domenica, dicembre 10, 2006

Ridi, ridi, imbecille!

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Da "La Nazione" del 9 Dicembre 2006, "Cronaca di Firenze"

Temperature al di sopra della media: crollano i prezzi dell’abbigliamento invernale E le famiglie risparmiano sulla bolletta del gas


RISCALDAMENTO
Consumi ridotti di gas E le bollette saranno meno pesanti
di SANDRO BENNUCCI


SAREMO CONTENTI fra qualche mese: quando arriverà la bolletta del gas. Ci accorgeremo di aver risparmiato fra cento e duecento euro. Grazie all’autunno dolce.
A Firenze, ieri, c’erano diciannove gradi. Addirittura undici più della media del periodo. Vuol dire che nessuno, tranne qualche capocondominio o amministratore abitudinario e un po’ fuori dalla realtà, si è sognato di accendere l’impianto di riscaldamento.

Con buona pace del vecchio compagno Vladimir Putin — pronto a fare la voce grossa quando l’anticiclone russo domina l’atmosfera e l’Europa e l’Italia hanno bisogno del metano della Steppa — Firenze continua a godere di un tepore quasi settembrino. Giacca abbottonata la mattina presto, l’ombrello a portata di mano e poco più. E chi sta in periferia, o sulle colline che circondano la città, si stupisce nel veder sbocciare i fiori proprio quando la natura dovrebbe essere già entrata nel cosiddetto «fermo vegetativo».

A confermare le impressioni a pelle, che in fondo sono le più vere e convincenti, arrivano i dati della Fiorentina Gas, in procinbto di diventare Toscana Energia. Quelle cifre dicono che dall’inizio di novembre fino a ieri, il consumo di gas da riscaldamento è stato del 15-20% inferiore allo stesso periodo del 2005.

MA IL calcolo sul consumo raggiunge il ragguardevolissimo risparmio del 25-30% se prendiamo in considerazione i primi sei-sette giorni di dicembre. In soldoni, lo abbiamo detto, sono 80-100 euro in meno sulla bolletta relativa al mese di novembre e già alcune decine di euro per l’avvio di dicembre. Si tratta di soldi da considerare tranquillamente in tasca e da usare per le spese di Natale? In sostanza sì.
Le bollette degli autunni freddi, lo ricordiamo bene, diventavano particolarmente pesanti alla fine del trimestre, magari quando la morsa del gelo cominciava ad attenuarsi.

Supereremo il 25 dicembre con la fronte lievemente imperlata di sudore, col radiatore spento e la speranza di aver risparmiato qualche altro centone sul riscaldamento? Difficile poterlo dire. Ma gli esperti invogliano all’ottimismo, almeno da questo punto di vista.

Secondo Giampiero Maracchi, climatologo affermato, l’inverno arriverà soltanto il 27-28 dicembre. Da oggi a domenica il cielo potrà riempirsi di nuvole, ma il termometro si dovrebbe mantenere ben al di sopra dei 10 gradi. Per Firenze, come per tutt’Italia e tutt’Europa, si tratta di una stagione eccezionale, segnata dalle passeggiate in riva all’Arno, dalle puntate in motorino al Piazzale Michelangelo, dalla voglia di tirar tardi perché si sta bene fuori casa anche di notte.
Del resto, perfino la Russia del già citato Putin sta vivendo un dicembre incredibilmente mite: con le piante che continuano a fiorire mentre nei boschi spuntano i funghi. Soprattutto i ‘lisicki’, ossia i gallinacci. A Omsk, città siberiana che in questo periodo dell’anno è solitamente aggredita dal freddo polare, registrano un grado sopra lo zero. La gente va in giro col soprabito leggero invece di ‘barricarsi’ dentro le pellicce. Nel parco pubblici di Vladimir (Russia centrale) sono spuntati di muovo i lilla.

Anche molti balconi di Firenze sono straordinariamente fioriti. Il pericolo? L’arrivo di una gelata improvvisa ondata. Però il Maracchi non la prevede. Rassicura dicendo che non tremeremo di freddo prima di Natale. E che a risentire dell’autunno dolce, alla fine, sarà soltanto il bilancio della Fiorentina Gas o Toscana Energia Spa.
Il rovescio della medaglia? All’Abetone hanno rinviato l’avvio della stagione. L’idea? Comprare gli sci nuovi, quando arriverà la neve, con i soldi risparmiati sulla bolletta del gas di novembre.


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sabato, dicembre 09, 2006

Analisi aggiornata del sistema di conto energia per il fotovoltaico in Italia

E' on line su www.aspoitalia.net un articolo di Terenzio Longobardi che riporta un'analisi aggiornata dei ricavi e dei costi delle installazioni fotovoltaiche in Italia, alla luce del recente decreto in proposito.

Lo trovate sul sito di aspoitalia



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Gli Hezbollah intesi come benzinai

Carlo Bertani è un commentatore che si occupa spesso di petrolio e geopolitica. La sua impostazione è radicale "di sinistra"; ha spesso delle intuizioni molto interessanti ma alle volte si fa prendere la mano da un complottismo piuttosto ingenuo.

In questo articolo, uscito su "comedonchisciotte", Bertani attribuisce l'abbassamento dei prezzi del petrolio che è cominciato verso la fine di agosto alla resistenza che gli Hezbollah libanesi hanno opposto agli israeliani nel Libano del sud. Secondo Bertani, l'obbiettivo dell'attacco israeliano era di preparare il terreno per il successivo attacco Israelo-americano programmato contro l'Iran. Ovviamente, un attacco del genere avrebbe causato un aumento terrificante dei prezzi del barile. Viceversa, la "sconfitta" israeliana, sempre secondo Bertani, avrebbe impedito lo svolgimento del diabolico piano, tranquillizzato gli investitori e riportato il prezzo del petrolio ai valori "giusti", depurati dalla "tassa sul terrore" che Bertani quantifica in circa 15 dollari al barile.

Bene, tutto è possibile, ma gli arzigogoli mentali che si fanno sul petrolio fanno sempre impressione. In particolare la questione della "tassa sul terrore" è un tipico esempio di entità proteimorfa non quantificabile che si può usare per giustificare qualsiasi cosa. A chi tira fuori questa cosa della "tassa sul terrore" verrebbe voglia di chiedergli qual'è il numero di conto in banca di Bin Laden.

Nel caso particolare, l'interpretazione tassaterroristica di Bertani per l'abbassamento di agosto dei prezzi sembra molto improbabile, per non dire di peggio. Molti commentatori hanno notato come, nonostante la "divina vittoria" proclamata dagli Hezbollah, israele ha comunque ottenuto gli obbiettivi strategici che si era prefisso, ovvero neutralizzare la possibilità di subire un attacco dal confine nord. Se questo era il prerequisito necessario per l'attacco all'Iran, era stato pienamente ottenuto. Semmai, soltanto a Novembre si è avuta la netta sensazione che l'attacco era stato rimandato, rinforzata poi dalla vittoria dei Democratici alle elezioni americane. Di bombardare l'Iran se ne riparla a primavera. Ma a Novembre i prezzi del petrolio NON sono diminuiti, anzi hanno mostrato una tendenza ad aumentare.

Quindi, rimane come più probabile l'ipotesi che l'oscillazione dei prezzi di agosto sia stata dovuta alla preoccupazione degli operatori non del terrorismo ma di uragani tipo Katrina, che poi non si sono verificati. O forse qualche altra cosa. Chi lo sa? Misteri del petrolio.

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HEZBOLLAH TI RIEMPE IL SERBATOIO, BUSH E OLMERT TE LO SVUOTANO !

DI CARLO BERTANI

“Quando le nostre azioni non fanno di noi dei traditori, ci rendon tali le nostre paure”
William Shakespeare, Macbeth

Lo so, affermazione eccessiva: perché incolpare due politici di rango se “schiacciamo” un po’ troppo sull’acceleratore? E’ forse colpa d’Israele se i palestinesi non riescono a darsi un governo stabile? Oppure di Capo George Anatra Che Zoppica se in Iraq tutto va storto?

Spicchiamo un salto indietro di qualche mese e torniamo a giugno 2006: bello eh? Sole, caldo, le vacanze che ancora ci aspettavano…e la benzina a quasi 1,40 euro. Maledizione: durante le vacanze ho fatto (come chi di voi si è recato all’estero) lo slalom fra le pompe di benzina di Slovenia, Croazia e Bosnia per “acchiappare” il miglior prezzo…calcolatrice alla mano, fra euro, talleri sloveni, corone croate, marchi bosniaci…

Il minimo che riuscii a spuntare fu uno 0,99 euro in Bosnia, ed al ritorno in Italia la vista di quel “ 1,38” , che voleva essere un richiamo pubblicitario, mi fece sospirare…ah, poter tornare – con una magia – al distributore di Mostar…

Siccome sono centesimi sembra che pesino di meno, ma a fine anno fanno una bella differenza: oggi, la benzina costa circa 1,22 e quasi 20 centesimi in meno sono proprio una bella sommetta.

Percorrete 20.000 Km l’anno con una media cilindrata? Risparmiate circa 235 euro. Con una grossa cilindrata? Sono circa 285 euro. Per 50 euro tanto vale viaggiare in Ferrari: no, in quel caso la differenza sarebbe di circa 650 euro, però è anche vero che chi viaggia in Ferrari non ha tempo da perdere per queste piccolezze.

Ora – per la legge dei vasi comunicanti – se c’è qualcuno che ci guadagna c’è qualcun altro che ci rimette: chi si ritrova – in questo ancor tiepido autunno – coperto di cenci?

Leggi tutto (da "comedonchisciotte")



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venerdì, dicembre 08, 2006

Tempesta sull'economia Americana

L'ultima scivolata del dollaro (al momento a 0.75 Euro), accoppiata col crollo della bolla immobiliare negli Stati Uniti, ha dato vita a una serie di commenti preoccupati. Qui di seguito il commento del "Telegraph" ma ce ne sono altri che parlano francamente di collasso economico prossimo venturo.

Catastrofisti per catastrofisti, questi sono peggio di quelli che si preoccupano del picco del petrolio. Vedremo se hanno avuto ragione, ma la situazione non sembra rosea.

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Economic storm brewing in America

By Ambrose Evans-Pritchard
Last Updated: 12:01am GMT 07/12/2006


America's stock markets typically start crumbling four months before each recession, anticipating the crunch in profits. Shares then grind relentlessly down for 10 months or so until they have on average knocked 26 per cent off the S&P 500 index, Wall Street's listing of top companies.

So if you think the US property slump is looking scary after October's 9.7 per cent drop in new home prices, it may be time to take a little money off the table. It has been a lucrative autumn rally, but the four-year bull market is long in the tooth by any standards.

As we report today, the rate of insider stock sales by company directors on both sides of the Atlantic is the highest since records began 20 years ago, with sales outnumbering purchases by 60:1.

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giovedì, dicembre 07, 2006

A Proposito di PIL

Un nuovo articolo di Domenico Coiante su www.aspoitalia.net In questo articolo, Coiante esamina in dettaglio come i costi delle tecnologie energetiche debbano essere calcolati tenendo conto non soltanto dei costi monetari, ma anche dei costi ambientali e di smaltimento dei rifiuti (detti "costi esterni" o "esternalità"), in particolare in relazione al Prodotto Interno Lordo (PIL).

Sfortunatamente, al momento non esiste un metodo affidabile per questa valutazione, ma in ogni caso questi costi sono alti, soprattutto in termini di emissioni di CO2 e della conseguente alterazione del clima.

Coiante discute alcune possibili azioni per ridurre questi costi; in linea di principio li si potrebbero ridurre riducendo il PIL, ma è preferibile spostare la produzione energetica verso le fonti rinnovabili e, con molta cautela, verso il nucleare.

Link all'articolo in pdf


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Uno sguardo dal picco

Da "The Oil Drum" i dati sulla produzione degli ultimi quattro anni. I dati si riferiscono a "tutti i liquidi".

Non si può ancora dire se siamo esattamente al picco, comunque è chiaro che siamo al limite delle possibilità produttive. Il declino non può che seguire in tempi non troppo lunghi


















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martedì, dicembre 05, 2006

A volte ritornano II: la vendetta

Sempre per la serie "a volte ritornano", ecco un articolo notevole di Emilio Gerelli del 4 Dicembre.

E' notevole per vari motivi, non ultimo il titolo "Non ci sono granitiche certezze sul riscaldamento globale". Titolo probabilmente non da attribuire a Gerelli stesso, ma appioppato dall'editore, ma che comunque fa riflettere: che tipo di certezze "granitiche" vorrebbero questi qui prima di cominciare a pensare che - forse - ci potrebbe anche essere qualcosa di vero nella storia del riscaldamento globale? Vorrebbero forse che il pianeta si riducesse prima a un deserto, appunto, "granitico"? Cosa direbbero di una certezza soltanto un po' meno che "granitica", diciamo una certezza calcarea?

E' notevole anche come Emilio Gerelli, che si definisce un "economista ambientale" si senta in diritto di smontare in mezza pagina le opinioni del 99.99% dei climatologi mondiali. Questo lo fa riportando senza il minimo accenno di critica tutte le fesserie che sono state dette contro il riscaldamento globale, incluso la polemica contro lo "Hockey Stick" poi completamente sfatata, come pure vari pettegolezzi contro la IPCC e frasi estratte fuori contesto (come quella di Freeman Dyson).

A volte ritornano, continueranno a tornare fino a che non saremo davvero affogati o sperduti in un deserto granitico. Speriamo che si rinsaviscano prima e smettano di fare gli Zombi.


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Da: http://www.brunoleoni.com/nextpage.aspx?codice=0000001799

Gerelli: non ci sono granitiche certezze sul riscaldamento globale

Un esempio di informazione giornalistica

di Emilio Gerelli

Il 22 novembre Giovanni Sartori firmava un "fondo" del Corriere della Sera (Le ragioni di Cassandra), nel quale venivo menzionato criticamente due volte. Poiché Sartori sosteneva tesi a mio avviso criticabili sul riscaldamento globale, inviai al Corriere la breve nota riportata qui sotto. Mi fu comunicato dal giornale che essa non sarebbe stata pubblicata. Telefonai allora a Sartori, il quale mi disse che non aveva letto la mia nota, ma che comunque non voleva che essa fosse pubblicata dal Corriere. Sartori criticava anche la Fao, alla quale fu invece concesso ampio spazio di replica. Riporto qui sotto i documenti.

Il catastrofismo è una costante della storia umana. Lo dimostra il grande antropologo Ernesto De Martino, nel suo trattato su "La fine del mondo". Realizza con puntiglio questa diagnosi Giovanni Sartori nel suo "fondo" di ieri, in cui preannuncia con certezza il riscaldamento globale, citandomi quale suo critico (ma non sono un tributarista, bensì un economista ambientale). Sartori non è scosso nelle sue certezza sulla catastrofe climatica nemmeno dall'autorevole Rapporto della Camera dei Lord britannica ("che, fa il nesci Eccellenza, o non l'ha letto?" chiediamo col Giusti). Esso conferma questi principali punti: le previsioni sul riscaldamento globale fra decenni derivano da calcolatori che pretendono di affrontare fenomeni non lineari, i quali inducono un'evoluzione caotica dei parametri, sicché i processi fisici vengono modellizzati in modo grossolano. Scrive un esperto, il professor Freeman Dyson (Princeton): "I modelli del clima.non sono strumenti adeguati per predirlo.avvertiamo continuamente i politici ed il pubblico: non credete nei numeri solo perché escono da un supercomputer." Inoltre, non si sa con precisione che fine faccia l'anidride carbonica (il principale gas serra), poiché negli ultimi 150 soltanto il 50% circa di essa è rimasta nell'atmosfera, l'altra metà essendo disciolta nell'oceano o assorbita dalla vegetazione nei processi di fotosintesi. Né impressiona Sartori il crollo di uno dei pilastri dei catastrofismi: è stato provato erroneo un grafico sull'andamento delle temperature a partire dall'anno 1000, detto "mazza da hockey" per la sua forma, e finora portato a prova fondamentale del riscaldamento globale in quanto descrittivo di un presunto incremento delle temperature a partire dal 1900.

L'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l'organismo dell'Onu che lancia gli allarmi, è sotto processo. Definito: "un gruppo misto di credenti auto-selezionati, . che non danno, e in verità non possono dare, un parere onesto", dalla scienziata della politica Sonja Boehmer Christensen, esso è un organismo autoreferenziale che perde colpi. Nel 1996 è stato accusato, in una lettera di cinque illustri studiosi, di avere dato in un Rapporto sintetico destinato ai politici, informazioni diverse da quelle contenute nel Rapporto scientifico di base. Ciò, naturalmente, per lanciare messaggi catastrofici. Ancora, se in precedenza l'Ipcc aveva escluso che fenomeni meterologici estremi quali i cicloni fossero causati dal riscaldamento globale, recentemente ha fatto dietro-front. Risultato: il suo esperto di cicloni tropicali, Chris Landsea ha scritto il 17 gennaio 2005: "non posso in buona fede continuare a partecipare ad un processo che considero.scientificamente scorretto". Potrei continuare se avessi spazio, ma spero basti a far sospettare che, in questo campo, le fedi granitiche sono temerarie.
Pubblicato il 04/12/2006

A volte ritornano

Ritornano a volte gli zombi letterari, libri che si dedicano alla demolizione delle falsità e dei complotti dei catastrofisti-ecologisti. E' un genere che è cominciato con Julian Simon, detto il "Doomslayer", colui che sconfigge i catastrofisti, che pubblicò il primo libro del genere nel 1981 con il suo mai sufficientemente vituperato "La risorsa finale" (The ultimate resource). Nel libro, Simon sosteneva, fra le altre cose, che le risorse erano "infinite" e che il petrolio sarebbe pouto durare per sei miliardi di anni almeno.

Degno allievo di Simon è stato ed è tuttora Bjorn Lomborg, con la sua fortunata serie di libri il cui capostipite è "L'ambientalista scettico" notevoli per l'ignoranza dell'autore dei più elementari concetti della termodinamica. Lomborg è anche notevole per l' estesa bibliografia dei suoi lavori in cui spesso fa dire agli autori citati esattamente il contrario di quello che questi sostenevano nelle opere in questione.

In Italia, abbiamo una piccola schiera di doomslayers, che includono Franco Battaglia, noto per la sua polemica contro il riscaldamento globale e le energie rinnovabili, Carlo Stagnaro del famigerato istituto Bruno Leoni e altri. Nessuno di questi finora ha prodotto un bestseller, limitandosi a varie invettive sui giornali o su siti internet. Ci provano adesso Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari con il loro libro "Le Bugie degli Ambientalisti" (ed. Piemme, 12,90 euro).

Questo tipo di libri ha un suo mercato e non c'è dubbio che molte persone desiderino essere rincuorate in qualche modo. Leggendo che il riscaldamento globale e l'esaurimento delle risorse sono tutte fesserie uno si sente indubbiamente molto più tranquillo, anche se sta leggendo il libro sul tetto di casa per sfuggire all'inondazione. Questo tipo di libri si continueranno a pubblicare e a leggere finché ci sarà carta e energia elettrica per la stampa.


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AMBIENTE: LIBRO ANTI ECOLOGISTI, MONDO NON E' COSI' MALATO
(NEWSLETTER AMBIENTE)
(ANSA) - ROMA, 4 dic - Il mondo non sta cosi' male come ci
vogliono far credere, ma l'ecologia gia' domina l'Europa. La
dimostrazione sarebbe ad esempio nel protocollo di Kyoto,
strumento di quella che viene definita come un'ideologia
totalitaria, paragonata a nazionalsocialismo e marxismo. Questi
i principi di fondo del secondo volume 'Le bugie degli
ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti' di
Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari (ed. Piemme, 12,90 euro).
Punti di partenza della campagna antiecologista tre dati: le
teorie sul riscaldamento globale e i cambiamenti climatici sono
discutibili; l'aumento della 'famigerata' Co2 avrebbe un impatto
ridotto sull'effetto serra; e' possibile che l'uomo sia
responsabile della crescita dell'anidride carbonica, ma nel
considerare questa ipotesi bisogna includere anche il ruolo di
fattori naturali.

Il libro mette poi sotto accusa vari aspetti dell'
ecopensiero. Si comincia dal rapporto uomo-natura, in cui,
secondo gli autori, si darebbe per scontato un ruolo negativo
dell'uomo e uno sempre benevolo della natura. In realta' ''non
esiste un conflitto competitivo e distruttivo tra natura e
umanita', come sostengono le ideologie ecologiste, bensi' una
responsabilita' etica da parte della specie umana nell'
utilizzare al meglio le proprie qualita' cognitive e lavorative
al fine di coltivare e sviluppare la natura''. Sviluppo che e'
positivo, dato che 'la crescita e' sempre un bene'. Non a caso
chi si impegna tanto nel diffondere le teorie ecologiste, prima
fra tutte quella dell'impronta ecologica, predica bene e razzola
male: vive nei Paesi occidentali e non in Paesi come la Corea
del Nord o il Congo, che invece hanno un impatto minore sulle
risorse del Pianeta.
Secondo gli autori, i guru ecologisti sostengono che lo
sviluppo economico sia negativo per l'umanita' e queste persone
avrebbero di fatto impedito di debellare la malaria con sostanze
chimiche potenti come il ddt, messa al bando, cosi' come la fame
nei Paesi poveri, le cui popolazioni potrebbero avere maggiori
speranze di sopravvivenza grazie agli Ogm.
Quindi ormai le lobby di organizzazioni come Wwf e Greenpeace,
per citarne alcune, sono in grado di determinare decisioni dei
governi, come quella della certificazione energetica degli
edifici, che Confedilizia contesta perche' si basa su calcoli
discutibili. ''Per certo ecologismo - scrivono Cascioli e
Gaspari - non e' importante dimostrare i vantaggi di certe
leggi, non servono calcoli di costi/benefici, cio' che conta e'
imporre ai cittadini il cambiamento dello stile di vita
imponendo nuove gabelle. E creando una sorta di 'polizia
ambientale' con ampio potere di giudizio''. Non e' vero che il
nucleare e' pericoloso, come dimostra l'atollo di Bikini, dove
gli Usa hanno fatto esperimenti per dodici anni e che 'e' ora
meno radioattivo di molte citta' statunitensi'.
Nel testo si rileva una forte impronta della religione
cattolica, ad esempio quando si contesta la legislazione
olandese, che consente l'eutanasia ma vieta la pesca con esche
vive perche' costituisce un maltrattamento degli animali, e
viene affrontata la questione dell'aborto. In ballo ci sarebbe
'una crisi morale' che investe il Pianeta.
Un'altra strada e' possibile e viene illustrata in un decalogo
finale, indirizzato a cattolici e non, che ha come primo
principio 'la Bibbia deve dettare i principi morali fondamentali
del disegno di Dio sul rapporto tra uomo e Creato'.(ANSA).

KWS

Ringrazio Massimiliano Varriale per la segnalazione




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lunedì, dicembre 04, 2006

MA SIAMO SICURI CHE IL NUCLEARE E’ SICURO?

Pericoli da incidenti imprevisti !!

Il 25 Luglio 2006 l’Europa si è trovata ad un passo dalla catastrofe nucleare, a causa di un corto circuito che ha provocato il black-out di un reattore a Forsmark in Svezia. Secondo un ex-responsabile della centrale Lars-Olov Höglund, « si è trattato dell’evento più pericoloso dopo Chernobil ».
Alla centrale nucleare di Forsmark (figura seguente), un corto circuito nella rete elettrica esterna alla centrale ha provocato la perdita dell’alimentazione elettrica del reattore n°1 che si è fermato di colpo. Tutti gli schermi della sala di controllo si sono spenti simultaneamente. Gli operatori si sono ritrovati privi di qualsiasi tipo di sistema di controllo-comando di fronte ad un reattore incontrollato ed incontrollabile. L’unica soluzione per evitare il peggio è stata l’attivazione dei quattro gruppi elettrogeni. In questo modo si è riusciti ad alimentare le pompe di raffreddamento del reattore.

Il problema è che nessun reattore è partito spontaneamente come dovrebbe succedere normalmente in caso di black-out improvvisi. Sembra che le batterie dei generatori siano stati danneggiati dal corto circuito iniziale. Il cuore del reattore non essendo più capace di dissipare il suo calore, si è surriscaldato, mentre il livello dell’acqua all’interno del circuito primario è calato di due metri e la pressione è caduta precipitosamente fino a 12 bar (quando di norma dovrebbe essere mantenuta a 70 bar). In queste condizioni, e nell’arco di pochi minuti, la catastrofe era quasi assicurata. Ci sono voluti 23 minuti affinché una squadra riuscisse a fare partire, manualmente, due generatori di soccorso: 23 minuti durante i quali gli operatori non hanno potuto sapere se il reattore era veramente in arresto e se le loro azioni abbiano raggiunto i risultati sperati. Si ignora sempre perché siano entrati in funzione soltanto due dei 4 generatori di corrente (dello stesso modello e stesse condizioni di manutenzione) .

Secondo gli Svedesi, se nessuno dei 4 generatori non si fosse messo in moto, le conseguenze sarebbero state devastanti per la Svezia e per l’intera Europa (ovviamente compresa l’Italia): la prima fase di distruzione del cuore del generatore si sarebbe consumata a partire dal 30’ minuto dall’inizio dell’intervento delle squadre di soccorso. La fusione del reattore, nelle ore successive, avrebbe prodotto una fuoriuscita colossale di radioattività che si sarebbe diffusa in tutta Europa. Una volta che la fusione del cuore è in corso, l’esplosione del reattore sarebbe potuta avvenire in qualsiasi momento.

Il reattore di Forsmark è stato ad un passo dalla catastrofe nucleare ed è stato soltanto per caso o per grandissima fortuna “nostra” che il cuore del reattore non si sia fuso. La causa del gravissimo incidente è sicuramente da ricercare in un difetto generico del sistema elettrico e ciò ha spinto l’ente Svedese per il controllo nucleare a fermare preventivamente tre reattori. Germania e Filanda stanno esaminando da vicino ciascuno dei loro reattori nucleari, la Francia, ovviamente, non sta facendo nulla dato che è convinta della sua infallibilità mentre in Italia l’ENEL (altrettanto altezzosa e sicura della suo sistema di sicurezza “infallibile”) spera in un accordo con il suo omologo France EDF per la progettazione, costruzione e messa in operatività non meno di 6 nuovi impianti di terza generazione.

Va ricordato che l’organismo statunitense di controllo nucleare (NRC) stima che il 50% dei scenari caratterizzati dalla fusione del cuore del reattore hanno una stessa causa : l’interruzione della corrente elettrica del reattore.

Pericoli da attacchi terroristici !!

Secondo i Nuclearisti o fautori del nucleare, le nuove centrali nucleari potranno resistere ad attacchi terroristici, per quanto l’area sia protetta da guardie, satelliti, missili anti - aerei e quant’altro. Ma secondo John Large (specialista nucleare britannico) le strutture delle centrali non sono affatto resistenti ad un attacco terroristico stile l'attacco alle Twin Towers dell'11 settembre 2001. Infatti, le infrastrutture murarie e metalliche di una centrale nucleare non sono state concepite e costruite per resistere all’impatto di un aereo suicida. Chi afferma il contrario dimostra una lacuna mentale o una disattenzione molto grave in materia di sicurezza.

D’altra parte, i nuclearisti non prendono in considerazione ne “l’energia termica considerevole” che potrebbe liberarsi dall’esplosione del kerosene (come ben sappiamo è il combustibile dei velivoli), ne i rischi di esplosione del reattore nel caso di infiltrazione dei vapori del kerosene nel cuore del reattore stesso. Sempre secondo John Large, il reattore non è l’unica parte vulnerabile di una centrale nucleare: i combustibili radioattivi utilizzati sono normalmente messi incastrati in una vasca situata in un immobile vicino al reattore e la cui struttura è molto meno resistente.

Le centrali nucleari non sono mai state pianificate o costruite in funzione del Modus Operandi delle menti, dell’immaginazione e della determinazione dei terroristi .

Fonti: Greenpeace; Agence France Presse, Svenska Dagablet; www.sortirdunucleaire.fr; Fonte immagine: www.rainews24.it

Il Petrolio in Paradiso

Un commento al romanzo di Sabina Morandi (Ponte alle Grazie editore, 2005)


Un amore che muore è un soggetto letterario abusato, le nozze d'oro di una coppia raramente generano poesia romantica. Qualcosa che ci sembra ci appartenga con certezza non genera grande emozione; solo quando ci sembra che si rischi di perderla, allora le cose cambiano. Per un secolo e mezzo il petrolio è stato con noi e ci è sembrato che fosse cosa ovvia averlo. Ora che non è più così, è diventato qualcosa sulla quale si possono scrivere romanzi.

La grande epopea del petrolio è durata un secolo, ma finora non aveva generato letteratura interessante; un po' come l'epopea del West non lo aveva fatto ai tempi in cui si svolgeva. Soltanto dopo che il West selvaggio è diventato un mito irraggiungibile, la fabbrica dei sogni che è Hollywood se n'è impadronita. Può darsi che solo ora, che sta diventando scarso, il petrolio entri nella fabbrica dei miti, nel "dreamtime" così come lo chiamano gli indigeni australiani. Il romanzo di Sabina Morandi, "Petrolio in Paradiso" può essere uno dei primi esempi dell'ingresso del petrolio nella mitologia moderna.

Di certo, la saga del petrolio non è stata meno avventurosa dell'epopea del West americano. Chi ha conosciuto i geologi petroliferi che lavoravano (e tuttora lavorano) sul campo" a che sono tipi duri e decisi non meno di quanto John Wayne ci appare nei tanti film western che ha interpretato. La saga del petrolio si è svolta per un secolo per deserti e giungle, montagne e oceani; fra tutte le culture, tutte le lingue e tutte le religioni; fra boschi, fiumi, laghi e città; intorno a una galleria di personaggi quasi infinita, alcuni che aiutano, altri che mettono i bastoni fra le ruote. Di questa varietà, Sabina Morandi ci racconta un caso; la storia moderna di un'esplorazione nella giungla Amazzonica, nel territorio dei Kichwa, dove la disperata ricerca delle ultime risorse di petrolio ha portato un gruppo di esploratori di una società petrolifera italiana.

Sabina Morandi ha scelto un impianto narrativo molto difficile per la sua storia; un cambiare continuo di punto di vista, focalizzando la narrazione da un personaggio all'altro. Il libro si legge come un telegiornale dall'Amazzonia, come se la storia fosse raccontata da inviati diversi, dal campo degli esploratori o dal villaggio della tribù Kichwa. Alcuni dei personaggi sono ottimamente riusciti, come Michelle Pardo, improbabile ma affascinante manager. Rimangono in mente i Kichwa; Cesar, capo locale, Maria, indigena esperta in internet, Nonna Lucia, alter-ego tribale di Michelle Pardo. Alcuni personaggi, purtroppo, come l'antropologa Laura, non vengono mai veramente fuori come potrebbero. L'impianto narrativo ha delle imperfezioni, ma la storia regge; chiaramente Sabina Morandi aveva qualcosa da dire e l'ha detto in questa epopea del petrolio. Una bella storia, triste e profonda come le storie devono essere.

Edipo, nella storia, cerca di sfuggire all'oracolo che lo ha condannato a un destino assurdo e infame; senza riuscirci. A volte gli uomini fanno cose assurde e infami sotto l'effetto di forze oscure, cercando di sfuggire al loro effetto ma senza riuscirci. Nel libro di Sabina Morandi, questa forza oscura è il petrolio.



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domenica, dicembre 03, 2006

La Befana non ci porta più il Carbone

La befana, si sa, portava regali ai bambini buoni, ma a quelli cattivi portava il carbone. Oggi, se la sera del 5 gennaio qualche bambino mette ancora la calza della befana attaccata al caminetto, anche un genitore un po’ crudele che volesse punirlo non saprebbe dove trovare il carbone. Certo, ai supermercati si vende ancora – a caro prezzo – la “carbonella”, il carbone vegetale che si usa la domenica per fare il barbecue in terrazza. Ma il carbone “vero”, quello minerale, quello che una volta si metteva tutti i giorni nelle stufe e nelle caldaie, quello è scomparso senza lasciare tracce; ci siamo quasi dimenticati che era esistito.

Eppure, il carbone ha accompagnato la nostra storia per secoli. Anche nelle usanze dell’epifania possiamo vedere un riflesso di un’epoca ormai remota, ma che è stata la vita quotidiana dei nostri avi. I bambini “cattivi”, ovvero quelli poveri, probabilmente trovavano davvero qualche pezzo di carbone nella calza per mancanza di altre cose da metterci. Forse non ne erano nemmeno dispiaciuti in un tempo in cui il carbone serviva per scaldarsi e per i poveri non ce n’era poi neanche tanto.

Proviamo a immaginarci un tempo non remotissimo, ma molto diverso dal nostro. Immaginiamoci la Toscana della metà dell’800. Probabilmente ce la immaginiamo come una regione agricola, e lo era; ma non era solo questo. Se pensiamo al porto di Livorno di quel tempo, lo vedremo frequentato da navi a vela sporche e grigie. Sono le carboniere che arrivano da Londra. Dalle stive di queste navi il carbone viene scaricato a mano, caricato su delle chiatte e laboriosamente trascinato controcorrente sull’Arno; allora regimato in modo da renderlo navigabile.

Telemaco Signorini, pittore fiorentino, ci ha lasciato uno splendido quadro del 1865 che ci mostra la fatica degli uomini che tiravano pesanti chiatte cariche di carbone su per l’Arno, fino al porto fluviale di Firenze, nella zona detta del “Pignone”. Intorno al Pignone, fuori delle mura, era la zona detta la “Sardigna”, per secoli la pattumiera della città che tuttavia il carbone aveva trasformato in zona industriale. Dalla Sardigna sarebbero poi nati i quartieri operai storici fiorentini.

A quel tempo, il carbone dava energia alle industrie e calore agli edifici; una parte invece si buttava nei “gasometri”, i resti di uno di questi impianti esistono ancora oggi a Firenze, nella zona che un tempo era la Sardigna. Nel gasometro si gassificava il carbone e con il gas si accendevano i lampioni a gas.

Pensateci: per millenni le città erano state al buio la notte; ma dal 1840 o giù di li, le strade erano illuminate. Più tardi i lampioni saranno elettrificati; ma non è lo stesso grande cambiamento che è passare dal buio totale alla luce; è quasi un atto divino. Il Granduca Pietro Leopoldo di Toscana si compiace dell’illuminazione a gas di Firenze; crede onestamente di aver fatto un regalo ai cittadini, Nessuno pensa alla fatica di chi ha tirato le chiatte e ancora di meno alla fatica dei minatori inglesi che lavoravano 14 ore al giorno in miniera, fin da bambini, per poi uscire la sera ad ammirare la nebbia. Le condizioni di vita spaventose dei minatori inglesi furono uno degli elementi che ispirarono Karl Marx a scrivere il suo “Capitale”.

La saga del carbone è cominciata già verso la fine del ‘600. La storia geologica del pianeta ha regalato all’Inghilterra le più grandi riserve di carbone in Europa, e di carbone di buona qualità e facilmente estraibile. Già nei primi del ‘700 in inghilterra si producevano 3 milioni di tonnellate all’anno di carbone. Col carbone si faceva l’acciaio, con l’acciaio si facevano cannoni e fucili; con questi aggeggi gli inglesi si sono fatti il loro impero coloniale. Di più, il carbone aveva reso possibile la rivoluzione industriale. Il carbone creava il capitalismo, e il capitalismo creava sempre più carbone. Nell’800 la produzione di carbone inglese era già oltre le 100 milioni di tonnellate all’anno e continuava a crescere. Col tempo, il numero di minatori in Inghilterra sarebbe arrivato a oltre un milione. Ognuno di loro produceva 250 tonnellate di carbone all’anno, molte centinaia di volte più energia di quanto un contadino preindustriale avrebbe mai potuto produrre.

Ma niente dura in eterno e lo sviluppo tumultuoso del carbone e del capitalismo inglese erano destinati ad arrestarsi prima o poi. Nel 1913, l’Inghilterra raggiunge il suo massimo storico di produzione annuale: oltre 250 milioni di tonnellate. Durante la prima guerra mondiale, la produzione cala, ma tutti si aspettano che riprenda poi la sua corsa. E invece no. Durante gli anni convulsi del dopoguerra la produzione di carbone inglese viaggia fra alti e bassi, c’è chi dice che è colpa degli scioperi generali dei minatori, ma con gli anni ’30 il declino del carbone inglese è ovvio per tutti.

A quel tempo, si sprecano le discussioni. Nessuno riesce a spiegare come mai la produzione diminuisce se di carbone ce n’è ancora. E’ una caduta della domanda? Un effetto delle regolazioni governative? Un complotto comunista? Manca completamente agli economisti del tempo, come del resto a quelli odierni, il concetto di “ritorno energetico”. Quando si estrae una risorsa minerale, si estraggono prima le risorse “facili”, ovvero ad alto ritorno energetico. Via via che si esauriscono le risorse facili, bisogna attaccarsi a quelle difficili e queste costano più care non solo in termini monetari ma in termini energetici. L’effetto è un declino graduale della produzione che inizia ben prima che si sia raggiunto l’ “esaurimento fisico” della risorsa. E’ questo il famoso “picco di produzione” più noto per il caso del petrolio ma che si verifica per qualsiasi risorsa minerale. E’ curioso che queste cose erano già perfettamente chiare a Stanley William Jevons che le scrisse nel suo “La Questione del Carbone” del 1856. I grandi economisti dell’ 800 sono stati una generazione molto speciale, le cui capacità di sintesi non sono state più eguagliate.

Il grande ciclo del carbone inglese è soltanto un tassello – anche se il più importante – del ciclo del carbone europeo. In Europa si produce carbone non solo in Inghilterra ma anche in Germania e in Polonia e, in quantità minori, in Francia e in Spagna. E’ un grande ciclo che in qualche secolo ha catapultato l’Europa da penisola minore del continente eurasiatico a potenza planetaria dominante. Il ciclo del carbone Europeo, però, si esaurisce verso la metà del ventesimo secolo. La Germania raggiunge il suo picco nel 1945; la Francia poco dopo. Tutta la produzione europea comincia a declinare nel dopoguerra. Non è un caso che nel dopoguerra l’Europa abbia perso la sua posizione dominante; passata ad altri paesi produttori di energia in forma di petrolio, come gli Stati Uniti.

Ne succedono di cose nel convulso periodo fra l’ascesa e il declino del “re carbone”. Per un paio di decenni a partire dal 1920 fino al 1940, circa, la Germania rimane in crescita, mentre l’Inghilterra declina. Sono gli anni del grande braccio di ferro fra le due potenze europee; il carbone Inglese combatte contro il carbone tedesco. Nella prima guerra mondiale trionfa il carbone inglese; nella seconda sarebbe stato il carbone tedesco a vincere se non fosse intervenuto il petrolio americano a cambiare le carte in tavola.

L’Italia, da parte sua, ha costruito tutto sul carbone inglese; che non serve solo per i lampioni di Firenze ma per tutto il sistema industriale italiano già a partire dal ‘700. Ma, dopo la prima guerra mondiale, il declino del carbone inglese si fa sentire. Tutto il sistema industriale italiano, già provato dalla guerra, entra in crisi. Sono i tempi dei primi grandi moti operai. Nel 1921, viene ucciso Spartaco Lavagnini, sindacalista fiorentino; è in fondo anche lui una vittima dell’esaurimento del carbone. La risposta politca alle difficoltà economiche è l’autoritarismo del regime fascista; ma questo non risolve certo il problema della mancanza di carbone. La stampa italiana degli anni ’20 e ‘30 è tutta una serie di insulti contro l’Inghilterra, la “perfida Albione” che non ci dava il carbone di cui avevamo bisogno. Erano invettive curiosamente simili a quelle che, cinquant’anni più tardi, sarebbero state lanciate contro i paesi arabi, colpevoli di non dare all’occidente abbastanza petrolio.

Tutta la politica italiana fra le due guerre si legge come un disperato tentativo di trovare risorse energetiche. L’Italia fa la voce grossa; si arma fino ai denti; il duce vuole rifare l’impero romano. Come una belva in gabbia, l’Italia è un paese incattivito che colpisce dove può. Con l’avventura Etiopica del 1935, l’Italia si illude di essersi costruita un impero come quello inglese. Invece ha fatto un’errore clamoroso, svenandosi per invadere un paese del tutto privo di risorse minerali. Gli Italiani sono entusiasti della loro impresa, ma non hanno capito che è il carbone che crea gli imperi, non viceversa. L’impero italiano avrà la sola distinzione di essere forse quello di più breve durata che la storia ricordi: meno di dieci anni.

Con l’attacco all’Etiopia, l’Italia si è autoinflitta delle ferite quasi mortali (per non parlare di quelle inflitte all’Etiopia). La fase dell’autarchia che segue è un fallimento; non si riesce a rimettere in sesto l’economia ormai al disastro nonostante la propaganda trionfale del regime; la produzione industriale declina; la tecnologia italiana, una volta all’avanguardia, crolla e rimane ai suoi vecchi biplani e alla sua flotta rigorosamente senza radar. Per l’Italia degli anni ’30, ormai sfinita e senza risorse non resta che buttarsi fra le braccia della Germania, che prometteva il carbone che l’Inghilterra non poteva più dare. Quel carbone costerà molto più caro di quanto non si potesse immaginare a quel tempo.

Dopo il cataclisma della seconda guerra mondiale, il carbone è passato in secondo piano. Il petrolio è cresciuto prepotentemente e negli anni ’50 ha sorpassato il carbone come la sorgente di energia principale nel mondo. Oggi, il ciclo del carbone europeo sta raggiungendo la sua fase finale. Nel 2005, abbiamo visto un momento epocale: la Francia ha chiuso ufficialmente la sua ultima miniera di carbone. Dopo quasi tre secoli di sfruttamento, a partire dai primi del ‘700, passando attraverso la rivoluzione francese, Napoleone, e tutte le guerre europee, da quest’anno la Francia non produce più un grammo di carbone. Inghilterra e Germania non sono ancora arrivate a quel punto, ma la loro produzione è ormai ridotta a meno di un decimo di quella che era ai tempi d’oro. L’impero inglese non è sopravvissuto al declino del carbone; come del resto neppure l’idea hitleriana del dominio germanico del mondo.

L’Europa ha ricostruito le sue industrie con il petrolio del Vicino Oriente e ci è parso che il carbone fosse solo un relitto di un epoca remota. Ma il “Re Carbone” non era affatto scomparso; era solo che il baricentro produttivo si era spostato lontano dall’Europa ormai spremuta; verso regioni ancora poco sfruttate. Era la Cina che negli anni ’60 cominciava la sua rivoluzione industriale basata sul carbone seguendo la stessa strada che l’inghilterra aveva percorso un secolo prima. La Cina arriverà a produrre nel 2005 quasi dieci volte più carbone di quanto l’inghilterra abbia mai prodotto. Il suo ciclo è in pieno svolgimento; non ci sono stime affidabili di quando comincerà il declino, ma sarà altrettanto inevitabile di quello del carbone inglese.

La grande fiammata che è stata il petrolio è oggi al suo culmine e il declino è destinato ad essere molto rapido. Il carbone, invece, va più lento ma il ciclo è comunque inesorabili. Esistono ancora risorse di carbone poco sfruttate nel Vicino Oriente e in Australia. Ma i tempi dell’abbondanza sono finiti. E’ curioso che qualcuno in Italia parli oggi di ritornare al carbone, dimenticandosi completamente della grande carenza che abbiamo avuto dagli anni ’20 in poi e senza chiedersi da dove il carbone dovrebbe arrivare. E’ finito il tempo dei regali e non importa se saremo cattivi o buoni; metteremo anche la calza sul caminetto, ma la Befana non ci porterà più il carbone.


Una versione di questo articolo è stata pubblicata sul “Tracce” di Dicembre 2006, una versione in pdf si trova a
http://www.aspoitalia.net/images/stories/ugo/befanapetrolifera/befanacarbonifera.pdf



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Il Peggior Nemico dell'Uomo: il Carbone

Sul blog "DailyKos" potete leggere una serie di interessanti considerazioni sul carbone, "il peggior nemico dell'uomo". L'autore è arrivato alle stesse conclusioni che avevo espresso non molto tempo fa in un post dal titolo "Perché la Cina ci fa le Scarpe". Ovvero, il boom cinese è dovuto alla disponibilità di ampie riserve di carbone a buon mercato; i bassi salari e il capitalismo scatenato sono conseguenze ma non cause del flusso di carbone nell'economia.

Ma il carbone non è soltanto il motore del boom economico cinese, è il fattore di distruzione forse più importante dell'equilibrio planetario. Già oggi la cina brucia carbone per un'energia equivalente a un terzo di tutta la produzione petrolifera mondiale, e continuano a incrementare. Il futuro è ancora più nero di quanto ci possiamo immaginare. Nero color carbone.

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The world economy was saved last year by the increasing world coal production.


Right, the Chinese coal is more significant to the World energy than the Saudi oil (1106 Mtoe vs. 540 Mtoe.). China is probably now the biggest fossile energy producer (not consumer) in the world just before the US (China coal+gas+oil in 2005: 1334 Mtoe, the US 1359 Mtoe, but considering the Chinese coal growth China is probably now the #1). Nuclear and hydro don't change this.


Here we see the secret of the Chinese economy. The energy production of China has risen 44% from 2002 to 2005, and this at absolute volumes comparable to the US! The Chinese total energy production growth has supplied almost half of the total World energy supply growth during that time (450 Mtoe of 1010 Mtoe growth). China has been literally the engine of the World energy and economy.


It is absolutely clear that low costs are not the main reason for production moving to China. The industrial growth there would have been impossible without this huge growth in domestic energy production. This is the biggest "energy surge" in the World history and the driving force of globalization.




Read the whole story



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sabato, dicembre 02, 2006

Dalla Padella nella Brace







Esce su www.aspoitalia.net in articolo in cui Ugo Bardi fa una comparazione fra il problema del riscaldamento globale e quello dell'esaurimento delle risorse. Sono due problemi complessi e controversi, il che fa si che manchino esperti in entrambi i campi. Quale dei due problemi è il più grave? Quale quello da risolvere per primo?

Sulla base dei dati esistenti, è chiaro che i due problemi sono strettamente correlati e dipendenti l'uno dall'altro - tentare di risolverne uno senza considerare l'altro può essere controproducente. Per esempio, cercare di ovviare all'esaurimento del petrolio utilizzando il carbone porta necessariamente a un incremento delle emissioni dannose. Al contrario, misure quali il sequestro del biossido di carbonio possono portare a un incremento dell'attività industriale e quindi a un aggravamento del problema dell'esaurimento. Non esistono soluzioni semplici per problemi complessi; l'unica possibile soluzione è un sistema di quote sia per quanto riguarda le emissioni (trattato di Kyoto) sia per quanto riguarda l'estrazione (per esempio, il "protocollo del petrolio")

L'articolo completo si trova a:

http://www.aspoitalia.net/images/stories/ugo/padellaobrace/padellaobrace.pdf



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venerdì, dicembre 01, 2006

Riparte il petrolio?


Netta tendenza al rialzo per il petrolio di questa settimana. Dopo un lungo periodo in cui i prezzi al Nymex avevano oscillato fra i 55 e i 60 dollari al barile, vediamo negli ultimi giorni che si sono mantenuti sempre sopra i 60, con una tendenza all'aumento.

Le variazioni del mercato del petrolio sono sempre una sorgente di sorpresa e di speculazioni. Il crollo dei prezzi che si è verificato a partire da Agosto, quando avevano raggiunto i 78 dollari al barile, è probabilmente spiegabile come dovuto alla preoccupazione degli operatori per possibili nuovi uragani devastanti, come Katrina dell'anno scorso. Per accumulare riserve in Agosto, i prezzi sono aumentati; dopo di che gli uragani non sono arrivati, per cui ci siamo trovati con un eccesso di petrolio che ha causato l'abbassamento dei prezzi. Ora, sembra che le riserve siano state smaltite, può darsi che siamo di fronte a un nuovo ciclo di aumenti

Oppure no; con il petrolio non si può mai sapere con sicurezza.



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Batterie per i Veicoli Stradali

Pubblicato oggi sul sito di aspo-italia un articolo di Ugo Bardi dove si esamina la tecnologia dei vari tipi di batterie disponibili per la trazione veicolare. Negli ultimi tempi, ci sono stati dei miglioramenti molto importanti in questo campo e siamo molto vicini al momento in cui le nuove batterie, in particolare quelle al litio, potranno permettere di costruire veicoli elettrici di prestazioni e costi paragonabili a quelli dei veicoli attuali, ma con efficienze energetiche molto superiori e, soprattutto, a zero emissioni.

L'articolo si trova a:

http://www.aspoitalia.net/images/stories/ugo/batterie/batteriebardi.pdf

giovedì, novembre 30, 2006

In memoria di Milton Friedman

Sapete quanti economisti ci vogliono per avvitare una lampadina?

Nessuno. Ci pensa la mano invisibile





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Il mio primo negabarile


Ho toccato in questi giorni i 3500 km percorsi con il mio scooter elettrico. Fatti i dovuti conti, confrontando con quello che consumavo col mio vecchio scooter col motore tradizionale, ho raggiunto il "negabarile", ovvero ho evitato il consumo dell'equivalente di un intero barile di petrolio (159 litri).

Lo so che tutti si affretteranno a dire, "ma hai comunque consumato combustibile alla centrale elettrica!" Vero, lo so benissimo. Però tenete conto che:


1) La catena di consumi è favorevole al veicolo elettrico anche tenendo conto delle perdite di trasmissione e conversione. Un mezzo elettrico consuma comunque meno energia di uno convenzionale a parità di distanza percorsa.

2) In Toscana un buon 20% dell'energia elettrica viene da fonti rinnovabili, ovvero geotermico e idroelettrico. Quindi zero emissioni di CO2.

3) Sto installando sul tetto di casa mia un impianto fotovoltaico che produrrà circa cinque volte più energia di quella che consuma il mio scooter elettrico

Quindi, credo di aver dato un discreto contributo alla riduzione delle emissioni, il tutto risparmiando anche (!). In più, non ho emesso nanopolveri, non ho emesso sostanze inquinanti di nessun tipo e non ho fatto neanche rumore, che si può volere di piu'?

Andatelo a dire a quelli che parlano di auto a idrogeno per il 2020 (forse.....)



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mercoledì, novembre 29, 2006

Proprio una brutta CERA

Esce su "energy Bulletin" un articolo di Ugo Bardi che commenta le ultime stime di abbondanza di Cambridge Energy REsearch Associates (CERA).

L'articolo si intitola "Stime delle Risorse per Geologicamente Andicappati", La critica alle stime di CERA si basa principalente su un esame dell'affidabilità di stime passate, che - contrariamente a quello che spesso si pensa - sono risultate molte volte sbagliate per eccesso.

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Published on 25 Nov 2006 by ASPO-Italy. Archived on 28 Nov 2006.
Resource Forecasting for the Geologically Challenged

by Ugo Bardi


Estimating the amount of crude oil resources seems to be a popular activity nowadays, but often the results of the various studies are not in agreement with each other.

Several independent researchers estimated the total planetary endowment, or “ultimate recoverable resource” (URR), as around 2 trillion barrels (ASPO 2006). Others, instead, propose larger numbers: a study by the United States Geological Survey (Wood and Long 2000) proposed an URR of 3 trillion barrels as the most probable value. A recent study from Cambridge Energy Research Associates (CERA 2006,1) proposes “4.82 trillion barrels” as the ultimate world endowment.

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La Zattera e il Transatlantico: Il solare nel deserto?

Leggiamo su "Repubblica" di qualche giorno fa http://www.repubblica.it/2006/11/sezioni/ambiente/solare/solare/solare.html


Uno studio commissionato dal governo di Berlino rilancia le potenzialità di questa tecnologia
Costruendo centrali nei deserti del Nordafrica si potrebbe dare un enorme aiuto all'Europa
Rapporto tedesco sull'energia solare "Col termodinamico possibile autosufficienza"
Per l'Italia si tratta di uno schiaffo: Rubbia è tra i pionieri, ma è dovuto emigrare in Spagna


Questo articolo è francamente un po' troppo trionfale e richiede qualche commento.

L'idea di fare energia nel deserto non è nuova. Già dopo la prima grande crisi del petrolio dalla Germania arrivò uno studio del 1982 che prevedeva la costruzione di grandi impianti fotovoltaici nel deserto del Sahara e la trasmissione dell'energia in Europa. Lo studio è oggi introvabile, ma ne rinvengono alcune tracce nel libro "La Via del Sole" di E. Turrini del 1990. Lo studio era piuttosto evoluto per i suoi tempi e esaminava due possibilità per la trasmissione dell'energia elettrica: trasmissione diretta attraverso linee ad alta tensione e conversione a idrogeno. Lo studio concludeva che non c'erano vantaggi nell'uso dell'idrogeno, che la cosa era fattibile ma i costi estremamente alti. Si parlava, all'epoca, di costi paragonabili a quelli del progetto Apollo per l'impresa lunare.

Ci si accorse poi che il fotovoltaico nel deserto non funziona meglio (anzi funziona leggermente peggio) dello stesso fotovoltaico in Germania e l'ovvia conclusione fu che era meglio sviluppare il fotovoltaico in Germania piuttosto che lanciarsi nell'impresa follemente costosa di mettersi a piazzare pannelli nel deserto. Questo è quello che la Germania ha fatto con coerenza negli ultimi 10-20 anni, arrivando a una diffusione già importante dell'energia fotovoltaica sul territorio

Ritornata di moda la crisi energetica, si riprendono molte vecchie idee e fra queste quella dell'energia solare nel deserto. Rispetto allo studio del 1982, alcune cose sono cambiate. Nonostante che Rubbia avesse parlato di fare idrogeno nel deserto, se c'è una speranza di portare l'energia dal Sahara all'Europa è soltanto per via di linee elettriche. La differenza principale fra il progetto dell'82 e quello di oggi è che Rubbia propone di utilizzare sistemi solari a concentrazione (o "solare termodinamico") piuttosto che il fotovoltaico.

Il sistema a concentrazione ha il vantaggio rispetto ai pannelli fotovoltaici di poter continuare a produrre energia elettrica anche di notte per mezzo dell'inerzia termica di tutto il sistema. Ma non è tutto oro quello che viene descritto come luccicante e il sistema a concentrazione ha una serie impressionante di problemi. Ci sono grossi problemi nella trasmissione del calore, occorre un fluido in grado di lavorare stabilmente a temperature di 400 gradi almeno e che non solidifichi se per caso una parte delle tubazioni si raffredda. Ci vogliono sistemi sotto vuoto per i tubi collettori, e il tutto va accoppiato con il sistema ottico di concentrazione in modo efficiente. C'è il problema di mantenere gli specchi puliti e il generale problema della manutenzione di un sistema così vasto piazzato nel bel mezzo del deserto. C'è il problema di dover creare tutta una nuova serie di linee di trasmissione a lunghissima distanza con tutte le questioni ambientali connesse. Il problema principale è la scala. Il sistema non ha inerzia termica a sufficienza a meno che non sia veramente grande. In ogni caso non avrebbe senso farlo piccolo se uno deve comunque investire cifre impressionanti per le linee di trasmissione. E, d'altra parte, il sistema non potrebbe funzionare bene in Italia perché ha bisogno di luce diretta, le nuvole e la foschia gli danno molto fastidio, un problema che si pone molto meno con il fotovoltaico. Quindi, comunque vada, si parla di investimenti enormi per un sistema le cui prestazioni dovrebbero essere sperimentate a posteriori.

In sostanza, l'impressione è che si voglia costruire un transatlantico senza aver mai veramente sperimentato una zattera. Tutti i problemi si possono risolvere, in linea di principio, ma è problematico (per non dire altro) trovare l'immenso investimento necessario per un sistema del genere senza poter veramente sperimentare un sistema più piccolo. Ricordiamoci che in Italia non riusciamo ancora a far decollare il fotovoltaico, neanche su piccola scala, figuriamoci imbarcarsi in un'impresa del genere con i soldi pubblici. Ma, in compenso, non ci manca il sole, possiamo creare energia a casa nostra. Lasciamo i profeti incompresi a chi li accoglie. Noi cerchiamo almeno di vivere in accordo alla nostra fama di "Paese del Sole".


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Le tariffe disincentivanti

In questi giorni circola tra gli “addetti ai lavori” il testo, predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico, di una proposta di decreto (di seguito proposta) che modifica radicalmente l’attuale normativa a sostegno della tecnologia solare fotovoltaica. Tralascio gli aspetti meno rilevanti della proposta per soffermarmi sulla previsione che rischia di bloccare la crescita del fotovoltaico nel nostro paese, cioè l’entità dell’incentivazione economica riconosciuta all’energia elettrica prodotta dai pannelli fotovoltaici. I valori delle tariffe incentivanti contenuti nella proposta sono tutti inferiori a quelli definiti dal decreto vigente, compresi quelli relativi agli impianti di potenza inferiore che, nell’intento degli estensori, dovrebbero invece essere maggiormente agevolati.
Per valutare le conseguenze di questo scenario ho effettuato, con l’ausilio di un foglio di calcolo excel appositamente predisposto, una simulazione degli effetti della proposta, e i risultati dimostrano l’assoluta inadeguatezza delle nuove tariffe proposte. Ad esempio, nel caso della realizzazione di un impianto da 1 MW di potenza, il VAN (Valore Attuale Netto), cioè il guadagno netto attualizzato per l’investitore è, mediamente e nelle ipotesi più favorevoli, inferiore a zero e il tempo di ritorno dell'investimento superiore al tempo di vita dell'impianto (25-30 anni), rendendo quindi privo di convenienza economica l’investimento stesso. In altre parole, in un paradossale ribaltamento semantico, le tariffe incentivanti si trasformerebbero inopinatamente in tariffe disincentivanti.
Sono convinto che il decreto proposto non verrà approvato nell’attuale versione perché l’attuale governo di centro-sinistra ha chiaramente individuato tra i propri obiettivi la diffusione delle fonti rinnovabili e il rispetto del Protocollo di Kyoto. Non oso credere che il Ministro dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente, che di concerto dovranno approvare il nuovo decreto, possano accettare previsioni che bloccherebbero definitivamente la crescita delle installazioni fotovoltaiche in Italia. Ciò contrasterebbe con la valutazione positiva che più volte hanno manifestata nei confronti di questa tecnologia.
Mi permetto perciò di avanzare, molto modestamente, alcune proposte per dare maggiori certezze e prospettive al mercato del fotovoltaico. Le modifiche più significative del decreto vigente potrebbero essere appena tre:
1) Aumentare leggermente le attuali tariffe incentivanti, magari eliminando il meccanismo di gara attualmente previsto per gli impianti di potenza maggiore.
2) Introdurre un meccanismo automatico di aggiornamento delle tariffe nei confronti dell’andamento del costo della vita.
3) Prevedere espressamente forme di detrazione fiscale, attualmente non certe, per gli impianti di potenza superiore ai 20 KW, al fine di compensare le spese derivanti dal pagamento dell’Irpef sui ricavi ottenuti dalla produzione di energia elettrica.
Terenzio Longobardi