lunedì, luglio 19, 2010

Un pozzo di petrolio “rovesciato”



Uno zoom sui pannelli termici (affiancati al FV) che ho messo sul tetto di casa mia.
Semplici soluzioni che accomunano tanti lettori del blog


La questione del picco del petrolio e degli idrocarburi in genere (HC) è, per sua natura, molto difficile da afferrare in tutte le sue molteplici implicazioni.

Da una parte, i media sparano qua e là notizie di nuovi giacimenti giganti (soprattutto in Brasile e al Polo Nord), di tecnologie innovative di estrazione a resa elevata, di ingenti riserve di petrolio non convenzionale (scisti bituminosi canadesi); dall’altra, ASPO ed altri think tank indipendenti cercano di informare la comunità, scientifica e non, dell'imminenza del peak oil e della delicatezza di questa transizione verso una società a basso consumo (vedere la recente lettera alle amministrazioni regionali).
Tra l'altro, il recente incidente alla piattaforma off-shore della BP è un chiaro indicatore del proliferare di punti di estrazione che vanno ad avventurarsi in zone sempre più estreme, tanta è la fame di greggio; questo argomento è stato eccellentemente esposto in questo pezzo pubblicato da Debora Billi su Petrolio.

Secondo la nostra associazione, il grow up di un’infrastruttura rinnovabile delocalizzata e diversificata (privilegiando le "attitudini" del territorio per estrarre il massimo EROEI dalle nuove tecnologie più promettenti) è estremamente urgente; del resto, gli indicatori macroeconomici sono sempre più chiari, e il loro andamento non può essere imputato a una “cattiva gestione estemporanea dei fondamentali dell’economia” da parte di pochi, sprovveduti enti responsabili.
Quando si parla di disoccupazione diffusa, sovraproduzione industriale, aumenti a fiotti dei costi dei carburanti e delle materie prime in genere, difficoltà delle banche a sostenere il credito, Stati a rischio default (Grecia e non solo),  tutto ciò può essere giustificato solo con la diminuzione della velocità di  “offerta” da parte della fonte di energia primaria, gli idrocarburi appunto.

Un eccesso di ottimismo verso l’utilizzo di HC a basso EROEI (quali le sabbie bituminose) o di petrolio “spremuto” da giacimenti in forte declino potrebbe davvero lanciarci in una mission impossible, fatta di illusioni, ulteriore spreco di risorse e prezioso tempo perso; per non parlare poi dei rischi di disastro ambientale.

Vi propongo la seguente recente elucubrazione, sulla cui base è possibile fare un parallelo logico (in termini di energia spesa ed energia recuperata): gli scisti bituminosi stanno al petrolio convenzionale come un impianto solare termico mal parametrato sta a uno correttamente gestito.

L’altro giorno stavo mettendo a punto alcuni coefficienti della centralina elettronica del mio solare termico. Tra questi vi è il salto di temperatura minimo (tra la mandata dei collettori e l’accumulo) al di sotto del quale la pompa non viene azionata. Ossia, se la quantità di calore “recuperabile” è bassa, come ad esempio al mattino presto e la sera verso il tramonto, ci potrebbe essere svantaggio energetico nel mantenere il processo di circolazione forzata. Questo dipende anche dall’altezza dei collettori solari rispetto all’accumulo. Se ad esempio l’altezza è di 10 metri, potrebbe essere svantaggioso mantenere le pompe (circa 200 W) se, visto il sole flebile, il salto termico è di soli 1-2 °C e la potenza termica corrispondente recuperata è di 150-200 W [Per circuiti in pressione, e in casi limite si potrebbe addirittura verificare che stiamo alimentando le pompe con il risultato di far funzionare i pannelli come un dissipatore di calore, diminuendo così la temperatura dell’accumulo].

Un ragionamento ingenuo porterebbe a dire che si sta comunque recuperando calore, mentre considerazioni energeticamente realistiche portano invece a concludere che si sta effettivamente lavorando in pareggio scarso o in perdita. Come si suol dire, "per la gloria" di un'ideologia.
Sarebbe meglio impiegare quella potenza elettrica per far girare una pompa di calore, che garantirebbe una produzione termica di 3-4 volte superiore. Piuttosto, a meno di un disperato bisogno di acqua calda (non è indispensabile fare 3 docce al giorno), è meglio fermare le pompe. In ogni caso, una classica resistenza elettrica in questo contesto garantirebbe la stessa prestazione, con il massimo della semplicità in componenti.
Impostando correttamente il salto termico minimo per l’azionamento della pompa, è possibile osservare nelle fasce orarie più favorevoli (dalle 10 alle 15 in primavera) un rapporto tra energia spesa per la pompa e energia termica recuperata fino a 1:15 , e anche 1 : 20 nei momenti di picco di insolazione.

Come si può vedere, spendere lavoro è bello e nobilita, ma bisogna farlo in modo “saggio”, entrando in risonanza con i flussi rinnovabili. Tutto il resto è tempo perso, distorsione psicologica, è pericolosa produzione di entropia... in un momento storico in cui lo spettro della "transizione al caos" aleggia come non mai.

2 commenti:

Paolo Giusti ha detto...

Ciao senti volevo farti una domanda.
Innanzitutto complimenti per l'investimento :D

e poi per il discorso manutenzione dato che il tuo tetto non ha camminatoi come la vedi?
(E' il problema che ho anchio sulla mia casa)

Frank Galvagno ha detto...

per la manutenzione, anch'io mi ero posto la questione, essendo gli spazi ristretti
Per la pulizia, ho preso uno spazzolone allungabile fino a 6 m e il problema non si pone.
In caso di guasto, è piuttosto improbabile che coinvolga i pannelli sul tetto. Cmq, se cadesse un micrometeorite o cose del genere si potrà intervenire dall'alto con imbragatura. Sicuramente non sarà agevole, ma l'abbiamo montato così :-)
Ultima cosa: problema neve. La neve si autoscrolla ma il problema è che cade a effetto valanga, col rischio di colpire persone. La probabilità è molto bassa (non è una zona di passaggio), per il momento provoco io la svalangata controllata con lo spazzolone di cui sopra ... :-)