' "meno irrazionali". Per essere buoni, credo che ogni persona volenterosa faccia del proprio meglio tutti i giorni, con i suoi limiti e i suoi successi. Nelle festività, ci si potrebbe magari regalare tempo, momenti di condivisione, occasioni di incontro e di crescita culturale... insomma, qualcosa di più spirituale. O anche cose materiali, ma meno orientate al consumismo, e più alla spontaneità e ai bisogni.

Di seguito, ho voluto riportare un paio di notizie di questo periodo natalizio, che costituiscono a mio avviso due indicatori-tipo (tra i tanti che si potrebbero scegliere) della direzione che abbiamo deciso di seguire.

21 Dic 2007 17:36
Consumi elettrici: Terna, +1000 Mw da addobbi e insegne Natale (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Durante le festivita' natalizie i consumi di elettricita' fanno aumentare di 1.000 MW il fabbisogno di energia elettrica. Lo rileva Terna. Nei giorni a ridosso del Natale l'effetto delle luminarie si traduce in un aumento della domanda di elettricita', rispetto ai valori medi del periodo, equivalente al consumo nell'ora di picco di una citta' come Bologna. L''effetto festivita'' sui consumi di energia elettrica, nonostante corrisponda a solo il 2% del fabbisogno medio del periodo (55.000 MW), e' rilevante, segnala Terna, se si considera che le luminarie natalizie restano accese per poche ore al giorno, di norma dalle 16 alle 21
.
Come qualche membro di ASPO aveva fatto notare nel Forum, nel periodo natalizio occorre "tirare fuori" l'equivalente di 3 grandi centrali termoelettriche, solo per mantenere le luci.


(21 dicembre 2007)
Traffico di Natale, tutta la città si blocca (La Repubblica) di Cecilia Gentile

Su tutte le consolari come in centro e nei quartieri circolazione in tilt. Decine di tram bloccati, bus prigionieri tra le auto. Roma prigioniera dello shopping natalizio. Ieri la corsa in macchina al regalo ha trasformato la capitale in un´enorme - e immobile - lamiera, che ha reso impossibile ogni spostamento. Bloccati per tutta la giornata la tangenziale, il raccordo anulare, e tutte le arterie di attraversamento della città. Anche il trasporto pubblico ha dovuto arrendersi di fronte all´occupazione sistematica delle corsie preferenziali da parte delle auto private. Nel quadrante Casilina-Prenestina-Porta Maggiore-San Giovanni, la città è arrivata al collasso. Su piazza di Porta Maggiore, che funziona come un gigantesco snodo per i tanti flussi di traffico, si è ammassata una quantità inverosimile di veicoli, che hanno finito per bloccarsi a vicenda, paralizzando anche il trasporto pubblico.Le conseguenze sono state disastrose per la viabilità: nel primo pomeriggio a via Prenestina, da largo Preneste in direzione centro, erano incolonnati una ventina di tram, con i conducenti in strada, ormai impotenti. I passeggeri scendevano cercando un´impraticabile alternativa. Raggiungevano a piedi via Casilina, per salire sul trenino Roma-Pantano. Anche questo però, all´altezza di Porta Maggiore, doveva arrendersi. «Qui si scende, il treno torna indietro», annunciavano rassegnati i conducenti. In piazza soltanto un vigile urbano tentava inutilmente di addomesticare la belva del traffico privato. Insomma, i romani non hanno raccolto l´invito dell´amministrazione comunale a servirsi del mezzo pubblico per evitare la paralisi e si sono ritrovati passare la giornata bloccati dentro scatole di lamiera. I continui stop & go delle auto e lo smog alle stelle hanno trasformato in un incubo i giorni precedenti al Natale. Unica, vera alternativa: le metropolitane. E per il dopo Natale è già pronta la corsa ai saldi. Campidoglio, categorie del commercio e rappresentanze sindacali si sono accordati sulla possibilità di lasciare ai negozi la facoltà di apertura per la prima domenica dei saldi, che quest´anno cade il 6 gennaio, giorno dell´Epifania.



Per commentare questa immagine, forse, bisognerebbe aver vissuto in prima persona il caos della capitale. Ma credo che ognuno, in scala, avrà sperimentato situazioni simili, più o meno tollerabili in funzione del volume di traffico.
Naturalmente, più auto, che consumano più carburante, per acquistare in più centri commerciali, per avere più oggetti e per produrre, in ultima analisi, più rifiuti da discarica (non credo sia casuale, proprio in questi giorni, l'acuirsi della crisi in Campania).

Da questi due articoli emerge prepotentemente che cosa è oggi il Natale per la società: una sagra consumistica, un sistema che alimenta se stesso. Sostenuto, per lo più, dai combustibili fossili.


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