giovedì, gennaio 31, 2008

Il picco dell'acqua in Arabia Saudita


Per alcuni, la questione del "picco del petrolio" rimane un'eresia incomprensibile. Ma una volta che comincia a diventare un'idea familiare, potete trovarne esempi in moltissimi campi dell'economia. Già in un post precedente di Marco Pagani abbiamo visto "il picco del tonno". In questi giorni ho postato su "The Oil Drum" un'analisi della produzione di acqua fossile in Arabia Saudita, mostrando che il picco dell'acqua, laggiù, c'è stato circa 10 anni fa. Negli ultimi decenni, l'Arabia Saudita ha utilizzato "acqua fossile" non rinnovabile per l'agricoltura e adesso si trovano alle prese con un problema di esaurimento.

Non è per caso che il picco è tanto comune. Ci sono delle ottime ragioni per questo che hanno le loro basi nella dinamica dei sistemi. Se però uno cerca di capirlo sulla base della teoria economica standard, è impossibile. E' come cercare di capire come funziona una cella solare senza sapere niente di meccanica quantistica.

Purtroppo, l'economia standard è rimasta a una descrizione lineare di sistemi che, invece, sono altamente non lineari. Dico "purtroppo" perchè l'incapacità di vedere queste cose è una delle ragioni che ci sta portando al disastro.


mercoledì, gennaio 30, 2008

Sheryl Crow sings the Peak




Gasoline (Lyrics: Crow Music: Crow, Trott, Bottrell)


Way back in the year of 2017
The sun was growing hotter
And oil was way beyond its peak
When crazy Hector Johnson broke into a refinery
And the black gold started flowing
Just like Boston tea
Tornando all'anno 2017
Il sole stava diventando piu' caldo
e il petrolio era oltre il suo picco
quando il pazzo Hector Johnson irruppe in una raffineriae
l'oro nero inizio a scorrere
proprio come il te a Boston
It was the summer of the riots
And London sat in sweltering heat
And the gangs of Mini Coopers
Took the battle to the streets
But when the creed was handed down
For no more trucks and no more cars
They threw cans of petrol through the windows at Scotland Yard
Era l'estate delle rivolte
e Londra stava soffocando dal caldo
e la banda delle Mini Coopers
inizio' la battaglia alle strade
ma quando la dottrina fu tramandata
per nessun altro camion e nessun altra automobile
loro gettarono latte di petrolio dalle finestre a Scotland Yard
Gasoline
Will be free, will be free
Gasoline
Will be free, will be free
La benzina sara' gratis
la benzina sara' gratis
When the Mounties stormed the palace of the Saudi family
They held them up for ransom
Without disturbing their high tea
But their getaway was shaky
They stalled in the Riyadh streets
Cause you can't make it very far
When your tank is on empty
Quando i militari assalirono il palazzo della famiglia Saudi
li presero in ostaggio
senza disturbare i loro te raffinati
ma la loro via di fuga era traballante
rimasero bloccati nelle strade di Riyadh
perche' non puoi fare molta strada
quando il tuo serbatoio e' vuoto
The final can of gasoline was loaded on a truck
And driven through the streets of Agra to the palace aquaduct
You see, all the majesty of worship that once adorned these fatal halls
Was just a target to the angry
As they blew up the Taj Mahal
L'ultima latta di benzina fu versata in un camion
che venne condotto attraverso le strade di Agra all'aquedotto del palazzo
vedi, tutte le maesta' oggetto di adorazione che una volta adornavano questi fatali ingressi
erano solo bersaglio della rabbia
non appena fecero saltare il Taj Mahal
Gasoline
Will be free, will be free
Gasoline
Will be free, will be free
La benzina sara' gratis
la benzina sara' gratis
Gary ran a market way down in Tennessee
Where all the farmers got together and talked about this great country
But when the government turned its back on farming
Man, what I hear
They dragged the pumps out of the ground
With a big vintage John Deere
Gary gestiva un negozio dalle parti del Tennessee
dove tutti i fattori si riunivano e parlavano di questo grande paese
ma quando il governo volto' le spalle alle aziende agricole
capperi!, che ho sentito
strapparono le pompe dal terren
con un grosso vecchio John Deere (N.d.T.: e' un marca di escavatori )
I've got soldiers on my payroll
Standing guard on my front drive
Snipers on the roof poised at those
Who don't want me alive
Cause they audited my taxes
My family under threat
Cause I've got a message and a megaphone
And I'll scream it to the death
Avevo messo dei soldati nella mia lista paga
che stavano a far la guardia davanti casa
e cecchini sul tetto pronti a colpire quelli
che non mi volevano vivo
perche' controllavano le mie tasse
la mia famiglia era sotto minaccia
poiche' avevo ricevuto un messaggio e un megafono
e lo avrei urlato fino alla morte
Gasoline
Will be free, will be free
Gasoline
Will be free, will be free
La benzina sara' gratis
la benzina sara' gratis
You got the farms in Argentina
Making fuel from sugar cane
You got the bastards in Washington
Afraid of popping the greed vain
Cause the money's in the pipeline
And pipeline's running dry
And we'll be the last to recognize
Where there's shit there's always flies
Hai ottenuto che le aziende in Argentina
facciano carburante dalla canna da zucchero
Hai ottenuto che i bastardi a Washington
siano impauriti di perdere la vana ingordigia
perche' il denaro e' negli oleodotti
e gli oleodotti si stanno asciugando
e saremo gli ultimi a capire
che dove c'e' la merda ci sono sempre le mosche


{Grazie a Luca Lombroso e all'anonima traduttrice}


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lunedì, gennaio 28, 2008

Il picco del tonno Atlantico


Il grafico qui sopra (punti in giallo) mostra i dati relativi alla pesca delle principali 5 specie di tonno nell'Oceano Atlantico (Albacore, Big Eye, Bluefin, Yellowfin,Skipjack). I punti in verde mostrano invece la cattura da parte degli europei. I valori provengono dal database Figis della FAO.
Il picco, piuttosto evidente, è avvenuto nel 1994. Da allora la quantità di pesce pescato si è ridotta quasi alla metà.

Le curve colorate rappresentano due fit fatti con una curva logistica (per la precisione, si tratta della sua derivata). E' possibile vedere che la teoria di Hubbert si adatta abbastanza bene anche a delle risorse rinnovabili, quando il prelievo antropico eccede nettamente il tasso di rinnovo.

Secondo la FAO, cioè è dovuto "in parte alle misure di gestione dell'ICCAT". Ho così scoperto che esiste una Commissione Internazionale per la Conservazione del Tonno Atlantico. Come si dice di solito, quando non si riesce a risolvere un problema, sin indice una riunione...

L'ICCAT non fissa delle quote di pesca annue, ma valuta con una periodicità quinquennale lo stock delle varie specie di tonni e definisce la resa massina sostenibile (Maximum Sustainable Yeld). Non sono entrato nei dettagli, ma sembra che tale resa venga definita con modelli matematici che tengono conto della dinamica della popolazione dei tonni (vedi qui a pag. 449-450).

Ora, non essendo un esperto di pesca, mi limito a fare due domande da "lettore operaio" (come avrebbe detto Brecht):

  • come si spiega il fatto che nel 2003 la valutazione della MSY per il tonno Yellowfin era di 154000-161000 tonnellate (link precedente, p.450) , mentre nel 2007 essa è scesa a 148000 tonnellate?


  • come si spiega che la pesca del tonno Yellowfin sia in costante decrescita negli ultimi anni e si sia assestata nel 2006 intorno a 100000 tonnellate? Per quale motivo l'industria della pesca è rimasta sotto alla resa massima sostenibile, tra l'altro in un periodo in cui i prezzi del tonno stanno andando alle stelle? (Eurofish market report del luglio 2007).


A volere essere maligni viene da pensare che le quote dell'ICCAT siano definite più in funzione dell'industria della pesca che della effettiva popolazione dei tonni.

Inoltre, per favore, sarebbe possibile smetterla di riferirsi ai tonni con l'appellativo poco gentile di "tonnellate" e riferirsi ad essi come esseri viventi?


Vedi anche: Il picco della pesca planetaria, La catastrofe del merluzzo nel nord Atlantico.




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sabato, gennaio 26, 2008

Eppure i ristoranti sono pieni....

Figura: comsumi energetici lordi italiani in Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. I dati sperimentali sono fittati con la derivata di una curva logistica. Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico


Avete l'impressione anche voi che stiamo diventando più poveri? Sembra proprio di si; nonostante la risposta abusata che "i ristoranti sono sempre pieni". Questa povertà crescente si può quantificare in vari modi e io credo che uno dei più probanti sia quello del consumo di energia.

Ho pubblicato già più di una volta su questo blog dati sui consumi petroliferi italiani che, negli ultimi anni, sono in netta diminuzione. La domanda che mi arriva spesso di ritorno è come siano variati i contributi delle altre fonti energetiche. In effetti, il calo dei consumi petroliferi potrebbe essere dovuto più che altro alla sostituzione del petrolio con altre fonti; il gas per esempio. Questo sta in effetti accadendo sia per il riscaldamento domestico come per la fornitura di energia elettrica.

La domanda è importante. Se, in effetti, è solo una questione di sostituzione, siamo di fronte a un cambiamento tecnologico in atto, ma a parte questo non cambia gran che nella nostra società. Ma se tutti i consumi sono in calo, allora vuol dire che veramente stiamo diventando tutti più poveri, nonostante che i ristoranti siano pieni.

Allora, nella figura in alto potete vedere i consumi energetici lordi italiani espressi in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. I dati sono fittati con una derivata della logistica. C'è un punto nel 2002 che è abbastanza fuori posto. Esaminando i dati, si vede che è dovuto principalmente a una caduta di più del 10% della produzione di energia rinnovabile (più che altro idroelettrica). Non so cosa sia successo nel 2002 che ha fatto abbassare la produzione ma, a parte questo punto, la tendenza della curva sembra chiara verso un appiattimento e una diminuzione. Il calo del 2006 non è dovuto alle rinnovabili, ma al calo del consumo dell'insieme dei combustibili fossili.

Se i dati per il 2007 confermeranno la tendenza alla diminuzione, allora siamo di fronte a un cambiamento molto netto, forse epocale, nella situazione economica del paese, dove la crisi dei combustibili fossili sembra cominciare a farsi sentire in modo molto netto. Dato questa diminuzione strutturale, non c'è da stupirsi se il sistema finanziario sembra diretto verso una recessione

Continueranno a essere pieni i ristoranti? Staremo a vedere


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venerdì, gennaio 25, 2008

Il sole di Roma


created by Antonio Tozzi

Secondo alcuni l'idea di ottenere direttamente dal sole, in tutto o in gran parte, l'energia necessaria per le attività umane è, e resterà sempre, un'illusione. I motivi a supporto di questa tesi sono principalmente: il fatto che l'energia solare è molto "dispersa" (bassa densità superficiale di energia), il fatto che l'insolazione dipende molto dalle condizioni meteo ed è del tutto assente di notte (la cosiddetta "inaffidabilità"), il costo relativamente elevato degli attuali impianti fotovoltaici, l'impossibilità di immettere direttamente la corrente prodotta (continua) nelle reti esistenti (che sono a corrente alternata).

Si può ovviare al problema dell'intermittenza dell'insolazione utilizzando un sistema di stoccaggio dell'energia (per esempio delle batterie di accumulatori) che, immagazzinando l'energia prodotta in eccesso, rispetto al consumo immediato, possa restituircela nelle ore di insolazione meno intensa o durante la notte. E' possibile (e si fa in tutti gli impianti fotovoltaici per uso domestico) utilizzare un apparecchio che converte la corrente continua prodotta dai pannelli in corrente alternata.

Infine, a proposito della questione costi, se da un lato l'attuale eccessiva domanda di celle fotovoltaiche, ne fa lievitare i prezzi, dall'altro essa stimola la ricerca scientifica e tecnologica nel settore e la produzione su scala sempre più vasta, attraendo investimenti sempre più consistenti. Per questa ragione sono plausibili sia importanti progressi tecnologici sia, almeno sul lungo periodo, diminuzioni dei costi degli impianti.Quella che rimane, ed è destinata a rimanere per sempre, insoluta è la questione della bassa densità di energia, l'unica ad essere davvero insormontabile: sfortunatamente si tratta di una caratteristica fisica propria dell'energia solare incidente e non ci si può far nulla: lo sfruttamento diretto dell'energia solare necessita di superfici molto ampie.

Ma qual'è, in particolare relativamente al contesto italiano, il reale impatto di questa circostanza?In Italia non abbiamo grandi spazi altrimenti inutilizzabili come i deserti di Stati Uniti, Nord Africa e Australia. Ogni centimetro quadrato che viene artificializzato è sottratto al patrimonio agricolo, montano o forestale. L'Italia è già affamata di spazio: se ne accorgono immediatamente persino gli ultimi arrivati, gli immigrati che ironizzano sui nostri cimiteri, sulle bare impilate in strutture verticali. Ma in effetti, relativamente al fotovoltaico, il problema si manifesta concretamente solo laddove l'energia elettrica prodotta in una data superficie di territorio è insufficiente rispetto al fabbisogno di quella stessa superficie, il che rende necessario "importare" ulteriore energia elettrica dall'esterno. La situazione più critica che possiamo immaginare è quella dei quartieri centrali delle nostre grandi città, dove la densità abitativa, cioè il numero di abitanti in una data superficie di territorio, è piuttosto elevata.
Il rione Parione è una delle suddivisioni del centro storico di Roma che hanno un'alta densità di popolazione: in base a dati diffusi dal comune, nel 2005 c'erano 3351 abitanti su una superficie di 19,38 ettari. Dunque, una densità abitativa di 172,91 ab/ha. Secondo i dati di Terna S.p.A., in provincia di Roma i consumi medi pro capite nel 2005 erano rispettivamente 1833 kWh e 1415 kWh per il settore terziario e gli usi domestici. Da una tabella del Ministero dell'Ambiente risulta che la produzione annua attesa da un "tipico" impianto fotovoltaico con una superficie di 8 mq situato a Roma è di 1477 kWh. La superficie totale necessaria per coprire l'intero fabbisogno del rione, calcolata con questi dati, è di 5,9 ettari (2,6 ettari per i soli consumi domestici). Si tratta di una superficie relativamente molto grande, rapportata al nostro rione: diciamo che occorrerebbe coprire con pannelli FV circa la metà di tutti i tetti degli edifici (esclusi solamente i più "improbabili", come le cupole delle chiese). Infatti i tetti sono le uniche superfici disponibili (a meno che non si decida di pannellare anche Piazza Navona e Campo de' Fiori). Complessivamente occupano una superficie pari ai 2/3 esatti di quella totale del rione: 13 ettari.Ora, è evidente che a nessuna persona sana di mente verrebbe mai in testa di fare sul serio e tappezzare di piastre di silicio bluastro un'area così grande dei tetti del centro storico. L'importante è rendersi conto che la cosa è fattibile: che è possibile, con tecnologie già consolidate, ottenere l'elettricità che ci serve dal sole senza necessariamente doversi mangiare un'ulteriore fetta di suolo agricolo o forestale. In particolare queste stesse considerazioni si possono trasportare a zone molto meno "pregiate" e "intoccabili", dal punto di vista storico-artistico. Il quartiere a più alta densità abitativa è il Prenestino-Centocelle, 270 ab/ha, che di abitanti ne fa 56000. Praticamente una cittadina come Siena. Si tratta, ad ogni modo, di un quartiere a sviluppo più marcatamente verticale, con molti spazi verdi, ampi viali e piazze. Dunque meno tetti a disposizione ma anche la possibilità di sfruttarli in misura maggiore, senza fare violenza all'aspetto visivo della città.

Riassumendo, già con le tecnologie attuali è possibile mettere le nostre città in condizione di provvedere da sole a buona parte del loro fabbisogno energetico, senza andare a martoriare ulteriormente il territorio rurale superstite. Vale soprattutto per le piccole città (come Siena, appunto) che hanno uno sviluppo prevalentemente orizzontale. E questo non è poco: non va dimenticato che l'esercito delle piccole città conta 20 milioni di anime, esattamente quanto tutte le grandi aree metropolitane messe insieme.
Tornando al piccolo rione romano sono già allo studio materiali per impianti meno "invasivi" degli attuali, come i film di silicio. Non è improbabile che, in tempi brevi, siano messi sul mercato sistemi idonei anche per l'installazione nei centri storici. Per quanto riguarda i sistemi attualmente diffusi il costo per abitante si aggirerebbe attorno ai 10000-15000€, più altri 4000€ per batterie al piombo (o 15000€ per batterie al litio-polimeri) qualora si intenda stoccare l'energia in eccesso sul posto anziché cederla alla rete. Cifre quasi irrisorie per chi può permettersi una casa nel rione Parione. Ma certo non altrettanto abbordabili per chi vive sulla Prenestina o nelle borgate...

In conclusione, allo stato attuale è solo il costo degli impianti, non certo la scarsa densità d'energia, che ostacola il pieno godimento del sole di Roma.


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mercoledì, gennaio 23, 2008

Picco scaccia Picco


Uno dei concetti più usati dell’economia è quello dei valori marginali. In genere l’aggettivo marginale indica il tasso di variazione del valore di una funzione economica corrispondente alla variazione unitaria della variabile.
Il concetto di marginalità è molto importante per determinare il livello di produzione di un bene necessario a massimizzare il profitto di un operatore economico.
Quando il profitto marginale è uguale a zero avremo determinato il livello della produzione oltre il quale il profitto comincia a decrescere, cioè la funzione che rappresenta il profitto avrà raggiunto un “picco”.
La funzione profitto è data dalla differenza della funzione ricavi (a sua volta dipendente dall’andamento dei prezzi, connesso al meccanismo domanda – offerta) e della funzione costi. Conseguentemente, il massimo del profitto si avrà quando il ricavo marginale eguaglia il costo marginale. In termini di calcolo differenziale pertanto, il problema della massimizzazione del profitto consiste nel porre uguale a zero la derivata della funzione profitto o di eguagliare le derivate delle funzioni ricavi e costi.

Vi ho annoiato con questa breve premessa concettuale per porre in evidenza il fatto che gli economisti hanno ben presente il concetto di picco e lo applicano quotidianamente per determinare i livelli produttivi delle aziende e dei soggetti economici necessari a ottimizzarne i profitti. Ma se provate a trasferire lo stesso concetto all’uso delle risorse non rinnovabili essi in genere non vi seguiranno, negando l’esistenza di un limite e giungendo all’affermazione paradossale che la quantità di risorse disponibili è una variabile esclusivamente dipendente dall’equilibrio dinamico tra domanda e offerta di prodotti che sottende la formazione dei prezzi.
Alla crescita dei prezzi determinata da un calo della domanda si risponde aumentando la produzione per ottenere un nuovo abbassamento dei prezzi che rilancia la domanda e così via in eterno. Questo succede nel mondo metafisico dell’economia. Ma se si ammette la finitezza delle risorse naturali da cui, ci piaccia o no, derivano tutti i prodotti del mercato globale, questo meccanismo si inceppa. Dopo il picco di una risorsa naturale, i produttori perdono il potere di modulare l’offerta e con essa la possibilità di tendere al picco del profitto. Parafrasando un noto proverbio, è proprio il caso di dire picco scaccia picco. Ma non è finita: per certi versi il picco dell’economia produce il picco delle risorse naturali, in quanto non potendo i costi marginali superare i ricavi marginali, il criterio della massimizzazione del profitto determina anche un limite ai costi di estrazione e quindi alla capacità estrattiva.
Nel caso della produzione petrolifera, questo è uno dei motivi per cui non è possibile espandere “ad libitum” la produzione dei giacimenti.

Concludendo, abbiamo il paradosso che il picco dell’economia determina il picco delle risorse naturali e quest’ultimo distrugge il picco dell’economia. La vita è fatta di paradossi e forse la vita stessa è un paradosso.

lunedì, gennaio 21, 2008

Gli untori del petrolio



Io non sono nato economista; all'università ho studiato chimica. Però, più passano gli anni, più trovo affascinante la scienza dell'economia. Proprio per questo, mi trovo a stupirmi di come gli economisti rinneghino alle volte i principi di base della loro scienza. Nel caso del petrolio, di fronte agli aumenti di prezzo, guardate quanta gente si è messa a dare la colpa ai non meglio identificati "speculatori", proprio come al tempo della peste di Milano si dava la colpa agli untori. Si sono dimenticati dell'esistenza delle leggi del mercato? E' come se io, di fronte a un esperimento di chimica non riuscito, dessi la colpa alle streghe o ai goblin.

La chimica, tutto sommato, è facile e forse è per questo che tanta gente la trova noiosa. In effetti, in chimica tutto è determinato dalle leggi della termodinamica e dagli esperimenti. L'economia è una cosa completamente differente. Non che non ci siano di mezzo anche li le leggi della termodinamica; al contrario è un errore trascurarle. Ma il sistema economico non si presta a essere descritto mediante semplici leggi deterministiche . E' giusto che sia così, è un esempio classico di un sistema "non lineare", ovvero dove ci sono molti elementi che agiscono e che si influenzano vicendevolmente.

Nel sistema economico, il concetto di "mercato" è veramente fondamentale. E' stata un'intuizione geniale dei fondatori della scienza dell'economia che, nell '800, avevano una visione decisamente "non lineare" delle cose. Leggetevi William Stanley Jevons e Adam Smith, per esempio, e capirete cosa intendo dire. Erano dei giganti del pensiero umano. Il mercato è un sistema che cerca un suo equilibrio bilanciando le varie spinte che arrivano dagli elementi che lo compongono.

Purtroppo, gli economisti moderni hanno spesso cercato di descrivere il mercato con un approccio lineare, con risultati decisamente pessimi. Questo ha portato a una certa reazione negativa contro gli economisti e l'economia. Cercate Jay Hanson su internet e capirete cosa voglio dire. Sicuramente esagera, ma anche non si può dire che abbia tutti i torti. Eppure, l'economia è una scienza che ha a che fare con la nostra vita di tutti i giorni e i concetti che esprime sono estremamente utili; in particolare la metafora del mercato ci può guidare a capire il perché certe cose succedono.

Consideriamo la questione del petrolio. Abbiamo tutti visto che i prezzi aumentano e qualcuno reagisce con l'equivalente del "dalli all'untore" della peste di Milano, ovvero "dalli allo speculatore". Eppure, il petrolio è un caso in cui si può veramente parlare di "libero mercato" a livello planetario. Considerate che in questo mercato si vendono ogni anno più di duemila miliardi di dollari petrolio; circa due volte il PIL italiano tutto intero. Vi sembra possibile che un gruppetto di cospiratori che si riuniscono in una stanza fumosa a Zurigo possano influenzare una massa di soldi del genere?

Invece, cerchiamo di ragionarci sopra in termini di mercato. Nel mercato, ci sono produttori e consumatori e i prezzi sono un'informazione che i due gruppi si scambiano e che descrive il rapporto fra domanda e offerta. I prezzi che si alzano sono un messaggio. Ai produttori dice "producete di più!". Ai consumatori dice "consumate di meno!"

Secondo quello che si legge nei testi di economia, il mercato usa questa informazione che viene scambiata fra produttori e consumatori per aggiustare la produzione a un livello ottimale secondo certe condizioni che i testi definiscono usando un linguaggio un po' astruso per i non iniziati. Comunque, queste condizioni non implicano niente di più che in un libero mercato si tende a raggiungere una condizione in cui produttori e consumatori arrivano a un compromesso in termini di prezzi e produzione che è soddisfacente per entrambi.

Nel caso del petrolio, bisogna anche tener conto della limitazione della risorsa. Quello che sta succedendo è che i produttori si trovano davanti al graduale esaurimento delle risorse che hanno sfruttato fino ad oggi. Non che le risorse siano completamente esaurite, ma trovarne ed estrarne di nuovo diventa sempre più caro. La produzione è piatta ormai da qualche anno; interrompendo la tendenza storica all'aumento che era stata la regola da oltre un secolo. L'economia, invece, continua a espandersi, specialmente in paesi come l'India e la Cina, e vorrebbe sempre più petrolio

Allora, come reagisce il mercato di fronte a questa condizione? Mandando un segnale a produttori e consumatori per mezzo dei prezzi. Alzando i prezzi, il mercato dice ai produttori "producete di più!" Ai consumatori dice "consumate di meno!"

Però i produttori si trovano in difficoltà a produrre di più perché andare a sfruttare le risorse petrolifere che rimangono costa sempre più caro. I consumatori, da parte loro, si trovano incastrati in un sistema di vita nel quale è difficile per loro ridurre i consumi.

Allora, cosa fa il mercato? Semplice: urla sempre più forte e il messaggio è sempre quello: "producete di più!" e "consumate di meno!" Ovvero, aumenta sempre di più i prezzi.

A lungo andare, qualcuno finirà per dar retta al mercato e ne vediamo già dei sintomi chiari. Più che altro, sembra che siano i consumatori a essere costretti a ridurre i loro consumi; sembra che sia un po' più difficile per i produttori reagire aumentando la produzione. Come si era detto, la curva della produzione di petrolio è tuttora piatta, mentre quella del consumo sta mostrando una certa tendenza alla diminuzione in molti paesi occidentali (questa riduzione nei paesi consumatori è compensata dall'aumento nei paesi produttori).

Quindi, che cosa ci possiamo aspettare che succeda nel futuro? Beh, sembrerbbe ovvio: vedremo il mercato continuare a lanciare il suo segnale, forse anche più forte (ovvero prezzi ancora più alti) finché non si verificheranno una delle due cose: 1) aumento della produzione petrolifera o 2) recessione economica con conseguente diminuzione dei consumi. A quel punto, i prezzi potranno diminuire.

A voi la scelta fra le due cose che si verificheranno: a parere di ASPO, è molto più probabile che si verificherà una recessione economica, compensata soltanto in piccola parte dagli sforzi dell'industria petrolifera di aumentare la produzione. Per questo, a un certo punto ci dobbiamo aspettare che i prezzi cominicino a diminuire. Ma, attenzione, questo non vorrà dire che la crisi del petrolio è finita. Al contrario!

Per una discussione un po' più dettagliata, potete dare un'occhiata a un mio recente articolo.



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domenica, gennaio 20, 2008

Gli uomini d'oro di ASPO


In una recente intervista a "Gente Veneta"Leonardo Maugeri, vicepresidente di ENI, ha risposto alla domanda sui prezzi del petrolio, dichiarando:

«Le attuali punte di prezzo al barile sono dovute alla speculazione». I costi sarebbero di 60-65 dollari al barile (e non circa 90, come oggi), perché non converrebbe estrarre petrolio ad un costo superiore. Si è solo messo in moto un meccanismo che facendo prevedere aumenti della domanda ed esaurimento delle scorte provoca una forte domanda speculativa anticipata.

Ogni opinione è rispettabile e, va detto, Maugeri non è il solo che sta dando la colpa degli aumenti dei prezzi a chi ha messo in giro l'idea che il petrolio è scarso. Tuttavia, è forse un po' esagerata.

Facciamo un po' di conti. Quanti sono, in Italia, quelli che hanno parlato del picco del petrolio sui media di una certa diffusione? In TV, ne ha parlato Luca Mercalli. C'è poi Beppe Grillo che ne ha accennato in uno dei suoi post. A una certa distanza, viene il modesto sottoscritto, Ugo Bardi, che ha avuto a volte spazio nei giornali nazionali e qualche rara volta in TV. A parte qualche altra occasionale apparizione dei membri di ASPO-Italia e di altre persone impegnate in questo campo, è difficile pensare che quelli che determinano il prezzo del petrolio, ovvero i traders, siano molto esposti al concetto del picco, perlomeno in Italia. Per il pubblico in generale, il concetto è totalmente ignoto al momento.

Cosa succede a livello internazionale? Beh, c'è un discreto gruppo di picchisti abbastanza noti: Colin Campbell, Kjell Aleklett, Howard Kunstler, Matthew Simmons, Richard Heinberg, solo per fare qualche nome. Quanti sono quelli che appaiono sui media? Uno sparuto gruppetto: una decina, al massimo qualche decina. Anche qui, è molto difficile che i traders siano esposti al concetto del picco; lo stesso vale per il pubblico generale.

Allora, facciamo un po' di conti. Consideriamo il mercato del petrolio. Prendiamo in esame solo quello "spot" del petrolio veramente scambiato (lasciando perdere quello mercato finanziario, anche se è 5-6 voltepiù grande). Prendiamo i circa 26 miliardi di barili prodotti annualmente nel mondo. A 90 dollari al barile, fanno 2300 miliardi di dollari. Se fossero stati a 60 dollari al barile, erano "soltanto" 1500 miliardi. La differenza è 800 miliardi di dollari (mica male!)

Consideriamo ora il numero dei picchisti. Esageriamo pure e diciamo che in tutto il mondo ci sono 1000 persone (invece che soltanto un centinaio) che pubblicano e diffondono l'idea del picco. Secondo Maugeri e gli altri, è questo gruppetto che ha causato l'aumento dei prezzi del petrolio.

Cavolo! (per non dir di peggio) Secondo questo ragionamento, ognuno di quelli che parlano del picco è responsabile per circa 800 milioni di euro che entrano annualmente nelle casse delle compagnie petrolifere!!! Al prezzo attuale dell'oro, 30 dollari al grammo, (probabilmente abbiamo contribuito a fare aumentare anche quello), ognuno di noi vale 27 tonnellate di oro fino. Uomini d'oro; altroché!

Cavolo doppio (ancora per non dir di peggio). Non credevo di avere tutto questo potere! Mi viene voglia di scrivere sette letterine e chiedere il mio 5% sicuramente meritato. Cosa sono 40 milioni di euro all'anno per le potenti sette sorelle?

Purtroppo, però, ho l'impressione che Maugeri e gli altri ci abbiano un po' sopravvalutato. La mia opinione sugli aumenti dei prezzi del petrolio è differente e non implica il complotto planetario dei 1000 uomini d'oro di ASPO. Se volete leggerla, la trovate qui.


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sabato, gennaio 19, 2008

Un diamante troppo caro


E' stato appena firmato un accordo tra Enel e la Provincia di Firenze per la realizzazione di un impianto fotovoltaico che illuminerà il parco di Villa Demidoff a Pratolino. Il parco è un autentico gioiello, meta di bellissime scampagnate estive per i fiorentini, e il progetto, per non essere da meno, è stato definito un diamante che produce energia dal Sole.
Benissimo, non può che far piacere che simili iniziative prendano piede. Finché però non si va a guardare i numeri. L'impianto è montato su una struttura di 8 metri di diametro, composta da 70 facce triangolari, di cui 38 sono costituite da pannelli appunto triangolari. La potenza di picco installata è dichiarata essere di 20 kW di picco, in questo comunicato, ma facendomi due conti delle superfici e assumendo l'efficienza dei migliori monocristallini, mi tornerebbero 13 kWp. I pannelli non sono orientati ottimamente, essendo spalmati su una semisfera, per cui, con qualche conto, si trova che il tutto è comparabile ad un impianto tradizionale di circa 8 kWp. Quello che vorrei riuscire (condomini permettendo) mettere sul tetto per alimentare 4-5 appartamenti.

Il tutto per un costo complessivo di un milione di euro! No, non ho sbagliato a scrivere, sono circa 77 mila euro a kW di picco, 125 mila se si considera la minor resa rispetto ad un impianto tradizionale. Tanto per dare un'idea, i prezzi correnti per un buon impianto fotovoltaico, chiavi in mano, viaggiano sui 7-8 mila euro per kWp, prendendo il meglio del meglio. Il tutto produrrà un risparmio per la Provincia, in termini di energia elettrica, di 50 mila euro (in 25 anni, secondo i miei calcoli, cioè in tutta la vita dell'impianto).

Ma leggendo per bene si scopre l'inghippo: nell'impianto è compreso un sistema di accumulo ad idrogeno, con 3 sfere di un paio di metri di diametro per immagazzinare il gas in idruri metallici. Dai dati disponibili non si capisce quale sia la capacità del sistema, e quindi quali siano i costi per kWh accumulato. Si può però fare qualche confronto con i costi di sistemi alternativi. E senza tener conto dell'efficienza, che in un sistema ad idrogeno difficilmente supera il 50%, più probabilmente, anche con le costosissime celle a combustibile, è intorno al 40%.

In una giornata estiva il "diamante" può produrre, all'incirca, 50 kWh. Mi servono circa 100 kWh di batterie, per poterle usare al 50% della capacità e migliorarne la durata. Posso utilizzare accumulatori al piombo appositi, per un costo di circa 30 mila euro. Usando batterie a litio-polimeri i costi sono dell'ordine dei 120 mila euro, ma la durata è molto maggiore. Il sistema mi restituisce in entrambi i casi almeno 40 kWh, il doppio di quanto faccia quello ad idrogeno, il che significa che posso utilizzare un impianto grande la metà per soddisfare gli stessi bisogni di elettricità.

A Pratolino sarebbe stato innovativo sfruttare le potenzialità del mini-idroelettrico. Il parco è ricco di corsi d'acqua, piccoli bacini, non sarebbe stato complicato crearne di nuovi e sfruttare i dislivelli naturali per pompare l'acqua in salita di giorno e usarla di notte per produrre corrente. Non è banale, 50 chilowattora sono quasi 400 metri cubi d'acqua sollevati di 50 metri. Ma rientra ancora nel fattibile, con efficienze un po' peggiori delle batterie (sicuramente non disastrose come per l'idrogeno) e costi che non credo proprio arrivino al milione di euro.

Comunque anche facendo i conti di un sistema ad idrogeno, i costi non risultano poi così spaventosi. Un sistema di celle a combustibile da 8 kW costa qualcosa intorno a 70 mila euro, e il sistema di accumulo probabilmente qualcosa di meno. Non ho dati sulla durata, le celle a combustibile sono oggetti delicati.

Considerando i pannelli "su misura", la soluzione artistica, ecc. è comunque difficile superare i 400 mila €. Uno sproposito, ma ancora meno della metà del costo previsto. Bé, almeno non si fanno danni come per i biocombustibili. Speriamo solo che non faccia passare l'idea che il fotovoltaico è solo un giocattolo carissimo, sarebbe un'ulteriore conferma che l'idrogeno è il peggior nemico delle rinnovabili.

venerdì, gennaio 18, 2008

Il Peak Oil degli Ingegneri



In questi ultimi mesi ho avuto modo di confrontarmi assiduamente sul tema del Peak Oil con un mio amico ingegnere, che stimo molto sia come persona che come tecnico.
In un eccesso di orgoglio, :-) , ammetto di essere fiero di avergli trasmesso delle idee sul Picco che ho a mia volta “assorbito” da Ugo Bardi e dagli altri soci e simpatizzanti ASPO. Credo di avere semplicemente risvegliato in lui dubbi reconditi, e di averlo incuriosito ad approfondire alcune tematiche.
Da “scettico” del Picco (come del resto ero io più di un anno fa) è diventato un ottimo interlocutore per analizzare e discutere cause, effetti, implicazioni, scenari. Nessuno di noi due ha ragione a priori nelle nostre “diatribe”, ma l’approccio costruttivo e non ideologico che le contraddistingue è già un goal.

Qualche giorno fa mi ha passato una rivista che riceve regolarmente, “Il giornale dell’Ingegnere” n. 1 del 15 gennaio 2008, in cui si titola in prima pagina: “Petrolio, minaccioso il conto del ‘peak oil’, il ruolo degli investimenti frena la produzione”. In esso si parte da concetti economici per giustificare razionalmente alcuni fatti oggettivi, sempre di carattere economico. Ad esempio, si ridimensiona il ruolo di eventi climatici e politici nella determinazione del prezzo, di fronte all’immensità della “sete” crescente di greggio.
Si evidenzia come il sistema produttivo non riesce a soddisfare una domanda crescente, e il meccanismo del veloce aumento dei prezzi sia inevitabile.
Si individua nel 2004 l’anno d’oro delle compagnie petrolifere, corrispondente al picco dei profitti. Da allora, il crescente costo degli investimenti ha progressivamente rallentato la velocità di offerta.

Gli elementi citati sono a mio avviso molto importanti, e anche ben espressi; le ragioni profonde del picco, che sono geofisiche e geochimiche, non vengono tuttavia citate esplicitamente. Queste possono essere considerate (superficialmente parlando) scontate, o banali; da chimico (sarò di parte…!), direi che in assenza di una loro costante ricapitolazione c’è il rischio che il “colpo di coda” delle ormai mitiche ragioni politico-belliche domini incontrastato … e che si torni daccapo!

E’ significativo che un Ordine ad alto impatto quale quello degli Ingegneri incominci ad affrontare il tema dal Picco. Da una parte questo conferma la serietà dell’ “affaire”, dall’altra si tratta di un canale di comunicazione capillare e rivolto a settori che non possono permettersi di trascurarne gli impatti, quali ad esempio l’industria manifatturiera e le infrastrutture.

[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

giovedì, gennaio 17, 2008

Il picco del petrolio è una cosa seria?




Nel dibattito che si sta svolgendo in questo periodo sulla questione del picco del petrolio, c'è un'accusa che viene ripetuta qualche volta, ovvero che non si può prendere seriamente la cosa dato che non ci sono articoli sulle riviste scientifiche "peer reviewed", ovvero su quelle riviste i cui contenuti sono giudicati e filtrati da esperti dello stesso campo dell'autore dell'articolo proposto ("peers").

L'accusa, in se, è falsa. Esiste un certo numero di articoli su riviste scientifiche che illustrano la teoria che è dietro l'idea di "Picco". E' anche vero, tuttavia, che sono pochi in confronto a quelli, per esempio, sul cambiamento climatico. Se andate sul database scientifico "sciencedirect" e digitate "global warming"trovate più di 2000 articoli. Se cercate "peak oil" ne trovate 20 e se cercate "hubbert peak" ne trovate 9.

Le ragioni di questo scarso impatto del picco sulla letteratura scientifica sono più di una. Un problema è il fatto che il "picco del petrolio" non ricade esattamente in nessuna disciplina di quelle ben note. E' a cavallo fra economia e geologia, ricade più che altro in quel campo che viene chiamato "dinamica dei sistemi" che, comunque, è considerato sempre un po' eretico un po' da tutti. Questo vuol dire che quando cerchi di pubblicare qualcosa a proposito del picco su una rivista di economia o di geologia, ti trovi a essere attaccato dai referee perché sei fuori dagli schemi stabiliti.

Come sanno bene quelli che pubblicano sulle riviste scientifiche, è abbastanza facile pubblicare variazioni su temi ben noti; si dice che il sistema premia la "eccellente mediocrità". Ma è molto difficile pubblicare cose innovative. Intendiamoci, i referee fanno un egregio lavoro nello scremare le peggiori scempiaggini, ma certe volte esagerano. Mi è capitato più di una volta di sentirmi dire che quello che avevo scritto era "controversial" come se questo fosse ragione sufficiente per non pubblicarlo. Mi è venuto voglia di rispondere al referee che il prossimo articolo l'avrei scritto sulle abitudini sessuali di sua madre, ben note a tutti e quindi non controverse. Scherzi a parte, con un po' di pazienza si riescono a pubblicare anche articoli sul picco sulle riviste scientifiche, ma è faticoso e difficile.

A parte la faccenda dei referee tradizionalisti, il fatto di essere interdisciplinare danneggia fortemente la "scienza del picco" nel senso che è difficile trovare finanziamenti per fare ricerca. Per i climatologi, si sa che cos'è la scienza del clima, si sa chi la finanzia, esistono gruppi di ricerca, istituti, competenze, eccetera. Quando vai a presentare una proposta per fare ricerca sull'argomento "picco", ti trovi a essere un outsider. Ci sono sempre meno fondi per la ricerca e la tentazione è sempre quella di lasciare a secco chi è un po' fuori dal coro. Anche questo ve lo posso dire per esperienza personale. Ho provato qualche volta a chiedere finanziamenti per studi sull'esaurimento, sia da solo, sia insieme ad altri ricercatori europei. Non abbiamo ottenuto nessun successo, mi risulta che non ci sia riuscito nessuno o quasi. Si riesce lo stesso a lavorare sull'argomento del picco organizzandosi bene e sfruttando il tempo libero e i margini di altri progetti. Ma, se ci fossero risorse finanziarie, sarebbe un'altra cosa.

Infine, dobbiamo considerare anche l'atteggiamento dei ricercatori. I climatologi sono scienziati di stampo accademico che si esprimono normalmente con articoli sulla letteratura scientifica. I "picchisti," invece, sono spesso ex impiegati e dirigenti delle aziende petrolifere. Stimare le risorse e la produzione futura è un lavoro specializzato. Quelli che lo fanno non sono accademici, il loro prestigio personale non viene deciso dall'opinione dei colleghi, ma dai loro datori di lavoro. Non sono abituati a fare lavoro mediocre e senza rischi. Per questo, non hanno pazienza per il processo lento e laborioso del referaggio accademico che, spesso, come si era detto, premia proprio una certa "eccellente mediocrità." Di conseguenza, non si è mai creata una scuola accademica che studiasse il fenomeno dell'esaurimento delle risorse.

Tutto questo spiega perché ci sono così pochi articoli sul picco del petrolio sulla letteratura internazionale. E' un male? In un certo senso si, perché da un'arma a chi si è fatto un mestiere di criticare l'argomento del picco (Michael Lynch, per esempio). D'altra parte, è anche vero che le cose stanno cambiando e un gruppo di ricercatori piuttosto agguerriti sta cominciando a gettare le basi di una letteratura scientifica sull'esaurimento delle risorse (Kjell Aleklett dell'università di Uppsala, per esempio).

Forse, però, ci possiamo anche domandare se è veramente indispensabile avere quel prestigio che viene da migliaia di articoli sulla letteratura per diffondere l'idea che il picco del petrolio è una cosa reale e immediata. L'esperienza dei climatologi insegna che anche il consenso di tutti (o quasi) gli scienziati del mondo sulla questione del riscaldamento globale non è sufficiente. Quando si toccano il portafoglio e le abitudini della gente, la resistenza è incredibilmente tenace e non bastano certamente le migliaia di articoli accademici pubblicati a smuovere le cose. Ho il dubbio che la stessa cosa succederebbe per il picco: anche se avessimo migliaia di articoli scientifici pubblicati in proposito, la gente e i governi continuerebbero a fare le cose che fanno.

In questa fase, è probabilmente più efficace agire su mezzi di comunicazione che possono raggiungere il pubblico e i "decision makers". Il lavoro di qualità emerge sempre, anche se non è su media accademici. In questo senso, il lavoro che sta facendo il gruppo di "The Oil Drum" (TOD) (http://www.theoildrum.com/ ) è estremamente efficace e sta costruendo un prestigio notevole al concetto di picco. Gli articoli pubblicati su TOD non sono referati in modo tradizionale. Passano a un primo filtro da parte degli editori, che scremano la robaccia evidente. Poi, l'articolo viene dato in pasto ai lettori e se ci sono degli errori ci sono centinaia di commentatori assatanati che faranno a pezzi il malcapitato autore. Non è una cosa facile, ve lo posso dire perché di articoli su TOD ne ho pubblicati quattro finora. Lanciarsi è una cosa che fa paura, altro che i referee accademici! Ma, fino ad ora, i commenti che mi hanno fatto sono stati abbastanza positivi.

Questo non vuol dire che non si debba fare uno sforzo per pubblicare studi accademici. Io ho fatto quello che ho potuto, pubblicandone due (e un altro in corso di pubblicazione). Chi ha voglia di provarci fa sicuramente una cosa buona. Io ho trovato che gli editori di "Energy Policy" e di "Energy Resources B" sono abbastanza amichevoli. Provateci anche voi.




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lunedì, gennaio 14, 2008

La globalizzazione in Italia e il sottosviluppo del Mezzogiorno



Created by Armando Boccone




Ci avviciniamo sempre più al picco del petrolio. Secondo qualche studioso è stato già superato. Ci avviciniamo cioè al livello massimo di produzione del petrolio per poi assistere ad una sua continua, sebbene lenta, riduzione.
Negli ultimi decenni c’è stato un incessante processo di globalizzazione. Questo ha voluto tra l’altro dire che in Italia si consumano pere che si coltivano in Argentina, meloni che si coltivano in Costa Rica e si regalano fiori che, coltivati in Africa e in Asia, ci arrivano in aereo passando da Amsterdam.
Questo processo di globalizzazione è stato possibile anche per l’abbondante e a buon mercato disponibilità di petrolio e di altri combustibili fossili.
Ciò non sarà più possibile e sicuramente ci sarà un rientro da quel processo incessante di globalizzazione di cui si parlava ed avrà sempre più importanza il livello nazionale e locale della produzione, dello scambio e di tanti altri fenomeni. Non si arriverà certo di nuovo al nazionalismo ottocentesco perché la nuova realtà terrà sicuramente conto di ciò che di nuovo è avvenuto nel frattempo (un esempio per tutti: la diffusione del computer, delle telecomunicazioni e di internet). La nuova realtà sarà tutta da costruire.
Per fare fronte alla diminuzione della produzione dei combustibili fossili bisognerà sviluppare le energie rinnovabili. In Italia però, diversamente da ciò che avviene in altri Paesi europei, c’è un forte ritardo in questo campo. Paesi europei meno dotati dell’Italia per quanto riguarda la risorsa solare, sono invece più avanti sia nel campo dello sfruttamento di questa risorsa che nello sviluppo tecnologico ad esso collegato.
In Italia ci sono alcuni argomenti e alcuni fatti storici che sono tabù, come l’unità di Italia e il sottosviluppo del Mezzogiorno. La storia che ci sta davanti e la nuova realtà da costruire necessitano l’eliminazione di questi tabù. “La globalizzazione in Italia e il sottosviluppo del Mezzogiorno” si muove in questa direzione.



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sabato, gennaio 12, 2008

Dissociazione molecolare? Ma che roba è?



E' stata un esperienza molto interessante per me quella di lavorare nella commissione interministeriale per le miglior tecnologie di smaltimento dei rifiuti. Interessante per vari motivi, non ultimo quella di stare a domandarsi molte volte per quale ragione dovevo perdere tanto tempo per un incarico che due ministeri insieme si sono premurati di definire "a titolo gratuito" già entro le prime due righe della lettera di conferimento.

A parte questo, effettivamente, a fare queste cose si impara moltissimo e si viene anche a conoscere gente interessante (che, alle volte, come nella battuta sui Marines, verrebbe voglia di ammazzare). Fra le altre cose, mi è arrivato un tizio che mi ha proposto una tecnologia basata su quello che loro chiamano il "destroyatron", una macchina mostruosa che vetrifica i rifiuti a temperature pazzesche. Questi si credevano di essere Mazinga, ma sono solo rifiuti quelli da trattare, non mostri galattici.

Delle varie cose che mi sono capitate da esaminare nella commissione, c'è questa "dissociazione molecolare" di cui, negli ultimi tempi, si è parlato parecchio anche per via del ritorno dei mostri galattici.... pardon, degli inceneritori, con la crisi di Napoli.

Vi confesso che al primo colpo ho storto la bocca. Il nome "dissociazione molecolare" mi era parso decisamente poco indovinato. Il nome corretto per quel tipo di trattamento è "smoldering" che, in italiano, si dovrebbe tradurre come "fumigazione". D'altra parte, capisco anche che "fumigare" suona più come qualcosa che si fa al salmone appena pescato piuttosto che ai rifiuti, per cui posso anche capire che abbiano scelto un nome commerciale che suonava meglio.

Allora, premetto che io non sono un esperto di dissociazione molecolare. Ne so quello che ho imparato dal materiale che i proponenti stessi mi hanno dato e dalle risposte che hanno dato alle mie domande. So che esistono un certo numero di impianti funzionanti negli Stati Uniti e in Europa, in Islanda e in Scozia. Ma non rientra nella mia competenza dirvi se lo stesso impianto funzionerà altrettanto bene anche a Caltanissetta o a Busto Arsizio. Nella valutazione delle nuove tecnologie, bisogna sempre procedere passo dopo passo, con estrema cautela, verificando ogni cosa, il che, incidentalmente, è esattamente quello che la commissione interministeriale ha raccomandato di fare per la dissociazione molecolare.

A parte queste ovvie cautele, tuttavia, vi posso dire qualcosa sulla valutazione comparativa delle varie tecnologie che la commissione ha fatto e su dove si situa la dissociazione molecolare nelle nostre raccomandazioni.

Per prima cosa, un punto essenziale: nel trattamento dei rifiuti nessuna tecnica di smaltimento è sostitutiva alla gestione del processo che preveda a) riduzione alla fonte, b) riciclaggio e c) trattamento del rifiuto residuo.

Ciò detto, con quale criterio dovremmo giudicare un metodo di trattamento dei rifiuti? Beh, su questo punto abbiamo scritto in un certo dettaglio nel nostro rapporto. Diciamo che vorremmo, se possibile, ottenere energia, vorremmo che non si emettesse niente di tossico, e - infine - che fosse possibile anche il recupero post-trattamento delle materie prime. Su questi punti, la mia analisi evidenzia certi vantaggi della dissociazione molecolare.

L'idea della dissociazione molecolare è quella di un trattamento alla più bassa temperatura possibile di tutto quello che si può gassificare nel rifiuto, ovvero plastica e sostanze organiche. Si cerca di evitare la combustione e di produrre invece "syngas" che poi si può bruciare in un motore termico per recuperare energia. L'approccio è diverso da quello degli inceneritori, dove si cerca di bruciare alla temperatura più alta possibile per poi recuperare l'energia in una turbina a vapore.

Non so se in termini di energia l'inceneritore sia più efficiente della dissociazione molecolare, o viceversa. Dipende molto, probabilmente, dal tipo di rifiuto. In termini di emissione di sostanze tossiche, dipende dall'efficienza dei filtri. Diciamo che è probabile che la dissociazione molecolare non emetta, o perlomeno emetta meno, delle famose "nanopolveri" di quanto non faccia un inceneritore. La questione delle nanopolveri è molto complessa, ma è certamente un problema serio da non sottovalutare (vedi un mio articoletto in proposito).

Dove, secondo me, c'è il massimo interesse del dissociatore molecolare sta nel fatto che permette di recuperare i metalli dopo il trattamento. Dall'inceneritore, vengono fuori ceneri dalle quali non si recupera più niente in pratica. Nel dissociatore, invece, i metalli non vengono fusi. Se ci va dentro, per esempio, una lattina di alluminio, rispunta fuori tal quale (almeno in teoria). Al momento si cerca di recuperare i metalli prima del trattamento, ma recuperarli dopo potrebbe essere un'idea migliore; dato che a quel punto sono "puliti", avendo eliminato il residuo organico. L'importanza del recupero delle materie prime, per il momento, non è chiara a tutti. Ma, se considerate i risultati del lavoro che abbiamo fatto io e Marco Pagani sul "picco dei minerali," è evidente che diventa sempre più importante e nel futuro dovrà essere considerato come assolutamente vitale.

Ripeto ancora una volta che nessun trattamento termico deve essere considerato sostitutivo di una buona gestione, ovvero di un sistema che minimizzi la creazione di rifiuti e massimizzi il loro riciclaggio. Ma, comunque vada, una certa frazione di rifiuti deve essere smaltita in qualche modo e un sistema come la dissociazione molecolare potrebbe risultare estremamente interessante. Non è il caso di saltare i necessari stadi di sperimentazione prima di introdurla su larga scala in Italia, ma credo che valga decisamente la pena di considerare la cosa.

Vi segnalo il sito della ditta che produce questo tipo di macchine dove potete trovare ulteriori informazioni: http://www.energo.st/

Qui trovate il rapporto completo della commissione interministeriale per le migliori tecnologie di smaltimento dei rifiuti.


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venerdì, gennaio 11, 2008

Nucleare: mito e realtà


Nucleare: mito e realtà

created by Eugenio Saraceno


Sempre più spesso leggiamo sui media che l'energia nucleare è il futuro e che può risolvere i problemi dovuti ai combustibili fossili: alti prezzi, inquinamento, emissioni di gas clima alteranti. Segue la consueta annotazione sull'Italia che ha rinunciato stoltamente a questa opportunità e che siamo ancora in tempo per rimediare costruendo nuovi reattori o riattando ciò che si può recuperare dei vecchi.

Al di là dei discorsi fatti nei talk show e sui giornali in cui si dichiara solennemente che nucleare significa indipendenza energetica ma ci si guarda bene dal fornire dati quantitativi affidabili, per capire meglio l’impatto dell’energia nucleare su un sistema paese sarebbe utile esaminare e mettere a confronto qualche caso concreto di sistemi energetici in paesi che utilizzano o non utilizzano il nucleare. Cosa potrebbe accadere se l’Italia tornasse indietro sulla scelta di rinunciare al nucleare, quali vantaggi si otterrebbero, a fronte di quali costi? Per dare una risposta non c'è di meglio che mettere a confronto la denuclearizzatissima Italia con la nuclearizzatissima Francia . I risultati del confronto potrebbero essere inattesi per molti: con riferimento a dati del 2005 nonostante il nucleare, in Francia si consuma più petrolio che in Italia e quasi altrettanto carbone; tuttavia si consuma molto meno gas, più o meno quello che noi italiani dobbiamo bruciare per produrre l'energia elettrica. I carburanti per autotrazione hanno dei prezzi abbastanza simili a quelli che trovate nelle stazioni di servizio italiane, anche se nei distributori posti nei centri commerciali della grande distribuzione si può risparmiare qualche centesimo al litro.
Sembra sorprendente ma nel 2005 la bolletta energetica per i francesi ammonta a 37,5 mld di euro, solo un mld in meno di quella italiana. Ma allora a cosa serve il nucleare se anche il paese più nuclearizzato del mondo rimane schiavo degli idrocarburi? Sostanzialmente a pagare di meno la corrente elettrica, cosa che può far risparmiare una o due decine di euro al mese ad una famiglia media (ad un impresa qualcosa di più) anche se poi le famiglie e le piccole imprese francesi apprezzano talmente queste bollette leggere che consumano quasi il doppio delle italiane, andando a spendere mediamente le stesse cifre.

Comunque, nel caso gli Italiani ci ripensassero e decidessero di tornare al nucleare per pagare di meno la bolletta della luce, accettando anche la possibilità di ritrovarsi un impianto atomico a qualche km da casa, si può calcolare che per raggiungere un risultato utile dovremmo installare in giro per la penisola almeno 15-16 reattori (4-5 grandi centrali) per una potenza cumulativa di almeno 20 GWe, spendendo dai 40 ai 50 mld di euro e impiegando oltre 10 anni per veder funzionare i primi impianti.Ma poi un prezzo del kWh basso come in Francia potrà remunerare completamente le aziende elettriche che produrranno l'energia atomica o dovrà intervenire lo stato con dei sussidi "nascosti", magari legati ad attività militari relative ad armamenti atomici? Per quanto tempo disporremo di uranio per far funzionare i reattori e come lo procureremo? Potrebbe il nucleare sostituire completamente petrolio e gas? Cosa succederebbe se tutti i paesi decidessero di imitare la Francia e produrre l'80% della propria elettricità dal nucleare?
A queste ed altre domande si è provato a rispondere in questo lavoro in cui troverete anche i dati comparativi tra i consumi e i prezzi energetici italiani e francesi di cui si faceva menzione sopra.



mercoledì, gennaio 09, 2008

Pianura e la raccolta differenziata

Ci fa piacere ospitare sul blog questo articolo di Antonio Cavaliere sulla situazione della questione rifiuti a Napoli. Cavaliere è docente presso l'Università di Napoli, è autore del libro "Il Mucchio Selvaggio" ed è membro di svariate commissioni sul problema rifiuti. Qui, delinea un quadro della situazione e propone una vera soluzione che si potrebbe implementare da subito o quasi. Non potremmo, per una volta, dar retta a qualcuno che propone dei rimedi, invece di passare il tempo a inveire contro questo o contro quello? (U.B.)

Raccolta differenziata per discariche differenziate. Serve anche a Pianura.

Created by Antonio Cavaliere
(articolo comparso su La Repubblica)

Dobbiamo ricorrere alle discariche perché non c’è riduzione e riciclo dei rifiuti e perché non ci sono gli impianti di termodistruzione e di biotrasformazione. Però è anche vero il contrario: non ci sono inceneritori, gassificatori, pirolizzatori, composter, digestori anaerobici, né tantomeno politiche per la restituzione e l’incentivazione della differenziata perché ci sono i cumuli di rifiuti per strada e non ci sono discariche pronte per accoglierle.E’ un giro vizioso.Tutti sulle barricate!

Il commissario Bertolaso affermava “Io non vado a chiedere ai Campani di fare la raccolta differenziata fin quando ci sono questi cumuli per strada”. E’ la solita storia i napoletani sono sporchi, perché Napoli è sporca. Napoli è sporca, perché i napoletani sono sporchi. E’ un altro giro vizioso. Tutti deresponsabilizzati!

E’ inutile fare la raccolta differenziata dell’organico umido (per esempio scarti di cucina e di giardino) perché non ci sono gli impianti di digestione per farne compost. Le amministrazioni prendono i finanziamenti europei, ma poi gli impianti non si fanno perché basta che nella raccolta dell’umido vada a finire un po’ di plastica perchè il compost non abbia più valore economico. E siamo al terzo esempio di giro vizioso. Non conviene fare niente, tanto…!

Insomma ci saranno pure le colpe soggettive di tutta questa emergenza, ma ci sono anche delle buone ragioni per rinfacciarsele all’infinito inseguendoci nei più svariati e perversi giri viziosi.
E allora per spezzare questi circuiti malefici qualche volta bisogna far finta che l’altra metà del cerchio sia più virtuosa. Bisogna programmare unilateralmente. Alla fine non ci saranno scuse e stati di necessità dall’altra parte. L’equilibrio si assesta ad un livello più alto. Poi se a questa ragione, diciamo così generica, si aggiunge la possibilità di sollievo dall’emergenza, l’auspicio diventa quasi un “dovere”.

E’ il caso dell’impiego nella raccolta differenziata dell’umido organico. Sin da subito anche nell’emergenza, soprattutto nell’emergenza. Serve al ciclo della gestione dei rifiuti (quando ci sarà) e serve per dare una risposta parziale alla discarica di Pianura. Vediamo perché.

1) Il cosiddetto “umido” è la Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano (FORSU) che viene fuori da tutti i resti della cucina, dagli sfalci dei giardini privati e pubblici, dagli scarti dei verdumari. Tutta materia organica che se digerita da microorganismi in condizioni aerobiche (bisogna rivoltare i cumuli affinchè respirino) diventa compost per combattere la desertificazione. Ammonta almeno ad un quarto del Rifiuto Solido Urbano, ma a fine processo perde gran parte dell’acqua di cui è costituito per almeno metà del suo peso totale.

2) Questo tipo di raccolta differenziata può farsi da subito. Approssimativamente un quarto dei cassonetti e dei camion utilizzati oggi per la raccolta indifferenziata possono essere da subito utilizzati. Questi non sono proprio ideali per lo scopo, ma si ritrovano in condizioni migliori di quando caricano materiale già in fase di putrescenza. Insomma il costo di questa raccolta differenziata è prossima allo zero e nel tempo sarebbe minore di oggi perché questa frazione è già abbastanza densa di per sé e non ha bisogno dei costosi camion compattatori.

3) Se ci fossero gli impianti di digestione aerobica, casomai con un digestore anaerobico in testa per recuperare biogas, il problema sarebbe risolto. Ma anche in loro assenza, ed è questo il cuore della proposta, si può pensare di fare delle discariche differenziate, che accolgano solo questa frazione ed in cui i cumuli vengano rivoltati meccanicamente. Insomma discariche che siano esse stesse degli impianti di compostaggio. Nel caso malaugurato che queste non funzionino bene come compostiere sarebbero comunque delle discariche in cui bisogna recuperare un percolato senza sostanze inorganiche velenose. C’è una soluzione intermedia, anch’essa virtuosa, che dovrebbe realizzarsi dedicando parte degli attuali impianti di CDR a produrre almeno una Frazione Organica Stabilizzata, ovverosia un materiale inerte e parzialmente ammendante. La raccolta differenziata dell’ “umido” risulterebbe , in questo caso, anche di aiuto nel produrre il CDR per l’inceneritore , perché praticamente sottrarrebbe al rifiuto-combustibile gran parte dell’acqua che ne abbassa il potere calorifico.

4) A valle di questa raccolta della frazione umida e a valle di tutta la raccolta differenziata degli altri materiali, la frazione residua sarebbe solo di parti quasi secche. Nelle condizioni emergenziali in cui ci troviamo avrebbe allora senso chiedere che questa frazione diventi totalmente secca e non putrescibile, vietando il conferimento delle frazioni miste come il polistirolo usato negli imballaggi per alimenti e i pannolini usa e getta per i bambini. Almeno allorquando i rifiuti si accumulano per strada!

Insomma raccolta differenziata per discariche differenziate e qualche divieto su pochi prodotti che proprio non ricadono in nessuna categoria di conferimento virtuoso.

E’ una delle garanzie che si può offrire a chi accoglie una discarica. Ti chiedo di fare un sacrificio, ma lo faccio anch’io come cittadino perché tu abbia la massima garanzia possibile che io ti mandi una frazione differenziata governabile.

A pensarci bene che cosa è stato mai chiesto ai napoletani per superare la crisi? Quale sacrificio, quale atto di inciviltà abbiamo già espresso prima ancora di esserci stato richiesto? In condizione di emergenza non sarebbe questo il momento di far capire che Gomorra è fuori di noi e non lo siamo anche noi? Noi che ci indigniamo quando leggiamo, ma che ci sentiamo impotenti nelle nostre case?

Si può incominciare in due mesi.



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martedì, gennaio 08, 2008

L'infezione del bioetanolo



Stuart Staniford pubblica oggi su "The Oil Drum" uno studio inquietante sull'espansione della produzione del bioetanolo negli Stati Uniti.

La tesi di Staniford è che l'etanolo si comporta come un "infezione" che sta rapidamente consumando la produzione di mais negli Stati Uniti che non viene più trasformata in alimentari ma in carburante per veicoli. Studiando la crescita della produzione mediante un modello sigmoidale (vedi la figura sopra) arriva alla conclusione che, se le tendenze attuali continuano, in meno di 5 anni l'etanolo potrebbe consumare l'80% della produzione agricola di mais degli Stati Uniti. Una cosa del genere porterebbe a una carestia di massa e non solo negli Stati Uniti. Le stesse tendenze sono all'opera nel resto del mondo.

L'articolo di Staniford è lungo e complesso e richiede una lettura attenta e dettagliata. Nulla in questo articolo va preso come una profezia di sventura a Staniford stesso è molto attento a notare che sta parlando di scenari e non di predizioni. Tuttavia, rimane il punto centrale: se qualcosa non cambia, i meccanismi economici del mercato stanno facendo si che agli agricoltori convenga produrre etanolo invece di alimentari. Nella competizione per le risorse di mais disponibili, chi lo usa come alimento di base non riesce a competere economicamente con chi invece lo usa come carburante.

Non è detto che non intervengano altri fattori a bloccare la sparizione della produzione alimentare di mais. In principio, sembrerebbe difficile che i governi continuino a permettere, o addirittura a sostenere economicamente, un'attività che rischia di sterminare centinaia di milioni di persone. Allo stesso tempo, si può sperare che fonti energetiche più efficienti del bioetanolo ne prendano il posto rapidamente, evitando la carestia planetaria. Tuttavia, questo risultato di Staniford è estremamente preoccupante per il futuro di tutti noi e va considerato con attenzione.









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lunedì, gennaio 07, 2008

Il picco parla arabo


Anche nei paesi arabi, cominciano ad accorgersi del picco. Eccolo preso da http://www.oilpeakinarabic.org/un sito tenuto in Egitto da Hatem Elsayed Hany Elrefaai.


Lo trovate a:


http://www.oilpeakinarabic.org/

sabato, gennaio 05, 2008

Rifiuti Solidi Urbani. Oltre la sindrome NIMBY

L’approccio italiano allo smaltimento dei rifiuti è condizionato dalla presenza di due fondamentalismi. Quello di chi è convinto che la raccolta differenziata sia la risoluzione esclusiva del problema e quello di chi crede fideisticamente nella soluzione impiantistica degli inceneritori, giudicando la raccolta differenziata un giochino degli ambientalisti privo di efficacia. Se a questa contrapposizione si aggiunge il meccanismo tipicamente italiano del NIMBY, cioè l’opposizione totale delle comunità locali alla realizzazione di qualsiasi impianto, si capiscono facilmente i motivi delle nostra difficoltà ad affrontare efficacemente il problema. Ma, paradossalmente, in Italia sono presenti (soprattutto in Veneto, Piemonte e Lombardia) anche diverse esperienze esemplari oggetto di studio degli altri paesi europei, che dimostrano come l’obiettivo di una corretta ed efficace gestione dei rifiuti solidi urbani debba essere la realizzazione di un sistema integrato in grado di conseguire elevati valori di raccolta differenziata e recupero delle varie frazioni merceologiche e contemporaneamente un corretto smaltimento delle frazioni residue.
Con queste parole inizia il mio articolo “Rifiuti solidi urbani. Oltre la sindrome NIMBY”, pubblicato sul sito di Aspoitalia.

venerdì, gennaio 04, 2008

La crisi di Napoli: la reazione auto-immune della società


Si dipana in questi giorni l'emergenza rifiuti di Napoli. Un disastro annunciato; una crisi che sarebbe stata evitabile ma che è arrivata a causa di una vera e propria crisi auto-immune, una forma spasmodica di autodistruzione della società. Invece di cercare soluzioni, si cerca un colpevole da biasimare. Il risultato è inevitabile.

Il dibattito sulla crisi Napoletana ha trovato una sua micro-rappresentazione in un intervista andata in onda il 3 Gennaio su Fahreneit di RAI-3 alla quale hanno parlato Antonio Cavaliere, docente di ingegneria e autore del libro "il Mucchio Selvaggio", e Beppe Lanzetta, scrittore napoletano.

Lanzetta si è fatto interprete dello scoramento generalizzato della società napoletana. Ha detto che i rifiuti che si accumulano ormai all'altezza delle finestre al punto che non si può più nemmeno stendere i panni. Ha detto che bisogna chiamare le cose con il loro nome, ovvero parlare della Camorra; che la classe politica attuale ha fallito e che se ne devono andare a casa. Ha detto che tutti sono stanchi di questa situazione; che Napoli una volta era il paese del sole e che ora è un paese dove lui e i suoi figli non vogliono più vivere.

Cavaliere ha domandato con chi si dovrebbero rimpiazzare i politici cacciati via e che cosa i nuovi politici potrebbero fare di diverso. Ha detto che la Camorra è solo uno dei fattori in gioco, che il problema rifiuti non esiste solo a Napoli e che ai cittadini Napoletani non è mai stata data la possibilità di dimostrare che sono altrettanto civili e in grado di fare la raccolta differenziata di quanto non facciano già i cittadini di tante città del Nord. Cavaliere ha anche elencato soluzioni possibili alla crisi; non solo la raccolta differenziata ma molti modi possibili di ridurre i rifiuti alla fonte.

In sostanza, Cavaliere propone di fare qualcosa di rimboccarsi le maniche e di lavorare tutti insieme per ridurre la produzione dei rifiuti. Lanzetta invece propone di cercare i colpevoli politici, camorristi o chi altro, di cacciarli o punirli e che questo porterà, in qualche modo, a far sparire i rifiuti.

Notate come si riproponga per i rifiuti di Napoli la contrapposizione che abbiamo in campo energetico a livello nazionale. ASPO-Italia e altri propongono di rimboccarsi le maniche e lavorare tutti insieme per risolvere la situazione: le soluzioni che abbiamo, rinnovabili e efficienza, non saranno perfette, ma ci sono e funzionano. Dall'altra parte, abbiamo una posizione che propone di cercare i colpevoli e se la prende con in politici, i petrolieri, gli arabi, gli ambientalisti o che altro, e che spera di poter risolvere tutto con qualche provvedimento legislativo (tipo la riduzione delle accise) o le centrali atomiche, la macchina ad aria compressa o cose del genere.

Questo atteggiamento che cerca spasmodicamente qualcuno a cui dare la colpa porta a una vera e propria paralisi decisionale. Come è ovvio, chi viene accusato non se ne sta zitto a subire e reagisce, di solito dando la colpa a qualcun altro, come vediamo benissimo con la crisi di Napoli. Lo vediamo altrettanto bene nella discussione sull'energia dove ci si perde a criticarsi a vicenda invece che a lavorare. Il risultato è, appunto, una specie di reazione auto-immune dove le sezioni della società che dovrebbero collaborare fra di loro per risolvere il problema si ritrovano invece a combattersi fra di loro.

Se per l'energia la situazione è difficile per ragioni oggettive di esaurimento delle risorse, per i rifiuti, la follia di questo momento e veramente molto particolare. Non risulta nella storia umana il caso di una società che si sia trovata nella condizione di essere sommersa dai propri rifiuti. Non è affatto detto che questo debba avvenire e che non si riesca a reagire a questa situazione ha un aspetto oscuramente inquietante, come se fosse la manifestazione di una società ormai totalmente ingessata e incapace ormai di adattarsi a qualsiasi cambiamento. Non è solo quello dei rifiuti il problema e nemmeno il più importante. Ma se quella mostrata in questi giorni è la nostra capacità di adattarci e di risolvere i problemi, allora siamo veramente nei guai.

Eppure, io credo che quella Napoletana sia una società più vitale e creativa di molti altri casi che conosco. Da cosa lo deduco? Beh, l'ultima volta che sono stato a Napoli, due mesi fa, ho visto diverse cose interessanti. Una è che dove ci sono i cassonetti per la raccolta differenziata, vengono utilizzati correttamente. Una ancora più unteressante sono i cartelli "compro rame" chesi vedono sul lungomare e che non avevo visto in nessun altra città in Italia. Con l'aumentare dei prezzi del rame, a Napoli si sono adattati a riciclarlo più alla svelta di noi, al Nord. Non darei la partita per perduta e sono convinto che, giù a Napoli, finiranno per reagire meglio di noi.


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L'intervista a Lanzetta e Cavaliere la trovate a questo link: (comincia al quindicesimo minuto della trasmissione)

http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio_2008/audio/intervista2008_01_03.ram





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Guidare o mangiare?


Guidare o mangiare?
Idee e proposte per i piccoli comuni d'Italia

created by David Conti

Gli occhi del mio interlocutore sono come saette. Li vedo muoversi velocemente, scomparire ed apparire dietro lo sbattere compiaciuto delle palpebre, l’espressione viva ed interessata di chi sembra in piena sintonia con i miei ragionamenti. Ecco un grande cenno di approvazione quando il discorso tocca la desertificazione galoppante e gli scompensi nei cicli delle piogge. I “si” che escono dalla sua bocca accompagnano ogni accenno alla necessità di rispettare il protocollo di Kyoto e di aumentare gli investimenti in energie rinnovabili.

Ma poi la fisionomia del mio interlocutore cambia improvvisamente. Gli occhi, prima vivi e attenti, sembrano spegnersi lentamente al primo pronunciare della parola petrolio. La fronte diventa corrucciata quando entra in scena un geologo di nome Hubbert e quando il discorso entra nel vivo di razionamenti di carburante, scaffali dei supermercati vuoti e disoccupazione rampante, immagino che se ci fosse un encefalogramma che misurasse il livello di comprensione e di accettazione di un concetto, questo sarebbe piatto o quasi.

Introdurre il tema del Picco del Petrolio a parenti, amici e conoscenti non è mai semplice. Spesso e volentieri ci si scontra con delle mentalità talmente soggiogate dal quel pensiero unico, che coniuga la crescita economica a tutti i costi con il benessere della persona, che diventa un gioco da ragazzi farsi bollare come pazzi visionari. Ma il “picchista” non si lascia scoraggiare da queste prime, prevedibili, difficoltà. Armato di pazienza certosina, spiega, descrive, illustra, magari partendo da 150 milioni di anni fa quando i primi depositi di alghe adagiati sul fondo di qualche oceano primordiale iniziarono la loro trasformazione in quella sostanza viscosa che girare il mondo fa.

Posso riscontrare personalmente che, lentamente, il discorso trova terreno fertile per attecchire nelle menti di chi ci è più vicino. Alla fine della “cura Hubbert” la persona vede una bottiglia in pet contenente latte e riconosce il petrolio presente nella struttura del contenitore, nel serbatoio del camion che lo ha portato fino al supermercato, nell’energia che ha fatto funzionare i macchinari che hanno munto la mucca e nei concimi, fertilizzanti e diserbanti usati per produrre i mangimi trangugiati dall’animale. Questo livello di consapevolezza è un primo risultato che, si spera, porterà ad una elaborazione indipendente delle azioni necessarie a rendersi più autonomi dalla schiavitù dell’oro nero.

Dall’ambito familiare alla comunità, la sfida diventa più impegnativa. Da quando qualche anno fa sono stato fulminato sulla via di Houston dalla curva a campana di Hubbert, ho avuto un pensiero fisso, far comprendere a quante più persone possibili le conseguenze potenzialmente devastanti che la mancanza di una fornitura abbondante ed a basso costo di petrolio potrebbe avere sulle nostre esistenze. Mano a mano che leggevo quelli che ormai sono diventati dei veri e propri maître-à-penser del pensiero “picchista” come Kunstler e Heinberg, ecco che la risposta si delineava nella forma di un piccolo comune abitato da meno di 10000 persone.

Se negli anni del boom economico c’è stato un vero e proprio esodo dalla campagna verso la città, un mondo depotenziato vedrà una sempre crescente fetta di popolazione abbandonare la giunga di asfalto per tornare “al paesello”. E a maggior ragione, se la dimensione locale avrà sempre più importanza su quella nazionale, di riflesso lo sarà anche per le istituzioni che saranno preposte a prendere decisioni importanti. Da qui, la mia idea di fare lobby su due fronti: il sociale e l’istituzionale. Gli amministratori locali, se ben consci del picco e delle sue conseguenze, grazie ad un maggiore polso del territorio avranno la capacità di sviluppare politiche adatte a mitigare gli effetti negativi, facendo presa su una popolazione che avrà una infarinatura generale sull’argomento.

“Guidare o Mangiare? Il Picco del Petrolio: il problema mondiale e la soluzione locale” è un documento di 25 pagine, che ha la pretesa abbastanza impegnativa di spiegare alla popolazione ed alle istituzioni il mondo del Petrolio a 360 gradi. Partendo dai processi che lo formano, dalle nazioni che lo producono, per addentrarsi in dettagli tecnici come le tecniche di estrazione e le difficoltà incontrate nella ricerca di nuove fonti, per arrivare infine alle conseguenze negative sull’economia e sull’ordine sociale che la graduale scarsità porterà con se. Nelle pagine finali voglio offrire anche una ricetta su come costruire delle comunità veramente sostenibili, dai più semplici interventi di risparmio energetico, a progetti più ambiziosi di reti elettriche p2p fondate su fonti rinnovabili, dalla costituzione di gruppi di acquisto solidali alla trasformazione di grande parte della forza lavoro in braccianti agricoli.

Nel mio caso specifico, io e la mia famiglia stiamo investendo risorse ed energia nello sviluppo di una casa “a prova di picco” inserita nel contesto della provincia beneventana. Ed il prossimo passo sarà quello di iniziare un dialogo sempre più fitto con le istituzioni locali e la comunità, conscio del fatto che questo territorio, così come gran parte della “piccola” Italia ha tutte le potenzialità e le risorse autoctone per rispondere alle crisi.

Spero che il 2008 sia “l’anno della consapevolezza” e che ASPO ed i suoi soci possano essere la chiave per avviare la trasformazione della nostra società. Diamoci da fare, perché oltre al petrolio, anche il tempo scarseggia.



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