domenica, dicembre 31, 2006

Il futuro è un processo; non una destinazione

Il futuro è un processo; non una destinazione (B. Sterling)




Immagine qui sopra da "The Limits to Growth" di D. Meadows e altri, 2004


Buon 2007!

sabato, dicembre 30, 2006

Come va la guerra in Iraq?


L'esecuzione di Saddam Hussein riporta all'attenzione la guerra in Iraq, che continuava ad apparire solo sporadicamente sui notiziari. A più di tre anni dall'invasione del 2003 , forse si può provare a fare una valutazione della situazione.

Su questo punto, ci può aiutare uno schema riassuntivo pubblicato su "econbrowser", riprodotto nel seguito. Econbrowser è un sito "neutrale" non particolarmente sovversivo nè conservativo e questi dati, da varie sorgenti ufficiali, sembrano affidabili. Li trovate riassunti nella tabella in fondo a questo post.

Dai dati, appare chiaro che la guerra non va bene, comunque si vogliano vedere le cose. La guerra non mostra il minimo segno di arrestarsi, anzi sembra aumentare in intensità. Il costo monetario di tutta la faccenda è spaventoso. Secondo Econbrowser i soli Stati Uniti spendono circa 8 miliardi di dollari al mese per l'occupazione dell'Iraq (vedi la figura a sinistra, sempre da Econbrowser, dove i dati sono riportati in miliardi di dollari) Inoltre, le spese militari americane sono in costante aumento; si parla di oltre 9 miliardi per il 2007 che potrebbero aumentare a oltre 11 miliardi se il progetto di "surge" (balzo), ovvero di 20.000 uomini in più in Iraq, del presidente Bush sarà approvato. Fra Iraq e Afghanistan, il budget militare americano ammonta a circa 170 miliardi di dollari per il 2006, con ottime prospettive di passare i 200 miliardi per il 2007 (questa è solo una frazione del budget militare totale degli Stati Uniti). A questa somma vanno aggiunti i costi per i contingenti militari di altri paesi e, dopo tutto, anche gli insorti devono avere un loro budget anche se è molto probabilmente assai minore..

Tanto per dare un idea di queste cifre, 170 miliardi di dollari sono, approssimativamente, il 15% del PIL di una nazione come l'Italia. Sempre per dare un'idea dell'ordine di grandezza di cui si parla, suddivisi fra i 300 milioni di cittadini americani, sono 560 dollari (circa 420 euro) a persona all'anno. Ogni famiglia americana si accolla in media la spesa di circa 2000 dollari (1500 Euro) all'anno per sostenere le guerre in Iraq e in Afghanistan.

Il costo umano della faccenda è anche peggiore di quello monetario. Dai dati di Econbrowser emerge una realtà drammatica. Considerando solo i civili, il numero di morti fra gli iracheni ha raggiunto i 4000 al mese; ci sono ormai oltre 600.000 profughi interni, quasi due milioni di persone sono scappate dall'Iraq per sfuggire ai continui attentati, bombardamenti e povertà. La vita degli iracheni rimasti è sempre più difficile, senza lavoro, senza soldi, sempre più senza energia elettrica, senza combustibili e - più che altro - senza speranza. Su una popolazione che, prima della guerra, era di 26 milioni di abitanti, queste perdite sono spaventose, tenendo conto anche che chi riesce a scappare sono probabilmente le persone più istruite e quelle che sarebbero più necessarie per ricostruire il paese.

Dare un giudizio su questa disgraziata situazione dipende da quelli che erano gli scopi dell'invasione del 2003. Se lo scopo dell'attacco era l'eliminazione delle "armi di distruzione di massa", la cosa si è rivelata come il più grande spreco di soldi e di vite umane della storia dal tempo della torre di Babele (per rimanere con un esempio iracheno).

Se, invece, l'attacco all'Iraq era correlato al petrolio, come è stato detto più volte e confermato ufficialmente negli ultimi tempi anche dall' "Iraq study group" è particolarmente significativo il dato di Econbrowser sulla produzione petrolifera. Fra attacchi, sabotaggi, incertezze, mancanza di investimenti, la produzione petrolifera irachena è ferma e le proiezioni di grande espansione di prima dell'invasione si sono rivelate totalmente sbagliate. Inoltre, ci sono dati che indicano che i pozzi iracheni sono stati sovrasfruttati e mal gestiti, cosa che potrebbe averli danneggiati irreparabilmente, riducendone grandemente la capacità produttiva totale. Qualcuno ci aveva raccontato che lo scopo della guerra era di ridurre il prezzo del petrolio, ma questo è risultato un pochino ottimistico

E' difficile dire che cosa possiamo aspettarci adesso. La situazione sembra sempre più insostenibile sia in termini monetari che umani. Potrebbe semplicemente rallentare per progressivo esaurimento dei contendenti; oppure potrebbe aumentare di intensità ed espandersi anche ad altre regioni. Come si dice, al peggio non c'è mai fine.

(Cliccate sulla figura per espanderla)





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venerdì, dicembre 29, 2006

Bellissimo da "The Oil Drum"

Dopo che i "catastrofisti" sono stati accusati fino alla nausea di aver "sbagliato le predizioni" per eccessivo catastrofismo, arriva da "The Oil Drum" un bellissimo gif animato che fa vedere come la blasonata IEA (International Energy Agency) si sia sbagliata di grosso, e continui a sbagliarsi di grosso, per eccessivo ottimismo nelle predizioni della produzione di petrolio.

Non c'è troppo da stupirsi, l'IEA non è un organo tecnico, è un organo politico che ha lo scopo di rassicurare gli investitori che tutto va bene. Non ci si può aspettare da loro molto di meglio dei comunicati stampa dell ARMIR del 1943.

Ecco il grafico creato da Gilles . Cliccate sopra per vedere l'animazione.






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ASPO-Italia sulla posizione italiana rispetto al trattato di Kyoto


ASPO-Italia aderisce a questo documento presentato da Legambiente, Greenpeace e WWF



Emissioni, Piano nazionale non coerente con gli obiettivi di Kyoto


13/12/2006 Giudizio severo di Legambiente, Greenpeace e Wwf

Giudizio severo degli ambientalisti sul Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 (anidride carbonica) varato dai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, giudicato non coerente con gli obiettivi di riduzione del Protocollo di Kyoto.

WWF, Greenpeace e Legambiente rilevano che il piano predisposto per essere inoltrato alla Commissione europea presenta un tetto di 209 milioni di tonnellate (Mt), 15 in più rispetto a quello previsto dallo Schema del Piano Nazionale di Allocazione (PNA) predisposta dal solo Ministero dell’Ambiente nel luglio scorso. Gli ambientalisti auspicano un intervento della Commissione europea per riportare il tetto delle quote assegnate a livelli in linea con l’obiettivo di Kyoto, ovvero a 186 Mt.

Per arrivare all’obiettivo del –6,5% delle emissioni previsto da Kyoto, infatti, l’Italia dovrebbe tagliare le proprie emissioni complessive di 97 Mt: considerando che i settori compresi nell’ETS rappresentano il 40% delle emissioni nazionali, appare del tutto insufficiente il taglio di sole 14 Mt del piano varato oggi (circa il 14% delle emissioni).

Non solo: grazie ad un’artificiosa sotto allocazione agli impianti cosiddetti in CIP6, il nuovo PNA di fatto determinerà un aumento delle emissioni del settore termoelettrico di quasi 10 Mt, il tutto per favorire investimenti verso il combustibile fossile che produce maggiori emissioni di anidride carbonica, il carbone. L’operazione sarà chiaramente a spese dei consumatori e senza alcun beneficio per il Paese che si troverà in una posizione indifendibile in Europa. Agli impianti CIP6 viene assegnato un numero del tutto insufficiente di quote per coprirne la produzione elettrica: 20 Mt in meno. In tale maniera gli operatori di impianti CIP6 andranno ad acquistare le quote mancanti sul mercato europeo.

Questi costi, grazie all’intoccabilità garantita agli impianti CIP6 (del titolo II, punto 7 bis, del provvedimento Cip n. 6/92) verranno direttamente scaricati sulle bollette dei consumatori all’interno della componente tariffaria A3, paradossalmente destinata ai fondi d’incentivazione delle energie rinnovabili. Le quote non assegnate agli impianti CIP6 verranno destinate agli impianti termoelettrici convenzionali, che scaricheranno comunque il valore della quota d’emissione nelle bollette dei cittadini. Il consumatore italiano finirà così per pagare Kyoto, ingiustamente, due volte.

E come se non bastasse il nuovo PNA prevede un’allocazione di 12 milioni di tonnellate a titolo oneroso, ma a prezzi inferiori a quelli di mercato, riservate ai soli impianti a carbone. Non si tratta dunque di un asta competitiva tra tutti gli operatori interessati ad acquisire quote ma di un ulteriore privilegio per gli impianti a carbone.

Il nuovo NAP non rispetta gli interessi dei consumatori italiani, ma anzi protegge quelli dell’industria elettrica. Rimane legittimo domandarsi se il governo è ancora intenzionato a raggiungere l’obbiettivo di Kyoto attraverso misure nazionali per l’80% come inequivocabilmente dichiarato nel programma elettorale.


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ASPO-Italia sulle agevolazioni al fotovoltaico in Italia

Siamo venuti a conoscenza del testo, predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell’Ambiente, di una proposta di decreto (di seguito proposta) che modifica radicalmente l’attuale normativa a sostegno della tecnologia solare fotovoltaica. Siamo molto preoccupati in particolare, della previsione che rischia di bloccare la crescita del fotovoltaico nel nostro paese, cioè l’entità dell’incentivazione economica riconosciuta all’energia elettrica prodotta dai pannelli fotovoltaici. I valori delle tariffe incentivanti contenuti nella proposta sono tutti inferiori a quelli definiti dal decreto vigente, compresi quelli relativi agli impianti di potenza inferiore che, nell’intento degli estensori, dovrebbero invece essere maggiormente agevolati.

Se questi valori venissero approvati, il VAN (Valore Attuale Netto), cioè il guadagno netto attualizzato per l’investitore sarebbe inferiore o vicino a zero, e il tempo di ritorno dell'investimento superiore al tempo di vita dell'impianto (25-30 anni), rendendo quindi privo di convenienza economica l’investimento stesso. In altre parole, in un paradossale ribaltamento semantico, le tariffe incentivanti si trasformerebbero inopinatamente in tariffe disincentivanti.
Considerato che l’attuale governo di centro-sinistra ha chiaramente individuato tra i propri obiettivi la diffusione delle fonti rinnovabili e il rispetto del Protocollo di Kyoto, chiediamo che il Ministro dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente, non assumano decisioni che ostacolino il processo già avviato di diffusione delle installazioni fotovoltaiche in Italia.

L’analisi dei fattori critici dell’attuale normativa di incentivazione del solare fotovoltaico in Italia ci porta ad individuare le seguenti proposte di modifica a nostro parere necessarie per dare maggiori certezze e prospettive al mercato:

1) Eliminare l’attuale tetto di potenza pari a 1 MW.

2) Aumentare del 10% le attuali tariffe incentivanti e, per gli impianti di potenza superiore ai 50 KW, eliminare il meccanismo di gara al ribasso.

3) Prevedere un meccanismo automatico di adeguamento periodico delle tariffe incentivanti concesse nel ventennio di applicazione che tenga conto della variazione del costo della vita.

4) Prevedere espressamente forme di detrazione fiscale, attualmente non certe, per gli impianti di potenza superiore ai 20 KW, al fine di compensare le spese derivanti dal pagamento dell’Irpef sui ricavi ottenuti dalla produzione di energia elettrica.

5) Individuare strumenti normativi ed economici che favoriscano l’accesso a forme di credito agevolato per la realizzazione degli impianti.

6) Informare le norme sul conto energia al principio per cui è superflua (e ostacolante) ogni prescizione tecnica per le parti a monte dell'inverter perchè la sovvenzione pubblica paga solo la quantità di energia prodotta e non la qualità dell'impianto produttore, pagata esclusivamente da fondi privati.


(questo documento è stato approvato dal comitato scientifico di ASPO-Italia)


Bere per non affogare









Le notizie che riguardano la Gazprom o, in generale, il gas russo hanno una caratteristica,: sono sistematicamente poco credibili.





Il vicepresidente di Gazprom, Medvedev non esclude " problemi di razionamento" a causa di un possibile blocco Bielorusso del gas in transito ma al contempo afferma che non ci dovrebbero essere problemi perche' " può ottimizzare il transito attraverso l'Ucraina", salvo poi riaffermare che pero' non esclude razionamenti " se la Bielorussia preleverà una parte del gas che inviamo ai nostri clienti europei".
Due affermazioni ed una smentita, in tre righe.
Qualcosa non torna.





Da piu parti si mormora, molto semplicemente, che la Russia non ce la fà a garantire le forniture sia ai suoi " clienti europei" che all'Ucraina, alla Bielorussia, agli stati baltici ed alle altre parti dell'ex Unione Sovietica, poichè impianti, gasdotti e turbompe sono sottodimensionati ed i giacimenti sfruttati danno segni di rapido esaurimento, mentre non sono stati fatti gli enormi investimenti necessari per convogliare il gas dai giacimenti ancora non sfruttati.
Semplecimente si vuole riccamente remunerare i pochi azionisti QUI ed ORA, piuttosto che investire per ottenere maggiori ricavi in un futuro lontano almeno un decennio.

Qualcosa del genere si può leggere da numerose fonti autorevoli, ad esempio qui:

http://www.sfu.ca/~asamsamb/homedown.htm#


Il fatto è che ci possono dire qualunqe cosa e siamo " obbligati" a berla:
Non possiamo, in alcun modo, fare a meno del gas russo, di tutto quello che ci possono/vogliono dare.

Bere per non affogare, insomma.

Di solito non funziona cosi, pero'.
Se si comincia a bere si finisce, prima o poi, proprio per annegare.

Pietro Cambi










http://it.biz.yahoo.com/28122006/26/gas-medvedev-gazprom-non-escludo-problemi-forniture-europee.html





ASCA-AFP) - Parigi, 28 dic - Il vicepresidente di Gazprom, Alexandre Medvedev, respinge al mittente le minacce della Bielorussia di bloccare il transito di gas russo verso l'Europa, definendole ''grottesche'', ma non esclude problemi di ''razionamento'' nelle forniture per l'UE. In un'intervista che sara' pubblicata domani sul quotidiano francese Le Figaro, Medvedev si e' detto ''sorpreso dell'abbandono da parte dei nostri colleghi bielorussi del tavolo delle trattavive. E ho trovato grottesco il messaggio che avverte i nostri clienti europei di interruzioni del transito del gas russo sul territorio bielorusso''. ''Sono fiducioso che non ci saranno problemi'' ha aggiunto, anche perche' i paesi europei ''hanno riempito le loro riserve'' e Gazprom ''puo' ottimizzare il passaggio di gas attraverso l'Ucraina''. ''Ma - ha proseguito - se la Bielorussia prelevera' una parte del gas che noi inviamo ai nostri clienti europei e che attraversa il loro territorio, questo gas manchera' al sistema. E non posso escludere un razionamento della nostra offerta e dunque qualche ammanco per i nostri clienti''. Medvedev ha poi ''inviato vivamente'' la Bielorussia a ''riflettere bene prima di intraprendere una strada come questa''.
(Pubblicità)

giovedì, dicembre 28, 2006

Il grande complotto

Da un sito chiamato "californiaconservative" trovo una serie di considerazioni interessanti sul picco e del petrolio scritte da un sig. Gary Gross. Si riportano senza batter ciglio tutte le leggende che girano sull'argomento, 0vvero che l'allarme era già stato lanciato molte volte, che in Arabia Saudita è pieno di petrolio da scoprire, che non sappiamo quanto petrolio c'è quindi ce ne deve essere tantissimo. Si tessono grandi lodi di Leonardo Maugeri e, infine, si arriva al nocciolo della faccenda, che vi traduco. Riferendosi ai "peak oilers", ovvero a quelli che lanciano l'allarme sulla disponibilità di risorse petrolifere, dice (grassetto e italico nel testo originale)


La sola conclusione a cui possiamo arrivare è che o sono orribilmente inetti nelle loro predizioni o stanno semplicemente dicendo bugie a denti stretti. Io tendo verso la seconda ipotesi. Sebbene siano estremisti liberali senza una goccia di buon senso, la verità è che non sono così stupidi.


Da qui, non siamo tanto lontani da concludere che, se stanno mentendo, evidentemente hanno uno scopo nascosto. Questo non può essere che un complotto per loro vantaggi personali. Ne consegue che se, per caso, il picco del petrolio dovesse venire veramente, allora sarà il risultato del loro piano diabolico per impadronirsi del pianeta. Se una cosa del genere dovesse verificarsi, meglio ucciderli tutti il prima possibile......

Pensate che sono troppo pessimista? Forse. Ma questo non è il solo documento che dice che i problemi di risorse sono causati da una cospirazione di varie sette e gruppi, incluso gli Illuminati, gli Gnomi di Zurigo, il Grande Vecchio di Montecatini (quello che controlla il Totocalcio), le cellule cripto-comuniste, gli islamo-fascisti e coloro che hanno lanciato l'allarme in anticipo.

Se ho mai parlato di picco del petrolio? Chi, io? Non mi pare, forse mi hanno intepretato male.



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mercoledì, dicembre 27, 2006

Il problema è che non ce n'è abbastanza


Spigolando su internet, trovo un documento del MIT sul problema energetico. Non contiene dati particolarmente nuovi, ma ha una conclusione che mi sembra riassuma bene la situazione. Ve la propongo tradotta e riarrangiata in modo creativo, secondo come la vedo io.




Allora, il problema energetico è che non c'è abbastanza di certe cose:


Petrolio e gas: non ci sono abbastanza petrolio e gas
Carbone: non c'è abbastanza atmosfera
Biomassa: non c'è abbastanza terreno
Idro e eolico: non ci sono abbastanza siti
Fotovoltaico: non ci sono abbastanza soldi
Fissione nucleare: non c'è abbastanza uranio e non c'è abbastanza posto per le scorie
Fusione nucleare: non c'è abbastanza di qualcosa, ma non sappiamo di cosa
Idrogeno: non ce n'è proprio
Efficienza: non c'è abbastanza cervello nella testa della gente

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martedì, dicembre 26, 2006

Il Ritorno di Re Carbone

Il ritorno di "Re Carbone" è in atto. Probabilmente stimolata dagli aumenti dei prezzi del petrolio degli ultimi anni, la produzione mondiale di carbone ha avuto un balzo in avanti impressionante.
Nella figura a lato, tratta da dati pubblicati da BP si nota come negli ultimi anni la produzione, che sembrava in via di stabilizzazione negli anni 90 sia ripartita a un ritmo rapidissimo, raggiungendo e superando il traguardo dei 3 miliardi di tonnellate all'anno. Le riserve di carbone conosciute sono grandi a sufficienza da far ritenere che questo ritmo di crescita possa essere mantenuto ancora per decenni. Secondo le stime, il "picco di produzione" del carbone potrebbe verificarsi non prima del 2150-2200.

Il petrolio è chiaramente in difficoltà; il carbone riprende la sua posizione di predominanza che aveva avuto fino agli anni 1950 circa. Entro un paio di decenni, il petrolio potrebbe essere ridotto a un ruolo marginale; più o meno come lo è oggi l'olio di balena come combustibile.

Come sempre, le grandi transizioni non avvengono senza sofferenza. Anche qui, ci saranno dei grandi cambiamenti e molte difficoltà. Il carbone si usa oggi quasi esclusivamente per produrre energia elettrica vicino a dove viene estratto. E' costoso da trasportare e ancora più costoso da liquefare. L'era dei combustibili liquidi a basso prezzo finisce comunque con il petrolio. Più che altro, il carbone è una risorsa locale, non globale come il petrolio. Chi ce l'ha, come la Cina, la Russia e gli Stati Uniti, lo usa in casa propria per le proprie industrie. Chi non ce l'ha, è nei guai. E' possibile che la Cina ci dia carbone per le nostre industrie? Forse, ma lo dovremo pagare molto caro, probabilmente più caro di quanto ci potremo permettere.

Ma il problema principale con il carbone è quello climatico. Con le grandi riserve a disposizione, continuare a bruciare carbone ai ritmi di crescita attuali vuol dire iniettare nell'atmosfera quantitativi di biossido di carbonio tali da mettere in pratica i peggiori scenari concepiti dai climatologi più pessimisti. Vuol dire avanzare a tutta velocità verso la catastrofe climatica. I rimedi sono deboli e incerti; il trattato di Kyoto non include i due maggiori produttori di carbone mondiali, la Cina e gli USA e probabilmente questa non è una coincidenza. Chi andrà a dire a Cina e USA di smettere di bruciare carbone? Si può sequestrare veramente il biossido di carbonio? Forse si, ma di fronte ai tre miliardi di tonnellate di carbone prodotte all'anno, non si è sequestrato finora neanche un grammo di biossido di carbonio. Non cominciamo bene e la strada è molto in salita.

Tutti i problemi hanno delle soluzioni e quello del carbone si può risolvere soltanto sostituendolo con le energie rinnovabili o, forse, con l'energia nucleare (che però porta un bel po' di altri problemi). Per ora l'energia rinnovabile costa più cara di quella dal carbone, ma se consideriamo che abbiamo un solo pianeta a disposizione e che non possiamo comprarcene un altro dopo averlo rovinato, forse conviene darsi da fare con le rinnovabili ben prima di arrivare al picco del carbone del 2200.

Parlando di Cina, viene in mente la vecchia maledizione cinese ""Possa tu vivere in tempi interessanti". Non c'è dubbio che li stiamo vivendo e ne vivremo sempre di più.




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domenica, dicembre 24, 2006

Buon Natale!


Un'immagine trovata su internet che ci ricorda qualcosa a proposito di tutto quello che ci arriva per Natale: Pacchi, dolci, candeline, imballaggi, luci, giocattoli, canditi, pupazzi e quanto vi può venire in mente, tutto arriva per mezzo e per tramite dei combustibili fossili e, principalmente, del petrolio.

Ma non sono gli aggeggi che contano e del petrolio prima o poi impareremo a fare a meno. Godiamoci il Natale.

Tanti auguri a tutti!















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venerdì, dicembre 22, 2006

L'insostenibile leggerezza del negazionismo



Recentemente, avevo lasciato su "Comedonchisciotte" un commento sul fatto che ritenevo la questione del riscaldamendo globale una cosa seria e importante. Di ritorno, ho ricevuto questo commento da "Remo" che vi passo per vostra curiosità

Si certo bardi come no....sono le bombolette spray il problema!
Un vulcano che erutta emette più gas di una o più nazione intere contemporaneamente (dipende dalla dimensione dell'eruzione).
Negli ultimi 20 anni le eruzioni sono aumentate.
Gli allevamenti ovini neozelandesi emettono più metano (scureggiano le pecore lo sapevi?) della Nuova Zelanda intera.
E poi vogliamo mettere quel fior fiore di scienziati che da tempo va sostenendo prove alla mano la natura elettrica dell'universo e delle interazione elettromagnetiche fra sole e pianeti? Non sarà forse un influsso più grande delle bombolette spray terrestri?
Perchè quando si tratta di energia rinnovabile gli pseudo ecologisti ci ricordano l'immane potenza solare scarsamente sfruttata e quando si parla di clima non si vuol tenere in considerazione l'azione diretta del sole?
Perchè negli anni '70 si vaticinava una nuova glaciazione e oggi il riscaldamento globale?
Perchè come al solito la scienza o pseudo-scienza si è messa al servizio dell'ideologia con l'assistenza di quei tanti scimuniti che sono pronti a dargli retta.


Ora, potremmo far notare diverse cose al Sig. Remo. Per esempio che le bombolette spray sono note più che altro per far danni allo strato di ozono, non alla temperatura dell'atmosfera. Che le emissioni di metano dalle pecore sono parte del ciclo naturale del metano e che il metano emesso viene riassorbito dalla biosfera in pochi anni. Che il fatto che negli anni '70 si prevedesse una nuova glaciazione è una bufala, un'altra delle tante leggende che girano su internet. E così via....

Ma il punto non è tanto notare errori nel commento, ma notare la leggerezza incredibile con la quale ci si esprime su una cosa, come il riscaldamento globale, che ha il potenziale di ammazzarci tutti se le cose si dovessero mettere veramente male. Non so se il sig. Remo sia laureato o che mestiere faccia. Noto però che le qualifiche accademiche non portino necessariamente a evitare atteggiamenti, diciamo, un tantino leggeri. Recentemente, Emilio Gerelli, professore emeritio dell'università di Pavia, ha criticato il concetto di riscaldamento globale sulla base di argomentazioni non più sostanziali, anzi direi ancora meno sostanziali, di quelle che qui il sig. Remo si è sentito di esprimere.

Sembrerebbe che il riscaldamento globale sia ritenuto ancora qualcosa sulla quale si può scherzare con battute tipo quella delle xxxxegge delle pecore. E' uno scherzare col fuoco; speriamo che nessuno si debba bruciare di brutto prima di imparare che è una cosa seria.



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giovedì, dicembre 21, 2006

Ancora dal Giurassico


A proposito del mio post recente dal titolo "Paleoambientalisti dal Giurassico, ho ricevuto un commento dall'Ing Santini che vi passo nel seguito.

L'Ing. Santini non ha gradito la mia definizione di "paleoambientalisti giurassici" per gli oppositori delle centrali eoliche. In effetti, forse era un po' forte; era destinata ad attirare un po' di attenzione. Si sa che quando si fa il titolo di un post si cerca di dare un po' una "scossa".

L'idea, in ogni caso, era di enfatizzare che una certa sezione del movimento ambientalista in Italia è rimasta bloccata su una concezione tradizionale, che vuole che la conservazione sia l'unico mezzo ammissibile per cercare di risolvere il problema energetico. Viceversa, un'altra sezione ha preso decisamente posizione sul fatto che non basta risparmiare ma bisogna produrre energia, ovviamente in modo rinnovabile. Il primo gruppo lo possiamo chiamare "Giurassici"; il secondo "Olocenici" per non fare parzialità.

Ciò detto, è ovvio che anche con l'energia rinnovabile si possono fare dei notevoli scassi e danni al territorio. La posizione dei Giurassici su questo punto sembra essere che nel dubbio è bene non farne di niente, quella degli Olocenici a volte che comunque fare qualcosa è sempre bene. Fra le due cose, presumo che si possa trovare un compromesso senza andare a preoccuparsi, come dice il sig. Santini in modo forse un po' polemico, che in nome dell'energia rinnovabile si aboliscano le università e le leggi della fisica, e si vadano a mettere torri eoliche in Piazza Signoria a Firenze

A mio modesto parere, un giudizio sulla situazione non si può fare senza tener conto della situazione delle forniture petrolifere. La maggior parte della gente non si rende conto di quanto sia grave. Alla prima vera strizzata, per la quale non ci vorrà molto tempo, la gente comincerà a gridare "carbone" a gran voce e, come ambientalisti, se non avremo un alternativa, cosa gli racconteremo? Gli diremo che era più importante l'estetica dei crinali?

Qui sta l'essenza della questione. Nella pratica, la posizione dei Giurassici favorisce il carbone, che è il vero nodo della faccenda energia al momento attuale. Ogni torre eolica o impianto fotovoltaico allontana un po' il rischio di una nuova centrale a carbone. Non che il carbone non ce lo dovremo sorbire comunque, ma almeno cerchiamo di non combatterlo a mani nude.

Ringrazio comunque l'Ing. Santini per il suo commento e per averci fatto notare delle evidenti storture in certe installazioni. Rinnovabile è bello, ma non per forza! Ricambio gli auguri di buone feste.


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Erg Prof. Bardi
In risposta a quanto pubblicato sul blog di Aspo italia ,dal titolo paleoambientalisti del giurassico. Visto che ho seguito da vicino la cosiddetta fattoria eolica di Cutigliano, mi permetta di fare alcune considerazioni che di questi tempi nessuno fa. Ormai costruire impianti eolici è un bussiness. La cosa importante è farle, se poi non c'è vento, o questo manda gli impianti 2 ore l' anno a nessuno interessa. Se poi qualcuno alza la voce per dire che hanno un impatto ambientale grande si dice che sono degli idioti, perchè la regione toscana dice che si deve ricavare 300 MW dalle centrali eoliche (a prescindere dal vento penso). E si sa, se lo dice la regione Toscana sicuramente la cosa è possibile e la regione Emilia che ne ha messi solo 20 di MW sicuramente si è sbagliata ( mi hanno detto che sono nella stessa zona), Ma se queste centrali si fanno a prescindere dal vento la regione Toscana può scrivere 3000 .... 3000000 MW che differenza fa. Per concludere perchè non fate una bella fattoria eolica in piazza della Signoria a Firenze. Non c'è vento ... pazienza io dico di si e la mia parola vale come quella degli altri, e i Fiorentini non protesteranno perchè non sono dei paleoambientalisti del giurassico.
Pensi che per la fattoria eolica di Cutigliano ( che nome poetico) hanno già stabilito dove farla con le dimensioni l' altezza delle pale e delle torri. Poi la provincia di Pistoia ha installato su richiesta di un paleoambientalista del giurassico una centralina per rilevare la ventosità del luogo come prescritto dal CNR. (Quello serio)
La invito a leggere e pubblicare sul blog la VIA della fattoria eolica di Cutigliano, così si fa, e i lettori si faranno una cultura su come non si fanno le VIA. Naturalmente è stata fatta prima dei dati sulla ventosità della zona. Certo che un pò di facolta Universitarie potrebbero essere chiuse come enti inutili.
In aggiunta....
Seguendo le orme di alcuni suoi paleoambientalisti del giurassico che difendevano un Ponte del 1200 sul fiume Lima. Ho visto la costruzione delle condotte forzate della centrale di Lucchio sul torrente Lima, condotte che passeranno sotto il predetto ponte ( detto di Castruccio) non importa se il Ponte ha qualche possibilità di crollare l' importante è fare l' enrergia idroelettrica. Da alcuni paleoambientalisti ho saputo che la condotta forzata sarà lunga 5 Km e sara interrata nel letto del fiume, anse comprese. Mi sono ricordato che alle scuole elementari la maestra ( sa quassù ci sono varie centrali idroelettriche) diceva che le condotte forzate dovevano essere più verticali possibili e più brevi per via delle perdite di carico, ma sa la tecnica avanza e sicuramente il progettista dell' impianto sa il fatto suo, suo visto che partecipa in pompa magna ai grandi incontri sulle energie rinnovabili in regione toscana. Naturalmente la Invito a vedere questa Meraviglia della Tecnica.
Proprio in questo momento mi è giunta una notizia eccezionale la regione Toscana ha varato la riforma del teorema di Bernoulli e sono state abolite le perdite di carico all' art. 1, all' art.2 è stata abbolita l' università e i professori Universitari in galera per aver diffuso informazioni false. Art. 3 da questo momento anche le leggi della fisica e della chimica saranno riscritte sul B.U.R.T. e tutti le conosceranno e le sapranno applicare, non c'è più bisogno di professori universitari, ingegneri, architetti, geometri etc..
In base alla nuova legge sarà costruita una bellissima Centrale minidroelettrica sull' Arno subito dopo passato Firenze facendo passare la condotta forzata sotto tutti i ponti di Firenze, condotta del diametro di 40 m ( in proporzione a quelle sulla Lima) . Sicuramente protesteranno i paleambientalisti del giurassico. Pazienza l' importante è produrre energia idroelettrica ( il quantitavo prodotto anche in questo caso non interessarà a nesssuno).
Cordiali Saluti e buone feste.
Silvano Santini

Il futuro che ci aspetta: fumoso



Ah, l'ecologia! Oh, l'energia rinnovabile! La meraviglia di essere in armonia con la natura, di non distruggere risorse preziose, di non contribuire al riscaldamento globale..... Non è bello? Cosa puoi volere di più che scaldarti con una risorsa rinnovabile che la natura ti mette così abbondantemente a disposizione, il legno...... Si, il legno, risorsa naturale, non senti già il profumo della resina, il fascino della fiamma, il rumore antico dello scoppiettio dei tizzoni.....?

Piccolo problema: il fumo. Se l'articolo che segue dal New York times ci da un'idea del futuro "ecologico" che ci aspetta, siamo messi male davvero. Immaginatevi che ognuno dei vostri vicini abbia una bella caldaia a legna. Stiamo freschi; enfisema garantito per tutti, e anche di peggio per la profusione di nanoparticelle emesse. Da noi va di moda più che altro il "cippato" e, in teoria, se la caldaia è ben progettata, le cose dovrebbero andare meglio che con questi pestilenziali "boilers" americani. Ma non vi aspettate miracoli. Il futuro rimane fumoso. Come vedete dall'immagine di seguito, anche il cippato (pellets) inquina molto di più del gas o del petrolio.















E notate che in America c'è abbondanza di legna; se in Europa volessimo veramente scaldarci a legna, le varie colline e montagne somiglierebbero rapidamente al monte Calvario dei vangeli.

Vedi anche il sito "come eliminare l'inquinamento da fumo di legna" da cui sono prese le immagini riportate qui


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Dal NY Times

Wood Boilers Cut Heating Bills. The Rub? Secondhand Smoke.
Published: December 18, 2006

Their owners proudly proclaim that they reduce dependence on foreign oil — and save thousands of dollars on heating bills each year.
Michelle V. Agins/The New York Times

Peter Muller of Stony Point, N.Y., swears by his boiler. “Now I have a renewable energy source,” he says, “and people are complaining.”

Joseph Tumidajewicz, top, of Chicopee, Mass., has pictures of a neighbor’s boiler. “You can feel your face getting instantly dirty,” he says.

Neighbors say that they create smoke so thick that children cannot play outside, and that it seeps into homes, irritating eyes and throats and leaving a foul stench.

They have spawned a rash of lawsuits and local ordinances across the country. A report last year by the New York attorney general’s office found that they produce as much particle pollution in an hour as 45 cars or 2 heavy-duty diesel trucks.

The devices, outdoor wood-fired boilers, originally invented to heat farmhouses, are now a fast-growing alternative energy fad — and, depending on whom you ask, the latest suburban scourge. Scientists studying the boilers’ environmental fallout estimate their numbers have doubled in the last two years, to about 150,000 nationwide.

A growing body of research about the toxins spewed by the boilers — namely carcinogens and lung-clogging particulate matter — has prompted campaigns around the country to limit their use.

And next month, the Environmental Protection Agency expects to issue guidelines for states to follow in regulating the use of wood boilers. The industry, too, is working with the agency on new standards for boilers.

“These machines sound good when you buy them, but look at all the health problems you cause,” said Edward J. Nowak, who is suing his former neighbor in Chicopee, Mass., for creating a “public nuisance” by installing a boiler in his backyard.

“We taped our windows up with plastic, and we tried to be a nice neighbor, but it just got to the point where it was impossible,” said Mr. Nowak, who is retired. He said he had to move because of the constant smoke.

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mercoledì, dicembre 20, 2006

Guerra e Petrolio

"ComedonChisciotte" ha pubblicato recentemente la traduzione di un lungo articolo dal titolo "Guerra e Capitalismo" di Jonathan Nitzan e Shimson Bichler sulle complesse relazioni fra capitalismo, globalizzazione, guerra, petrolio e tutto il resto.

L'articolo è di grande interesse e merita di essere letto e meditato, nonostante la notevole lunghezza. Uno dei pregi è il fatto di riportare dei dati, cosa abbastanza rara nel polverone attuale dove chiunque si sente in grado di pontificare su questo e su quello senza troppo preoccuparsi della realtà quantitativa. Apprendiamo così diverse cose interessanti, quali per esempio che in termini reali le spese militari degli Stati Uniti sono in calo da molti anni, nonostante la tanta retorica belligerante in giro. E' vero anche, tuttavia, che dal dopo Clinton sono aumentate di nuovo, anche se Nitzan e Bichler non giudicano significativo l'aumento. Vediamo poi come esistano correlazioni fra le spese militari e l'andamento del PIL, da cui sembrerebbe di poter capire che la guerra non è una cosa occasionale, ma una parte integrante del sistema economico in cui viviamo.

Il concetto di fondo dell'articolo di Nitzan e Bichler è nel partire dal concetto che la guerra è endemica al sistema e da qui domandarsi la ragione della fiammata di guerre che si è verificata nei primi anni del ventunesimo secolo. Nitzan e Bichler partono dal punto di vista Keynesiano, le guerre stimolano l'economia e pertanto sono una cosa buona. La spiegazione "ufficiale" del perché la grande depressione degli anni '30 è finita è che la seconda guerra mondiale se l'è portata via con il grande stimolo economico associato.

Tuttavia, il tempo del keynesianismo sembra sparito con la globalizzazione. Ma, allora, perché le guerre? Nitzan e Blicher fanno una serie di osservazioni interessanti, linkando fra le altre cose i profitti delle compagnie petrolifere con le guerre in corso. L'impressione è, tuttavia, che l'articolo salti da un concetto all'altro senza veramente "agganciare" le vere cause delle guerre attuali.

Nitzan e Blicher non credono che le guerre siano veramente per le risorse, dicono che non ha scopo fare guerre per accaparrarsi, per esempio, il petrolio, quando nella globalizzazione lo si può semplicemente comprare. Si, ma siamo sicuri che la globalizzazione sarà eterna? In fondo, per secoli e secoli, non c'è stato mai niente di simile a quello che oggi ci sembra naturale; un'economia globalizzata. Ma questa condizione potrebbe essere in effetti del tutto innaturale e destinata a sparire rapidamente, sositutuita dalla condizione più normale di economie nazionali in competizione l'una con le altre. Se così fosse, l'invasione dell'Iraq potrebbe essere stata il primo sintomo del crollo della globalizzazione.

O forse no. Tolstoi, in "Guerra e Pace" diceva a proposito cause della guerra che

"Più approfondiamo la ricerca di queste cause, più ne troviamo, e ogni causa separata, o intera serie di cause, ci appare ugualmente valida in se stessa e ugualmente falsa nella sua misera entità paragonata alla dimensione degli eventi e nel suo scarso peso, - a parte per la cooperazione con tutte le altre cause coincidenti – per dare origine all’evento di cui parliamo. "

Da questo Tolstoj conclude che la guerra è accaduta perchè doveva accadere. Chissà, forse aveva ragione lui. In effetti, già in un articolo recente Johnson e altri hanno scoperto che la guerra è un fenomeno "auto-organizzato" dove esiste una precisa correlazione fra frequenza degli eventi bellici e la loro dimensione. Ovvero, ancora, la guerra non è un fenomeno occasionale causato dal "cattivo" di turno, Bin Laden, Saddam, Milosevich o chi altro. Meglio detto, i cattivi di turno sono fenomeni critici auto-organizzati, anche se probabilmente loro non lo sanno.

Questo vuol dire, se non altro, che non ci sarà mai "la guerra che mette fine a tutte le guerre", come tutte le guerre sono state definite a partire dalla prima guerra mondiale. Mettiamoci l'animo in pace. Anzi, in guerra.




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GUERRA E CAPITALISMO

Postato il 17 dicembre 2006 [ 19:00 ] di marcoc

JONATHAN NITZAN E SHIMSHON BICHLER
Global Research

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Quanto sono grandi i guadagni delle compagnie petrolifere? Durante il periodo di cinque anni che va dall'agosto 2001 al luglio 2006, l'incasso netto medio di tutto il settore petrolifero e arrivato a $ 108 miliardi all'anno. Questo dato va paragonato a un profitto annuale di soli $ 34 miliardi all'anno tra l'agosto 1999 e il luglio 2000-un salto di 75 miliardi arrotondando le cifre.

Quanto è costato generare questo salto nei profitti? Per semplicità assumiamo che dal 2000 l'intero incremento del prezzo petrolifero-e perciò tutto l'incremento nei profitti petroliferi-è stato dovuto ai nuovi conflitti energetici in Medioriente. Consideriamo inoltre che sin qui il governo Usa ha speso nelle sue operazioni in Afganistan e Iraq l'equivalente ogni anno dell'1% del suo Pil-quasi $ 100 miliardi l'anno.

Queste assunzioni, sebbene semplicistiche e inaccurate, indicano le grandezze in gioco: la guerra costa $ 100 miliardi l'anno e genera $ 75 miliardi extra ogni anno in profitti petroliferi. In altre parole per ogni dollaro che il governo Usa spende nelle guerre, i proprietari delle compagnie petrolifere guadagnano altri 75 centesimi di profitto netto.

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martedì, dicembre 19, 2006

Paleoambientalisti dal Giurassico



Colin Campbell suole dire che il petrolio è il risultato di eventi che sono avvenuti nel Giurassico e che, quindi, non sono influenzabili politicamente. Tuttavia, certi ambientalisti (cosiddetti) sembra che nel Giurassico ci vivano comunemente, perlomeno con la testa. Girano ancora messaggi come quelli che vi riporto qui di seguito, contro la "minaccia delle centrali eoliche" nell'Appennino.

Purtroppo, anche se questo qui si lamenta che la minaccia "avanza", in realtà non avanza per niente, anzi, l'opposizione anti-eolico è riuscita a bloccare quasi completamente la costruzione di nuove centrali. Basti dire che il piano energetico della regione Toscana del 1996 prevedeva 300 MW di generazione eolica. Risultato dopo dieci anni? Totale meno di 3 (!!) MW installati.

Che si può dire? Questi qui devono essere veramente dei grandi amanti del petrolio. Meno male per loro che ne rimane ancora un po'.

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----- Original Message -----
From: xxxxx
Sent: Thursday, December 14, 2006 1:13 AM
Subject: avanza la minaccia delle centrali eoliche nell'appennino tra Emilia-Romagna e Toscana

Nonostante che siano stati fermati/sospesi già 3 progetti di centrali eoliche in prossimità del crinale tra Emilia-Romagna e Toscana principalmente per il loro impatto negativo sull'avifauna, crescono di mese in mese il numero di nuovi progetti presentati e le notizie riguardanti convenzioni tra comuni (di ogni schieramento politico) e ditte costruttrici di generatori eolici.

Inoltre, sino ad ora le province non avevano particolarmente sostenuto la causa dell'eolico ma per la centrale eolica proposta da AGSM Verona in località Casoni di Romagna nei Comuni di Monterenzio e Castel del Rio in Provincia di Bologna (19 generatori che con le pale superano i 100 metri di altezza in un'area interessata da altri due progetti di impianti eolici) sembra che l'Amministrazione provinciale sia intenzionata a concludere positivamente la procedura di VIA nonostante i pareri negativi della Direzione generale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna, delll’Azienda Unità Sanitaria Locale di Bologna e, fatto più rilevante ai fini della Valutazione d’Incidenza, dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica e del Settore Valutazione Impatto Ambientale della Regione Toscana. Di fronte ad una lettera del Dirigente del Servizio per la Valutazione di Incidenza della Regione Emilia-Romagna in cui si richiedono al proponente integrazioni relative alla campagna di monitoraggio dell’avifauna ovvero l'esecuzione di specifici monitiraggi su un ciclo biologico completo (1 anno) al fine di completare la Valutazione d’Incidenza, la Provincia chiede invece che il Servizio regionale si pronunci immediatamente (e probabilmente anche in modo positivo) per non pregiudicare la procedura di VIA!

Ricordo che alla Provincia di Bologna ed alla Regione Emilia-Romagna è già stato segnalato in diverse occasioni che la realizzazione del progetto in questione determinerebbe, oltre ad un impatto negativo sui migratori (così come tutti gli impianti situati su crinali), danni gravi e irreversibili all'avifauna locale ed in particolare sia ai rapaci nidificanti nei dintorni sia ai rapaci che trascorrono il periodo post-riproduttivo a cacciare nelle praterie primarie e secondarie dell'appennino. Negli studi compiuti da Everaert (2002) in Belgio e da Winkelmann (1995) in Olanda impianti delle dimensioni di quelli dei Casoni di Romagna o minori hanno causato una mortalità per turbina rispettivamente di 35 e 33 uccelli/turbina/anno (molti dei quali rapaci).

Aumenta purtroppo di giorno in giorno il numero di amministratori e politici locali che, senza essersi mai interessati in precedenza di alcun tema ambientale e/o semplicemente di risparmio energetico, sostengono la realizzazione di centrali eoliche negli ultimi scampoli di territorio libero controbattendo agli sparuti oppositori che si tratta di una scelta obbligata per difenderci dai cambiamenti climatici e che le praterie e gli uccelli che saranno fatti a fette sarebbero comunque condannati a sparire.






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lunedì, dicembre 18, 2006

Jabba e il gas naturale

"Energy Tribune" non sembra un sito particolarmente affidabile. Hanno diversi articoli dove cercano di screditare la questione del riscaldamento globale, e in questo articolo prendono in giro Putin dicendo che non somiglia a Luke Skywalker ma piuttosto a Jabba the Hutt.

Tuttavia, a parte la cattiva impressione generale, in questo articolo riportano una tabella di dati che danno un deficit delle forniture di gas dalla Russia di 100 miliardi di metri cubi.

Non so quanto questi dati siano affidabili. Dicono che sono "Esclusivi per Energy Tribune". Se li saranno inventati? Oppure no? Mah? Speriamo che non faccia troppo freddo.

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Da Energy Tribune 13 Dicembre


Russia's Natural Gas in Trouble Vladimir Putin’s government is using Russia’s abundant oil and gas to consolidate and re-centralize power in the Kremlin. Putin’s also using Russia’s energy to project power internationally by punishing or rewarding neighbors – and that punishment or reward usually depends on how solemnly they genuflect in his direction. Acting as Putin’s chief enforcer is Gazprom, the world’s biggest gas company. But new predictions by the Institute of Energy Policy in Moscow indicate that Gazprom may be more Jabba the Hut than Luke Skywalker.

A recent report by the institute – obtained exclusively by ET – says that rising domestic gas demand and Gazprom’s rapidly decreasing production mean that Russia will likely have a gas shortage of at least 100 billion cubic meters (3.5 Tcf) per year by 2010. The report confirms rumors that we at ET have been hearing from inside Russia: that Gazprom will not be able to meet its future gas obligations.



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domenica, dicembre 17, 2006

Non vi preoccupate, la situazione è sotto controllo!


Per la serie "Quest'anno è andata di m*****, ma l'anno prossimo tutto cambierà", ecco un bell'articoletto dalla "Repubblica" dove il presidente dell'Unione Petrolifera, Pasquale de Vita, ci spiega che l'anno prossimo il prezzo del greggio scenderà "fra i 50 e i 60 dollari al barile" mentre il cambio fra l'Euro e il dollaro rimarrà favorevole. Se ce lo dice lui, possiamo stare tranquilli. Nel frattempo, si "si prevede un proseguimento del trend del calo dei consumi". Cosa possiamo chiedere di più? Non vi preoccupate, tutto è sotto controllo.


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Da "La Repubblica" del 16 Dicembre 2006

Energia, fattura record da 48 miliardi
"E' la più pesante da oltre 20 anni"


L'anno prossimo, ha detto il presidente dell'Unione Petrolifera Pasquale De Vita, si prevede una flessione di circa un miliardo

ROMA - Stangata per l'azienda Italia sul fronte dell'energia: quest'anno il paese deve fare i conti con una bolletta energetica - ovvero l'esborso per l'acquisto delle fonti dall'estero - di 48 miliardi di euro, 10 mld in più del 2005 (+24,4%). Si tratta della fattura più salata da oltre venti anni, pari al 3,3% del Pil.

A pesare sono state - spiega l'Unione Petrolifera nel preconsuntivo 2006 - le fiammate del greggio che hanno portato la sola bolletta petrolifera a 27,4 mld (+5 mld). Ma anche il forte apprezzamento del gas, in seguito alla crisi dell'inverno scorso: la spesa per l'acquisto del metano è salita da 12,1 miliardi a 16,9 miliardi di euro.

La bolletta sarebbe stata ancora ancora più cara di 7-8 miliardi se non fossero intervenuti l'apprezzamento dell'euro sul dollaro (+1,7%) e il calo dei consumi (-1,3% quelli di greggio), spiega ancora l'Unione Petrolifera.

Assicura comunque il presidente Pasquale De Vita che già dal prossimo anno si dovrebbe registrare infatti una flessione di circa un miliardo, grazie alla permanenza di un cambio favorevole per l'euro sul dollaro, un ridimensionamento del barile di petrolio tra i "50 ed i 60 dollari al barile", e un proseguimento del trend di calo dei consumi (stimati in una flessione del 2%).



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sabato, dicembre 16, 2006

Se il Petrodollaro piange, l'Euro non ride

Continuano le preoccupazioni per il dollaro in discesa sui mercati (oggi a 0.75 euro) ma non mancano preoccupazioni parallele per l'euro.

Il "Telegraph" del 13 Settembre intitola il suo commento "Una moneta condannata", riferendosi al destino dell'Euro. Tutte le monete sono, sotto molti aspetti, delle illusioni. Non può essere che un'illusione il fatto che dei pezzi di carta possano essere convertiti in beni e servizi e il fatto che sulle vecchie lire ci fosse scritto "pagabili a vista al portatore" rinforza la sensazione. Pagabili con cosa? Con altri pezzi di carta?

Ma il dollaro non è un puro pezzo di carta. Per ora, rimane convertibile in barili di petrolio ed è sorretto dal più potente apparato militare del mondo che, fra le altre cose, serve a garantire questa convertibilità. Ma in che cosa si converte l'Euro e quale apparato militare ne garantirebbe la conversione in qualcosa? E' veramente l'Euro un'illusione?

Puo' darsi che re Euro sia nudo e che la debolezza militare europea stia venendo alla luce. E non solo la debolezza militare, ma più che altro la debolezza geologica. L'Europa ha usato le sue ricchezze minerali per quasi tre secoli e ormai è rimasto ben poco. L'ultima grande ricchezza Europea, i giacimenti di petrolio del mare del nord, hanno iniziato proprio in questi anni il loro declino terminale. E se la storia ci insegna qualcosa è che un'unione politica non sopravvive al declino delle sue risorse minerali più importanti.

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A doomed currency

Daily Telegraph
Last Updated: 12:01am GMT 13/12/2006

The achievement of economic and monetary union by 11 European countries in 1999 was based on a deal: Germany, the strongest member, gave up the Deutschemark on the understanding that the others would not debauch the new common currency, the euro. Nearly eight years on, that inherently doomed project is coming apart at the seams.

The fundamental problem is that the economies of the "Germanic" members have diverged so far from those of the "Latin" bloc that the single interest rate set by the European Central Bank (ECB) is becoming a huge political liability.

An inkling of this came last year, when Italy's Northern League called for a return to the lira. It has now been taken up by the French prime minister, Dominique de Villepin, who has said that members must regain control over exchange-rate policy. Since that would give them indirect leverage over interest rates, it would strike a mortal blow at the ECB's independence.

The threat to the cohesion of the eurozone is best illustrated by comparing France and Germany. The second, having established a competitive advantage over the southern bloc of about 30 per cent over the past decade, is facing incipient inflation and favours a tight monetary policy. The first, devastated by the strength of the euro against the yen, dollar and renminbi, would like a halt to interest-rate rises. While the French political establishment has already turned against present policy, its abandonment would undermine support for the EU in Germany. The two "motors" of Europe are pulling in opposite directions.

What was once seen as a giant step towards "ever-closer union", as prescribed by the Treaty of Rome, is becoming an intolerable straitjacket. Common sense would suggest loosening the sleeves, but it may well be ignored as each of the camps cries foul. Britain found itself in a similar quandary before it left the ERM in 1992. For the eurozone members, there is, unfortunately, no immediate way out.



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venerdì, dicembre 15, 2006

La Sorpresa dell'Iran

"Sorpresa" titola Business Week un articolo che descrive come la produzione di petrolio iraniano sia in difficoltà.

Sorpresa per qualcuno, ma non per tutti. Curioso che tanta gente continui a ritenere che le risorse petrolifere del medio oriente siano infinite, o comunque si guardino intorno con aria spaesata (ma casca il mondo?) quando si rendono conto che non sono talmente enormi da durare secolil.

La produzione di petrolio iraniana aveva raggiunto un picco con (e probabilmente aveva causato) la caduta dello Shah Pahlavi. Dopo un periodo di crisi, la produzione si era progressivamente ripresa, ma sta ora raggiungendo i suoi limiti. Secondo i dati ASPO di qualche anno fa (a lato), la produzione iraniana doveva raggiungere il suo secondo massimo entro il 2010, può darsi che la cosa stia avvenendo un po' in anticipo, probabilmente a causa dei ritardi e delle difficoltà con lo sfruttamento del giacimento di Azagedan, scoperto in tempi relativamente recenti e che avrebbe potuto invertire temporaneamente il declino. Da notare anche che una cosa è la produzione, un'altra è l'esportazione. Il consumo interno iraniano sta costantemente aumentando e questo riduce la quantità di petrolio esportata. Qui, addirittura, si prospetta la possibilità che le esportazioni iraniane scendano a zero entro un decennio.

Da notare, per finire, la mancanza totale del concetto di "esaurimento" nell'articolo. Si limitano a dire "La crisi iraniana è il risultato di trascuratezza e mancanza di investimenti." Come al solito, si presume che sia soltanto questione di investimenti; basta la magia del libero mercato occidentale e - miracolo - i giacimenti petroliferi iraniani torneranno a produrre come ai tempi dello Shah. Non è splendido?

Ma guardate bene la figura più sopra. I picchi in grigio sono le scoperte. Notate come il periodo delle grandi scoperte sia finito con i primi anni 70. Non si può produrre niente se prima non si scopre qualcosa e, dopo Azadegan, il grafico è desolantemente vuoto di picchi. Non serve buttare denaro dentro i pozzi vuoti; non ne esce petrolio


Business Week
DECEMBER 11, 2006


Surprise: Oil Woes In Iran
Flagging output from its vast reserves could diminish Tehran's influence

Few countries can match Iran in its ability to generate angst among Westerners. It appears determined to become a nuclear power. Tehran's Islamic leaders aid radical groups across the Middle East. And as the U.S. gets bogged down in Iraq, Iran's influence in the region is on the rise, fueled in large part by its vast energy wealth.

Yet Iran has a surprising weakness: Its oil and gas industry, the lifeblood of its economy, is showing serious signs of distress. As domestic energy consumption skyrockets, Iran is struggling to produce enough oil and gas for export. Unless Tehran overhauls its policies, its primary source of revenue and the basis of its geopolitical muscle could start to wane. Within a decade, says Saad Rahim, an analyst at Washington consultancy PFC Energy, "Iran's net crude exports could fall to zero."

That's not to say Iran doesn't have abundant resources. The country's 137 billion barrels of oil reserves are second only to Saudi Arabia's, and its supply of gas trails only Russia's, according to the BP Statistical Review of World Energy. Getting it all out of the ground, though, is another matter. Iran has been producing just 3.9 million barrels of oil a day this year, 5% below its OPEC quota, because of delays in new projects and a shortage of technical skills. By contrast, in 1974, five years before the Islamic Revolution, Iran pumped 6.1 million barrels daily.

The situation could get even tougher for the National Iranian Oil Co. (NIOC), which is responsible for all of Iran's output. Without substantial upgrades in facilities, production at Iran's core fields, several of which date from the 1920s, could go into a precipitous decline. In September, Oil Minister Kazem Vaziri-Hamaneh suggested that with no new investment, output from Iran's fields would fall by about 13% a year, roughly twice the rate that outside oil experts had expected. "NIOC is likely to find that even maintaining the status quo is a mounting challenge," says PFC Energy's Rahim.

STATE HANDOUTS

Iran's looming crisis is the result of years of neglect and underinvestment. As in other oil-producing countries such as Venezuela and Mexico, the government treats the oil industry as a cash cow, milking its revenues for social programs. It allocates only $3 billion a year for investment, less than a third of what's needed to get production growing again.


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giovedì, dicembre 14, 2006

Il mirtillo per salvare il mondo


Imperversa sui giornali e su internet la notizia delle celle solari al mirtillo.

Senza nulla togliere alla bravura e all'impegno dei ricercatori impegnati in questo lavoro, fa veramente cadere le braccia la faciloneria e l'approssimazione con le quali certe notizie vengono riportate sulla stampa. Le celle al mirtillo sono descritte come un'invenzione meravigliosa salva-mondo che richiede soltanto un zinzino di perfezionamento per essere messa a punto e invadere il mercato.

Per chi non fosse addentro alla faccenda, specifichiamo che le cose sono molto diverse. Le celle a coloranti organici (dette anche celle di Gratzel) sono in giro da molti anni ma non sono mai state messe sul mercato sia per la bassa efficienza, sia per la tendenza a degradarsi in pochi anni. Da non trascurare, poi, il fatto che anche se il mirtillo (o altri coloranti) costa poco, c'è tutta una serie di altri componenti di un sistema fotovoltaico che sono costosi, per cui anche una ipotetica cella a "costo zero" non servirebbe a niente se non ha un efficienza di almeno il 10%, cosa che le celle organiche per il momento non raggiungono

E' un argomento sicuramente meritevole di studio, ma ancora siamo lontanissimi dalle applicazioni pratiche. E' un peccato che la gente continui a essere frastornata da notizie di pretesi miracoli energetici; si crea solo confusione e si distoglie l'attenzione dai problemi veri.


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Da "La Repubblica"

Cellule fotovoltaiche organiche messe a punto al dipartimento
di ingegneria elettronica all'università romana di Tor Vergata

Pannelli solari più economici grazie ai pigmenti del mirtillo
Eliminato il silicio. Costerà meno produrli e installarli

di JAIME D'ALESSANDRO



ROMA - Peccato solo che non profumino di mirtillo. Altrimenti le celle fotovoltaiche organiche oltre a rivoluzionare il mondo dei pannelli solari aiuterebbero a coprire la puzza di smog nelle nostre città. Possono infatti utilizzare come elemento attivo pigmenti presi dai frutti di bosco e a differenza dei normali pannelli solari oggi in commercio hanno eliminato del tutto il silicio. Costerà meno produrli e istallarli quindi, ma soprattutto avranno la forma di fogli flessibili o di lastre di vetro semi trasparenti. Un domani quindi potranno essere "stesi" sopra i palazzi, funzionare come copertura per le tende della protezione civile, essere parte delle finestre di un edificio o dei cristalli di una vettura.

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Insomma il futuro per quel che riguarda l'energia pulita è nell'organico e per una volta l'Italia non rimarrà indietro. La prima applicazione pratica? Sull'isola di Ventotene nel 2008 quando verranno istallati i primi pannelli basati su questa nuova tecnologia.


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mercoledì, dicembre 13, 2006

Risposte al Peak Oil: Il ritorno dell'agricoltura


Rendersi conto dell'incombente picco del petrolio porta a molte reazioni. Alcune aggressive (bombardiamo gli arabi per prenderci il petrolio!) altre tecnological-fantasiose (embè? Tanto abbiamo l'idrogeno) al manico-depressivo (ho provviste in cantina e anche un AK-47 con un sacco di munizioni).

Per alcuni, tuttavia, la reazione prende un'atteggiamento più positivo, una è il ritorno dell'interesse in cose che la rivoluzione petrolifera ci aveva fatto dimenticare, l'agricoltura. Personalmente, confesso di non essere immune al fascino del radical-bucolico, se non altro perché la fotosintesi è un sistema di conversione dell'energia solare che funziona ed è ben collaudato con qualche miliardo di anni di operazione sulle spalle.

Una delle conseguenze del ritorno di interesse nell'agricoltura è un saggio che ho scritto sulla storia toscana, gentilmente ospitato da Rob Hopkins nel suo blog. Questo mi ha portato la risposta del sig. Aaron Newton dall'Ohio, che mi ha passato un suo testo che mi pare una cosa assai carina, e che vi posto qui.

Il sig. Newton dice che non è più tempo per le cose più grosse, più complicate, e più violente. Dice che è tempo di abbassare la potenza (powerdown). Si offre di mandarvi una ghianda se volete

Buona lettura

UB




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A Summary: Beyond Energy Alternatives

The Third US Conference on Peak Oil and Community Solutions

September 2006 Yellow Springs, Ohio

By Aaron Newton

Albert Einstein said, "We cannot solve our problems with the same thinking we used when we created them." He also said, "Any fool can make things bigger, more complex, and more violent. It takes a touch of genius-and a lot of courage-to move in the opposite direction." I spent the weekend with genius and with courage, and I am happy to report that they are alive and well and working on our problems. Most Americans are not yet familiar with the coming tide of instability. Asleep and dreaming the American Dream, many are unaware of the issues associated with energy and environment that face our people and all of humankind. Scores of those who are aware of our troubles have convinced themselves that the answer lies in more of the same. But there are those who have another idea.

What a wonderful experience to be able to share a weekend with those who understand the need for change. I am excited and inspired and more full of hope than I have been in quite a while. I come away from the experience better informed and ready for action. I am happy about the friendships that grew out of the conference, and I am grateful for those who came to share the comprehension necessary for the next step. The time has come. We are ready to deploy our weapons of mass sustainability. Sharon Astyk made the remark that with an attendance of more than 250 people, the Third US Conference on Peak Oil and Community Solutions had more than the necessary number of people required to start a revolution. It is here. The time is now.

There are many well-meaning environmentalists moving to activate change in alternative fuel types, emission standards, pollution regulations and more. I have been dismayed though that these substitutes are at the forefront of the response to a peak in global oil production and the coming climate change. I don't doubt that the best of intentions are in mind when these "business as usual" suggestions are made. I continue to be skeptical though concerning the effectiveness of the message that "more is still better" and "all is possible if only we believe." Plan B has been the idea that more, bigger and faster is an acceptable idea and that we need only switch from one fuel source to another. More power plants are not a problem. We'll just pump the pollution underground. More cars are not a problem. We'll just fuel them with corn. More of everything isn't a problem we'll just… This has been the approach.

So while everyone else is scrambling to perpetuate the status quo, I went to Yellow Springs, Ohio, population 3500, to visit with a group of people who have a different idea. It's Plan C, and it's the idea that curtailment is necessary. Maybe we don't need more, bigger and faster. Maybe if we re-examine the problem, we'll find a solution so obvious and so remarkable that we will slap ourselves silly for not seeing it earlier. What if we purposely live with less? Alternative fuels are great. They will play a part in the coming energy descent. Of that I have no doubt, but will they save us? No. Misplaced faith in these alternatives could do more harm than good by perpetuating the idea that there isn't a problem at all. This is why I've been in search of another perspective from which to view our problems and now I've found it. Here is the idea that we can shrink ourselves into safety, security and happiness. Reduction and relocalization is an idea that is not only acceptable but palatable and actually, quite tasty. Think about it—it's exactly what we need.

Consumerism sucks. After September 11, 2001, I was told that the best thing I could do for my country was to go shopping. What a joke. There has been no real examination of the problem- we are taking too much. If the practice of consuming as much as possible leads to a better life, then it might be something worth fighting for. But it doesn't. Americans are fat and sick and disconnected from the natural world and from each other. We are in desperate need of health, we are in desperate need of time spent outside, and we are in desperate need of quality relationships in community with others. We have become desperate people. More than one quarter of us are reported to be seeking a simpler way of life. Given a choice, I think citizens (currently called consumers) of the United States of America are ready to trade in the broken nightmares of increased growth and irresponsible expansion for the happy realities of reasonable limits that will allow them to focus on family and friendship.

On Friday evening, David Orr framed the problem and on Saturday night Vicki Robin tempered our typical response. We were ready for the alternative presented by Pat Murphy and for the vision of Peter Bane. Along the way, it was incredibly inspiring to hear from Richard Heinberg, Julian Darley, Bob Brecha, Richard Olkson, Sharon Astyk, Megan Quinn and Jeff Christian about where we are going and what might be best way to get there. I was able to spend time with some of the speakers and audio of those interviews is forthcoming. So much good thought to share. I told my wife over the phone that I would need to take the rest of the year off to digest, write about and put in practice all I had learned over the course of one weekend. How else could a summary describe the success of this conference? Maybe I could write about how easy it was to talk to strangers or how beautiful the campus of Antioch College was at the being of autumn. Instead, how about a challenge...

When I left the closing remarks of the weekend on Sunday afternoon, I lingered on the main lawn of the campus under the shade of an old oak tree. It was in full fruit and the acorns were beautiful and bountiful. I picked quite a few. Would you like one? Would you like to take a seed and watch it grow? Would you like to be a part of a revolution, because we've got one and it is ready to run. I will send you an acorn for care and management. I hope for a progress report now and again. It will not be a hands-off experience. It will require getting a bit dirty, caring for and being responsible about a new (very old) way of being accountable and conscious concerning how you live and what is important in life. I will send you a seed, a physical representation of a weekend spent in planning about how we will respond as individuals and as a community to peak oil and climate change. All it takes is commitment. Join me. Grow trees. Nurture life. Cultivate the spirit of change and the path towards the answer to our problems. I am excited.

If you are interested in growing one of these important Oaks please email me: aaron@groovygreen.com




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martedì, dicembre 12, 2006

Brutte notizie per il petrodollaro



Vi ricordate tutti, probabilmente, della storia della "Borsa del Petrolio Iraniana" che avrebbe dovuto trattare il petrolio in Euro e così distruggere il demonio americano.

Quella era una bufala, ma come tutte le bufale aveva un fondo di verità. Il "petrodollaro" ovvero il fatto che il petrolio si tratta in dollari su tutti i mercati è il fondamento del dollaro che, dal tempo degli accordi di Bretton-Woods, negli anni '70. non è più convertibile in oro. Era ed è sottinteso che il dollaro è convertibile in petrolio.

Finora tutto è andato bene nel migliore dei mondi, ma oggi qualcosa nel meccanismo sembra essersi inceppato. Non è che lo dicono dei sovversivi complottisti, se lo dice il Financial Times, c'è qualcosa di preoccupante nella faccenda. Anche se il petrolio si compra sempre in dollari, sembra che gli investitori stiano convertendo i loro introiti in Euro, yen e sterline. Qualcosa, in effetti, deve stare succedendo se il dollaro vale oggi 0.75 Euro. Il tutto si accoppia al crollo della bolla immobiliare americana che rischia di tirarsi dietro la borsa e tutta l'economia.

Questo articolo del Financial Times fa un po' paura - la destabilizzazione che risulterebbe da un vero crollo del dollaro avrebbe dei risvolti imprevedibili e, molto probabilmente, violenti. Sotto certi aspetti, tuttavia, una bella recessione mondiale ridurrebbe la pressione sul petrolio.

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Dal Financial Times del 10 Dicembre 2006




Oil producers shun dollar

By Haig Simonian in Zurich and Javier Blas and Carola Hoyos in London

Published: December 10 2006 20:11 | Last updated: December 10 2006 20:11

Oil producing countries have reduced their exposure to the dollar to the lowest level in two years and shifted oil income into euros, yen and sterling, according to new data from the Bank for International Settlements.

The revelation in the latest BIS quarterly review, published on Monday, confirms market speculation about a move out of dollars and could put new pressure on the ailing US currency.

Market liquidity is traditionally low in December, and many traders have locked in profits, potentially reinforcing volatility.

Russia and the members of the Organisation of the Petroleum Exporting Countries, the oil cartel, cut their dollar holdings from 67 per cent in the first quarter to 65 per cent in the second.

Meanwhile, they increased their holdings of euros from 20 to 22 per cent, the BIS said. The speed of the shift may help to explain the weakness of the dollar, which recently fell to a 20-month low against the euro and a 14-year low against sterling.

The BIS, the central bank for the developed world’s central banks, is customarily cautious in its language. However, it noted: “While the data are not comprehensive, they do appear to indicate a modest shift over the quarter in the US dollar share of reporting banks’ liabilities to oil exporting countries.”
The review shows that Qatar and Iran, whose foreign exchange policy has sparked widespread market speculation, cut their dollar holdings by $2.4bn and $4bn respectively.

Such shifts may be modest compared with the total assets held, but they provide a crucial indication on future thinking.

Currency switches are likely to be progressive, subtle and discreet, as untoward attention could hit the dollar, lowering the value of depositors’ remaining dollar-denominated assets.

The last time oil-exporting countries cut their exposure to the dollar – in late 2003 – it pushed the euro to an all-time high against the dollar. Eighteen months ago, the exposure to the dollar of oil producing countries was above 70 per cent.
BIS data is the best guide financial markets have to the currency investment trends of oil producers, which otherwise do not provide figures. The rise in oil prices since 2002 means oil producing countries have amassed a current account surplus of about $500bn, according to the IMF. This is 2½ times the current account surplus of China.

Overall, Opec’s dollar deposits fell by $5.3bn, while euro and yen-denominated deposits rose $2.8bn and $3.8bn, respectively. Placements of dollars by Russians rose by $5bn, but most of their $16bn additional deposits were denominated in euros.
The dollar has suffered weakness because of concerns about global imbalances and the future course of the Federal Reserve’s interest rate policy.

Additional reporting by Peter Garnham in London
Copyright The Financial Times
Limited 2006

lunedì, dicembre 11, 2006

Storia Petrolifera del Bel Paese




Esce in questi giorni il libro di Ugo Bardi e Giovanni Pancani, Storia petrolifera del bel paese (editore "Le Balze").

Gli autori ripercorrono prima la storia geologica italiana, poi quella economica, e finalmente discutono le prospettive future per l’energia in Italia. Gli autori concludono che la produzione petrolifera nazionale, pur non trascurabile, ha ormai raggiunto i suoi limiti e l’energia italiana del futuro non può che venire dalle rinnovabili.

Gli autori puntano anche il dito sull'inazione dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni che hanno lasciato che l'Italia aumentasse sempre di più la dipendenza dalle materie prime importate dall'estero. Al momento, oltre ad essere estremamente vulnerabili a qualunque problema si dovesse verificare nella fornitura di energia, dobbiamo anche pagare una "bolletta" per l'importazione di materie prime che pesa enormemente sulla nostra economia e che può essere considerata uno dei fattori principali dell'attuale declino,

Il libro si può acqusitare su Aspo Italia Shop


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