Nel suo post del 3 marzo Ugo Bardi nota come la produzione petrolifera dell'Arabia Saudita (che fa da sola un ottavo della produzione mondiale) sia calata lo scorso anno di un milione di barili (da 9,5 a 8,5) di petrolio il giorno. Si discute nelle alte sfere se questo sia un preoccupante segno premonitore della fine prossima, o sia semplicemente dovuto alla volontà dei sauditi di tenere alti i prezzi.
Sul sito "The Oil Drum" sono comparsi diversi articoli di analisi: i dettagli della curva di produzione mostrano come questa sia poco sensibile alle violente fluttuazioni di prezzi degli ultimi anni, ma invece indichi piuttosto bene l'entrata in produzione dei nuovi pozzi. Si sottolinea come gli impianti di perforazione siano passati da 18 a 55 negli ultimi due anni, senza riuscire apparentemente a far altro che a mantenere i livelli di produzione del 2004.
Qualche giorno fa in questo sito Stuart Stanifold ha scritto un commento ad un articolo (Hussain et al, International Petroleum Technology Conference Paper #10395, 2005) apparso su una rivista della Society of Petroleum Engineers. L'articolo è scritto da un gruppo di ingegneri della Aramco, la compagnia petrolifera saudita, e racconta come questa sta combattendo il problema della sempre maggiore quantità di acqua nel petrolio estratto dal giacimento di Ghawar, la madre di tutti i giacimenti (2 milioni di barili il giorno nel 2001, per la regione studiata nell'articolo, 4 milioni e mezzo per tutto il giacimento).
Al di là del problema specifico, l' articolo è interessante perché dai dati esposti si riesce a capire qualcosa dello stato del giacimento. E Stainfold sfrutta questi dati per dirci che lì sotto, di petrolio estraibile, non c'e n'è rimasto granché. Pochi anni, e tutto quel che ci tireranno fuori sarà acqua sporca.
Per chi sa l'inglese e ha voglia di sciropparsi diverse pagine di ragionamenti ed analisi, rimando alla pagina citata (e all'articolo). Per tutti gli altri provo a riassumere qui le principali conclusioni.
Il petrolio inzuppa uno strato di rocce porose (carbonati, nel caso specifico). Lo strato inzuppato è coperto da uno strato di roccia impermeabile a forma di catino rovesciato. Spesso sotto il petrolio c'è acqua, e per mantenere la pressione si inietta nuova acqua ai margini del giacimento. L'acqua e il petrolio finiscomo per coesistere e nel petrolio estratto c'è spesso una certa quantità di acqua.
Nella figura, ricavata dall'articolo originale, si vede una sezione di due regioni del giacimento, si presume abbastanza tipiche, con in vari colori che indicano la percentuale di acqua sul totale (cliccate per ingrandire). Le zone azzurre contengono solo acqua, quelle viola solo petrolio. Con l'andare del tempo le zone rosse e viola si ritirano, e il grosso del giacimento è occupato oggi dalle zone verdi, cioè un mix di circa il 30% di petrolio e 70% di acqua.
Bé, non è poi così male, verrebbe da dire, abbiamo ancora 1/3 del petrolio, lì sotto, anche se mescolato con l'acqua. Ma c'è un problema. Se abbiamo della roccia (per facilitare l'immaginazione pensiamo a sabbia compatta) e la inzuppiamo di petrolio ed acqua, possiamo farli scorrere insieme solo se sono all'incirca nella stessa proporzione. Se tentiamo di "lavare" la roccia facendoci scorrere attraverso dell'acqua, il petrolio forma goccioline che si appiccicano alla roccia, mentre l'acqua non fa che scorrergli intorno. Un 20-30% del petrolio resta sempre indietro, e non lo recuperemo mai.
Questo che significa, in pratica? Due cose. La prima, che affrontano gli ingegneri, è che i pozzi buttano acqua più che petrolio. Ma loro mostrano come si può rimediare, facendo pozzi orizzontali che pescano solo nella zona rossa, o mettendo del tappi alla profondità giusta nei vecchi pozzi verticali.
Ma la seconda, piu' preoccupante, è che il petrolio estraibile che resta è solo quello indicato in rosso, nella figura. Cioè solo lo strato vicino alla cima del giacimento, un decimo del totale o poco più. E ai ritmi attuali di estrazione, non ci vorrà molto a finirlo. Non servono calcoli complicati, basta guardare la figura. E non esiste un altro Ghawar da scoprire.
Gianni Comoretto
2 commenti:
"Si sottolinea come gli impianti di estrazione siano passati da 18 a 55 negli ultimi due anni"
Sarebbe preferibile non usare il termine "impianto di estrazione", non significa nulla, meglio usare il termine "impianti di perforazione".
"Il petrolio inzuppa rocce con circa la porosità della sabbia al mare."
Questo è corretto solo nel caso di arenaria poco cementata, e non è certo il caso dei giacimenti dell'Arabia, che sono normalmente in rocce carbonatiche.
Per quanto riguarda il problema del recupero del petrolio che aderisce alle particelle è di difficile risoluzione, dato che l'olio ha una maggiore "bagnabilità" dell'acqua questo ricopre la roccia con uno strato finissimo ma rilevante.
Si sta cercando il modo di migliorare il ricovero, ma sino a ora con poca fortuna, chi trovasse un modo fattibile potrebbe fare molti soldi. :-)
Anacho
Grazie Anacho. Ho corretto le sottolineature rosse che mi hai fatto.
Non sono un geologo, e mi scuso per le imprecisioni che sicuramente non sono solo queste due.
Su come recuperare questo petrolio, mi sembra significativo che nell'articolo si propone come soluzione quella del "tappo": si da' per perso tutto quel che e' sotto una certa profondita', e si tira su solo dagli strati piu' superficiali.
E mi ha impressionato anche il fatto che in 25 anni nell'area allagata la percentuale di petrolio non e' minimamente scesa. Quello reta li', adeso alla roccia, e non si muove. Iniettare qualche km cubo di trielina? :-)
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