mercoledì, dicembre 14, 2011

Riconsiderare la crescita della popolazione tenendo conto dell'effetto dei limiti ecologici


Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2011 su Environment 360 


I demografi prevedono che la popolazione mondiale salirà a 10 miliardi entro la fine secolo. Ma con il pianeta che diventa più caldo e un crescente numero di persone che premono sugli ecosistemi e sugli approvvigionamenti di acqua e di cibo, si tratterà questa volta di un boom della popolazione o di un fiasco?



di Robert Engelman

La parte più difficile sulla previsione del futuro, ha detto qualcuno, è che non è ancora avvenuto. Quindi è un po' strano che così pochi esperti mettano in dubbio la saggezza demografica secondo cui la Terra ospiterà circa 9 miliardi di persone nel 2050 e si stabilizzerà sui 10 miliardi alla fine del secolo. Ai demografi sembra coerente fare proiezioni in cui l'aspettativa di vita continua ad aumentare mentre i tassi di natalità sono in costante deriva verso il basso, fino a quando il numero di umani si stabilizzerà ad un livello con 3 miliardi di persone in più di quante vivono oggi sul pianeta.

Quello che c'è di strano in questa previsione demografica è quanto poco sembra tener conto delle previsioni ambientali. C'è poca controversia scientifica sul fatto che il mondo stia andando verso un clima più caldo e più estremo, con disponibilità di acqua ed energia meno affidabili, ecosistemi sempre più modificati, con un minor numero di specie, con gli oceani più acidi, e naturalmente i terreni meno produttivi. Siamo così intelligenti e creativi da credere che nessuna di queste tendenze avrà alcun impatto sul numero degli esseri umani che il pianeta è in grado di sostenere? Quando si mettono le proiezioni demografiche fianco a fianco con quelle ambientali, ci si rende conto che le prime si prendono gioco delle seconde, suggerendo che ciò che è in serbo per noi non sarà che un inconveniente minore. La vita umana sarà meno piacevole, forse, ma non sarà effettivamente minacciata.

Alcuni analisti, che vanno dagli scienziati David Pimentel della Cornell University al consulente finanziario e filantropo Jeremy Grantham, hanno il coraggio di sottolineare la possibilità di un futuro alternativo più oscuro. Sfidando l'ottimismo della maggioranza, suggeriscono che l'umanità ha da tempo superato una popolazione mondiale realmente sostenibile, il che implica che vecchi e nuovi cavalieri dell'apocalisse, potrebbero causare un aumento della mortalità diffusa man mano che la crisi ambientale si dipana. La maggior parte di coloro che scrivono su ambiente e popolazione sono restii a considerare tali previsioni. Ma dovremmo chiederci, almeno, se tali possibilità sono abbastanza reali da temperare la consueta sicurezza riguardante le proiezioni demografiche future.

Per ora, possiamo essere quasi certi che la popolazione mondiale raggiungerà i 7 miliardi entro la fine di quest'anno. Siamo già prossimi a quel numero già adesso ed aggiungiamo circa 216.000 persone al giorno alla popolazione esistente. Ma la "variante media" delle proiezioni demografiche delle Nazioni Unite, il gold standard degli esperti per quanto concerne le aspettative demografiche future, richiede un ulteriore salto della fede: essa infatti assume che non avranno alcuna influenza sulla demografia i cambiamenti ambientali che ci potrebbero portare a vivere in quello che il climatologo della NASA James Hansen ha definito "un altro pianeta.”



Quanto diverso da quello attuale? Molto più caldo, secondo la valutazione del 2007 dell'IPCC - in media fino a 10 gradi Fahrenheit più di oggi (circa 5,5 gradi centigradi NdT). Con un livello dei mari 2-6 metri superiore in senso verticale a quello attuale, il che significa che il mare potrebbe penetrare per centinaia di metri nell'entroterra attualmente abitato delle aree costiere. Con una estremizzazione di fenomeni quali la siccità e le tempeste. Con una modificazione dei modelli di propagazione delle malattie infettive man mano che si aprono nuove opportunità per la sopravvivenza e la diffusione degli agenti patogeni.


Ci si possono attendere inoltre sconvolgimenti degli ecosistemi globali via via che l'aumento delle temperature e la modifica delle condizioni delle precipitazioni, pone in condizioni di stress e disperde le specie animali e vegetali. A questo si aggiunga il possibile scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya, che sconvolgerebbe le forniture di acqua dolce da cui dipendono per la produzione alimentare 1,3 miliardi di abitanti della Cina e del sud dell'Asia (naturalmente un numero in aumento).

E tutto questo solo a causa del cambiamento climatico, sulla base dello scenario più drammatico della gamma di proiezioni scientifiche dell'IPCC e di altri gruppi. Comunque, anche lasciando perdere la possibilità che si realizzi una condizione climatica tanto drammatica, la stessa crescita della popolazione mina in altri modi le basi per la sua continuazione. Dal 1900, i paesi che ospitano quasi la metà della popolazione mondiale sono entrati in condizioni di stress cronico per la scarsità d'acqua a causa del declino della disponibilità di acqua dolce pro-capite. 


A causa di questo fatto i livelli delle falde acquifere e anche di numerosi laghi stanno diminuendo in tutto il mondo. Secondo l'International Water Management Institute in soli 14 anni, sulla base delle proiezioni demografiche medie la maggior parte del Nord Africa e del Medio Oriente, oltre a Pakistan, Sud Africa e gran parte della Cina e dell'India, sarà spinto dalla scarsità d'acqua, "anche realizzando alti livelli di efficienza dell'irrigazione", ad una crescente dipendenza dalle importazioni alimentari.

L'estensione dei terreni coltivati nel mondo ha avuto uno scarso ampliamento dal 1960, con milioni di ettari di terreni agricoli divorati dallo sviluppo urbano, mentre estensioni quasi uguali di suoli meno fertili finivano sotto l'aratro. Il raddoppio del numero degli uomini ha ridotto alla metà la quantità di terreni coltivabili pro-capite. E gran parte di questo bene essenziale è in declino in termini di qualità a causa del fatto che la produzione costante succhia nutrienti che sono fondamentali per la salute umana, mentre il suolo stesso si erode attraverso la doppia stangata del maltempo e di una manutenzione meno che perfetta da parte dell'uomo. I fertilizzanti aiutano a ripristinare la fertilità (anche se raramente i micronutrienti), ma a prezzi sempre più alti e con ingressi massicci di risorse non rinnovabili come petrolio, gas naturale e minerali fondamentali. Il Fosforo in particolare, che è un minerale non-rinnovabile essenziale per tutta la vita, è stato consumato e sprecato a tassi sempre più rapidi, suscitando il timore di un imminente "picco del fosforo."



Siamo in grado di riciclare fosforo, potassio, azoto e altri minerali e nutrienti essenziali, ma il numero di persone che anche il più efficiente possibile dei sistemi di riciclaggio può sostenere può essere molto inferiore all'odierna popolazione mondiale. Nel 1997, il geografo canadese Vaclav Smil ha calcolato che se non fosse per la fissazione industriale dell' azoto [vedi nota, NdR], la popolazione mondiale probabilmente non avrebbe superato i 4 miliardi di persone - 3 miliardi meno di quanti vivono oggi sul pianeta. E' probabile che l'agricoltura biologica possa nutrire molte più persone di quanto non faccia attualmente, ma la rude contabilità dei nutrienti interni ai 7 miliardi di corpi umani di oggi, per non parlare dei 10 miliardi previsti per domani, pone una sfida alla speranza che un sistema agricolo neutrale per il clima possa alimentare tutti noi.


La produzione alimentare richiede anche molti servizi della natura che l'agronomia convenzionale tende ad ignorare nella proiezione dell'offerta futura di alimenti, e l'affidabilità di questi servizi sembra sfilacciarsi. Circa una ogni due o tre forchettate di cibo si basa sull'impollinazione naturale, eppure molti fra gli impollinatori più importanti del mondo sono in difficoltà. Le api stanno soccombendo a causa del minuscolo acaro Varroa, mentre un gran numero di specie di uccelli fronteggia minacce che vanno dalla perdita di habitat a quella rappresentata dai gatti domestici. I pipistrelli e innumerevoli altri predatori di parassiti sono in declino a causa di condizioni ambientali degradate che gli scienziati non sono ancora in grado di comprendere appieno. E la perdita di biodiversità vegetale e animale in generale rende l'umanità sempre più dipendente da una manciata di specie vegetali chiave e di input chimici che rendono la produzione di cibo meno, e non più, resiliente. Non c'è bisogno di sostenere che l'aumento dei prezzi dei cereali, le rivolte per il cibo, la fame che in certe parti del mondo è stata sperimentata negli ultimi anni sono puramente un risultato della crescita della popolazione, per preoccuparsi che ad un certo punto una ulteriore crescita sarà limitata dalla limitata disponibilità di cibo.


Mentre la crescita demografica fa si che gli esseri umani vadano ad occupare ecosistemi un tempo isolati, nuovi vettori di malattie incontrano l'attrazione di grossi pacchetti di protoplasma che camminano su due gambe e si possono spostare ovunque sul pianeta in poche ore. Negli ultimi cinquant'anni, dozzine di nuove malattie infettive sono emerse. La più notevole, l'HIV / AIDS, ha portato circa 25 milioni di morti in più, un numero della dimensione di quella che sarebbe una megalopoli perfino con un popolazione mondiale di miliardi di individui. In Lesotho, la pandemia ha spinto il tasso di mortalità da 10 morti ogni mille persone all'anno, nei primi anni 1990 a 18 per mille un decennio più tardi. 

In Sud Africa la combinazione del declino della fertilità e i decessi legati all'HIV ha spinto il tasso di crescita della popolazione allo 0,5 per cento all'anno, la metà dell'equivalente tasso negli Stati Uniti. Mentre il clima del pianeta si riscalda, le aree colpite da queste malattie si sposteranno probabilmente in modi imprevedibili, con le zanzare della malaria e del dengue (http://it.wikipedia.org/wiki/Dengue) che si spostano nelle zone temperate, mentre il riscaldamento delle acque contribuisce alla comparsa di focolai di colera in zone un tempo immuni.

Per essere onesti, i demografi, che fanno le proiezioni demografiche, non esprimono apertamente il giudizio secondo cui natalità, mortalità e tassi di migrazione sono immuni dagli effetti del cambiamento ambientale e della scarsità de risorse naturali. Piuttosto, essi sostengono, abbastanza ragionevolmente, che non c'è modo scientificamente rigoroso per valutare la probabilità di tali effetti demografici. Così ha più senso estendere semplicemente le linee di tendenza degli attuali cambiamenti demografici – con l'aumento della speranza di vita, il declino della fertilità, e una maggiore percentuale di persone che vivono nelle aree urbane. Queste tendenze sono poi estrapolate in un futuro assunto come privo di sorprese. Il noto caveat dell'investitore secondo cui la performance passata non è una garanzia di risultati futuri, passa totalmente inapplicato nelle previsioni demografiche convenzionali.

Quanto è probabile questo futuro senza sorprese? Questa è una questione soggettiva, a cui ognuno di noi deve rispondere sulla base della propria esperienza e delle proprie intuizioni. Quasi nessuna ricerca ha valutato i probabili impatti del cambiamento climatico causato dall'uomo, dello sconvolgimento degli ecosistemi, o della scarsità di energia e di risorse sui i due principali determinanti dei cambiamenti demografici: nascite e morti. Le migrazioni legate al cambiamento climatico sono un soggetto di ricerca più comune, con proiezioni che vanno da 50 a 1.000 milioni di sfollati per fattori ambientali - compresi i cambiamenti climatici - entro il 2050. Le principali proiezioni si accordano su un numero di circa 200 milioni, ma nessuno sostiene che vi sia un argomento scientifico convincente per scegliere uno qualsiasi di questi numeri.



L'IPCC e altre autorità scientifiche che si occupano di cambiamenti climatici hanno notato che un clima estremamente caldo può uccidere le persone più vulnerabili, come gli anziani, gli immuno- depressi, le persone a basso reddito, o socialmente isolate. Si stima che circa 35.000 persone morirono durante l'ondata di caldo europea del 2003. Il Centro statunitense per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie cita una proiezione secondo cui i decessi legati al calore potrebbero moltiplicarsi fino a sette volte entro la fine del secolo.


Negli ultimi anni gli agronomi hanno perso un po' della loro precedente fiducia secondo cui la produzione alimentare, anche grazie alle colture geneticamente modificate, non mancherebbe di tenere il passo con l'aumento della popolazione mondiale in un clima che cambia. Già oggi, il verificarsi di catastrofi climatiche, quali le ondate di caldo torrido e l'allagamento dei terreni agricoli, hanno contribuito ad ampliare lo iato tra produzione e consumo di cibo mondiale. Gli aumenti di prezzo risultanti - alimentati anche dalla produzione di biocarburanti a sua volta incoraggiata, in parte, per rallentare il cambiamento climatico - hanno portato a rivolte per il cibo che sono costate vite umane ed hanno contribuito a rovesciare i governi del Medio Oriente e ad Haiti.


Se questo è ciò che vediamo trascorso appena un decennio nel nuovo secolo, cosa succederà nei prossimi 90 anni? "Che orribile mondo sarà se il cibo diventerà davvero più scarso da un anno all'altro", ha detto nel mese di giugno al New York Times lo studioso di fisiologia del grano Matthew Reynolds. "Cosa determinerà tutto questo alla società?" Che cosa, più specificamente, tutto questo determinerà alla speranza di vita, alla fertilità, e alle migrazioni? Fondamentalmente, queste domande sono in questo momento senza risposta, e c'è una lezione in questo. Non dovremmo essere così sicuri che i demografi possano scientificamente prevedere l'evoluzione della popolazione mondiale oltre i prossimi pochi anni. Pochi demografi sono disposti a riconoscere questo fatto.



"La continuazione della crescita demografica mondiale fino a metà secolo, sembra quasi certa," ha dichiarato recentemente su Science il demografo Ronald Lee della University of California a Berkeley. "Ma quasi tutte le previsioni demografiche ... assumono implicitamente che la crescita della popolazione avverrà in una zona neutrale, senza retroazioni negative di tipo economico o ambientale. [Se questo si verificherà] dipenderà in parte dal successo delle misure politiche per ridurre l'impatto ambientale della crescita economica e demografica ".

E' certamente possibile che l' ingegno, la resilienza e una capacità di governo efficace riescano a gestire gli stress che l'umanità affronterà nei prossimi decenni e permetteranno all'aspettativa di vita di continuare a crescere a dispetto di essi. Il taglio dei consumi di energia e risorse pro-capite sarebbe certamente di aiuto. Vale la pena aggiungere che una dimensione sostenibile della popolazione sarà più facile da mantenere se le società assicureranno alle donne l'autonomia e i mezzi contraccettivi di cui hanno bisogno per evitare le gravidanze indesiderate. Per coloro che prestano attenzione alla scienza del cambiamento climatico e alle realtà di un ambiente in rapido cambiamento globale, tuttavia, sembra sciocco considerare le proiezioni che danno una popolazione di 10 miliardi di persone alla fine di questo secolo, con il rispetto con cui si giudica la previsione di un'eclissi solare o la comparsa di una ben studiata cometa. Un po' di umiltà sull'evoluzione della popolazione in un secolo incerto e pericoloso, sarebbe più coerente con il fatto che il futuro, come una cometa che gli astronomi non hanno mai osservato prima, non è ancora arrivato.


Robert Engelman è presidente del Worldwatch Institute, un'istituzione di ricerca sull'ambiente e la sostenibilità che ha base a Washington DC. Il Population Institute ha premiato il suo libro, More:Population, Nature, and What Women Want, con il Global Media Award for Individual Reporting nel 2008. Tale libro non è stato ancora tradotto in italiano. Engelman è stato alla Yale University come visiting lecturer all'inizio degli anni 2000s ed è stato il segretario della Society of Environmental Journalists dalla sua fondazione.

Con fissazione industriale dell'azoto ci si riferisce al processo Haber- Bosh che trasforma l'azoto presente in atmosfera in percentuale di oltre il 78%, in ammoniaca attraverso la reazione con l'idrogeno estratto dal metano. L'ammoniaca è poi la materia prima con cui si sintetizzano i nitrati e l'urea fra i principali componenti dei fertilizzanti usati in agricoltura. La fissazione biologica dell'azoto è quella che parimenti trasforma l'azoto atmosferico in composti azotati disponibili per gli ecosistemi, da parte di batteri che si trovano nel suolo e nelle acque.

3 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

penso più probabile una diminuzione a 2/3 miliardi per la fine del secolo, secondo la previsione del club di Roma, anche se basterebbe una guerra nucleare, anche limitata, a ridurre gli umani a poche centinaia di milioni in pochi anni.

Luca Pardi ha detto...

Beh Mago è vero, ma non sappiamo ancora la capacità di reazione della nostra specie in una situazione così inedita, possiamo solo immaginare scenari più o meno foschi o più o meno ottimistici. Gli scenari foschi ormai servono a poco.