mercoledì, novembre 12, 2008

Un Pianeta Urbanizzato


Negli ultimi 30 anni, la Popolazione Urbana Mondiale è cresciuta da 1,6 Miliardi di persone a 3,3 Miliardi, (pari a circa 50% del totale) mentre nei prossimi 30 anni la crescita tendenziale delle popolazioni delle città dei Paesi in Via di Sviluppo aumenterà di altri 2 Miliardi di Unità. In Arabia Saudita, il governo sta spendendo miliardi di dollari per costruzione di nuove super-città tale da facilitare la crescita di Gedda e Riyadh. Il governo Egiziano invece, ha in progetto (e sta attuando) la costruzione di 20 nuove città in modo da deviare l’esodo dalle campagne lontano dal Cairo, inoltre ne sta pianificando altre 45. Due esempi tra decine di altri che dimostrano quanto la tendenza all’espansione urbanistica sia in crescendo. Secondo molti governi queste politiche di occupazione del territorio servono per attenuare la pressione dell’esodo delle persone dalle campagne verso le Città principali. Situazioni simili si erano verificate nel passato, tra gli anni 50 e 60, in Europa (Gran Bretagna, Francia, Italia, ecc…). Il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, durante la biennale del Forum Mondiale sulla Urbanizzazione che si era tenuto verso gli inizio di Novembre 2008, aveva avvertito i governi partecipanti che da oggi al 2030, servirebbero almeno due miliardi di Euro per sfamare le milioni di persone che vivono nelle città - baraccopoli e che “le aree urbane consumano la maggior parte delle risorse energetiche mondiali oltre alla generazione della maggior parte dei rifiuti” (1) .
Secondo la FAO, dal 2007 e per la prima volta nella storia, la popolazione urbana mondiale ha superato quella rurale, della quale un terzo, vale a dire un miliardo di persone, vive nelle baraccopoli. Questa percentuale cresce ulteriormente nell’Africa sub-sahariana, dove oltre tre quarti degli abitanti delle città è residente in quartieri degradati (2). Secondo proiezioni fatte dall’ONU, entro il 2030 due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle città, mentre si stima che la popolazione mondiale totale raggiungerà entro il 2050, i nove miliardi di abitanti. "Vi sarà un grosso aumento della popolazione urbana", dice Alexander Müller, responsabile ad interim del Dipartimento Agricoltura e difesa del consumatore della FAO. "Assicurare che abbiano cibo a sufficienza rappresenterà una sfida senza precedenti".
Per rispondere a questa crescente espansione delle città in particolare nei paesi in via di sviluppo ed in quelli ad espansione economica (Cina, India), e al rapido espandersi delle bidonville, favelas e baraccopoli (come vengono ormai chiamati i fatiscenti quartieri poveri delle grandi metropoli), la FAO sta sostenendo e portando avanti il concetto di “Agricoltura Urbana” con l’obiettivo di migliorare i sistemi di approvvigionamento alimentare di enormi aree urbane come Calcutta, Nairobi, ecc …. . Attraverso il progetto “Cibo per le città”, la FAO ha l’obiettivo di aiutare le popolazioni in diverse città dei paesi del sud del mondo sviluppare sistemi di agricoltura urbana e peri-urbana (goi orti famigliari), affinché possano in futuro raggiungere l’autosufficienza alimentare. Il cibo è prodotto conformemente ai principi di un’agricoltura sostenibile (biologica o integrata) e secondo strette norme di qualità, per far sì che i prodotti siano freschi e genuini.
In America Latina, e causa del limitato accesso alla terra gli esperti locali, con l’appoggio della FAO, hanno insegnato a centinaia di famiglie che vivono nei “Barrios” a produrre verdure per l’autoconsumo in mini-orti, coltivati all’interno delle loro abitazioni, usando una serie inconsueta di contenitori: bottiglie riciclate, vecchi copertoni e vaschette di varia natura. Viene applicata la tecnica di coltivazione per substrato o idroponica (dove l’acqua sostituisce la terra), in contenitori che vengono sistemati dovunque vi è spazio e luce a sufficienza. Ogni mese ciascun orto familiare riesce a produrre sino a 25 chili di verdure come lattuga, fagioli, pomodori e cipolle. Qualsiasi eccedenza viene venduta ai vicini o tramite la cooperativa che è stata formata nell’ambito del progetto .
A prima vista Accra (Ghana), Beijing (Cina) e Vancouver (Canada) sembrano avere poco in comune. Nell’area metropolitana di Vancouver vivono quasi 2 milioni di persone, a Beijing oltre 14,5 milioni. Ancora più evidenti sono le differenze di reddito: in quasi tutto il Ghana, il reddito pro capite è di 700 dollari l’anno, contro i 2.200 di Beijing e gli oltre 32.000 di Vancouver. Però se si osservano i cortili e i tetti, si nota come ovunque gli abitanti siano impegnati a risolvere un problema antico come le città in cui vivono: produrre cibo.
Tuttavia esiste un altro problema non meno importante da affrontare, quello dell’acqua. Laddove i sistemi di depurazione dell’acqua non sono adottati come nelle bidonville di Mumbai o Nairobi, l’acqua fresca e pulita non è affatto facile da trovare e nemmeno tanto economica da acquistare. Questi “contadini urbani” in genere usano le acque grigie degli scarichi che possono portare malattie, o comunque pregiudicare la salute. Eppure in Città come Accra (Ghana) e molte altre del mondo queste acque (contenenti soprattutto le deiezioni umane) presentano delle proprietà fertilizzanti di non poco conto.
Le città puntano all’autosufficienza alimentare ma le difficoltà non sono certo poche. A livello immediatamente pratico, l’altezza degli edifici oscura la luce del sole (e qui coltivare sui tetti è una soluzione efficace), mentre il terreno può essere inquinato da preesistenti residui industriali (anche se spesso i terreni agricoli, intrisi di pesticidi, non sono affatto più puliti). L’allevamento di bestiame o pesci nei pressi di aree densamente abitate e l’impatto dell’agricoltura urbana su risorse idriche spesso appena sufficienti per la città rappresentano una sfida senza precedenti in termini di salute e ambiente. Eppure, oculatamente gestita, l’agricoltura urbana può essere lo strumento migliore non solo per affrontare tempestivamente i problemi sanitari della popolazione ma anche per migliorare la qualità delle acque .
L’acqua potabile nei centri urbani è un bene sempre più prezioso; in molti centri abitati dei paesi più poveri o meno moderni, gli agricoltori urbani usano acque piovane o attinte da fiumi e torrenti per irrigare, ma sempre più spesso ricorrono a una risorsa idrica ampiamente disponibile in qualsiasi città: le acque di scolo. L’IWMI (International Water Management Institute) ritiene che molte città asiatiche e africane vi ricorrano per irrigare oltre il 50% delle coltivazioni.
Nonostante tutti questi problemi, l’agricoltura urbana può portare un soffio di natura nella giungla di cemento, con benefici superiori a quelli del singolo che ricava un po’ di guadagno lavorando la terra o del residente che può contare su generi alimentari.
Ampliando il discorso, l’agricoltura urbana può costituire un esempio d’uso molto
I contadini urbani, tra l’altro, sanno trasformare i problemi in soluzioni. “Usare le acque di scarico comporta sicuramente rischi sanitari e ambientali”, dice Gayathri Devi dell’Iwmi, “ma il loro utilizzo nell’agricoltura urbana e periurbana è un dato di fatto. Qualsiasi limitazione all’agricoltura urbana sarebbe non solo inutile ma provocherebbe danni socioeconomici ai coltivatori e alle loro famiglie.” Prendiamo Hyderabad, settima città dell’India, e luogo d’incontro tra nord e sud del paese, dove internet e biotecnologie sono in continua espansione esistono 300.000 famiglie contadine, che in città coltivano ben 15.000 ettari, e che continuano a basarsi, per mangiare e lavorare, su un sistema irriguo certamente antico: le acque del vicino fiume Musi, per gran parte dell’anno poco più di una fogna a cielo aperto (3).

Referenze:
1- The Economist; Nov. 6th 2008
2- Alison Hodder, esperta di orticoltura - Servizio colture e pascoli; FAO, Febbraio 2007
3- State of the world 2007; “Il nostro futuro urbanizzato” di Worldwatch Institute a cura di Gianfranco Bologna

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Proprio a proposito dell'agricoltura urbana, ho visto poco tempo fa questo film.
The power of community. How Cuba survived to Peak Oil.
Fino agli inizi degli anni '90 Cuba era abituata a vivere utilizzando molto petrolio per trasporti e per l'agricoltura, circa 14 milioni di tonnellate di petrolio all'anno. Tra il 1992 e il 1993, causa la caduta del blocco sovietico, si è ritrovata solo con 4 milioni di tonnellate di petrolio. Causa l'embargo posto dagli Stati Uniti sono drasticamente diminuite le importazioni.
Pertanto la situazione era drammatica, non avevano più i combustibili per i trattori, i pezzi di ricambio, i fertilizzanti chimici, il cibo importato che era la maggior parte non arrivava più.
A Cuba nei primi anni '90 hanno sperimentato le conseguenze del raggiungimento e del superamento del picco del petrolio e ne sono usciti, come?
Sono stati introdotti gli orti urbani, l'agricoltura è stata riconvertita con fertilizzanti naturali, molti sono diventati contadini anche perché intere professioni sono scomparse. Proprio la categoria dei contadini, producendo un bene primario e indispensabile, è diventata "benestante" se così può dire in un regime come quello cubano.
Impossibile raccontare in poche righe tutto quanto mostrato nel film ed il lavoro anche di ricerca scientifica che è stato compiuto a Cuba per cambiare la loro società in pochissimo tempo ed essere svincolati il più possibile dal petrolio.
Il documentario non affronta alcun discorso politico, sui diritti civili o altro, tratta solo della sopravvivenza energetica e alimentare di Cuba.
Consiglio la visione di questo documentario della durata di 50 minuti perché ci mostra una storia vera che prospetta il nostro futuro prossimo e le soluzioni che si sono adottate.

Anonimo ha detto...

Certo che è impressionante sapere che i Governi saudita ed egiziano(come molti altri dei paesi popolosi) spendono enormi capitali per creare baraccopoli.
Ma hanno un minimo sentore di quello che sta per abbattersi sulla civiltà umana e che anche la popolazione mondiale è vicina al proprio picco? Ne sono informati oppure fanno finta di non saperlo?
E' allucinante osservare come le classi dirigenti vadano avanti con programmi in direzione solo della crescita infinita invece che della decrescita prossima ventura.

Lo schianto è sempre più vicino...

Paolo B.

Unknown ha detto...

Conosciamo benissimo il filmato, era stato presentato ad ASPO 5 a Pisa qualche anno fa.

Non credo che Arabia Saudita ed egitto stiano spendendo miliardi per costruire baraccoppoli (che normalmente sorgono da se) .. spendono soldi per costruire nuove città (poi con quale qualità di vita non saprei dirlo) per diminuire la pressione sulle loro metropoli principali (le Capitali in primis)
Toufic

Anonimo ha detto...

Forse è per favorire la creazione di orti urbani che il Comune di Milano si appresta a creare strutture per accogliere 700.000 nuovi abitanti... che inguaribili umoristi!