giovedì, ottobre 28, 2010

Balle storiche

Di recente il Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ha dichiarato che “ prima dell’Unità d’Italia le cose erano invertite. Il Regno delle due Sicilie era più avanzato per industrializzazione e qualità della vita. L’Unità non ci ha fatto bene, non abbiamo nulla da festeggiare”.

Si tratta a mio parere di una posizione irresponsabile, demagogica e priva di fondamento storico, che purtroppo un’ingenua parte del mondo intellettuale e la tendenza storica al vittimismo di molte parti della società meridionale iniziano pericolosamente a fiancheggiare.

Molti sprovveduti neo meridionalisti che addirittura rimpiangono il governo dei Borboni non sanno o fingono di non sapere che una larga parte della storiografia contemporanea ha ormai accertato senza ombra di dubbio che le condizioni di arretratezza del Sud rispetto al Nord si erano determinate ben prima dell’Unità d’Italia e che il tentativo di sostenere la crescita industriale e produttiva meridionale durante il Regno delle due Sicilie fallì miseramente per molte cause concorrenti, tra cui l’arretratezza dell’organizzazione agricola, l’esistenza di una borghesia parassitaria e poco dinamica sul piano dell’innovazione, l’assenza di sbocchi commerciali e di mercato per le merci prodotte dalle nascenti attività industriali, la scarsa complementarietà tra le zone preunitarie, la mancanza di materie prime e fonti energetiche per sostenere la crescita dell’apparato produttivo, tutti problemi che il nord riuscì invece lentamente a superare, avviando quel processo di crescita economica che determinò e tuttora determina alcune profonde differenze tra le due parti del paese.

Si potrà certamente affermare che nessuno dei governi che si sono susseguiti dopo l’Unità è riuscito a determinare le condizioni per il superamento del netto divario preesistente tra le due parti del paese, ma è assurdo e anacronistico negarne l’esistenza, come alla fine dovette ammettere anche il capostipite di tutti i meridionalisti, Giustino Fortunato.

Con la differenza che questo moderno neo – meridionalismo d’accatto, saldandosi con il becero e antistorico settentrionalismo leghista, rischia di minare quel po’ di coesione e integrazione sociale del paese faticosamente raggiunti in centocinquant’anni di storia nazionale e di consegnare definitivamente e completamente al potere mafioso il meridione d’Italia.

I padri della patria del Risorgimento avevano lottato non soltanto per l’affrancazione del popolo italiano dal dominio straniero, ma anche con il nobile scopo di superare le anguste ristrettezze dei localismi regionali preesistenti, a favore di una rigenerazione morale e civile di tutti gli italiani.

Ma da buon idealista, spero ancora che in occasione del prossimo anniversario dell’Unità nazionale, la maggioranza degli italiani sappia comprendere e rinnovare questo messaggio rivoluzionario.

martedì, ottobre 26, 2010

L'infinita Terzigno



Gli ennesimi episodi di guerriglia urbana nel napoletano continuano a rappresentare l’esito perverso di una gestione fallimentare dei rifiuti in alcune aree del nostro paese.

Come ho più volte precisato su queste pagine, i nodi irrisolti del problema sono i seguenti:

1) Incapacità, frammista a volontà politica, di applicare le migliori pratiche di raccolta differenziata domiciliare molto diffuse invece in parti estese del nostro territorio, soprattutto in Veneto, Piemonte e Lombardia. In tal modo si potrebbero raggiungere in maniera economicamente efficiente percentuali di raccolta differenziata tra il 60% e il 70%.
2) Inadempienza del governo relativamente al commissariamento, previsto dalla legge, di quelle realtà che non riescano a conseguire gli obiettivi avanzati di raccolta differenziata. E’ a mio parere inaccettabile e politicamente deprecabile che, ad esempio, una città come Napoli sia ferma ancora al 18% di raccolta differenziata.
3) Il commissariamento non dovrebbe avvenire attraverso i consueti criteri di spartizione partitocratica, ma utilizzando le innumerevoli competenze del settore acquisite in anni di “buone pratiche” sul territorio nazionale.
4) Eccessiva demonizzazione, derivante anche da irrazionalismo scientifico, degli impianti di smaltimento finale dei rifiuti (discariche e inceneritori), comunque necessari anche a valle di raccolte differenziate efficienti. Si tratta di impianti industriali come tanti altri che invece godono di un’accettazione sociale più elevata, il cui impatto ambientale può essere contenuto a livelli sostenibili attraverso l’adozione delle tecnologie disponibili.
5) Debolezza delle istituzioni e accondiscendenza delle forze politiche nei confronti di proteste illegali e incivili da parte di frange della popolazione che impediscono l’applicazione della legge e l’eliminazione dei gravi rischi sanitari per la generalità dei cittadini causati dal mancato smaltimento dei rifiuti che permangono nelle strade.

lunedì, ottobre 25, 2010

Il picco della popolazione e l'astuzia della storia


Nell'articolo che segue, Corrado Truffi ci propone una interessante riflessione "non convenzionale" sulle dinamiche della popolazione mondiale, uno dei fattori cruciali in rapporto ai limiti dello sviluppo.


Created by Corrado Truffi


Pare che attorno al 2040 si avrà il picco della popolazione mondiale, a dispetto delle catastrofiche previsioni di esplosione della popolazione mondiale. Ci si fermerà attorno agli 8,5 miliardi, e poi si comincerà a declinare, non necessariamente in modo rapido.
Da statistico demografico, ho sempre pensato che troppo spesso la politica e l’economia dimenticano di considerare il fattore demografico. E ho anche sempre pensato che i catastrofismi malthusiani non tenevano conto della complessità delle interazioni che determinano le dinamiche demografiche. Sembra che i dati più recenti stiano dando ragione a questa opinione, come a quella dell’illuminante libro di Todd sulla demografia musulmana.
In breve.
Da una parte, la “ricchezza delle nazioni”, il famoso PIL, è direttamente proporzionale alla popolazione - alla forza lavoro che produce reddito. Ed infatti, gli USA hanno continuato a crescere per anni anche perché cresceva costantemente la popolazione, grazie all’afflusso di immigrati costante e duraturo - direi costitutivo di quel paese. Ed infatti, la Cina cresce a tassi favolosi - anche nella crisi globale attuale - perché immette nuova forza lavoro prelevandola da uno stock in partenza immenso, quello delle masse contadine dell’interno - spostandole da un’economia di sussistenza che nemmeno entrava nelle statistiche del PIL, ad una di tipo capitalista. E’ grazie a questa immensa immigrazione interna che la Cina può permettersi politiche demografiche rigidissime: lo stock da “smaltire” è ancora immenso e quindi conviene aggredirlo da due lati: da un lato ridurne la dimensione con la politica del figlio unico, dall’altro incoraggiare le migrazioni interne e lo sviluppo.
Dall’altra parte, postulare che la popolazione sarebbe cresciuta oltre il limite delle risorse disponibili con conseguenze catastrofiche (il malthusianesimo semplificato a’ la Sartori) significa non tenere conto del fatto che i comportamenti demografici delle popolazioni sono determinati da un complesso di fattori non solo economici, ma anche culturali, antropologici, legati ai modelli di famiglia, al ruolo della donna, al livello di istruzione, e così via. E in fondo, non era difficile prevedere - con Todd - che la globalizzazione avrebbe accelerato la diffusione di comportamenti di pianificazione familiare nei paesi musulmani e poi nell’intera Africa. E ugualmente prevedere - con Sen - che gli stessi fenomeni avrebbero finito per coinvolgere l’Asia.
Insomma, l’astuzia della storia ci sta dando, forse, una buona notizia: il picco della popolazione prossimo venturo mostra che, in qualche modo, il sistema della popolazione ha dei meccanismi di autoregolazione che, innescati non tanto dalla tensione dal lato delle risorse quanto da processi culturali e mentali, finiscono per retroagire positivamente anche nella direzione di una minore pressione sulle risorse.
Ovviamente, questo non significa che non ci saranno più problemi. Anche 8,5 miliardi di persone che volessero consumare come l’americano medio non sono affatto sostenibili, e del resto gli effetti del picco del petrolio potrebbero essere devastanti anche se gli abitanti del pianeta si riducessero ancora. E in più, come ben sappiamo in Italia, riduzioni troppo rapide della popolazione possono avere effetti negativi ed anche drammatici su un’economia e sull’intero assetto sociale, perché una popolazione troppo vecchia è una popolazione, in molti sensi, malata.

lunedì, ottobre 18, 2010

Lettera aperta al Presidente della Repubblica



Caro Presidente della Repubblica,

le siamo tutti grati per l’impegno che Ella profonde quotidianamente per assicurare stabilità e coesione sociale al nostro amato Paese. Apprezziamo inoltre il Suo costante richiamo agli organismi istituzionali preposti affinché affrontino efficacemente le tante emergenze sociali ed economiche italiane. Tra queste, spesso citato, il problema degli incidenti sul lavoro, di cui ne denuncia la gravità e ricorda l’assoluta necessità di porvi rimedio. Siamo del tutto in sintonia con questa Sua sensibilità e ci permettiamo di suggerirle alcuni elementi di comprensione e approfondimento.
L’Inail ha di recente illustrato i dati relativi all’andamento degli infortuni sul lavoro nel 2009 che segnalano da qualche anno un persistente calo infortunistico, ma anche utili spunti di riflessione sulle politiche necessarie a rafforzare e proseguire questa positiva tendenza.
Nella tabella allegata (per ingrandire cliccare sopra) contenuta nella citata relazione dell’Inail, è facilmente ricavabile che, di tutti gli infortuni mortali (1050), più della metà (circa il 56%) è causata da incidenti stradali, durante la circolazione stradale per motivi di lavoro (303) o in itinere negli spostamenti casa – lavoro (283).
Appare quindi evidente che per quanto riguarda le cause di morte il principale fattore di rischio sia proprio l’uso dei mezzi di trasporto privato a fini lavorativi. Più in generale, è a tutti noto che il fenomeno delle morti e dei feriti sulle strade è ancora più grave in termini numerici di quello degli incidenti sul lavoro, se si pensa che per incidente stradale muoiono in Italia circa cinque volte più persone che per incidente sul lavoro (e circa dieci volte se si considerasse solo la mortalità sul luogo di lavoro).
Ci sembra che questa autentica emergenza sanitaria nazionale sia colpevolmente sottovalutata dall’opinione pubblica e dalle istituzioni competenti e debba essere affrontata con maggiore impegno ed efficacia.
Gli interventi repressivi delle forze dell’ordine in materia di mancato rispetto del codice stradale e le iniziative di informazione e sensibilizzazione della popolazione sull’uso corretto e sicuro dei mezzi di trasporto sono sicuramente indispensabili, ma non decisivi, senza un radicale mutamento delle modalità di trasporto, attraverso il trasferimento di rilevanti quote di spostamenti dal mezzo privato a quello pubblico e, in particolare dalla gomma al ferro, sia in ambito urbano che extraurbano.
Purtroppo, in questo settore, l’Italia è in grave ritardo, se le politiche di trasporto si raffrontano a quelle adottate da qualche decennio in molti paesi europei, che hanno notevolmente investito risorse economiche nello sviluppo di moderni sistemi ferro-tranviari, in grado di garantire elevate prestazioni in termini di sicurezza stradale, riduzione dell’inquinamento e dei costi economici.
Alla luce delle precedenti considerazioni, auspichiamo che dall’alto della Sua autorità, politica e morale, voglia promuovere un’opera di sensibilizzazione del Governo e del Parlamento affinché si adottino anche nel nostro paese politiche di investimento nei trasporti coerenti con gli obiettivi precedentemente indicati.

Con reverenza

venerdì, ottobre 15, 2010

Richiesta energia elettrica in leggera crescita

Nella tabella allegata (per ingrandire cliccare sopra) estratta dal sito di Terna sono riportati i dati relativi alla richiesta di energia elettrica (consumi finali più perdite di rete) italiana nei primi nove mesi dell'anno. Come si può vedere, collegata a una piccola ripresa economica c'è stata una limitata crescita di tale valore ( +1,7%) rispetto al crollo storico verificatosi nel 2009 (-5,7%) e descritto in un mio precedente articolo. Però, guardando qui i rapporti dei mesi precedenti, questa ripresa dei consumi sembra un pò rallentare. E nel frattempo i prezzi del barile hanno ripreso a salire.

mercoledì, ottobre 13, 2010

Il gas russo e la guerra in Afghanistan

In alcuni recenti articoli, Beppe Caravita e Debora Billi si interrogano sui motivi dell’accordo tra Italia e URSS riguardo alle forniture di gas naturale e tracciano un quadro abbastanza convincente delle strategie politiche ed economiche ad esso sottese. In effetti, è inutile nasconderlo, la presenza delle nostre truppe sul territorio afgano corrisponde anche all’esigenza strategica di controllo di risorse energetiche fondamentali come il gas naturale. I due si interrogano poi sulla giustezza di un’alleanza strategica con Putin in relazione agli interessi del nostro paese e sembrano propendere in questo caso per una risposta affermativa.
A mio parere, una valutazione approfondita della questione non può che partire dall'analisi dell’effettiva consistenza delle risorse di gas russe. Nel secondo Congresso di Aspoitalia, il tema fu affrontato molto efficacemente da Euan Mearns, la cui relazione in italiano è disponibile qui (per la cronaca in una delle slides c’è anche uno dei miei grafici sulla ripartizione del consumo interno lordo italiano di energia elettrica).
Ebbene, contrariamente alle solite previsioni ottimistiche, è invece molto probabile che la produzione russa sia molto vicina al picco, con un andamento sostanzialmente piatto fino al 2020, principalmente a causa del declino in corso dei maggiori giacimenti.
Inoltre, un dato molto importante, espresso efficacemente nel grafico allegato, estratto dalla relazione, è quello relativo al rapporto tra esportazioni ed importazioni di gas russo. Siccome attualmente la Russia consuma internamente circa due terzi del gas prodotto, il grafico ci dice che la crescita futura dei consumi interni, limiterà fortemente le esportazioni del prezioso gas di cui si alimenta il sistema energetico europeo e italiano.
Il gas naturale rappresenta per l'Italia l'indispensabile combustibile fossile di transizione verso un modello energetico più sostenibile fondato sulle rinnovabili. Quindi, se da un parte l’alleanza strategica con Putin potrebbe offrire garanzie di approvvigionamento al nostro paese rispetto alla riduzione futura delle esportazioni russe, la contemporanea situazione di picco delle risorse non appare per niente rassicurante e dovrebbe orientare il governo italiano a garantire la massima diversificazione delle forniture di gas naturale. Quindi accelerando ad esempio la costruzione dei rigassificatori previsti la cui realizzazione, non mi sembra un caso, è improvvisamente rallentata da quando c’è il governo Berlusconi.

venerdì, ottobre 08, 2010

Concorrenza a bassa velocità

In questo precedente articolo avevo commentato l’ingresso nel mercato italiano dell’Alta Velocità ferroviaria di NTV, primo competitore privato dell’ex monopolista pubblico Trenitalia. Forse sarebbe più opportuno definire il nuovo gruppo pubblico – privato, in quanto una quota consistente della proprietà e il know - how appartengono a Sncf, l’Azienda pubblica delle ferrovie francesi, ma si tratta di sottigliezze. La sostanza è che dal 2011, il mercato italiano dell’alta velocità ferroviaria si aprirà alla concorrenza, con conseguenze a mio parere positive sulla qualità del servizio e sulla sottrazione alle altre modalità di trasporto più energivore ed inquinanti (aereo e auto) di ulteriori quote di spostamenti (già attualmente sulla linea Roma – Milano Trenitalia copre una quota di circa il 60%).

Ma, come avevo previsto, il processo in atto non sarà per niente indolore, principalmente a causa dell’imperfezione del modello di liberalizzazione del servizio adottato in Italia, caratterizzato dall’evidente anomalia della contemporanea appartenenza allo stesso gruppo Ferrovie dello Stato, sia di Trenitalia che della società che gestisce e concede la rete di trasporto, RFI.
In questi giorni, l’Amministratore delegato di NTV ha pubblicamente accusato proprio RFI di ostacolare in vari modi la percorrenza dal 2011 dei propri treni sui binari ferroviari dell’alta velocità, paventando un vero e proprio conflitto di interessi e richiedendo l’intervento delle istituzioni per rimuovere gli impedimenti alla libera concorrenza ferroviaria.

Per comprendere meglio quanto sta accadendo, bisogna però riferire di un’altra notizia di questi giorni, cioè dell’aggiudicazione da parte di Trenitalia al raggruppamento di imprese Ansaldo – Bombardier, della fornitura dei nuovi treni che dovranno sostituire entro tre – quattro anni quelli attualmente in servizio sulle linee ad alta velocità (ma i tempi potrebbero allungarsi a causa di un ricorso al TAR presentato da un’altra azienda partecipante alla gara di aggiudicazione dei lavori, Alstom).
E’ evidente quindi che Trenitalia ha il terrore di pagare a caro prezzo l’errore strategico di presentarsi pesantemente in ritardo sia sul piano tecnologico che della qualità del servizio, alla competizione con NTV, che possiede ora treni di più avanzata concezione.
Da parte nostra possiamo solo augurarci che questo conflitto industriale si risolva in breve tempo, nell’interesse esclusivo degli utenti fruitori di un servizio strategico per il paese, dal punto di vista ambientale, ma anche nella prospettiva sempre più ravvicinata del picco petrolifero e delle conseguenti tensioni sui prezzi dei prodotti energetici nei trasporti.

giovedì, ottobre 07, 2010

Giocare a golf sull'astronave


Un immagine stupefacente (da "Desdemona Despair") che riassume tutta la nostra situazione. Un campo da golf che è un'isola di verde in mezzo al deserto - perfetta; sembra finta - irreale. Sembra una piccola astronave atterrata lì per caso.

Qui, non sappiamo se hanno disboscato per costruire questo campo da golf, come hanno fatto in tante foreste tropicali. Non sappiamo se una volta l'area nei dintorni fosse stata una foresta, disboscata e distrutta dalle attività umane - come succede spesso. Non sappiamo se il deserto che sta intorno all'isoletta verde sia recente, dovuto alla siccità in crescita causata dal cambiamento climatico; il che potrebbe essere.

Sappiamo solo che quest'oasi di verde è possibile soltanto con i fertilizzanti artificiali e l'irrigazione artificiale. Quanto a lungo potrà tenere lontano il deserto; non lo possiamo dire, ma non per sempre.

martedì, ottobre 05, 2010

Da cosa dipende il prezzo del petrolio

Dopo la tremenda crisi che ha scosso dalle fondamenta il sistema economico – finanziario globale, gli economisti, i politici e l’opinione pubblica occidentale, sono in spasmodica attesa di segnali che annuncino il ritorno salvifico della crescita economica esponenziale che ha caratterizzato la storia dell’umanità degli ultimi centocinquanta anni e, in particolare dell’ultimo dopoguerra. Conoscete l’opinione di Aspoitalia sull’argomento: a causa del raggiungimento del picco del petrolio, il meccanismo di crescita economica illimitata è destinato ineluttabilmente a fermarsi.
Ricapitoliamo brevemente la situazione. La recente crisi ha determinato un calo consistente della domanda globale, che a sua volta ha provocato anche il crollo delle quotazioni petrolifere, dai 140 dollari al barile dell’estate 2008 ai 70 - 80 dollari al barile degli ultimi mesi. Quando gli effetti della crisi si attenueranno e l’economia mondiale tenderà a ripartire decisamente, la domanda energetica riprenderà a crescere e con essa i prezzi del petrolio. Oltre certi livelli dei prezzi il sistema economico rientrerà in una dinamica recessiva e i prezzi caleranno di nuovo. Questa sorta di “gatto petrolifero che si morde la coda” andrà avanti fino a quando il calo definitivo e costante dell’offerta di greggio sui mercati produrrà sulle economie del pianeta effetti recessivi strutturali e irreversibili.
Questo ragionamento ovviamente sta in piedi se si assume che il picco del petrolio sia molto prossimo e il prezzo del barile sia fortemente dipendente dai “fondamentali” della domanda e dell’offerta mondiali. Ma chi crede fermamente nell’illimitatezza delle risorse non comprende questo assunto, attribuendo invece alla speculazione finanziaria la causa principale delle tensioni sui prezzi. Più volte abbiamo da queste pagine polemizzato con questa posizione, evidenziandone limiti ed errori, ma preferiamo non continuare in una diatriba che rischia di apparire ideologica. Preferiamo attenerci ai fatti.
E i fatti li ha approfonditi brillantemente Antonio Tozzi, che ha raccolto i dati storici dei prezzi petroliferi e li ha correlati a un parametro significativo della crescita economica mondiale, il PIL degli USA. I risultati, illustrati nell’articolo che segue, sono stupefacenti e dimostrano inequivocabilmente la stretta correlazione tra i due valori, quindi rappresentano una conferma oggettiva e dimostrabile delle tesi di Aspoitalia illustrate in precedenza. Mi pare si tratti di una vera e propria anteprima giornalistica, che vi anticipiamo volentieri.
Per la cronaca, il prezzo del petrolio in questi giorni ha di nuovo superato gli 80 dollari al barile, proprio in coincidenza con l’annuncio che il PIL statunitense aveva ripreso a crescere più delle aspettative.

Scritto da Antonio Tozzi

In quale misura i movimenti del prezzo del petrolio (o più in generale, di una risorsa) sono attribuibili ai fondamentali del mercato piuttosto che alla speculazione? Si può tentare di suggerire una risposta, in termini semplici e intuitivi, mettendo a confronto i grafici delle serie storiche del prezzo del petrolio e di un indicatore della "salute" dell'economia di un forte consumatore di questa risorsa: per esempio l'indice della produzione industriale degli Stati Uniti.

Il prezzo del petrolio è cresciuto esponenzialmente nel periodo 2002-2008, mentre l'indice della produzione industriale USA è cresciuto linearmente. Per evidenziare le somiglianze nei movimenti delle due variabili è naturale "eliminare" queste tendenze storiche di fondo, concentrandosi sulle variazioni anno per anno. Già una semplice regressione, del tutto naive, delle variazioni annuali del prezzo su quelle dell'indice, suggerisce l'esistenza di una correlazione lineare:

Tuttavia, a rigore, va tenuta in debito conto anche l'evoluzione temporale, per esempio modellando il termine d'errore della regressione come processo a media mobile. A questo punto è interessante confrontare l'andamento del prezzo del petrolio previsto dal modello con quello realmente osservato, al di fuori del campione utilizzato per stimare i parametri di regressione, cioè a partire dal 2008:


Quest'ultimo grafico mostra che, fatta eccezione per i primi mesi del 2008, le variazioni del prezzo del petrolio osservate nel corso dell'ultimo biennio si sono mantenute entro la banda di oscillazione prevista dal modello. Ciò suggerisce che tali variazioni siano da attribuire, più verosimilmente e in più larga misura, alla dinamica della domanda mondiale piuttosto che all'effetto di azioni speculative.

sabato, ottobre 02, 2010

Malthus e il picco del petrolio


Vi propongo questo acuto intervento di Massimo Nicolazzi sulla storia dell'umanità in rapporto alla disponibilità di energia, ringraziando ARIS, Agenzia Ricerche Informazione e Società che ci ha permesso la pubblicazione dell'articolo.


Scritto da Massimo Nicolazzi


L’inarrestabile sviluppo delle forze produttive. Magari inarrestabile. Certo non lineare. Noi moderni lo pensiamo e viviamo come avanzata impetuosa. Ma è stata una scintilla di tempo. Giusto gli ultimi duecento anni . Per molti più secoli, e prima, è stata aumento del produrre quasi impercettibile; e stagnazione; e recessione; e depressione.
Qualcuno la chiama trappola malthusiana. Vuol dire che l’aumento della produzione nel tempo non compensa l’aumento della popolazione. Meno popolazione più reddito individuale. Più popolazione e meno sussistenza. La popolazione come principale variabile (negativa) della crescita. L’evidenza storica sembra suggerire che fino alla rivoluzione industriale possa aver funzionato proprio così. L’economista “estremista” (Gregory Clark) vi suggerisce grafici alla mano che il reddito reale pro capite nel 1800 prima di Cristo era più alto di quello del 1800 dopo. Il Maestro di storia dell’economia (Carlo M. Cipolla) vi spiega la fortuna di sopravvivere alla peste, cha ammazzandoti i vicini lascia poi più cibo e reddito per te. Quello di storia dell’energia (Vaclav Smil) vi racconta come per secoli il progresso tecnologico si sia esaurito nell’affilare meglio gli aratri e al più nel progettare mulini.
I fattori della produzione. Il Capitale mercanteggia. Il Lavoro è uomo e animale, con giusto legna e mulini a soccorrere. La Terra più la lavori e meno rende, e il decrescere del rendimento ti compensa e oltre il miglior filo dell’aratro. Finisce il ‘700, e 100.000 anni di storia dell’uomo sembrano lì a farti legge l’idea che natura non facit saltus, ed anzi non lo possa proprio fare. Dall’anno Mille in poi siamo (forse) sempre cresciuti, pero’ a lumaca; e il Maestro di macroeconomia (Angus Maddison) vi informa che in otto secoli il PIL pro capite vi e’ al piu’ aumentato, e complessivamente, di un 50%.
Malthus scrive di popolazione nel 1798. Sul finire degli otto secoli. Non fa che proiettare il passato nel futuro. Modello business as usual, diremmo noi; che come tutti i modelli bau in realtà non predice il futuro, ma solo descrive e magari accuratamente quel che è ed è stato.
Lui scrive, e subito gli esplode l’Ottocento. La “natura” (e uso il termine, per brevità, come comprensivo di “cultura”) non solo salta, ma imbizzarrisce. Aveva cominciato in Inghilterra, e prima che scrivesse Malthus. Ma era ancora solo segnale, e non salto. Il Capitale si fa “fisso”, e stimola autonomamente tecnologia. La Terra si amplia (che l’agricoltura degli Stati Uniti va a incominciare) e si approfondisce, restituendoci non solo il frutto del suolo ma anche l’accumulo fossile delle sue viscere. L’accumulo fossile ti cambia il paradigma del lavoro. Il lavoro non è bracciante o proletario; è energia e basta. Non c’è unità di lavoro senza energia; e l’unità di misura dell’energia è il lavoro. L’energia è la capacità di compiere lavoro; ed il suo limite. Prima l’energia la prendevi da braccia e gambe, con l’aggiunta di tante zampe, tanta legna e un po’ di vento per le pale dei mulini. Sommata tutta assieme, non era bastata a tirarti fuori dalla trappola. L’aumento possibile (in funzione dell’energia disponibile) della produzione nel tempo non consentiva in funzione della popolazione una crescita significativa. Il futuro era malthusiano.
Il paradigma di Malthus finisce in rivoluzione. Fossile. Carbone, petrolio e gas aprono il secolo dell’energia (potenzialmente) illimitata. Che vuole dire capacità di compiere lavoro e perciò produzione (potenzialmente) illimitate. Che vuole dire che è saltato il vincolo alla produzione e perciò è saltato il vincolo alla crescita della popolazione. Che vuole dire che l’inarrestabile sviluppo delle forze produttive adesso e per la prima volta è (sembra?) realtà linearmente se non addirittura esponenzialmente possibile.
La trappola è scoperchiata. L’homo sapiens è in libertà. Ci avevamo messo 100.000 anni a diventare un miliardo di individui. Ci basta un secolo (l’ultimo) per diventare sei miliardi e mezzo. La tremenda accelerazione tecnologica di cui già Malthus aveva visto l’incipit vi è coessenziale. Però anch’essa (ed in primis tutto quel che si dipana da motori ed elettricità) progredisce in buona parte al servizio dei nuovi Signori dell’energia. Elettricità, mobilità individuale, rivoluzione verde (via fertilizzanti azotati), plastiche. Togli il fossile, ed hai cancellato il Novecento e noi stessi.
Centomila anni. E poi il salto fossile ce ne trasforma e modella gli ultimi duecento. Dice che adesso del fossile ci tocca abituarci a fare a meno. Un po’ perché finisce; e un po’ perché sporca. Lascio il merito ad altri. Purchè ci si ricordi che non ci siamo applicati ai fossili perché hanno gli occhi azzurri. Lo abbiamo fatto perché niente come loro rendeva potenzialmente illimitata l’energia non tanto nel tempo, ma nell’unità di tempo; perché nessuna unità di potere calorifico ci costava di meno; e perché per densità energetica (laddove “densità” è condizione della portabilità dell’energia; e dunque dello stesso paradigma della mobilità globale di merci e persone) nulla si è ancora neanche avvicinato al petrolio. Cambiate controfattualmente il fossile con qualcosa cui manchi anche solo una di queste note; e l’esplodere di produzione e popolazione vi ritorna malthusianamente intrappolato.
Il nuovo che avanza qualcosa può già sostituire, e molto più nell’elettrico che nel mobile. Incoraggiarlo è giusto. Però favoleggiare che tutto possa cambiare a breve, e senza traumi per i nuovi sovrappopolati, è solo irresponsabile. Usiamone sempre meno e meglio, ma il fossile (e per mobilita’ soprattutto il petrolio) teniamocelo stretto. Gli dobbiamo quasi per intero la nostra moderna condizione economica e le sue forme. La “natura” s’è imbizzarrita una volta, in un qualche migliaio di anni. Nulla ci dà titolo a pensare che adesso lo faccia ogni trecento; o che per converso senza continuare a crescere si possa diventare 9 miliardi e mezzo in pace e democrazia. Ci tocca provarci a cambiare il fossile senza tornare a Malthus. Magari non aveva ragione sul prima della Rivoluzione Industriale; ma se avesse ragione sul dopo dei Fossili sarebbero lacrime e sangue.
Non faccio previsioni, che finirei per descrivere male anche il presente. E comunque non servono. La paura nasce nel futuro.