domenica, agosto 31, 2008

Teologia del riscaldamento globale

Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre, Masaccio.

Molta dell'opposizione al concetto che il riscaldamento globale sia causato dall'uomo è di origine politica e fa capo a quei gruppi economici che sarebbero danneggiati dai provvedimenti per ridurre il problema. In generale, questo tipo di opposizione si esprime attraverso considerazioni apparentemente scientifiche che cercano in qualche modo di smontare il quadro della situazione così come è sostenuto dalla stragrande maggioranza dei climatologi. Molte di queste considerazioni "scientifiche" non si rivelano tali a un esame approfondito, ma piuttosto combinazioni di bugie, verità parziali e offuscamento dei dati. Ma, comunque sia, vengono presentate come se lo fossero.

Esiste, tuttavia, un'opposizione che non ha nessuna pretesa di avere un fondamento scientifico; ovvero che il riscaldamento globale causato dall'uomo semplicemente non può esistere in quanto in contraddizione con la legge divina. Fra i vari esempi, uno recente è questo rapporto sul dibattito sul riscaldamento globale al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione del 2008:


Dal Resto del Carlino, mercoledì 27 agosto (pg. 29)
A RIMINI SCIENZIATI FUORI DAL CORO

Uomo, sei troppo piccolo per distruggere il mondo
Il Meeting contro il catastrofismo ambientale

dall'inviato MASSIMO PANDOLFI

- RIMINI -

L' UOMO non è Dio. Ci si può mettere tutto l'impegno che si vuole, ma
il pianeta non l'abbiamo fatto noi. E neanche lo possiamo
distruggere. Il Meeting di Comunione e Liberazione smonta, con
numeri, mostre, testimonianze, libri e dibattiti, il catastrofismo
ambientale che va tanto di moda in questi anni
.

Queste prime righe espongono un concetto che possiamo riassumere come: "Solo Dio poteva creare il mondo, solo Dio può distruggerlo". Questa posizione non la si trova soltanto in questo rapporto di Pandolfi, ma è abbastanza tipica di un certo atteggiamento a volte politico e a volte religioso. In certi ambienti della destra fondamentalista americana, per esempio, si considera blasfemo sostenere che il petrolio è una risorsa finita; sarebbe come porre limiti all'onnipotenza divina. Portato all'estremo, il concetto dice che non ci sarà tempo per l'uomo per far danni al pianeta o esaurire le risorse: l'apocalisse (o quello che alcuni chiamano "rapture") arriverà prima.

Partendo da questa posizione preconcetta, non c'è poi troppo da stupirsi che si riescano a trovare "numeri, mostre, testimonianze, libri e dibattiti" contro il "catastrofismo ambientale", pescandoli più o meno a caso dal grande calderone che è il negazionismo. Non varrebbe la pena mettersi a smontare riga per riga il pietoso articolo di Massimo Pandolfi (lo trovate in fondo) pieno di errori, inesattezze e assurdità. Oltretutto, credo non sia nemmeno fedele a quello che è stato veramente detto al meeting e alla mostra "atmosphera" al meeting di CL che, dalla descrizione che ne viene data, poteva anche essere una cosa seria.

Piuttosto, si tratta di confrontarsi con la posizione teologica sul riscaldamento globale. Se uno è convinto che Dio non permetterà all'uomo di surriscaldare il pianeta, non c'è nessuna argomentazione scientifica che potrà convincerlo del contrario. Ma è vero questo? O non è piuttosto questa una forma di pseudo-teologia, proprio come il negazionismo è una forma di pseudo-scienza?

Non pretendo di mettermi a fare il teologo, non è il mio mestiere. Mi limito pertanto a riportare qui la visione di alcuni che ne sanno certamente più di me e, altrettanto certamente, più di quelli che hanno ispirato Massimo Pandolfi nel suo rapporto dal meeting di CL.

Cominciamo col dire che la Chiesa Cattolica non ha preso una posizione sulla questione del cambiamento climatico. Per ora, si è limitata a delle discussioni dove è stato dato spazio anche a negazionisti di basso livello, come Zichichi. Tuttavia, è chiarissimo che la Chiesa NON avalla la teoria che l'uomo non può danneggiare il pianeta per ragioni teologiche, e nemmeno potrebbe farlo perché sarebbe una totale assurdità. Vediamo, per esempio, questi stralci dal testo del Cardinale Martino al convegno sui cambiamenti climatici organizzato nel 2007 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che possiamo prendere come rappresentativi dell'atteggiamento della Chiesa cattolica.


... a conclusione di questa mia breve introduzione, permettetemi di condividere con voi la lezione, molto pertinente e istruttiva, che ci viene dai primi capitoli della Bibbia dove si parla della creazione e del rapporto che deve avere l’uomo, con le sue molteplici attività con il creato. Nel disegno del Creatore, infatti, le realtà create, buone in se stesse, esistono in funzione dell’uomo. Creandolo a sua immagine e somiglianza, Egli vuole che “domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26). Lo stupore davanti al mistero della grandezza dell’uomo fa esclamare il salmista: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato; gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8,5-7).

Il dominio dell’uomo sul creato, tuttavia, non deve essere un dominio dispotico e dissennato; al contrario, egli deve “coltivare e custodire” i beni creati da Dio. Beni che l’uomo ha ricevuti come un dono prezioso, posto dal Creatore sotto la sua responsabilità. La proibizione di mangiare “dell'albero della conoscenza del bene e del male” (Gen 2,17) ricorda all’uomo che egli ha ricevuto tutto come dono gratuito e che continua ad essere una creatura, e non sarà mai il Creatore. Il peccato dei nostri padri fu provocato proprio da questa tentazione: “diventereste come Dio” (Gen 3,5). Adamo ed Eva vollero avere il dominio assoluto su tutte le cose, senza sottomettersi alla volontà del Creatore. Da allora l’uomo dovrà trarre il cibo dal suolo con dolore e con il sudore del suo volto mangiare il pane (Gen 3,17-19). Coltivare per sviluppare l’uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini: questa è la grande sfida che abbiamo di fronte anche riflettendo sui cambiamenti climatici.

Quella di Martino è una posizione molto cauta e conservativa, ma in sostanza, il concetto che ci viene dalla Genesi è chiaro. Il paradiso terrestre fu dato ad Adamo ed Eva perché lo coltivassero e lo custodissero; non era una specie di Club Med dove tutto era gratis e non c'era da preoccuparsi di niente.
L'uomo ha una responsabilità nei riguardi della creazione; fallire in questa responsabilità vuol dire, come minimo, essere cacciati via con una spada fiammeggiante.

Una posizione più specifica è espressa con grande chiarezza dal Vescovo Uhl di Friburgo, sempre nello stesso meeting, del quale riporto qualche stralcio tradotto (testo completo, in fondo).

La protezione del clima mondiale è una questione di giustiza. Ogni essere umano ha il diritto di vivere e di vivere bene. Per esercitare questo diritto, gli esseri umani hanno bisogno della loro parte di aria pura, acqua pulita, un posto dove vivere, un lavoro, un giusto compenso per il loro lavoro e sufficiente energia. Senza queste risorse di base che vengono dalla Terra, che sono necessarie per la vita, nessuno può beneficiare di altri diritti umani. A che serve la dignità all'essere umano che ha fame, freddo, o sete? Che valore ha il diritto alla vita per l'essere umano che perderà la sua base per l'esistenza attraverso la minaccia del cambiamento climatico globale?

Anche se la natura, come concetto generale, non può essere un'entità con dei diritti - questo è riservato agli esseri umani - è utile applicare il classico principio della legge naturale alla natura stessa. E' chiamato „Neminem laedere“ – non nuocere. Questo concetto si oppone a ogni uso improprio e alla distruzione insensata delle risorse naturali unicamente per lo scopo di produrre a basso costo e ottenere alti profitti. E' una violazione di questo principio che si verifica quando le centrali elettriche emettono polveri non filtrate e particelle inquinanti e l'energia così prodotta non è nemmeno utilizzata correttamente. E' una violazione di questo principio quando le automobili consumano troppo e la tecnologia disponibile per aumentare l'efficienza non viene utilizzata. E' una violazione di questo principio quando si continua ad aumentare il consumo di kerosene nel traffico aereo e le linee aeree sono premiate per questo spreco attraverso sgravi fiscali. Tutte queste emissioni aumentano l'effetto serra e causano danno a lungo termine al clima considerato come una risorsa naturale.

Uhl non potrebbe essere più chiaro nello specificare che la questione del riscaldamento globale non è soltanto nel rapporto fra uomo e Dio, ma anche fra gli esseri umani: è una questione di giustizia.

Credo che questo sia sufficiente per mostrare come la posizione religiosa sulla questione del riscaldamento globale sia articolata e ricca di spunti; ben lontana dal rozzo negazionismo di certi pseudo-teologi. E' vero che la posizione cristiana è umano-centrica e in questo differisce da certe posizioni che possiamo definere come "naturo-centriche". C'è chi vede la natura al servizio dell'uomo e chi la vede come un'entità indipendente sulla quale l'uomo non può accampare nessun diritto. Ma se non portiamo all'estremo nessuna di queste due posizioni possiamo arrivare a una via di mezzo che soddisfa tutti (e anche la natura). L'uomo fa parte della natura e ha una responsabilità nei riguardi di se stesso e della natura allo stesso tempo. Come avrebbero dovuto fare Adamo ed Eva con il paradiso terrestre, il nostro pianeta deve essere "custodito e coltivato", altrimenti qualcuno ci caccerà via con una spada fiammeggiante.

In sostanza, il riscaldamento globale non se ne andrà negandolo, non importa con quali scuse. Dobbiamo lavorarci sopra e non serve invocare Dio che rimetta a posto graziosamente quello che noi abbiamo rovinato. Non c'è bisogno di essere grandi teologi per sapere che Dio aiuta chi si aiuta.


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Nel seguito, l'articolo completo di Massimo Pandolfi sul meeting di CL a Rimini. Scansione gentilmente fornita da Massimo de Carlo.


Dal Resto del Carlino, mercoledì 27 agosto (pg. 29)


A RIMINI SCIENZIATI FUORI DAL CORO

Uomo, sei troppo piccolo per distruggere il mondo
Il Meeting contro il catastrofismo ambientale


dall'inviato MASSIMO PANDOLFI

- RIMINI -

L' UOMO non è Dio. Ci si può mettere tutto l'impegno che si vuole, ma
il pianeta non l'abbiamo fatto noi. E neanche lo possiamo
distruggere. Il Meeting di Comunione e Liberazione smonta, con
numeri, mostre, testimonianze, libri e dibattiti, il catastrofismo
ambientale che va tanto di moda in questi anni: l'effetto serra che
uccide la Terra; il caldo che avanza e che ci soffocherà; i
ghiacciai che si sciolgono; l'inquinamento; le polveri sottili; i
camini che fumano porcherie. Tutto ciò insomma che ha fatto dire allo
scienziato america-no Gregory D. Poster: «I disastri ambientali
provocati dai cambiamenti cli-matici minacciano il futuro dell'umanità
in misura enormemente più grave rispetto al terrorismo. Dal 1968
i gruppi eversivi hanno ucciso 24mila persone, ogni anno invece ne
muoiono 240mila per i danni del clima».

BALLE. O meglio: «C'è un mistero ultimo che determina le cose — dice
Alessandra Vitez, responsabile delle mostre del Meeting: una si
intitola 'Atmosphera. Realtà e miti dei cambiamenti climatici' —
l'uomo non è tutto». «La scienza, al momento, non è in grado di dare
vere risposte certe — aggiunge Marco Bersanelli, docente di
astrofisica, uno degli scienziati più in vista di CI — e quando vi
sentite dare risposte certe e sicure, non fidatevi: sono spesso
figlie di interessi e preconcetti».

INTENDIAMOCI: non è che i ciellini, fatta questa premessa, invitino
l'uomo a sgassare in auto oppure a continuare a scaricare a più non
posso rifiuti e industriali. Questo no. Però fanno capire a chiare
lettere che certe battaglie ed esasperazioni ambientaliste lasciano
il tempo che trovano. Valter Maggi è docente presso l'Università
Bicocca di Milano e responsabile del progetto che alcuni anni fa ha
perforato per 3mila metri e passa chilometri l'Antartide, per cercare
di avere informazioni da quelli che definisce gli 'archivi naturali'
del Pianeta. Dice: «II clima si muove. Già in tempi non sospetti, e
cioè quando l'uomo ancora non esisteva, la Terra ha subito mutazioni
importanti del clima». «La Groenlandia una volta era coperta da
foreste — aggiunge Elio Sindoni, direttore di Scienze e Ambiente
sempre alla Bicocca — e il Sahara era un giardino fiorito». Allora
l'uomo non viaggiava con auto inquinanti. Il Meeting di Rimini non si
limita alle chiacchiere. Prova anche a dare dei numeri e a sfatare
alcuni tabù.

I PIÙ SPASSOSI:

1)1 ghiacciai si stanno sciogliendo. Sì e no. Cioè: al polo nord sì,
ma al polo sud i ghiacciai si stanno in realtà allargando.

2) La Terra rischia di diventare una palla di fuoco? Beh, è vero che
negli ultimi cento anni la temperatu-ra è aumentata di circa 0,8
gradi; ma lo sapete che su Giove, negli ultimi quindici anni, il
termometro è invece salito di 7 gradi, da -200° a -193° ? Che ci
siano anche lì dei marziani inquinatori?

3) In quattro milioni di anni, ci sono stati momenti assai più
caldi e con una maggiore concentrazione di anidride carbonica; e
quattro milioni di anni fa noi mortali non eravamo forse neanche
nei pensieri di Dio o della cicogna.

4) Si dice che questo benedetto riscaldamento della Terra sia
causato dalle crescenti emissioni di CO2 prodotte dalle industrie,
però è stato dimostrato che l'uomo incide solo per l'l%.

5) Ogni giorno scompaiono dalla faccia della Terra 30 km di boschi,
ma in realtà le rilevazioni satellitari hanno mostrato che dal 1982
al 1999 le aree boschive sono aumentate del 6%. E allora?

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Segue il testo completo dell'intervento del Vescovo Uhl al convegno del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace.


Auxiliary Bishop Dr. Bernd Uhl Rome, 27. April 2007 Archdiocese of Freiburg, Germany

Global Climate Change and Catholic Social Teaching

Global climate change caused by human activities is a reality for which there is a broad consensus in the global scientific community. In the meantime those entrusted with political responsibility have come to realize that only a combined effort can reduce the long-term increases in average global temperatures and subsequent destructive results for nature and humanity. Climate protection has become a pivotal topic of national and international politics. During the past months the heads of state of China, USA, and Russia and also of states in the European Union have declared their willingness to reduce CO2 emissions.


I. Sacred Teaching Authority of the Church and Climate Change

1. Gaudium et Spes, the Pastoral Constitution on the Church in the Modern World (1965)


Climate change is one of the "signs of the times" affecting the Catholic Church as a global organization. The Catholic Church must take a stand on this present-day and urgent question. According the Second Vatican Council, the Church has the duty to scrutinize the signs of the times and to interpret them in the light of the Gospel (Gaudium et Spes 4). The Church shares the hopes and fears of humanity. Interestingly enough though, in this document where the challenges and problems burdening humankind are listed, the threat to the natural resources of this planet is not mentioned.

At that time, maintaining creation and protecting the climate were at most topics of only marginal interest in public discussions. In 1965 no one gave any thought to the possibility that emissions of greenhouse gases could have dramatic consequences for the Earth's atmosphere and thereby for human beings, animals, and plants. Gaudium et Spes is marked by a generally optimistic tone. However, the pastoral constitution is absolutely important for the further development of Church teaching. It encourages the Church to take on burning issues of the day. Church teaching can't only be interested in the timeless questions of theology; it also has to answer the current and urgent questions of the present day.

2. From Populorum Progessio (1967) to the Compendium of the Social Doctrine of the Church (2004)

This year we celebrate the 40th anniversary of the Pope Paul VI.'s encyclical Populorum Progressio, on the development of peoples. It is a milestone in the history of Catholic Social Teaching. The encyclical urgently demands international solidarity with respect to the development of peoples. Pope Paul VI. makes suggestions regarding just distribution of the goods of this world. "... the earth truly was created to provide man with the necessities of life and the tools for his own progress ... God intended the earth and everything in it for the use of all human beings and peoples ..." (No. 22) The created goods of this world (bona creata) are to benefit everyone. Many such goods are mentioned by name, including material goods and education. But here also things like air, water, or climate aren't expressly listed as common goods. At that time they were considered to be unendangered goods, which naturally would always be available in unlimited amounts. Their purity and distribution, and certainly the warming of the Earth's atmosphere, weren't a subject of discussion.


It wasn't until the many encyclicals and speeches of Pope John Paul II. that topics such as environment, ecology, gene technology, environmental pollution, biodiversity, protection of forests, atmosphere and biosphere, toxic waste, energy consumption, biotechnology, and other environmental topics emerged. In January of 1987 in an address to a study group at the Pontifical Academy of the Sciences the pope expressed the central idea: "Climate is a good that has to be protected." It is encouraging that the Compendium of the Social Doctrine of the Church has gathered and organized the scattered statements from papal teachings on the topic of protection of the environment. This shows that papal teachings were always commenting on questions of bioethics in public discussions and that these teachings were up to date. The Catechism of the Catholic Church (1993) speaks in general about the responsibility of human beings for creation. The seventh commandment enjoins respect for the integrity of creation making it therefore a religious duty to maintain the integrity of nature. Mineral resources, plants, and animals are to be put to wise and moderate use. Therefore it is certainly legitimate to include climate in its entirety, consisting of air, water, ocean currents, snow, ice, and surface land, in the definition of this duty. (No. 2415).


II. Basis of Sacred Church Teaching About Climate Protection

The Church's teaching on climate protection is nourished by two sources. Its reasoning is based on Biblical knowledge on the one hand and on social and philosophical principles on the other. This teaching is supported by arguments of theology and of natural law. Sacred Church teaching reaches inward to the members of the Church, but also outward into world opinion. The most important lines of argument with respect to protection of the environment and of climate are: Creation is good because it was made by God. Human beings have the responsibility to maintain it. There is such a thing as improper use of natural goods by human beings. Natural goods like water, air, and land belong to all people, but they aren't distributed in an equitable manner. The world community, the individual countries, and every individual have the duty to preserve the environment.

God's Creation

"We believe that the Earth is a gift from God … the cosmos displays the goodness, beauty and power of God". This is how the Australian Conference of Bishops' position paper on climate change begins1. This brochure is very well designed and directed at the general public. It explains the most essential aspects in a few sentences and lets pictures do the talking. This brochure can motivate people to see God's handiwork in creation.

According to Biblical teachings about the creation of the world (Genesis 1 and 2), the earth is a gift from God to human beings, who themselves are made in the image of God. Human beings are intertwined with nature as the summit of a step-by-step development. But they also stand in opposition to creation in order to form it and to use it. God looks at everything, which He has made and finds it "very good". (Genesis 1,31). This Biblical view of the cosmos and nature as God's creation has consequences for our way of thinking and speaking. It makes a crucial difference whether we talk about "creation" or about "environment", just as it makes a difference whether we speak of an "unborn child" or an "embryo". Use of language makes for a differentiation of values. "Environment" sounds neutral, less important, secondary. The word "creation" embodies value. It reminds us of God, the Creator of all things. Today however the concept "environment" may also be merely neutral technical terminology. It is used over and over again in proclamations of Catholic teaching as a matter of course.

Still, the concept of "environment" can also conceal a view of the world that wants to do without God, resulting in nature being seen and made absolute as the only creative quantity. Without a belief in God's creation, there is a danger that nature or the earth will be made into a god. Then human beings would have no counterpart; they would be nothing more than a result of nature. Radical ecological movements like ecocentralism can then go so far as to subordinate everything to the protection of nature and the environment. They demand radical measures of population control in order to reduce the numbers of human beings on earth in order to restore a natural balance. Pope John Paul II. criticized this view of the environment severely.

The Role of Human Beings in Protecting the Climate

Christian teaching about protection of the climate is based on a certain image of human beings. "For man, created to God's image, received a mandate to subject to himself the earth and all it contains, and to govern the world with justice and holiness … to relate himself and the totality of things to Him Who was to be acknowledged as the Lord and Creator of all ...3. Global Climate Change: A Plea for Dialogue, Prudence and the Common Good (2001), A Statement of the United States Conference of Catholic Bishops, speaks of human stewardship of God's creation.

Human beings have the freedom and the responsibility, and are called upon to use the gifts they have been given to protect human life and dignity, and to exercise their care for God's creation with intelligence and justice. Human beings have the capacity to transform and in a certain sense create the world through their own work and therefore should remind themselves that all things come from God's prior and original gift of the things that are4.

It contradicts this image of human beings when they exhaust the possibilities of natural resources. Human dominion over the Earth is not absolute and must not be practiced arbitrarily. The greatness of humanity consists of being good stewards of the natural goods of this Earth.

The Disturbed Relationship Between Human Beings and Creation

Human beings live from the fruits of the earth that nourish them, use the domestic animals that serve various purposes, exploit the mineral riches in the ground, and need water, energy, and air in order to live. There is a symbiosis between human beings and nature. Particularly in the culture of gardens you can sense the original harmony of nature and human beings. Many people take pleasure in their own garden and discover peace, quiet, and relaxation there. The parks and zoos in many cities of the world are also oases of quiet and islands of peace among human beings and between nature and human beings.

However, the dominating experience in dealings of human beings with nature is quite a different one. Often there was uncontrolled exploitation of nature. Forests were destroyed, bodies of water were polluted, the air was poisoned, oceans were over-fished, and land was contaminated. The threatening climate catastrophe is a result of inconsiderate and thoughtless consumption of natural resources. The original balance between human beings and nature, which God intended, as described to us in Genesis 1 and 2, has been destroyed by the hubris of human beings. Original sin described in Genesis 3 doesn't just have an effect on the relationship between God and human beings; it also affects the relationship of human beings to nature.

Pope John Paul II.'s encyclical Centesiums annus (1991) places the blame for the ecological crisis on the behavior of human beings who set themselves up in place of God and make arbitrary use of the earth, subjecting it without restraint to their will. Nature is then more tyrannized than governed by human beings who subsequently end up provoking a rebellion on the part of nature (No. 37). In this context, Pope John Paul II. speaks of "consumerism“, by which he means that human beings, alienated from God, deplete the goods of this Earth and even their own existence in an excessive and undisciplined manner.

"All have sinned" St. Paul observes in his Letter to the Romans (3,23). In this case, of course, he is talking about how the Jews don't have any advantage over the pagans when it comes to sin or redemption. However, in very dramatic images Paul describes how human beings have broken away from God's commandments. All are infected with original sin.

In dealings with God's creation, all also have sinned. Global climate change has its causes all over the world. All countries, peoples, and human beings on the earth share the responsibility for greenhouse gas emissions, for destruction of forests which absorb such gases. In the industrialized countries energy produced in power plants, industry production itself, and, above all, automobile traffic result in massive amounts of CO2 being expelled into the atmosphere. In countries of the southern hemisphere, forests are being cleared and burned exhaustively and progressively. At the very least, each and every one of us wastes energy because we use energy carelessly without paying attention to the consequences. Therefore it's pointless to seek individual guilty parties for global climate change and the ecological crisis. Sometimes it's Christianity, Communism, the United States, oil companies, or others who are accused. All share the responsibility to a greater or lesser extent; therefore all have to make their contribution to protecting the climate.

Protection of the Climate Is a Question of Justice

Protection of the world climate is a question of justice. Every human being has a right to live and to live well. To exercise this right, human beings need a share of the common goods of the world. Human beings have a right to pure air, clean drinking water, a place to live, work, a just compensation for this work, and sufficient supplies of energy. Without this basic supply of the goods of the Earth, which are necessary for life, none can avail themselves of other human rights. What good is human dignity for the human being who is starving, freezing or thirsting? What good is freedom for the human being who can't move away? What good is a right to life for the human being who will lose his basis for existence through the threatening global climate change?

One of the great accomplishments of Catholic Social Teaching and the papal encyclicals was to have pointed out the conflict between capital and work in the 19th century and to have shown ways to overcome or to moderate these contradictions. Catholic Social Teaching played a decisive role in overcoming radical and dictatorial solutions such as those offered by communism or liberalism. In many countries Catholic Social Teaching influenced legislation, political parties, and various social movements - I will limit myself to mentioning Christian trade unions and the International Kolping Society - and contributed to improving the social situation of workers. Catholic Social Teaching always emphasized the priority of human factors over capital. "People are in the center of our comments" is the express intention of Gaudium et Spes in its summary of Church teaching regarding the relationship between the Church and the world. Justice and peace for human beings are the goals of this pastoral constitution. Justice for creation was not yet a topic. That industrial production was carried out to the detriment of nature and that this continues yet today have only recently become dramatically clear. Justice for nature is the main demand of our time. We don't just need social management of the earth's goods; we also need ecological management.

Even if nature as a general concept can't be an entity endowed with rights - that is reserved for human beings - it is helpful to apply the classic principle of natural law to nature itself. It is called „Neminem laedere“ – Do no one any harm. This concept opposes every improper use and the senseless destruction of natural resources merely for the purpose of cheap production and high profits. It is a violation of this principle when power plants give off unfiltered soot and polluting particles and the energy produced isn't even used correctly. It is a violation of this principle when automobiles consume too much gasoline and available technology for fuel efficiency is not utilized. It is a violation of this principle when kerosene consumption in air traffic continues to increase, and the airlines are rewarded for this waste through tax breaks. All these emissions aggravate the greenhouse effect and cause long-term damage to the climate as a natural resource

Naturally nature can't be injured or suffer like an actual legal entity. The air doesn't care if it is four or eight degrees warmer. The cosmos and the earth have experienced much more extreme temperatures. As far as that goes, human beings can only "hurt" nature in a figurative sense. But by abusing nature, in the final analysis human beings damage themselves, because they are also a part of the ecosystem. Human beings damage themselves and present generations because global climate change is more and more noticeable in increasing heat waves, storms, and floods. But above all human beings damage future generations who will be increasingly impacted by the effects of global climate change. Human beings damage animals and plants. Our current lack of protection of the climate is a global and inter-generational problem of justice.

The Church understands itself as an advocate for justice. It - like Jesus Christ - champions the poor in a special way. Global climate change caused by human beings affects the poor in particular. The burdens of global climate change are distributed disproportionately. In particular, the poor countries of the southern hemisphere, which only made marginal contributions to global climate change, have difficulties in adjusting to the changes. The industrialized countries on the other hand, who were chiefly responsible for the emissions of greenhouse gases which damage the climate, can protect themselves from the consequences far better 5. The poorer and weaker the people are, the fewer the means they have to avoid the consequences of global climate change or to adjust to it or to remedy the damage already done. This is also true for entire regions of the world.

In comparison to the wealthy industrialized nations, the countries of the southern hemisphere as well as the Arctic and its neighboring countries are affected to a much greater extent. The consequences of global climate change drastically take their toll on people there, although their per capita contribution towards the causes of global climate change are still rather negligible. Much the same applies to the poorer populations groups in the more affluent countries. This is why it is a question of justice that the industrial, transformational, and emerging nations as well as the elites in the developing countries impose limits on their own "fossil development" and take on the main burden of imposing necessary measures for avoiding or at least mitigating worldwide use of fossil fuels as well as adapting to and to mastering these limits.

Measures for Protection of Climate

In a talk to participants of a physics symposium on December 18, 1982, Pope John II. pointed out the crucial role of energy generation and production for the further development of humanity. Energy production also has decisive significance with respect to protection of the climate and the goal of restricting the increase of the average temperature of the earth by the year 2050 to approximately 2° C. The pope refers to the necessity of identifying new sources of energy, developing alternative sources, and increasing the security levels of nuclear energy.

Reducing CO2 emissions from conventional power plants is missing in this catalog of measures. There is also no urgent appeal to save energy. However it isn't the duty of Church teaching to make technological suggestions. In the areas of politics and science, people know what has to be done to protect the climate. What is missing is a firm determination to do what is necessary and to do it together. Only a common effort of all countries, non-government organizations (NGO's), and every individual can prevent a climate catastrophe.


The Vocation of the Church With Respect To Climate Protection

According to the teachings of the Second Vatican Council, the holy people of God and the sacred teaching authority of the Church share also in Christ's prophetic office7. It is the task of this sacred teaching authority to appeal to human beings to repent and to warn them about the harmful repercussions of their actions. After the tower in Siloam collapsed and buried so many people under it, Jesus called to the people around him and said to them "If you do not repent, you will all perish as they did!" (Luke 13,5). Generally prophets don't see more than anyone else. However, prophets recognize facts and developments that others don't want to see because they just don't want to be bothered or are deliberately blind to them. Often people let themselves be controlled by their own self-interest.

The facts and circumstantial evidence of the threatening climate development are on the table for all to see. You just have to take notice of them and draw the logical conclusions. In its prophetic function, the Church as a global organization has the duty to make its faithful and all humanity aware of the scenarios threatening the future and, trusting in God, to motivate people to take the necessary steps toward repentance. In many countries the Church has a strong position as a moral institution enjoying high public trust. Through sermons and catechesis it reaches millions of people daily in churches, universities, schools, pre-schools, youth groups, and the mass media. The Church must strengthen and further develop its role as a global player with respect to protecting the climate. The Church will have to make contributions to protecting the climate in those countries where it owns many buildings, forests, plots of land, and vehicles. The Church should invest its money in companies which truly work for protection of the climate. They who demand protection of the climate must practice it themselves.

Summary and Recommendation

"Climate is a good that must be protected". This sentence from Pope John Paul II. is the crucial message of the sacred Church teaching about the problem of global climate change, whereby the Church places itself on the side of all those who are seriously concerned about the future of creation and humanity. In the meantime, at the level of the bishops' conferences there are numerous systematic and comprehensive papers and statements about the problems facing the climate. The Papal Council for Justice and Peace has gathered and organized the many statements of Pope John Paul II. on the topic of "protection of creation" in the Compendium of the Social Doctrine of the Church.

In conclusion if I could have one wish, it would be for a papal encyclical very soon dealing with the future of creation, thereby including protection of the climate. This would clearly point the direction for the position and the interests of the Catholic Church with respect to climate protection. All those in the Catholic Church who champion the cause of preservation of creation would be energized. World public opinion would take notice. Church teachings and pronouncements on the topic of global climate change are still pretty much scattered. They need to be reinforced, to be summarized, and to be made theologically accessible by way of the highest sacred teaching of the Church. The time has come.


Annotations

1 Climate Change; Our Responsibility to Sustain God’s Earth. Australia 2005.

2 Kompendium der Soziallehre der Kirche, Freiburg 2006, deutsch Nr. 463).

Compendium of the Social Doctrine of the Church

3 vgl. Gaudium et spes Nr. 34.

4 vgl. Johannes Paul II., Centesimus annus Nr. 37.

5 vgl. Der Klimawandel: Brennpunkt globaler, intergenerationeller und ökologischer

Gerechtigkeit. Deutsche Bischofskonferenz 2006.

6 Kompendium der Soziallehre der Kirche Nr. 470.

Compendium of the Social Doctrine of the Church

7 Lumen Gentium Nr. 12.

sabato, agosto 30, 2008

Paura di volare parte IV

Questa vignetta di Elle Kappa apparsa di recente su La Repubblica, in maniera sarcastica, sintetizza efficacemente la conclusione della vicenda Alitalia. Le considerazioni svolte nel mio precedente articolo nel merito di questa vicenda esemplarmente italiana, sono tutte confermate. Air France, qualche mese fa, avrebbe assunto la pesante situazione debitoria della società, pagando anche al Tesoro il prezzo delle azioni acquisite nell’operazione. Ora, lo Stato, attraverso una “bad company” trasferisce sul contribuente il pesante fardello della defunta compagnia di bandiera. Gli esuberi previsti ora nel nuovo piano di risanamento sono circa il triplo di quelli contenuti nel piano Air France e verranno riassorbiti nel solito modo italiano, assistenziale ed antieconomico, in altri enti pubblici. Il nuovo Piano industriale configura una compagnia “minore” con un futuro di corto respiro, che verrà spazzata via in poco tempo dal picco del petrolio e dalla crescita esponenziale dei prezzi petroliferi. Le attività vengono concentrate su una tratta, la Roma – Milano, su cui sta per entrare completamente in funzione un insidioso (e meno inquinante) competitore, l’Alta Velocità ferroviaria. La fantomatica “italianità” sbandierata durante le elezioni da Berlusconi per far naufragare l’accordo con la compagnia franco – olandese è grottescamente smentita dai nuovi azionisti che pongono come condizione della propria partecipazione alla nuova società, la presenza di un solido partner internazionale, che aprirebbe la strada, a condizioni nettamente più vantaggiose per Air France, di un suo clamoroso rientro nell’operazione.
A tale proposito, a tema di smentita, mi permetto solo di dubitare su tale ultimo esito finale. Continuo a ritenere avvantaggiati i tedeschi di Lufthansa, in quanto raccolgono l’esplicito consenso dei sindacati che preferiscono un modello di relazioni sindacali orientato alla cogestione e della Lega Nord che sostiene l’aeroporto di Malpensa a scapito di Fiumicino.
Niente di nuovo sotto il sole, la solita Italia da operetta, con una classe dirigente di infima qualità, intenta sempre ad anteporre le proprie esigenze politiche alla buona amministrazione e a una corretta gestione delle risorse pubbliche.

venerdì, agosto 29, 2008

Partecipare ai sistemi complessi


La Scienza del '900 ci ha regalato, tra tante altre cose, una nuova disciplina, tuttora in sviluppo: la complessità. Essa studia con modelli fisico-matematici e numerici i cosiddetti sistemi dinamici, ossia quelle porzioni di materia in cui più corpi (a loro volta più o meno articolati) interagiscono tra loro secondo meccanismi più o meno noti.

I sistemi complessi prendono letteralmente a schiaffi la fisica classica deterministica, che ci rassicura per la sua potenza previsionale e la bellezza formale. Per descriverli dobbiamo prendere in prestito le equazioni integro-differenziali post galileiane, metterle insieme e trovare la (o le) soluzioni con tecniche di approssimazione e simulazioni numeriche. Tali soluzioni non sono "garantite al limone", ma si manifesteranno ad un certo tempo con una certa probabilità.
Ma perchè dobbiamo interessarci di un qualcosa di così "difficile"? Non sarebbe più sbrigativo passare alle vie più spicce?
Il fatto è che la realtà è complessa, non tanto nel senso di "complicata", ma per il fatto che è il risultato di una quantità inimmaginabile di semplici processi tra loro interagenti.
Si crea allora una "foresta" di cause ed effetti (che tra l'altro a volte si confondono tra loro) in cui una piccola variazione delle condizioni iniziali comporta cambiamenti enormi nella risposta: è il famoso "effetto farfalla".

Mentre nella meteorologia e in molte altre scienze applicate la complessità è riconosciuta e modellizzata (come ci insegnano Luca Mercallie Luca Lombroso), in altri settori che pure straripano di complessità assistiamo a una minore consapevolezza. Si pensi a quante volte, a livello politico, si prendono decisioni-lampo atte a gestire una situazione presente, seguendo una qualche convenienza a corto raggio, senza preoccuparsi delle implicazioni e degli effetti domino più probabili.

In realtà, questo può succedere anche a una persona singola, specie quando deve decidere qualcosa in una situazione di pressing o di panico: spesso e volentieri ci si impegola in un rimedio peggiore del male.

Questo post in realtà mi è scaturito l'altra sera, quando mi sono posto il "problema del pacifista" : facendo un po' di critica (e autocritica), mi sono chiesto se un ipotetico pacifista può considerarsi slegato da ciò che alimenta la macchina della guerra. Mi è venuto in mente un mio amico, obiettore di coscienza come me, la cui azienda di cui è dipendente produce in buona parte aerei da combattimento e sistemi di puntamento. Lui, personalmente, non lo farà, tuttavia partecipa a un sistema che lo fa al 70%. Io lavoro per un'azienda che ha firmato una fornitura decennale di pneumatici all'amministrazione Bush, per sostenere la "missione" in Iraq. Personalmente mi occupo di materie prime, il nostro stabilimento produce altri pneumatici, c'entro qualcosa? C'entro, c'entro ...

Nella realtà complessa, ognuno è azionista (in grande o in infinitesima misura, come sui mercati)di tutto quello che succede, anche se apparentemente distante nel tempo e nello spazio.

giovedì, agosto 28, 2008

Il petrolio è uno di noi


Il modesto sottoscritto, Ugo Bardi ( a destra), discute animatamente con Roger Bentley, segretario di ASPO internazionale, in Irlanda nel 2007.

Il testo che segue è un esperimento letterario: una conferenza testuale detta davanti a un'udienza virtuale. L'idea nasce dai dibattiti in cui sono impegnato negli ultimi temi. Mi sono accorto che il dibattito parlato è sempre molto più ricco e più sofisticato del dibattito scritto sui vari blog e mailing list su internet. Questi ultimi, tendono rapidamente a scendere a insulti, battibecchi, infinite serie di botta e risposta che non sono utili a nessuno. Non che non possa capitare di insultarsi e prendersi a male parole in un dibattito faccia a faccia, ma è molto più difficile quando entrano in gioco tutti fattori di comunicazione non verbale: sguardo, atteggiamento, tono di voce. Entrano allora in azione i nostri "neuroni specchio" che portano la discussione su un miglior livello di comunicazione. Insomma, esiste un "arte della retorica" (retorica intesa in senso positivo, come la si intendeva nel passato) nel dibattito parlato che, putroppo, tende a sparire nel dibattito scritto.

Allora, ho pensato qui di fare una prova: scrivere un testo come se fosse un esposizione parlata. Mi sono ricordato di una conferenza che ho fatto qualche tempo fa, e mi sono ri-immedesimato in me stesso mentre parlavo. Così, ho scritto il testo di getto, come se parlassi all'udienza di quella volta. Non è esattamente lo stesso discorso che ho fatto quella volta, anzi, include cose nuove che per il momento non ho ancora detto in pubblico o scritto da nessuna parte.

Il risultato lo vedete qui di seguito. Non l'ho modificato o limato che in misura minima rispetto alla versione buttata giù di getto. Lo stile è molto diverso da quello che viene quando uno scrive pensandoci sopra. Ci sono ripetizioni, frasi spezzate, il filo del discorso non è perfetto. Però, mi è parso interessante provare e il testo che è venuto fuori ha una sua vitalità e un suo interesse. O, almeno, così mi sembra. Ditemi voi cosa ne pensate. U.B.



Buongiorno a tutti. Per prima cosa, vi ringrazio di essere qui oggi. Mi capita di parlare a vari tipi di udienze: scienziati, geologi, gente comune. Cerco di adattare il messaggio a seconda di chi ho davanti ma, di solito, però, posso parlare meglio se ho davanti delle persone che lavorano nelle aziende, persone che fanno cose pratiche.

Vedete, mi capita ogni tanto di essere intervistato in televisione. La domanda che mi fanno sempre è "professore, ma quanto petrolio c'è?" Non che la domanda non vada bene: è una domanda legittima. Merita una risposta e io credo di poterla dare; perlomeno approssimata. Il problema è che la faccenda non sta tutta in quanto petrolio c'è. E' uno dei parametri, certo, importante quanto si vuole, ma non il solo. Allora, in televisione hai 30 secondi e poco più. Se mi metto a spiegare le cose come stanno, non riesco a far passare il messaggio. Se dico semplicemente quanto petrolio c'è, non serve; non è quello il messaggio giusto. Di petrolio ce n'è ancora; è ovvio. Ma non è quello il problema. Il problema è la velocità alla quale lo consumiamo.

Sembra strano; sembrerebbe un messaggio semplice; eppure non si riesce a farlo passare: la cosa importante è quanto velocemente consumiamo il petrolio che rimane. Però, appena tiro fuori una cifra, tipo 1000 miliardi di barili, che è un valore approssimativamente giusto per le riserve rimanenti, allora tutti concludono che non c'è nessun problema, grazie professore, e ora intervistiamo il sig. Pasquale Capralunga, barista di Caltanissetta che ci spiega la sua ricetta del cappuccino al prezzemolo.

Ora, invece, oggi abbiamo più tempo. Allora, vi posso spiegare le cose un po' più in dettaglio e farvi notare certe cose che, sicuramente, sapete già, ma che forse non avete focalizzato bene.

Il petrolio è quello che chiamiamo una risorsa. Le risorse sono di tanti tipi; biologiche, minerali, finanziare, e anche umane, perché no. Il petrolio è una risorsa importante, certamente. Forse la più importante di tutti - certamente non potremmo vivere come viviamo oggi senza petrolio. Ma è una risorsa come le altre; ovvero si pone il problema di come gestire le risorse. Questa è una domanda che ci possiamo fare in termini molto generali: come ci gestiamo una risorsa qualsiasi?

Ora, tipicamente, quando ci facciamo questa domanda ci viene in mente di aprire un testo di economia per trovare la risposta. Penso che molti di voi abbiano studiato economia all'università. Io no, io ho studiato chimica, ma già da qualche anno mi sono messo a studiare l'economia. E' una cosa molto interessante. Mi sono preso in mano i libri di testo di scienze economiche per il primo e il secondo anno di università. Li ho trovati assai noiosi, ma questo credo che sia inevitabile. Non so perché ma i libri di testo sono sempre noiosi. Anche i testi di chimica sono noiosi. Anzi, molto peggio. Poi, la chimica è una cosa interessantissima quando la si mette in pratica, come lo è anche l'economia quando la si mette in pratica, ma non è questo il punto.

Allora, se cercate su un libro di testo di economia come ci dovremmo gestire una risorsa, che so, una miniera di rame o un pozzo di petrolio, non ci trovate scritto niente. Ci sono tanti ragionamenti su come le ditte e gli individui ottimizzano i loro ricavi in un libero mercato. C'è tantissimo sul meccanismo dei prezzi che, infatti, è quello che permette di ottimizzare tante cose, la produzione, eccetera. Ma come gestirsi un pozzo di petrolio, ovvero a che velocità estrarlo, cioè se estrarlo in fretta oppure un po' per volta. Beh, su quello non c'è scritto quasi niente.

E invece il problema c'è e andrebbe considerato. Per esempio, sapete che i pozzi di petrolio del Mare del Nord sono entrati in produzione nei primi anni '80. Quelli che li gestivano hanno fatto una cosa molto semplice: produrre finché ce n'è, alla massima velocità possibile, e non importa i prezzi di mercato. Questa è stata una cosa piuttosto stupida, perché hanno estratto e venduto il petrolio durante tutto il periodo in cui costava poco, circa dal 1985 al 2000. Cioè, non hanno pensato di aspettare un po'. Oggi il petrolio costa tanto, ma i pozzi del Mare del Nord sono in declino. Hanno fatto una bella scemenza. Gli inglesi se ne sono accorti. Lo ha detto anche il primo ministro Gordon Brown; certo, se avessimo aspettato un po' a estrarre, ha detto, oggi potevamo fare un bel po' di soldi; ma non potevamo prevedere che i prezzi sarebbero andati come sono andati. Che genio. Verrebbe voglia di dirgli, ma togliti quella bistecca di maiale che hai sugli occhi! Quello che sta succedendo oggi era previsto già dal 1998; vi posso dare il riferimento bibliografico dell'articolo su "Science" che lo diceva. Magari ci potevi non credere, magari dicevi che altra gente ti aveva detto altre cose. Ma proprio dire che non si poteva prevedere, mamma mia; è darsi di imbecille da solo. Magari si diverte così, magari è uno di quei masochisti che gli piacciono le cose che gli fanno schifo. Ma lasciamo perdere.

Allora, sui libri di testo di economia si parla molto di ottimizzare la produzione, e ci sono dei modelli matematici anche molto raffinati per questo. Ma quando si va a vedere cosa succede nello sfruttamento delle risorse, che non è la stessa cosa di condurre un'industria, molto spesso quello che succede è molto semplice: produrre sempre al massimo possibile, qualunque cosa succeda. Non è semplice: è rozzo, è una cosa brutale e stupida. Vi faccio un esempio. Sapete tutti delle difficoltà che hanno i pescatori negli ultimi anni. Le rese di pesca diminuiscono, questo è perché si è pescato tanto e ci sono meno pesci. Allora, cosa fa la commissione europea? Finanzia i pescatori perché si comprino delle barche più grosse, armate di radar e altre attrezzature sofisticate. Così possono pescare di più anche con meno pesci in mare. Si, ma così finisce che fanno uno sterminio di pesci anche peggiore. Poi tornano dalla Commissione Europea a lamentarsi. E ora? Cosa fanno quelli della commissione europea? Gli danno una portaerei nucleare? Così sono sicuri che tutti i pesci che potevano pescare li pescano buttando in mare una bomba atomica. Si faceva nel dopoguerra di pescare nel fiume buttandoci dentro una vecchia bomba a mano. Dopo, però, di pesci non ne trovavi più per un pezzo. Per fortuna, ora questi si contenteranno di sussidi, ma ormai il danno è fatto.

Questo fatto delle pescherie, traduzione del termine inglese "fisheries", in realtà è cosa ben nota. Già l'aveva capito un economista che si chiamava Gordon nel 1953. Aveva pubblicato degli articoli dove spiegava come si sarebbe duvuto gestire una pescheria per non fare quel tipo di disastri che sono stati fatti negli ultimi tempi. Ma nessuno gli ha dato molta retta, perlomeno in pratica. Non so, voi che avete studiato economia, avete sentito nominare Gordon, inteso come economista - non Flash Gordon, quello dei fumetti? No, infatti, lo conoscono in pochi. Nei libri di testo dell'università non compare. O perlomeno io non ce lo ho trovato.

Eppure, Gordon aveva detto delle cose semplicissime. Addirittura banali. Credo che sia stato il primo a parlare del concetto di "maximum sustainable yeld", ovvero "massima resa sostenibile". Gordon si era accorto che i pescatori non hanno veramente controllo di quanto pescano. Quando gli capita un pesce, diciamo, una balena, devono pescarla. Se non la pesca chi l'ha vista per prima, la pescherà un altro. Non la può tenere da parte; non la può conservare. Deve venderla al prezzo che il mercato da; qualunque sia. Questa è la ragione, dice Gordon, per la quale i pescatori sono di solito poveri. Non so se avesse letto "I Malavoglia" di Verga, non credo, ma il concetto è quello.

Allora, quello che succede quando tutti pescano tutto quello che possono è che alla fine non ci sono più pesci. I pesci si esauriscono, proprio come il petrolio e le curve per la caccia alla balena dell'800 sono come quelle della produzione del petrolio. Ci sono tante somiglianze; incluso il fatto che quando si comincia a essere in difficoltà con la produzione si cerca di rimediare con grandi investimenti e grandi tecnologie per produrre di più. Ma nessuno si accorge che più produci, prima esaurisci quello che stai producendo. Questa cosa la chiamiamo "sovrasfruttamento", che è un termine che usano gli ambientalisti, ma in realtà viene dall'analisi economica che avevano fatto Gordon e altri molto tempo fa. Probabilmente vi viene in mente a questo punto la storia di Garrett Hardin; la sua "tragedia dei commons". E' la stessa cosa, ma Hardin non era un economista. Era un biologo e non sapeva che Gordon era venuto prima di lui. Per la maggioranza degli economisti di oggi, o comunque per i politici che di solito danno retta agli economisti, comunque, nè Gordon nè Hardin hanno molta importanza. Altrimenti non si pagherebbero i pescatori per comprare navi più grosse e più belle e così esaurire più in fretta i pesci.

Allora, vedete che l'economia intesa come quella che si legge nei libri di testo non ci aiuta molto a capire come si deve gestire una risorsa, ovvero a sfruttarla nel modo migliore possibile e evitare di ritrovarsi dei pescatori senza più pesci da pescare. Certo, quando si parla di sfruttamento delle risorse, tutti pensano che sia un problema economico e, in effetti, lo è. Ma, nella pratica, gli economisti non ci hanno messo sopra molta attenzione e del resto neanche i politici e neanche i pescatori. Eppure sono i primi a rimetterci. Ma, si sa, la gente preferisce il guadagno immediato al guadagno futuro. Peschiamo oggi finché ci sono pesci, estraiamo oggi il petrolio finché ce n'è. Il governo inglese degli anni '80 e '90 ha fatto la stessa fesseria con il petrolio che hanno fatto i cacciatori di balene dell'800.

Questa cosa della preferenza per il guadagno immediato non è che non esista in economia. Esiste, e ci hanno ragionato sopra i grandi economisti dell'800 e poi un signore che si chiama Hotelling, che probabilmente avete sentito nominare, ci ha fatto un modello, anzi una regola, che prende il suo nome: la regola di Hotelling. Ci dice che, in teoria, uno che ha un pozzo di petrolio dovrebbe centellinare l'estrazione in modo da lasciarsi sempre qualcosa per il futuro. Questo è determinato da quello che si chiama la "funzione di discount", ovvero dal fatto che la gente preferisce il godimento immediato di un bene rispetto a un godimento futuro. Questo è ovvio, ma la funzione di discount lo quantifica. Secondo Hotelling, uno dovrebbe estrarre petrolio piano piano in modo da tenere costante la resa economica mediata dalla funzione di discount. Anche su questo, ci sarebbero tantissime cose da dire, soprattutto nel fatto che la funzione di discount che si usa in economia ha probabilmente poco a che vedere con quella "vera" che sta nella testa della gente.

Nella pratica, la gente non ha centellinato per niente i beni esauribili. La funzione di discount che hanno in testa, forse, è molto più ripida di quanto gli economisti non dicano. Ovvero, la gente preferisce molto di più una soddisfazione immediata. Appunto, il governo inglese ha ragionato per i pozzi del mare del Nord come ragionano i bambini davanti a una torta: me la mangio tutta subito, poi si vedrà se mi viene il mal di pancia.

Allora, dato che l'economia non ci aiuta molto; vorrei invitarvi a considerare il problema da un altro punto di vista. A volte, cambiando punti di vista, certe volte i problemi che sembrano impossibili diventano semplici. Se non abbiamo una buona teoria economica per la gestione delle risorse, beh, in fondo è comunque una questione di gestione. Gestione è quello che chiamiamo anche "management" ed è un settore scientifico che ha le sue università, le sue riviste, la sua teoria, eccetera. Il management è una cosa molto più pratica e diretta della scienza dell'economia, che spesso si perde in strane teorie che magari alla fine non servono a nulla. La teoria del management si pone esattamente il problema che ci poniamo ora: come gestire al meglio le risorse, che qui si intendono principalmente come risorse umane.

E' proprio questo il punto. Se cominciate a pensare in termini di risorse umane, vedete che ci sono dei metodi di gestione che sono sostenibili - come diremmo per delle risorse economiche. I vostri collaboratori, li volete gestire in modo che diano il meglio, ma non li volete far lavorare 16 ore al giorno e poi, quando cascano morti, li sostituite. Non li volete gestire come si gestiscono oggi i pozzi di petrolio. O magari anche le pescherie oceaniche.

Una volta che cominciate a ragionare in questo senso, vedete i punti di contatto fra la gestione delle risorse economiche e quella delle risorse umane. C'è gente che gestisce i propri collaboratori come se fossero risorse economiche. Li sfrutta e poi li butta via. Hitler faceva così con i soldati tedeschi. A Stalingrado, ha detto, resistete fino all'ultimo uomo! Appunto, li ha gestiti come se fossero pozzi di petrolio. E quelli, poveracci, non avevano altra scelta. Ma, visto come è andata a finire, la strategia di Hitler non è molto efficace, su questo credo che siate daccordo. Poi i Giapponesi hanno inventato i Kamikaze, che non sono stati molto più efficaci; e nemmeno i kamikaze di oggi.

Ora, io credo che il fatto che le risorse umane vanno gestite in un certo modo sia chiaro a tutti, a parte Hitler, i Giapponesi e certi Mollah. Vale a dire che i vostri collaboratori non vanno sovrasfruttati. Non vanno gestiti come kamikaze. Vanno gestiti in modo tale che siano contenti di fare quello che fanno. Credo che fosse chiaro anche in epoche storiche. Per esempio, certe volte nei film si vedono gli egiziani che costruivano le piramidi - si vedono i soldati del faraone che frustano gli operai che portano i pietroni in cima. Questa è proprio una scemenza. Non so quanto sia difficile costruire una piramide, ma non credo proprio che sia una cosa facile. Se quelli devono stare tutto il giorno a portare pietroni sotto il sole, se anche li prendi a frustate, non è che li portano meglio. Anzi. Gli archeologi hanno scoperto dei dati che dicono che i costruttori di piramidi erano persone libere e orgogliose del loro lavoro. E' lo stesso per quelli che remavano nelle galee. Nei film, li prendono a frustate per farli remare. Ma se quello deve remare, se lo prendi a frustate non rema meglio. Anzi, rema molto peggio. Da quello che si sa, gli antichi galeotti erano ben nutriti e ben trattati. Erano atleti come quelli che oggi fanno le olimpiadi e nessuno oggi si sognerebbe di frustare i centometristi per farli correre più forte. Non funziona così.

Ora, se passate da un aeroporto ci troverete quasi sempre uno scaffale nella libreria dove ci sono i libri che vi insegnano a essere un buon manager. Non ci troverete mai un libro che vi insegna come gestire le risorse economiche, non so, una miniera o un pozzo di petrolio. A parte questo, questi libri mi sembrano un po' tutti uguali. Non che siano fatti male - anzi, ci mettono molto impegno a spiegarti come diventare un manager in un minuto. Questo del manager in un minuto c'è in tutti gli aeroporti da anni, tanto che, un pezzo per volta, me lo sono letto tutto senza comprarlo. Ho risparmiato qualcosa. Tempo fa, me ne sono comprato uno che si intitolava "Le tecniche di management di Attila l'Unno" o qualcosa del genere. Beh, era divertente e, alla fine dei conti, diceva le stesse cose di quello del manager in un minuto. Mi sembra che dicano più o meno tutti le stese cose.

Tutto quello che dicono questi libri, bene o male, è "non sovrasfruttate le vostre risorse" ovvero i vostri collaboratori. Con questa regola, magari ci potrei scrivere un libro "il manager da tre secondi" e magari la trovate negli aeroporti. Chissà. Ma, scherzi a parte, credo che qui stia la chiave di volta di tutta la faccenda della gestione delle risorse naturali: "non sovrasfruttatele" .

Questo era quello che vi stavo dicendo fin dall'inizio. In fondo, è una cosa semplicissima, ma ce ne rendiamo conto se ci liberiamo di una certa sovrastruttura che ci arriva dalle scienze economiche. Vi ricordate il postulato di fondo: quello della massimizzazione della funzione utilità. Ovvero si suppone che gli operatori cerchino il loro massimo beneficio immediato. Ovvero, detto meglio, il massimo beneficio mediato dalla funzione di discount. Proprio quello è il nocciolo della scienza economica e proprio quello è la cosa che ci fa sfruttare male le risorse. E' un principio che non dobbiamo applicare, sottolineo proprio questo; non lo dobbiamo applicare. Altrimenti finisce che cerchiamo sempre questo massimo beneficio immediato e sovrasfruttiamo le risorse. Allora succedono i disastri che sappiamo e quelli che verranno. Dobbiamo pensare a sfruttare la risorsa a lungo termine. A sfruttarla al suo livello di maximum sustainable yield. Al diavolo la funzione discount. Proprio come sfrutteremmo un collaboratore prezioso; uno che è motivato e dedicato, uno che ci aiuta nel nostro lavoro, uno che non dobbiamo controllare tutte le mattine se ha timbrato il cartellino.

Ovviamente, per certe risorse, il maximum sustainable yield è zero. Questo è il caso del petrolio che ci metterà milioni di anni per riformarsi dopo che lo abbiamo bruciato. Lo sovrasfruttiamo a qualunque ritmo di estrazione. Ma, anche qui, c'è sovrasfruttamento e sovrasfruttamento. Di petrolio, come dico sempre in tv, ce n'è tanto. Se lo usassimo con parsimonia, durerebbe ancora molto, molto a lungo. E' una questione di parsimonia. Ma se questo si può dire per le risorse umane, non si può dire per le risorse naturali. Peggio che l'eresia al tempo dell'inquisizione. Colin Campbell, il fondatore di ASPO, ha provato a dirlo per il petrolio proponendo una cosa che ha chiamato "protocollo del petrolio". L'idea era di sfruttarlo con parsimonia per farlo durare di più. Per carità! Gli hanno dato di folle criminale. Il petrolio va sfruttato fino all'ultima goccia e alla massima velocità possibile. Poi, quando sarà finito, qualche santo sarà. Poi, appunto, viene fuori Gordon Brown e dice "Toh... il petrolio sta finendo. Non lo potevamo prevedere...."

Allora, ci possiamo domandare: come mai questo fatto che non dobbiamo sovrasfruttare i nostri collaboratori è ovvio, e ci sono libri interi negli scaffali degli aeroporti a raccontarcelo, mentre che non dobbiamo sovrasfruttare le risorse non è affatto ovvio. Non solo non ci sono libri negli aeroporti a spiegarlo, ma tutti dicono esattamente il contrario - ovvero "estraiamo sempre più petrolio" o "peschiamo sempre più in fondo e di più"?

Beh, questo me l'ha spiegato mia figlia che studia neurologia. Mi ha raccontato di una cosa che si chiama "neuroni a specchio". Non so se avete mai sentito nominare i neuroni a specchio che sono una struttura che sta nel nostro cervello. L'ha scoperta principalmente un signore dell'università di Parma che si chiama Rizzolatti. Ha fatto una grande scoperta. E' una cosa interessantissima, tanto e vero che sono stato anche a Parma a trovarlo, Rizzolatti. Veramente un lavoro bello, di quelli che cambiano il mondo; meglio detto che cambiano il modo in cui vediamo il mondo.

Allora, tutti noi abbiamo una parte specifica del cervello che serve solo a "specchiare" le azioni degli esseri umani che ci circondano. Ovvero, se io muovo la mano, così come la sto muovendo ora; mi gratto la testa, per esempio. Nel vostro cervello, i neuroni specchio si stanno attivando esattamente come se anche voi vi grattaste la testa. Questo si chiama specchiare in neurologia. Per uno come me che si diverte a fare modelli matematici, si chiama modellizzare. Quando fai un modello, il computer specchia la realtà in un programma che sta nel suo processore; il vostro cervello specchia i vostri vicini in una struttura neuronica apposita.

L'esistenza dei neuroni a specchio probabilmente è il risultato di milioni di anni di evoluzione. Ce li hanno anche le scimmie e, se ho capito bene, anche i cani e gli uccelli. Ma gli esseri umani ce li hanno di più e migliori. Se non avete i neuroni a specchio, siete degli autistici. Non capite le intenzioni di chi vi sta intorno, vi muovete come il classico toro nel negozio di bicchieri di cristallo. Ma la vita dell'autistico è molto difficile. Gli altri esseri umani sono le vostre migliori risorse e anche i vostri peggiori nemici. Dovete capirli, modellizzarli, altrimenti non avete scampo. Se siete un manager e i vostri neuroni a specchio non funzionano, siete un pessimo manager. Avete bisogno di capire, di modellizzare chi vi sta intorno. Altrimenti, tenderete soltanto a sfruttarli, a farli lavorare finché non cascano morti. Li tratterete come Hitler ha trattato i suoi soldati a Stalingrado e vedete come gli è andata a finire. Li tratterete come se fossero dei giacimenti di petrolio e, infatti, i neuroni a specchio non funzionano per il petrolio.

Questo è forse il nocciolo del problema che abbiamo. Non abbiamo strutture neuroniche che ci permettano di specchiare, ovvero modellizzare le risorse inanimate che ci circondano. Per questa ragione, non riusciamo a gestirle decentemente. Non solo non le gestiamo bene, le distruggiamo una dietro l'altra, proprio come il toro che attraversa a tutta corsa il negozio di bicchieri. Il toro forse ha dei neuroni a specchio, ma se ce li ha funzionano per le mucche e altri tori, non per i bicchieri di cristallo.

Ci vorrebbero dei neuroni a specchio per gli alberi, i prati, le balene e anche per i pozzi di petrolio. Non so se ce li abbiamo, i dati di Rizzolatti non sembrano dirci che ci sono. Ma c'è chi ha chiamato i neuroni specchio in "neuroni Dalai Lama", ovvero i neuroni che ci danno empatia verso quello che ci circonda. Parlando del Dalai Lama, ci viene in mente che nel buddismo si rispettano anche le creature non umane e anche le creature inanimate. Forse, i neuroni specchio per tutto il pianeta ce li abbiamo tutti. Forse sono solo un po' atrofizzati da troppi libri di teoria economica. Con un po' di esercizio, chissà che non li si possano rimettere in forma e utilizzare.

Allora, arrivati alla fine di questo discorso, credo di avervi presentato il problema da un lato che forse non avevate considerato. Gestire le risorse naturali come se fossero risorse umane. A me sembra una buona idea, e ve la sottopongo. Certo, bisogna metterla in pratica. Può darsi che valga la pena di considerare il petrolio come se fosse uno di noi. Chi lo sa, forse così le cose funzionerebbero meglio.

martedì, agosto 26, 2008

Dinamica dei prezzi di una risorsa finita

Molti hanno letto l’ormai celeberrimo “I limiti dello sviluppo”, il rapporto di carattere generale, non tecnico, redatto quasi quarant’anni fa per informare uomini politici e opinione pubblica sulle conclusioni a cui erano giunti alcuni scienziati applicando al sistema Mondo un modello di previsione globale basato sulla dinamica dei sistemi. Pochi sanno però, che il lavoro completo comprendeva anche altri due volumi di carattere tecnico, usciti successivamente, "Verso un equilibrio globale" e “La dinamica dello sviluppo in un mondo finito”. Il primo conteneva alcuni rapporti tecnici che descrivono un modello di simulazione completo, applicato a uno o più settori del modello globale. Il secondo, conteneva la descrizione in termini tecnici del modello di simulazione globale denominato “Mondo 3”.
In questi giorni, spolverando i miei libri, con piacevole sorpresa, ho ritrovato il primo di questi ultimi due volumi. E’ del 1973 ed ha per sottotitolo “studi del System Dynamics Group del MIT”. Tra i rapporti tecnici in esso contenuti, mi ha colpito particolarmente quello intitolato "Ciclo vitale del ritrovamento di una risorsa finita: uno studio sul gas naturale negli USA" di Roger F. Naill. Già la citazione tratta dal Wall Street Journal del 2 Giugno 1970 che precede il rapporto è molto significativa: “Per la prima volta nella storia, le risorse di energia del paese non sono in grado di soddisfare la domanda in continuo aumento. L’uso dell’elettricità, del gas naturale, del carbone e di altri combustibili da parte di industrie e privati americani sta aumentando con una velocità maggiore rispetto a quella con cui le fonti di energia possono accrescere la loro produzione. Alcuni esperti giudicano il problema temporaneo, ma altri ritengono che si sia giunti a una svolta storica in cui le risorse di energia, che non avevano mai costituito un problema, diventano un fattore limitante dello sviluppo nazionale”. E ora sappiamo chi aveva ragione. Ma ancor di più interessanti sono le conclusioni dello studio che, secondo l'autore, rappresenta non solo la dinamica evolutiva di alcune variabili connesse allo sfruttamento del gas naturale, ma di qualsiasi risorsa non rinnovabile. Tra i grafici presenti nello studio vi allego quello principale, di cui tutti gli altri sono una derivazione. Vi prego di notare la curva del prezzo, molto simile qualitativamente alla curva reale dei prezzi petroliferi attuali. La gelida asciuttezza di queste curve sembra un lontano ammonimento ai commentatori contemporanei a trascurare le fallaci apparenze della dinamica dei prezzi quotidiana per concentrarsi sullo scenario tendenziale determinato dalla limitatezza della risorsa e dai fondamentali dell’economia.

lunedì, agosto 25, 2008

Perché Geordie fu impiccato

Così lo impiccheranno con una corda d'oro
E' un privilegio raro
Rubò sei cervi dal parco del Re
Vendendoli per denaro.

Fabrizio de Andrè, "Geordie", 1965,

Nella canzone, il conflitto si è risolto a favore del Re, e Geordie è finito impiccato. Potremmo immaginarci una fine diversa, in cui Geordie capeggia una rivoluzione contadina, prende d'assalto il castello e fa tagliare la testa al Re. Dopodiché, viene dichiarata la repubblica il bosco dei cervi diventa proprietà del popolo. Si tagliano gli alberi e si sterminano tutti i cervi. Il popolo decide spontaneamente di usare i ricavi della vendita del legno e della carne di cervo per erigere una gigantesca statua di bronzo a Geordie. Il Soviet supremo, capeggiato da Geordie, istituisce l'agricoltura collettivizzata e fa piantare il grano nell'area che era una volta il bosco dei cervi. I Kulaki che si oppongono alla collettivizzazione vengono sterminati. Le rese agricole calano in ragione del sovrasfruttamento e non corrispondono a quelle stabilite dal piano quinquennale. In risposta, il Soviet supremo fa fucilare i sabotatori e i nemici del popolo. La carestia viene esacerbata dai provvedimenti draconiani del governo che vietano ai contadini di spigolare nei campi incolti. L'erosione dovuta alla deforestazione riduce ulteriormente la resa dei raccolti e causa ulteriore carestia, ma le rivolte sono ferocemente represse e i nemici del popolo impiccati in gran numero. A questo punto, un contadino che scava nel suo orto scopre un pozzo di petrolio. Vende i diritti di sfruttamento a una multinazionale e con i profitti importa cibo dall'estero per nutrire la popolazione. Questa si rivolta in massa contro Geordie e i suoi, li caccia via, abbatte la gigantesca statua di bronzo di Geordie e incorona Re il contadino. Quest'ultimo procede a ripiantare il bosco e introdurvi dei cervi. Chi si azzarda a rubarne uno verrà impiccato con una corda d'oro.


La "Canzone di Geordie" di Fabrizio de Andrè è un adattamento di un'antica canzone popolare inglese. Ne esistono varie versioni, in tutte la forza del testo deriva dal contrasto fra la pena dell'impiccagione e quello che a noi sembra un crimine non grave: il furto di un certo numero di cervi, venduti "per denaro" nella versione italiana mentre in inglese vengono venduti a "Boheny", una città non bene identificata. In tutte le versioni si parla di impiccagione con una "corda d'oro" a indicare la severità della punizione.

Queste ballate popolari di solito hanno una base umana e sociale ben definita e raccontano di conflitti reali, anche se in forma poetica. Così, ci deve essere una tagione se la ballata ci racconta esattamente questa storia e ci deve essere una ragione per la quale rubare "i cervi del parco del re" è un crimine tanto grave da meritare l'impiccagione. Proviamo a ragionarci sopra.

Dal punto di vista dell'economia classica, i cervi sono una risorsa che ha un valore monetario in un'economia di mercato. Se avete studiato economia, vedrete che nei libri di testo si parla di "ditte" o "operatori" che ottimizzano i loro profitti o, detto in modo più formale, "massimizzano la loro funzione utilità". Ma questa ottimizzazione avviene sempre in un contesto in cui un operatore ha il completo controllo dei mezzi con cui produce qualcosa. In altre parole, si lavora in un regime di proprietà privata delle risorse.

Quando si tratta di cervi, però, la cosa si fa più complicata. Di chi sono i cervi che vagano liberamente nei boschi? Nel diritto romano, la selvaggina era definita come "res nullius", cosa di nessuno. Chiunque, in linea di principio, poteva appropriarsene. Oggi, definiamo lo stesso concetto con il termine di risorse di "libero accesso" ("free access"). Il problema delle risorse free access, è che chi le sfrutta non può ottimizzare la produzione a seconda delle condizioni del mercato. In un regime di free access, se ti capita di incontrare un cervo nel bosco, non puoi metterti a ragionare sul suo valore di mercato e se ti conviene ammazzarlo o no. Sai che se non lo ammazzi tu adesso non è detto che lo ritroverai quando sarà più conveniente ammazzarlo e se non lo ritrovi tu lo ammazzerà qualcun altro. Quindi ti conviene ammazzarlo ora, anche se sai bene che il mercato è saturo di cervi e a venderlo non ci guadagnerai quasi niente.

Questo tipo di problemi delle risorse di free access è ben noto in economia fin dagli anni 1950, quando si cominciò a modellizzare la pesca. Si scoprì che c'era una buona ragione per la quale i pescatori sono di solito poveri: non possono ottimizzare la loro produzione. Più tardi, Garrett Hardin descrisse il problema con il nome della "Tragedia dei beni comuni" (the Tragedy of the Commons). Nel linguaggio di Hardin, "beni comuni" aveva lo stesso significato di "risorsa di libero accesso", anche se si riferiva a degli ipotetici pascoli liberi piuttosto che al caso reale dell'industria della pesca.

Il problema delle risorse free access non è solo quello dell'impossibiltà per gli operatori di ottimizzare i loro profitti. E' molto più grave: se, come si diceva, ogni cacciatore trova conveniente ammazzare ogni cervo che incontra, finirà che si ammazzano più cervi di quanto i cervi non si possano riprodurre. Questo vuol dire che si preleva una quantità di risorsa superiore a quella con la quale la risorsa si riproduce. Alla fine, non rimangono più cervi da cacciare. Questo fenomeno si chiama "overshoot" (sovrasfruttamento). E' tipico anche questo della pesca, basti pensare alla caccia alla balena nel secolo XIX che ha sterminato fino quasi all'estinzione le specie cacciate a quell'epoca. Non tutti lo sanno, ma la teoria di Hardin è quella che genera il "Picco di Produzione" che si trova nel caso del petrolio e tante risorse minerarie - ma non approfondiamo qui questo argomento.

In pratica, per evitare l'overshoot non c'è che mettere la risorsa sotto controllo di un'autorità; ovvero privatizzarla o affidarla alla gestione da parte di un'autorità pubblica. Nel caso dei cervi, quello che usiamo oggi è un sistema di quote e licenze stabilite dal governo, accoppiate alla chiusura della caccia per certi periodi. Al tempo di Geordie, i cervi erano proprietà del re, e chi li rubava finiva impiccato. In entrambe i casi, la risorsa non è più "free access". E' stata privatizzata esplicitamente nel caso del parco del re, un po' meno esplicitamente nel caso della gestione moderna della caccia; ma il concetto è quello.

Quindi, capite le ragioni del conflitto che sentiamo descritto nella canzone di Geordie. Il valore economico dei cervi per chi li poteva vendere sul mercato era molto superiore a quello che il re ne poteva trarre tenendoli nel suo parco. In effetti, la storia dell'umanità si può vedere come una serie di conflitti fra chi vedeva le risorse come dei "commons" e chi le vedeva come proprietà privata. E' uno dei temi cari a un certo filone dei film western: la lotta dei contadini che volevano privatizzare la terra, e degli allevatori che volevano tenerla come pascolo "free access". Nel complesso, la gestione delle risorse come "commons" si è rivelata fallimentare nella storia umana, a parte per certe risorse che non si prestano al sovrasfruttamento, (pensate per esempio alla legna nel bosco; è impossibile sovrasfruttarla finché uno si limita a raccogliere rami secchi caduti). Hardin aveva ragione quando parlava di "tragedia dei commons".

Ai nostri tempi, la tragedia dei commons si sta verificando con il petrolio. Questa affermazione farà sobbalzare più di un economista sulla sedia. Ma quale free access? I giacimenti di petrolio sono proprietà privata. Vero, però pensateci sopra un attimo. La proprietà del giacimento esiste solo dal momento in cui viene identificato. Prima di trivellare, non si sa se il petrolio c'è o non c'è in un certo posto. Il mondo è un'unica immensa foresta dove i cervi (i giacimenti di petrolio) si nascondono. Una volta catturato, il cervo è di proprietà del cacciatore, ma finché non si sa dov'è, è una risorsa free access. L'esplorazione petrolifera è un tipico esempio di free access a una risorsa.

Certo, una volta che il petrolio è stato trovato, niente vieterebbe al proprietario di lasciarlo dov'è senza sfruttarlo. Questa è una cosa che non si può fare con un cervo morto, che va a male, ma con un pozzo di petrolio, si. Nella pratica, tuttavia, fino ad oggi tutti i possessori di pozzi di petrolio si sono affrettati a sfruttare i pozzi alla massima velocità possibile, vendendo "per denaro" il petrolio estratto proprio come Geordie aveva fatto con i cervi del parco del re.

Questa strage petrolifera non corrisponde a come gli operatori si dovrebbero comportare secondo la teoria economica corrente. Su questo punto, Harold Hotelling aveva presentato negli anni '30 un suo modello, oggi noto come "La regola di Hotelling". Secondo Hotelling, il possessore di una risorsa non rinnovabile poteva massimizzare la propria funzione utilità estraendo piano piano e sempre meno in vista dell'arrivo futuro di un'altra risorsa (detta "backstop") che avrebbe rimpiazzato quella in uso. Ma non è così che si sono comportati i proprietari dei giacimenti petroliferi fino ad oggi.

Il fallimento della regola di Hotelling applicata ai pozzi del petrolio ha probabilmente a che fare con il postulato di base che Hotelling aveva usato. Hotelling aveva ragionato che un bene vale sempre meno a seconda di quanto è lontano nel tempo il suo godimento (meglio un uovo oggi che una gallina domani). Questa riduzione di valore viene detta "funzione di discount" e, secondo l'economia classica, è un esponenziale negativo. In realtà, sembra che la funzione reale per la maggior parte degli esseri umani scenda in modo molto più ripido di un esponenziale. Quello che è successo è che per gli operatori petroliferi la prospettiva di un esaurimento della possibilità di trovare ulteriore petrolio era sufficientemente lontana nel tempo che il valore dei pozzi in quel futuro era considerato zero. In altre parole, si sono comportati come se pensassero che il petrolio fosse infinito. Quindi, non hanno minimamente pensato a ottimizzare la produzione a lungo termine, come avrebbe voluto Hotelling.

Le cose potrebbero cambiare nel futuro e ci sono evidenti elementi che fanno pensare che i proprietari dei giacimenti stanno cominciando a pensare che non è il caso di estrarre sempre e comunque alla massima velocità possibile. Sta entrando in azione un nuovo meccanismo che non è più quello descritto dai "commons" di Hardin, ma che potrebbe essere proprio quello descritto da Hotelling. Oggi, chi possiede un giacimento, comincia a ragionare che, una volta esaurito, non sarà facile trovarne un altro. Pertanto, comincia a stringere sui rubinetti e a ridurre la velocità di estrazione. Questo non renderà il petrolio infinito, ma è uno dei fattori che causano il picco del petrolio. Potrebbe, fra le altre cose, rendere la discesa del dopo-picco molto più rapida di quella che era stata la salita.

Così, a questo stadio della storia del petrolio, si ricrea il conflitto fra "commons" e privatizzazione; fra Geordie e il Re. I paesi consumatori (Geordie) chiedono a gran voce che si estragga il petrolio (i cervi) e lo si venda "per denaro". I paesi produttori (il Re) non hanno nessuna intenzione di sprecare il loro petrolio (i cervi) in questo modo. E' un conflitto ancora embrionale, ma con l'invasione dell'Iraq può darsi che ne abbiamo visto una prima avvisaglia. E' tutto da vedere chi finirà impiccato alla fine.

domenica, agosto 24, 2008

Il secondo compleanno del blog ASPO - Italia


Sono trascorsi ormai due anni da quando il prof. Ugo Bardi ha lanciato il blog di ASPO - Italia (cioè, da fine agosto 2006).
Il successo del primo anno si è riconfermato, inoltre si sono verificati alcuni interessanti sviluppi.

Senza stravolgere la filosofia del blog, abbiamo voluto fare in modo che i soci e anche i frequentatori più assidui potessero entrare come parte attiva nella creazione dei documenti. Questo aspetto un po' "open source", che punta a valorizzare la produttività individuale "gratuita", si sta rivelando un buon volano di crescita culturale. Pur essendo ancora in una fase embrionale, potrebbe essere la chiave per un' "esplosione esponenziale", in senso figurato, di questa community. Per il momento, molto dobbiamo alla verve creativa di Ugo!

Pertanto, rinnovo qui l'invito a chi desiderasse pubblicare in forma di post dei lavori da lui/lei prodotti a contattarmi a franco.galvagno@gmail.com. Grazie a quanti contribuiscono con post e commenti a rendere ricco il blog!

Suona un po' strano parlarne qui, a distanza di due anni ... ma di che cosa si discute in questo blog?
Il titolo è stato recentemente cambiato da "Energia, Materie Prime e Ambiente" in "Risorse, Economia e Ambiente". Si tratta di 3 aspetti intimamente collegati, che in un ideale percorso termodinamico raccontano la vita dell'Uomo: come e quanto sfruttiamo le Risorse, come organizziamo in base ad esse la nostra Economia e i nostri ordinamenti politici, e infine come andiamo a impattare sull'Ambiente, sia in termini di inquinamento che di cambiamento climatico.

I Temi dominanti riguardano le risorse minerarie (energetiche e non), quelle bioorganiche (tra cui quelle agricole e ittiche), i "rifiuti" e le emissioni , gli scenari macroeconomici, gli aspetti psicologici, sociali e politici. Ultimo e non per importanza, il problema del riscaldamento globale.

In modo trasversale si parla delle Tecnologie passate, presenti e future che accompagnano l'Uomo nella sua continua evoluzione.

Sperando di non cadere nella trappola dell'autocelebrazione vi passo alcuni dati di massima sul blog.

Ecco il grafico dei visitatori unici (ogni punto raggruppa i dati di una settimana):


Si nota il tempo di latenza iniziale, i "crolli" estivi e il trend di lenta crescita costante.
In due anni, quasi 400.000 visualizzazioni di pagina e quasi 125.000 visitatori "unici".
La fedeltà" dei lettori: più della metà dei visitatori sono tornati sul sito più di 3 volte in questo tempo; una buona parte lo hanno fatto decine o centinaia di volte.
Curiosità: in 135 Paesi è stato effettuato almeno un click...

venerdì, agosto 22, 2008

Picco del petrolio e federalismo fiscale

Su Repubblica di domenica scorsa, nel consueto editoriale, Eugenio Scalfari affronta il tema del federalismo fiscale, concludendo che “In queste condizioni, quali che siano le opinioni di Tremonti e di Calderoli, parlare di federalismo fiscale è pura accademia e fumo negli occhi per distogliere l'attenzione da questioni assai più cogenti. Una trasformazione radicale del sistema tributario e dei poteri amministrativi effettuati in tempi di recessione e di deflazione è inattuabile poiché comporta gravissimi rischi. Come se, in tempi di tempesta, il timone della nave fosse affidato a venti timonieri anziché ad uno. Basta enunciare un'ipotesi del genere per esserne terrorizzati”.

Sono d’accordo, probabilmente l’eminente giornalista non è del tutto conscio della crisi strutturale dell’economia indotta dall’approssimarsi del picco del petrolio, però intuisce correttamente che il mondo sta per entrare in una fase di recessione e che questa condizione possa essere combattuta meglio dagli Stati nazionali, piuttosto che da un’accozzaglia di regioni, fragili economicamente, inadeguate sul piano amministrativo, maggiormente condizionabili da spinte localistiche.

Il picco del petrolio non sarà una passeggiata e richiederà scelte e decisioni difficili e impopolari, che solo una salda direzione centrale potrà assumere e un’economia di dimensione almeno nazionale potrà supportare. Invece, in Italia, il nuovo governo, con il colpevole assenso di una parte dell’opposizione, guidata da una schiera amministratori locali forse preoccupati più di ritagliarsi maggiori spazi di potere che dell’interesse generale, si sta avviando a proporre un’ipotesi di riforma federalista che prevede pesanti trasferimenti di competenze e risorse dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, aprendo la strada a una separazione di fatto del paese.

Purtroppo, a 150 anni dall’Unità d’Italia, parafrasando Massimo D’Azeglio, “non abbiamo ancora fatto gli italiani” e nei banchi del Parlamento e del Governo siedono rappresentanti di una forza politica, la Lega, dotata di forte potere di condizionamento politico, che non si limitano solo a deridere i simboli dell’Unità nazionale, ma perseguono deliberatamente una strategia di frammentazione dell’unità nazionale, senza suscitare un’adeguata reazione nell’opinione pubblica, nelle altre forze politiche e negli organi preposti a tutelare le norme e i principi costituzionali.
Sia chiaro, penso che una riforma che responsabilizzi maggiormente le Regioni italiane, evitando l’abitudine cronica di alcune di esse allo spreco e allo sperpero delle risorse pubbliche sia necessaria, ma lo Stato deve mantenere e rafforzare tutte le funzioni strategiche previste nella Costituzione e, in alcuni casi, riacquisire alcune competenze specifiche.

Nei settori più vulnerabili rispetto alla crisi energetica ed economica incombenti, è indispensabile che lo Stato si riappropri delle funzioni di pianificazione e controllo in materia energetica, non efficaci su scala regionale; riacquisti un ruolo strategico nelle decisioni in materia di trasporti, in particolare predisponendo programmi infrastrutturali nel settore del trasporto pubblico locale, lasciando agli enti locali solo compiti attuativi; mantenga un ruolo di indirizzo e controllo nel settore agricolo-forestale; accentui il ruolo di guida dell’economia nazionale per proteggere le fasce più deboli della popolazione dall’accentuarsi delle sperequazioni sociali.
Più in generale, deve continuare ad essere garantito un livello omogeneo di istruzione pubblica e una garanzia di tutela sanitaria di base per tutti i cittadini italiani.