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venerdì, novembre 06, 2009

EROWI: il ritorno energetico dell'acqua investita

Immagine da un articolo di Robert Service in Science Magazine.


E' uscito oggi su "The Oil Drum" un mio post sul concetto di EROWI: energy return of water invested, ovvero il ritorno energetico dell'aqua investita. Quello dell'EROWI è un concetto molto simile a quello dell'EROEI; il ritorno energetico dell'energia investita; soltanto che si considera l'acqua come investimento.

L'acqua è una risorsa rinnovabile ma, come tutte le risorse rinnovabili, può essere sovrasfruttata e esaurirsi. Per questo, in molte zone del mondo siamo già in piena competizione fra i vari usi: industriali, agricoli e domestici. A questo punto, diventa difficile parlare a favore di certe fonti energetiche, come i biocombustibili, che oltre ad avere un basso EROEI richiedono anche moltissima acqua - come si vede dalla tabella riportata da Service. Anche l'energia nucleare non ne viene fuori bene e, in effetti, esiste tutta una storia di difficoltà di raffreddamento delle centrali che è riassunta a questo link.

Come era prevedibile, il post ha generato commenti piuttosto antipatici da parte dei biocombustibilisti e dei nuclearisti, colpiti sul vivo. Sembrerebbe che, quando uno ha scelto il suo orticello da coltivare, è molto difficile convincerlo che non potrebbe non essere una buona idea. Stiamo cominciando ad accorgersi che esiste un problema energetico, ma non ci siamo ancora accorti che certe pretese soluzioni non lo sono.

mercoledì, ottobre 08, 2008

Mi fa il pieno di mais?

Sul sito dell’Unione Petrolifera sono disponibili alcuni documenti relativi a uno studio sui biocarburanti eseguito da Nomisma Energia, dal titolo “I biocarburanti in Italia”, che contiene dati e analisi interessanti sulla situazione e sulle prospettive di questo settore.
I biocarburanti nel mondo contano attualmente per il 2,3% dei consumi mondiali di carburanti, dopo 30 anni di sostegno. Lo studio prende in esame le esperienze dei due principali produttori mondiali, gli USA e il Brasile, rilevando che lo sviluppo relativo della produzione di bioetanolo dipende da condizioni locali difficilmente riproducibili in altri paesi. Nel 2008 un terzo della produzione di mais degli USA sarà destinato ad essere impiegato per la produzione di bioetanolo, oltre 100 Mtonn. Il doppio rispetto al 2006. Questa è la singola causa più importante del rialzo dei prezzi alimentari. Nonostante questo sforzo, negli USA solo il 4% dell’energia consumata nei trasporti proviene dai biocarburanti.
L’obiettivo dell’U.E. del 5,75% di biocarburanti rispetto al consumo di benzina e gasolio al 2010, non sarà raggiunto, verrà spostato al 2015, ma non è certo il suo conseguimento. In Italia, per raggiungere l’obiettivo, servirebbero al 2010, 2,1 milioni di ettari di superficie agricola, ma il potenziale teorico è oltre tre volte più basso. (Per inciso, questa superficie rappresenta quasi il 20% di quella agricola totale).
Lo studio ha un’appendice dedicata al LCA (Life Cycle Assessment) della produzione di biocarburanti in Italia. Per il bioetanolo, il rapporto tra energia ottenuta e quella impiegata è 1,2, per il biodiesel è 2,5. Numeri certamente non entusiasmanti.

Queste le conclusioni sintetiche dello studio:
I biocarburanti sono destinati a crescere.
Le politiche sono complesse e i tempi lunghi, in particolare in Italia.
Non sono la principale causa dell’aumento dei prezzi degli alimenti.
Gli obiettivi ambiziosi sono già stati aggiustati.
I biocarburanti sono giustificati per aiutare l’agricoltura.
I potenziali impatti sui prezzi sono dell’ordine di 1-2 € cent/litro alla pompa.
Il bilancio energetico e della CO2 in Italia danno valori inferiori alle soglie della commissione.
Non esiste sufficiente terreno in Italia e in Europa.
Minori difficoltà oggi per il biodiesel.
Grandi innovazioni tecnologiche necessarie in futuro per materia prima non alimentare.

In sostanza questo studio mi sembra confermi quanto già sapevamo: la bassa densità di energia, da cui deriva la necessità di grandi estensioni di superficie agricola da riconvertire, e la conseguente competizione con la produzione alimentare, rendono assolutamente impraticabile la strada dei biocarburanti per il trasporto individuale di massa. A mio parere, i biocarburanti potrebbero invece svolgere un utile ruolo di nicchia in alcuni settori economici come quello dell’agricoltura, sostituendo i carburanti convenzionali nelle macchine agricole utilizzate per la produzione.

domenica, aprile 27, 2008

Come le migliori intenzioni possono fare grossi danni: il caso della filiera lunga dei biocombustibili



Burocrazia e incompetenza messe insieme possono fare danni immensi. Su questo punto, mi è sempre rimasta in mente una nota che aveva scritto James Gordon nel suo libro "La nuova scienza dei materiali resistenti". Gordon descriveva le leggi che regolavano la tassazione dei trasporti navali in Inghilterra e notava che a un certo punto queste leggi avevano fatto si che si costruissero navi che avevano forme della stiva adatte a minimizzare le tasse ma inadatte a tenere il mare.

Questa storia mi è ritornata in mente qualche giorno fa quando ho sentito una conferenza di Gianni Tamino sulla questione dei biocombustibili. Tamino ha raccontato delle tantissime iniziative per nuove centrali elettriche a biomassa in Italia. Ebbene, nessuna di queste centrali si farebbe se non fosse per il supporto finanziario che ricevono informa di "certificati verdi", soldi pagati dalle nostre tasse giustificati, in teoria, per la protezione dell'ambiente.

Ma perché una centrale a biomassa è considerata cosa buona per l'ambiente? Beh, si suppone che sia "neutrale" nei riguardi della CO2 emessa. Ovvero, si suppone che la CO2 che viene emessa quando si brucia la biomassa sia CO2 previamente assorbita dalle piante e che - quindi - non aumenta il totale di CO2 nell'atmosfera.

Vero, in teoria. Ma in pratica c'è un piccolo problema che Tamino ha fatto notare. Queste centrali sono piuttosto grandi - altrimenti non sarebbero un affare - e quasi mai la biomassa prodotta localmente è sufficiente per alimentarle. Spesso i promotori (quando sono onesti) dichiarano esplicitamente che importeranno olio di palma come combustibile, tipicamente arriva dall'Indonesia. Quando sono un po' meno onesti non dicono da dove arriva il combustibile e quando sono decisamente poco onesti dichiarano che arriva da fonti locali. Ma l'olio di palma dall'Indonesia è il combustibile che costa meno di tutti e in quasi tutti i casi si sa che è l'olio di palma che alimenta la centrale; perlomeno in parte.

Ora, in primo luogo portare l'olio di palma da grandi distanze vuol dire usare petrolio per il trasporto, il che è già un modo di produrre CO2 irreversibile. La CO2 viene anche prodotta dai macchinari agricoli, fertilizzanti e cose del genere. Un problema ancora più grave è che per piantare le palme e fare olio di palma - molto richiesto in Europa per queste centrali - in Indonesia stanno distruggendo ogni anno la foresta tropicale su una zona grande come la Toscana.

Il problema vero, fa notare Tamino, è che una piantagione di palma da olio assorbe circa 1/10 della quantità di CO2 che la foresta tropicale assorbiva per la stessa area. In altre parole, col cavolo che la centrale a olio di palma è "neutrale" in termini di emissioni di gas serra!

Si può essere pro o contro le centrali a biomassa per tante ragioni. Se usassero veramente risorse locali, potrebbero essere una cosa buona, sempre che si stia molto attenti alle emissioni. Ma è inaccettabile che i soldi delle nostre tasse vengono usati in nome dell'ambiente per sostenere attività che danneggiano l'ambiente.

Purtroppo, non tutti hanno chiaro questo punto e continuano a sostenere la "filiera lunga".



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

martedì, aprile 08, 2008

Biocombustibili? No grazie!

"L'etanolo fa risparmiare petrolio e riduce l'inquinamento"


Una buona notizia dalla Germania, un'altra delle tante che ci arrivano da laggiù sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Il ministro dell'ambiente Gabriel ha annunciato il 4 Aprile 2008 la cancellazione del piano di introdurre il 10% di biocombustibili nel sistema di distribuzione di carburanti.

Ufficialmente, arriva per non costringere i proprietari di vecchie automobili a pagare di più la benzina. Spiegazione un po' curiosa, ma poco importa. Sicuramente hanno avuto effetto le proteste di quelli che vedevano i biocombustibili minacciare la produzione di cibo e devastare il suolo europeo. Probabilmente, la defezione della Germania darà il colpo di grazia ai piani della commissione Europea per lo sviluppo dei biocombustibili.

Sembra che i biocombustibili abbiano fatto molto alla svelta a passare il loro picco di Hubbert. Il petrolio ci ha messo 150 anni, i biocombustibili solo pochi anni. D'altra parte; è bene che sia così.


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http://www.dw-world.de/dw/article/0,,3243753,00.html?maca=en-rss-en-all-1573-rdf

Environment 04.04.2008
German Environment Minister Calls Off Biofuel Plans
Gabriel wants to fight climate change without punishing motorists

German Environment Minister Gabriel said the country would be shelving plans to develop biofuels because they were not appropriate for millions of vehicles. Environmental protection groups supported the move.

"We will not do it," Gabriel, a Social Democrat, told the television channel ARD on Friday, April 4. "It is not a measure dealing with environmental policy, but a measure destined to aid the automobile industry."

The news dealt a blow to so-called green fuels, which have been seen as a way to reduce global warming by reducing carbon dioxide emissions.

Mixing plant-based ethanol with fossil gasoline can reduce emissions of carbon dioxide, one of several so-called greenhouse gases that exacerbate climate change.

But ecologists have complained about the practice not least because a number of countries destroy tropical rain forests in order to cultivate the plants used to make biofuels.

Germany had initially hailed biofuel blending as a way of achieving reductions in greenhouse gases without imposing restrictions proposed by the EU, which could hit the country's performance car industry.

The German E10 project was supposed to ensure that 10 percent of petrol used by cars and light trucks in Germany was comprised of ethanol by 2009.

The initiative formed the cornerstone of Berlin's ambitious climate change policy package laid out in 2007, designed to cut emissions 40 percent by 2020 at a cost of 3.3 billion euros ($5.2 billion).

But politicians and industry groups had criticized the plans to raise the level to 10 percent for some gasoline grades from 5 percent, saying that the increase would damage older cars because the biofuels were more corrosive than conventional petrol and threatened to wear out certain engine parts too quickly.

Meanwhile, Otmar Bernhard, Environment Minister in Bavaria from the conservative CSU party, called the blending plans "climate policy hot air."

Gabriel said he would abandon the project if the number of vehicles that could not use the fuel surpassed 1 million.

On Friday he said the number had exceeded 3 million and that these cars were not ready for the new fuel and could be forced to switch to more expensive, unblended gasoline grades because of possible damage. Most of the cars in question are imported.

The environment minister said he feared the change could hit lower earners who generally own older cars.

"Our environmental policy does not want to be responsible for driving millions of car drivers ... to expensive super plus petrol pumps," he told the mass-circulation Bild tabloid.

Gabriel blamed the car industry for the switch in policy, saying it had revised its figures.

The German automakers association VDA had said Thursday that the number was much lower, at around 360,000, and that the jump in affected automobile was due to imported cars.

"The German automotive industry has done its homework and stuck to its word," VDA president Matthias Wissmann said.

giovedì, aprile 03, 2008

E alla fine non rimarrà più niente da mangiare


Peter Bracker, presidente di Nestle, non ha peli sulla lingua nel denunciare il pericolo dei biocombustibili in questo comunicato a AFP del 23 Marzo.

Bracker ha detto "se, come previsto, useremo i biocombustibili per soddisfare il 20% della domanda crescente di petrolio, non rimarrà più niente da mangiare"


Più chiaro di così, è difficile. Il fatto che lo dica il presidente della Nestle non è cosa da poco.


(Nota: se vogliamo essere proprio pignoli, il piano della UE prevede di usare i biocombustibili per sostituire "soltanto" il 10% del consumo di petrolio. Beh, allora possiamo stare tranquilli....)

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http://forums.myspace.com/t/3855746.aspx?fuseaction=forums.viewthread

Biofuel boom threatens food supplies: Nestle

by Staff Writers

Zurich (AFP) March 23, 2008

Growing use of such crops wheat and corn to make biofuels is putting world food supplies in peril, the head of Nestle, the world's biggest food and beverage company, warned Sunday.

"If as predicted we look to use biofuels to satisfy 20 percent of the growing demand for oil products, there will be nothing left to eat," chairman and chief executive Peter Brabeck-Letmathe said.

"To grant enormous subsidies for biofuel production is morally unacceptable and irresponsible," he told the Swiss newspaper NZZ am Sonntag.

While the competition is driving up the price of maize, soya and wheat, land for cultivation is becoming rare and water sources are also under threat, Brabeck said.

His remarks echoed concerns raised by the United Nations' independent expert on the right to food, Jean Ziegler.

Speaking at the UN General Assembly last year, Ziegler called for a five-year moratorium on all initiatives to develop biofuels in order to avert what he said might be "horrible" food shortages.

Diplomats from countries pursuing such fuels, such as Brazil and Colombia, disagreed with his forecast.



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sabato, marzo 22, 2008

Energie Rinnovabili: alcune comparazioni


Nel diagramma sono riportate le densità energetiche in termini un po' esotici: lunghezze (in miglia) percorribili da un'utilitaria-tipo alimentata da un'unità di superficie (acre) dedicata esclusivamente a una certa forma di Energia Rinnovabile

Ci segnala il lettore Giovanni Galanti il seguente link


in cui si mette a confronto la "redditività energetica" di alcune forme rinnovabili.

Riporto di seguito la traduzione (a mia cura. Non essendo traduttore professionista, chi volesse approfondire le sfumature potrà riferirsi al link)



Molte persone si stanno entusiasmando alle varie tecnologie che utilizzano biocombustibili (di un tipo o di un altro) in sostituzione dei combustibili fossili, e che potrebbero rappresentare una soluzione nel breve termine.

Però, l'osservazione delle varie forme di produzione di Energia possibile fornisce una "vista" alle migliori direzioni per promuovere lo sviluppo di quelle più efficienti nel lungo termine.

Uno studio citato in EV World fornisce una comparazione tra diverse forme (sia agricole, che dirette), in termini di "miglia per acre" [di un ipotetico veicolo-sonda], con alcune informazioni che aprono gli occhi.

Nella parte bassa della scala (in alto nel grafico) troviamo il biodiesel da semi di soia, che può fornire solo 2.400 miglia per acre all'anno.

L'etanolo da mais è più efficiente di circa 6 volte, fornendo 18.000 miglia per acre all'anno. Ma a causa della relativa lentezza nella produzione di combustibili da piante, queste optioni sono ordini di grandezza al di sotto della produttività dei cosidetti "metodi diretti".

La stessa superficie può produrre 10 volte più energia dal vento (confrontando ad es. con l'etanolo): 180.000 miglia per acre all'anno. Ma sia l'etanolo che l'energia eolica impallidiscono di fronte al fotovoltaico, che può produrre più di 2 milioni di miglia di trasporto, sempre per acre all'anno.

Quanto detto non è finalizzato a mettere "fuori combattimento" i biocombustibili. Il costo di un acre ricoperto di moduli fotovoltaici è circa 100 volte superiore quello relativo all gestione di un acre coltivato a mais. Certi biocombustibili possono essere prodotti in terre marginali, che "soffrono" di insolazione inferiore. E l'etanolo cellulosico può anche essere prodotto da scarti, risultando effettivamente una forma a "uso di terra" pari a zero.

Inoltre, presumibilmente le comparazioni sono basate su siti che possono rendere il massimo per ciascuna forma di generazione. Un territorio che si presta allo sfruttamento dell'energia eolica potrebbe non essere un buon sito per il mais, eccetera.

Le infrastrutture e l'attuale "parco auto" sta mostrando di richiedere decenni per diversificarsi a un livello di avere una significativa parte di veicoli elettrici circolanti. Un mix ragionato e ottimizzato per territori necessita di essere parte di un piano energetico.


[Grazie a Giovanni per la segnalazione]




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