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lunedì, aprile 09, 2012

Il Club di Roma

Di Daniela Pietropoli
Pubblicato su Blog Drome





Cliccando qui arriverete a un interessante video del Club of Rome, dedicato al picco del petrolioE' in inglese ma ha anche i sottotitoli in inglese e quindi è mediamente comprensibile.

Il Club di Roma conquistò l'attenzione dell'opinione pubblica con il suo "I limiti dello sviluppo" (12/03/1972) che ragionava sul fatto che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta.


Il libro originale si chiamava "the limits to growth" malamente tradotto in italiano come I LIMITI DELLO SVILUPPO (GROWTH vuol dire CRESCITA), è stato edito con lo scopo di fornire ai leader mondiali che si apprestavano a incontrarsi nella terza Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (aprile 1972 a Santiago del Cile) e soprattutto la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (giugno a Stoccolma) degli strumenti concettuali assolutamente fondamentali per decidere il futuro dell’umanità.

L'ideatore fu Aurelio Peccei, torinese, alto dirigente Fiat, antifascista, fondatore dell'Alitalia, rimette in sesto l'Olivetti e fonda l'Italconsult. Un dirigende d'azienda, non un ecologista, cosmopolita e competentissimo fondatore e direttore in America Latina una delle più fortunate filiali estere della Fiat.

Alla fine degli anni ‘50 Peccei decide di dedicare una parte del suo tempo “alla riflessione sui bisogni e sulle prospettive umane” con la precisa volontà di fare qualcosa di concreto anche in questo campo.Il risultato è stato "The limits to growth", un libro odiato ubiquamente proprio perchè ebbe successo immediato. 

Fanfani, seppure in modo superficiale, lo portò in Senato, ma dopo, già negli anni Ottanta, quelli della Milano da bere, il libro fu dimenticato nella ressa della crescita dei consumi, a cui seguirono negli anni Novanta l'apertura ai mercati dell'Est dopo la caduta del muro di Berlino e l'arrivo dei BRICS, principalmente la Cina. C'era ancora spazio di "crescita economica".

Nel dibattito che seguì l'uscita del libro (semplice da leggere) ci fu unanime ostracismo nei suoi confronti.In sintesi la Chiesa non lo sopportava perchè predicava la riduzione della natalità e così lo odiarono Indira Gandhi e altri leader; i capitalisti italiani con il Sole24ore non accettavano che le sue idee potessero ridurre i margini dei loro gaudagni per ridurre l'inquinamento che obiettivamente creavano su tutto l'ambiente (le chiamano esternalità, ovvero i guadagni sono loro e i rischi di tutti); la destra pseudo cristianfanatica lo odiava sempre per la questione della natalità oltre del fatto che avevano preso le sue tendenze come previsioni (adesso si può dire che le tendenze si sono verificate). 

La sinistra, sia quella moderata e sia quella oltranzista, si fecero sopraffare dall'ideologia del buon operaio che salva l'ecologia, quando andava bene, mentre nel peggiore dei casi lo etichettarono un libro odioso perchè fatto da dirigenti d'azienda e da industriali e quindi il nemico.

L'Italia politica e intellettuale non comprese l'importanza del libro, un libro che dava prospettive sul futuro analizzando un presente già chiaramente in declino fin dagli anni sessanta. Gli anni settanta furono gli ultimi anni di vero dibattito democratico (Pasolini era lì), ma provinciale e con una visione corta del proprio futuro. L'Italia allontanò da sé un italiano geniale e competente come Peccei (nemo propheta in patria).

Io credo che si perse una occasione, importante per comprendere meglio l'evoluzione civile dell'Italia (e del Mondo, ma qui parlo dell'Italia). La mia generazione, nata nei sessanta, avrebbe avuto più occasioni di vivere in un mondo migliore e soprattutto avrebbero avuto più occasioni quelli nati dopo di me, nei settanta e ottanta e così via.

Capire dove il Mondo stava andando a quel livello di crescita indiscriminata sarebbe stato importante, avrebbero potuto essere prese decisioni in tempo, e non adesso con l'acqua alla gola. E non sono nemmeno sicura che le TESTE PARZIALI capiscano che siamo con l'acqua alla gola. Chi vuole saperne di più veda "I limiti dello sviluppo in Italia - cronache di un dibattito 1971-74 di Luigi Piccioni e Giorgio Nebbia" sul sito di Greereport, che ringrazio.

lunedì, gennaio 30, 2012

La produzione di tempo

Di Armando Boccone



Da molti studiosi il futuro è descritto a tinte molto fosche.
Si avvicina il  momento in cui l’offerta di combustibili fossili non reggerà più la domanda. Forse ciò sta già avvenendo visto le tensioni e le guerre da alcuni decenni a questa parte nelle aree produttrici di risorse energetiche, visto la crisi finanziario-economica scatenata, dicono alcuni studiosi, anche dall’aumento del prezzo del petrolio, e che interessa il mondo intero ormai dal 2008 e, infine, visti gli sconvolgimenti politici che, a partire dagli inizi del  2011, interessano il Maghreb e il Medio Oriente.
Inoltre molti equilibri ecologici rischiano di saltare. Si prevedono effetti sconvolgenti a livello mondiale se le cose continueranno allo stesso modo in cui si sono sviluppate finora (alcuni studiosi dicono che le cose sono compromesse in ogni caso, anche se le cose cambiassero da subito).

Molti studiosi continuano dicendo che non può esserci sviluppo infinito in un mondo che è finito. Il pianeta Terra infatti ha dei limiti fisici che non possono essere superati e, anzi, sembra che l’umanità sia in debito verso il pianeta Terra, nel senso che  si è andati oltre la capacità del pianeta di rigenerarsi. Se inoltre tutte le popolazioni del mondo desiderassero vivere come negli Stati Uniti e in Europa (ma si ricorda che una parte della popolazione mondiale vive con problemi di approvvigionamento di cibo e acqua potabile), se si desse inizio a uno sfruttamento intensivo di combustibili fossili estraendoli da scisti e sabbie bituminose oppure estraendoli in posti difficili come in alto mare oppure in zone sempre ghiacciate…(ma ciò sta già avvenendo), allora l’umanità andrà incontro a una catastrofe certa.
Inoltre (per mettere in evidenza, nel contempo, la complessità e la contraddittorietà  dell’attuale situazione che si è creata), alcune ricerche hanno messo in evidenza che nei Paesi sviluppati non c’è più un rapporto diretto fra aumento della produzione e aumento di benessere. C’è stato un rapporto diretto fino agli anni settanta del secolo scorso ma dopo non più e, in alcuni casi, il rapporto si è addirittura invertito.

Si conclude invocando un nuovo paradigma, cioè un nuovo modello di vita. A fronte dalle cose dette, questo nuovo modello di vita dovrà essere davvero rivoluzionario per dare qualche chance a tutta l’umanità di esistere in buone condizioni. Quale dovrà essere l’elemento rivoluzionario al centro di questo nuovo modello di vita?

Sarà il primato della dimensione tempo l’elemento rivoluzionario al centro del nuovo modello di vita! Per la precisione si passerà, con un complesso rapporto dialettico, dal primato della dimensione spazio (sempre maggiore produzione di beni) al primato della dimensione tempo (più lunghe prospettive di vita per il genere umano).

Ma cosa  significa l’introduzione del primato della dimensione tempo nella cultura umana? Significa che l’umanità d’ora in poi dovrà interessarsi non a produrre di più ma, contemporaneamente e in modo dialettico, a soddisfare più adeguatamente possibile i suoi bisogni e ad aumentare il più possibile le sue prospettive di vita.

L’imperativo, in questo nuovo modello di vita, dovrà quindi essere il soddisfacimento più adeguato possibile e per tempi più lunghi possibile dei bisogni umani. Davanti a ogni scelta bisognerà chiedersi: che cosa soddisfa più adeguatamente e per tempi più lunghi possibili i bisogni umani? Questa affermazione è enormemente rivoluzionaria se si guarda alle conseguenze che porterà a tutti i livelli della vita umana.

In una azienda industriale significherebbe che non si dovrà produrre di più ma produrre di meno e che, però, bisognerà produrre macchine che durino moltissimo e che sia possibile, riparandole, allungare il loro tempo di vita. Bisognerà abbandonare la produzione di beni a “obsolescenza programmata” e che non rendano possibile le riparazioni e, soprattutto, bisognerà abbandonare la produzione di beni che non soddisfano bisogni concreti ma solamente i profitti dei produttori (ma la situazione, riguardo alla decisione dei beni da produrre, è molto più complessa).
In una azienda di distribuzione questo nuovo modello di vita significherebbe non vendere di più ma di meno, eliminando tutte quelle forme di promozione delle vendite (per esempio le offerte “prendi due e paghi uno” o le varie altre forme di sconti, l’assegnazione di regali al raggiungimento di un certo punteggio legato agli acquisti fatti dai clienti, ecc.) che portano a enormi sprechi soprattutto di beni alimentari deperibili.
Vi immaginate i proprietari e i dirigenti di queste aziende che abbiano come obiettivo non l’incremento del fatturato e degli utili ma il soddisfacimento in modo più adeguato possibile e per tempi più lunghi possibili dei bisogni umani? (con che cosa poi dovrebbe essere premiato il raggiungimento degli obiettivi di consumare di meno? Con l’ottenimento di maggiore reddito che consente di consumare di più?)
Vi immaginate che come conseguenza rivoluzionaria di questo nuovo modello di vita nelle aziende si dovrà ridurre sia l’orario di lavoro che la retribuzione?
Vi immaginate le conseguenze sul sistema informativo quando si dovrà fortemente ridurre se non eliminare la pubblicità? Vi immaginate le conseguenze sui rapporti di proprietà dei mezzi di produzione?

Che cosa dire poi di quell’altra conseguenza rivoluzionaria (non so se più rivoluzionaria delle altre ma quanto meno la più efficace) che sarà la riduzione della popolazione? Con la riduzione della popolazione si allungherebbe enormemente l’aspettativa di vita dell’umanità e, nello stesso tempo e in modo dialettico, aumenterebbero le possibilità di soddisfare più adeguatamente i bisogni umani.

Che cosa dire poi del vuoto psico-culturale  che si creerà nella vita degli  uomini quando verrà meno quell’insieme di motivazioni che guidano tutti i comportamenti quotidiani (dall’acquisto della nuova autovettura e/o telefonino, ai viaggi, al seguire le più svariate e nuove mode)? Cosa prenderà il loro posto?

Diceva Aurelio Peccei negli anni settanta del secolo scorso che la via di uscita da questa situazione sarà una rivoluzione culturale (per la precisione usava l'espressione "evoluzione culturale")  che dovrà riguardare l’umanità in tutta la sua variegata articolazione, dai rapporti interpersonali alle organizzazioni mondiali. L’uomo infatti vive dominato da residui culturali del passato (che, per esempio, hanno portato nei secoli scorsi al principio della sovranità nazionale, e in tempi più recenti, all’ossessione della crescita economica e dei consumi, ecc.) che ormai sono apertamente in contrasto con i limiti del pianeta terra. L’uomo non può più correre freneticamente nel traffico urbano, verso ambienti climatizzati, per andare a prendere un aereo, oppure verso la propria TV e verso il proprio frigorifero. Sono necessari nuovi valori, nuove motivazioni spirituali, sociali, politiche, estetiche, artistiche e nuovi modi di stare con gli altri uomini, basati sull’amicizia, la solidarietà, la convivialità.

Bisogna chiedersi se le vecchie culture (per semplificare quella di destra e quella di sinistra) siano adeguate alla nuova sfida che la nuova realtà impone. La risposta è negativa perché tutte e due, anche se in modi diversi, mirano alla crescita. Qualche tempo fa ho rivisto dei vecchi appunti (considerazioni) di quando facevo l’Università. Gli appunti riguardavano il pensiero di Marx. Per la precisione riguardavano la teoria del “materialismo dialettico”, che vede la storia come rapporto dialettico fra uomo e natura o, per meglio dire, fra il bisogno e il suo soddisfacimento: la considerazione che annotai in questi appunti era che questo rapporto non teneva conto della dimensione tempo, non teneva conto cioè che questo rapporto avrebbe dovuto essere oltre che completo anche per sempre.
Marx ovviamente era figlio del suo tempo e a quei tempi non c’era coscienza dei limiti dello sviluppo.

Per concludere bisogna dire che ci aspettano lacrime e sangue… ma che le scelte da fare sono obbligate!