sabato, marzo 24, 2012

Il picco del diesel

Originale di Antonio Turiel su The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti





Immagine da StreetsBlog.org


Di ANTONIO TURIEL

Cari lettori,

"Continua la mancanza di combustibile in quasi tutta la provincia di Salta (Argentina)", "I lavoratori del settore del trasporto merci contestano il profilo basso che il governo argentino dà alla scarsità di combustibili", "La scarsità di diesel può durare per settimane nel Canada occidenatale", "Una scarsità della produzione di diesel nel Regno Unito metterebbe a rischio la sua sicurezza energetica", "Si profila una crisi della benzina in Russia mentre i prezzi internazionali crescono", "La scarsità di diesel accende lo scontento in Cina", "La Cina fa importazioni straordinarie di diesel per far fronte alla scarsità interna", "La scarsità di combustibile può portare a tagli di corrente, secondo i residenti degli Emirati Arabi Uniti", "Gli yemeniti devono far fronte ad una crisi del combustibile nel bel mezzo della protesta"...

Sono solo alcuni dei titoli apparsi sulla stampa internazionale negli ultimi mesi. Dietro ai problemi di scarsità ci sono una moltitudine di cause, reali o presunte, ma hanno un curioso tratto in comune: in tutto il mondo sono sempre più frequenti le notizie sulla scarsità di combustibili, principalmente del diesel (potete vedere altro su Energy Shortage, da dove provengono quelle che ho riportato sopra).
 
Lo abbiamo già commentato alla fine dello scorso anno: c'è un fantasma che minaccia il mondo, quello della scarsità del diesel. Non scarsità di petrolio (che anche è una minaccia ma a più lungo termine), non la scarsità di altri combustibili (anche questa finirà con l'arrivare), ma una minaccia già presente. Non c'è sufficiente diesel per coprire la domanda mondiale ed il problema ha tutta l'aria di aggravarsi. Ma, perché si sta verificando questo problema? Come succede di solito, ci sono vari fattori che influiscono, non tutti allo stesso modo e non tutti si sviluppano alla stessa velocità. Questo rende la previsione piuttosto difficile. Tuttavia dà l'impressione che, per quanto riguarda il diesel, stiamo giungendo ad un collo di bottiglia abbastanza definitivo.

Il grafico seguente è stato costruito sui dati della
Joint Oil Data Initiative. E' un'iniziativa per dar maggior trasparenza al mercato del petrolio e quello che tenta di fare è omogeneizzare i dati sparpagliati del mercato del petrolio e renderli più affidabili. Per questo, a parte le compilazioni statistiche delle agenzie che vi partecipano (fra queste le più importanti agenzie pubbliche e private d'occidente), producono questionari trimestrali che permettono di individuare le anomalie e correggerle – con molti limiti, ovviamente. Non tutti i paesi vengono revisionati dalla JODI (anche se la maggioranza sì) per cui i loro dati non hanno una scala realmente globale. Anche così, l'analisi dell'evoluzione della produzione di diesel su scala globale che ci offre la JODI è abbastanza rivelatrice:



La figura corrisponde alla produzione sganciata dalle stazioni (per compensare i diversi schemi di consumo a seconda della stazione) facendo una media in ogni punto sui quattro trimestri precedenti (questo implica, pertanto, che il riferimento temporale di ogni punto dovrebbe essere spostato di due trimestri verso sinistra, ma in ogni caso questo dettaglio non ha importanza per l'esposizione che segue). Il grafico è diverso da quelli ai quali siamo abituati per la produzione di petrolio (vedete, per esempio, quella che avevo preparato per il post sullo sfasamento fra offerta e domanda), poiché la produzione di diesel (gasolio per autotrazione) non ha raggiunto il tetto fino al 2008, nonostante la stagnazione della produzione di petrolio. Poi, il calo per la crisi, un nuovo tetto nel 2011 e da lì una tendenza, anche se leggera, a calare, senza che che si possa giustificare con una grande recessione (poiché ha avuto inizio nei primi mesi del 2011). Cosa sta succedendo?

Sta succedendo che il mondo sta rimanendo senza capacità di produrre più diesel e questo è un fenomeno nuovo con una dinamica propria, non completamente coincidente con quella del petrolio. Ovviamente la scarsità di petrolio porterà inevitabilmente ad una scarsità di diesel, ma ci può essere scarsità di diesel prima che arrivi la scarsità di petrolio. Di fatto, è esattamente quello che sta succedendo e le ragioni di questa diversa dinamica sono fondamentalmente due.

Sapete già che da un decennio la IEA sì è inventata un termine che definisce “tutti i liquidi del petrolio” e che equivale a tutte le sostanze, estratte e sintetizzate, che più o meno possono fare le veci del petrolio. Questo utile concetto è stato introdotto per dissimulare il fatto che la produzione di petrolio greggio (quello che realmente si estrae dal sottosuolo) stava giungendo al suo picco di produzione, al suo zenit, e nella categoria “tutti i liquidi” entrano tutte le sostanze che si possono sintetizzare e processare come succedanei del petrolio (per questo si parla di “produzione di petrolio” invece di “estrazione di petrolio”, perché il petrolio in parte si fabbrica, in realtà). Quello che succede è che questi petroli, petroli non convenzionali, di alcuni dei quali abbiamo già parlato in altre occasioni, non sono esattamente spendibili o buoni sostituti del petrolio greggio. In particolare, non tutti sono adatti a produrre diesel. Ed ecco la prima causa di scarsità del diesel: di tutti i tipi di petrolio che entrano nella lista “tutti i liquidi” quelli che sono aumentati di più sono i cosiddetti “liquidi del gas naturale” (NGL, il loro acronimo inglese). Questi NGL sono idrocarburi di catena corta che sono il risultato della “pulizia” del gas che esce dai pozzi, e anche se si possono usare per sintetizzare diesel, risulta molto costoso (ricordate che fattibile e redditizio non sono la stessa cosa) tanto energeticamente quanto economicamente. Di fatto, il petrolio soggetto ad essere convertito in diesel è già sicuramente in leggero declino.

Questa mancanza di diesel è abbastanza grave, perché la maggior parte delle macchine di questo mondo sono diesel, così come tutto il trasporto su gomma di merci e una parte sempre più grande di automobili (a causa del miglior rendimento del motore diesel rispetto a quello a benzina). Di fatto, la domanda di diesel nel periodo in questione non ha fatto altro che aumentare, a causa, fra le altre cose, del disastro di Fukushima, che ha fatto sì che il Giappone aumentasse le sue importazioni (
le centrali nucleari del Giappone che vengono fermate per manutenzione non vengono riattivate, secondo un piano del Governo per denuclearizzare il paese e il fabbisogno di elettricità viene affidato ai generatori diesel ed alle centrali termiche alimentate col diesel). Questo spiega la scarsità di diesel in tutto il mondo e rende molto complicata la vita a chi sostiene la teoria del “peak demand”, il picco della domanda (che abbiamo già commentato in questo blog) e che sostengono che la riduzione della produzione in realtà una diminuzione cercata e pilotata del consumo per via, essenzialmente, dei miglioramenti nell'efficienza, e non di quello che sembra stia accadendo, che è la distruzione della domanda.

C'è, tuttavia, un secondo effetto che si sente sempre di più: la diminuzione dei
margini di raffinazione nelle raffinerie. Questi “margini di raffinazione” si riferiscono al differenziale del prezzo dei prodotti raffinati rispetto a quello del petrolio dal quale si estraggono. Le raffinerie hanno un controllo abbastanza puntuale sui loro costi operativi, ma non tanto sul prezzo al quale viene loro venduto il petrolio ed a quello che pagano loro per la benzina e gli altri distillati.
Come in tutto il mercato dei prodotti petroliferi, è norma comune siglare contratti differiti nel tempo, per esempio, a un mese, tre mesi o sei mesi. I problemi arrivano quando ti tocca pagare per il petrolio la stessa cifra che ricavi dalla vendita della benzina, gasolio, ecc, soprattutto quando gli orizzonti temporali di quello che compri e vendi non collimano (per esempio, petrolio a un mese e vendita della benzina a tre mesi). Le raffinerie tendono a fissare un margine di raffinazione di alcuni dollari al barile, normalmente intorno ai 10 dollari, ma non è la stessa cosa guadagnare 10 dollari quando il prezzo medio di un barile è 40 dollari, rispetto a quando è 140 dollari; Piccole fluttuazioni del prezzo del petrolio, quando questo è alto, possono far crollare facilmente il margine di raffinazione fino a renderlo negativo, come è successo nel 2009 o è successo ad alcune industrie petrolifere nel 2010. Nel caso delle raffinerie che appartengono ad un'industria petrolifera questo non è un problema, ma durante gli ultimi decenni le industrie hanno esternalizzato questa parte degli affari, che hanno sempre avuto margini più scarsi, migliorando così le proprie rendite, ma rendendo ancora più fragile il mercato del petrolio. Per peggiorare le cose, le raffinerie si confrontano col problema di avere un eccesso di benzina. Infatti, raffinando il petrolio si può leggermente variare la quantità delle due grandi categorie di prodotti di raffinazione (benzina e distillati), ma non quanto si vorrebbe, poiché la quantità di petrolio che finisce convertito in benzine oscilla fra la metà ed i due terzi, nei lavorati più comuni. Tuttavia, salvo negli Stati Uniti, in tutto il mondo c'è stata una tendenza a convertire la mobilità privata al diesel, diminuendo così il consumo di benzina. Dall'altra parte, la benzina è usata praticamente solo per la mobilità privata, il settore che ha ridotto di più i consumi durante la crisi. Così allora, le raffinerie devono equilibrare la vendita di un prodotto che ha un calo di domanda, la benzina – che è la metà o più della produzione – con quella di un insieme di prodotti, fra i quali anche il diesel, che hanno un aumento della domanda. Non possono alzare molto il margine perché affogherebbero nella benzina invenduta, né abbassarlo troppo perché si rovinerebbero. Conseguenza: le raffinerie non trovano la loro posizione di redditività e cominciano a fallire o a chiudere sine die. Negli Stati Uniti notano preoccupati che, nonostante la crisi e la caduta della domanda di benzina, il suo prezzo non smette di salire per colpa della chiusura delle raffinerie. Almeno cinque raffinerie della costa est degli Stati uniti hanno chiuso nelle ultima settimane, il che da l'idea di come si stia aggravando il problema. Il problema sta diventando sistemico anche in Europa: settanta (sì, 70!) raffinerie in tutta Europa hanno chiuso o stanno per chiudere; nella notizia che linko dicono che è “per l'embargo all'Iran”, sapete già, che questo non entrerà in vigore fino a giugno prossimo e per il quale, come dice il nostro ministro, potremo trovare petrolio da altri fornitori. Segno sempre più evidente della difficoltà di accettare una realtà più complessa e sgradevole. E non pensate che chiudano solo piccole raffinerie: Petroplus, la più grande d'Europa, che forniva il 4,4% di tutti i prodotti consumati nel vecchio continente e le cui difficoltà sono state recentemente commentate su Crisis Energética, alla fine ha fallito.

Senza dubbio stiamo vivendo un momento storico. Sembra sempre più probabile che si realizzi la previsione che aveva fatto
il rapporto dei Lloyd's nel 2010, cioè che ci potrebbero essere dei problemi di fornitura nel 2013. Il resto del mondo, come accertano le notizie linkate all'inizio del post, è già lì. Manchiamo solo noi. Come verranno interpretate mediaticamente queste difficoltà? Quante guerre per le risorse si potranno giustificare a seconda della lunghezza delle code alle stazioni di servizio?


Nota finale: in Italia c'è stato un blocco di diversi giorni da parte dei camionisti, degli agricoltori e dei pescatori che protestavano per gli alti prezzi del carburante. E' stato molto esteso al sud, dove è durato quasi due settimane e causando problemi gravi, compresa la mancata fornitura di alimenti. Un nuovo promemoria della fragilità del nostro sistema e del fatto che i problemi gravi sono più vicini di quanto pensiamo. Però Voi non avete sentito niente di tutto questo, perché questa notizia conviene metterla a tacere, non sia mai che la gente se ne faccia un'idea. E' il picco dell'informazione.


Saluti,
AMT

Originale di Antonio Turiel su The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti

3 commenti:

mauriziodaniello ha detto...

Una volta le compagnie petrolifere erano nemiche. Poi divennero alleate. Adesso sono una in affari con altre sempre più strettamente.
Se il problema delle raffinerie si può risolvere passando la commessa da una raffineria all'altra e agendo sui contratti tra compagnie il problema è minore, ma se ora il problema è tanto grave questo può far precipitare non solo una compagnia ma anche le collegate!

Ciao

Paolo ha detto...

Vediamo il lato positivo, ovvero un netto calo delle polveri sottili prodotte dai nuovi motori diesel, quelli euro x che non sono ecologici per nulla. Il lato negativo è che tutto il trasporto merci su gomma e via mare va a gasolio. Non dimenticando i gruppi elettrogeni, dal meno potente a quello più potente.
E' il declino generalizzato delle risorse che avanza a grandi passi, i limiti del paradigma neoliberista della crescita infinita sempre più evidenti, non ancora alle masse ma non manca molto. Fino a quando i media schierati potranno nasconderlo? A chi imputeranno le responsabilità delle lunghe code ai distributori o peggio, il razionamento del diesel? Il 2013 è dietro l'angolo ma di vere politiche urgenti in funzione della decrescita non ce n'è traccia nelle agende dei governi mondiali. Lo spettro di un crollo catastrofico di questa insostenibile civiltà è sempre più realistico...

Antonio ha detto...

macchè crollo catastrofico...per favore...