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mercoledì, febbraio 01, 2012

Catastrofi palesi e catastrofi nascoste

L'Isola del Giglio vista da Punta Telegrafo sul Monte Argentario. Sullo sfondo l'Isola di Montecristo.
 
Tutti l'hanno vista, e non si poteva far finta di niente. Una nave lunga trecento metri
appoggiata agli scogli appena fuori del porto di una delle tante mete turistiche toscane
non poteva essere nascosta.
Poi c'erano i morti umani, fra cui molti stranieri, e soprattutto la morbosità dei soliti necrofili che alimenta la necrofilia della stampa ed è a sua volta da essa alimentata
(un caso di scuola di ciclo di retroazione positivo nel quale si manifesta l'incapacità degli
spiriti vivi del mercato nell' interrompere un circolo vizioso).

C'era da indagare sulla biondina moldava del capitan Schettino, c'era da fare le magliette con su scritto “vada a bordo cazzo!”, c'era tutto il marketing della catastrofe e allora (con debito ritardo e inopinata lentezza per un governo tecnico) si è mandata tutta la schiera che vediamo quotidianamente in TV per i briefing che parlano delle azioni di recupero e delle analisi che con estrema acribia (e va bene!) riportano le variazioni dei parametri chimico- fisici e microbiologici fra poppavia e dritta, in confronto al bianco preso a un miglio al largo.
(Sia chiaro che ho il massimo rispetto, la massima stima e una vera ammirazione per gli uomini che lavorano in queste settimane intorno e dentro al relitto della Costa Concordia).

Inevitabile. In attesa che la SMIT e Neri si porti via l'IFO380 dai serbatoi della Costa- Concordia, abbiamo tutti imparato a parlare di biscaggine, bettoline, bunkeraggio ecc.

Il problema è che, morti umani a parte, l'incidente della Costa- Concordia è la proverbiale punta dell'Iceberg della catastrofe ambientale determinata dal traffico nei nostri mari. Traffico che coinvolge anche materiali tossici da smaltire, spazzatura e altro. Incluso ovviamente anche il diporto estivo che, ad esempio, fa apparire i bracci di mare davanti alle nostre coste altrettante autostrade e parcheggi, con le solite manifestazioni di inciviltà che pensiamo siano proprie degli automobilisti, ma che sono invece un modo di essere dell'italiano: navigazione a ridosso della costa, svuotamento di cessi chimici, abbandono di rifiuti ecc.

Due anni fa le spiagge dell'Argentario furono invase da un maceriume di spazzatura che, si disse, era spazzatura di Napoli scaricata dolosamente in mare da una chiatta. Non ho idea di come sia finita l'ichiesta.

Il 17 dicembre scorso la motonave Venezia della compagnia Grimaldi ha perso in mare due semirimorchi carichi di fusti (e sacchi) di un catalizzatore esaurito, a base di silicati di Molibdeno e Nickel, che serve per la desolfurizzazione del petrolio (altri danni collaterali della tossicodipendenza dalle fonti fossili).

Leggo da questa intervista in rete, che fa seguito ad un'intervista pubblicata sul settimanale Panorama, che il mare Tirreno è una discarica. I pescatori tacciono perché temono di vedersi bloccati i pescherecci dagli inquirenti, le capitanerie e altre autorità di sorveglianza tacciono per motivi loro (ci saranno bustarelle in gioco?), i mezzi di comunicazione perennemente alla ricerca del fatto eclatante nel migliore dei casi fanno un po' di rumore quando qualcosa trapela poi dimenticano rapidamente alla ricerca di nuove più eccitanti, nel peggiore dei casi tacciono anche loro.

E' significativo che nell'intervista il pescatore dica anche che tacere è necessario perché già si fa fatica a portare a casa  qualcosa. E forse si può immaginare perché: le zone di pesca si stanno esaurendo ovunque. Altrettanto significativo che lo stesso pescatore dichiari che a suo figlio preferisce dare il nasello surgelato pescato in Norvegia.

Ancora una volta possiamo tranquillamente dire con Enrico Euli che viviamo già interamente nella catastrofe, non c'è più nulla da annunciare, ma c'è ancora tutto da fare.

martedì, gennaio 24, 2012

Cosa minaccia l'Isola del Giglio

Di Luca Pardi


Ho una fotografia di me stesso bambino alla quale sono molto affezionato. Me la scattò mio padre nell'estate del 1967, avevo quindi 10 anni, ed ero seduto a gambe larghe sulla prua della Thetis, un piccolo cabinato a vela di sette metri e settanta (bompresso incluso), che mio padre aveva a mezzo con un suo amico e collega di Pisa. Stavamo andando a vele spiegate dal canale di Santa Liberata, l'accesso navigabile alla laguna di Orbetello dove la barca era ormeggiata nei mesi estivi, verso l'Isola del Giglio.

Ricordo che la prima volta che mi tuffai nelle acque del Giglio mi colpì la differenza rispetto alle acque del vicino Argentario che pure, a quei tempi, non erano male. Sembrava di poter toccare quel fondo fatto di grossi ciottoli di granito chiaro con il minimo sforzo, ma l'immersione lo rivelava molto più lontano di quanto i sensi, ingannati dalla cristallina limpidezza dell'acqua, indicavano. Da dieci giorni guardo con orrore questa splendida isola protagonista di una terribile tragedia umana e minacciata da una altrettanto terribile tragedia ecologica: quella che si verificherebbe se il combustibile contenuto nei serbatoi della nave da crociere Costa Concordia naufragata all'Isola del Giglio la notte di venerdì 13 gennaio, finisse in mare. Per esorcizzare il mostro che minaccia questo “mio” paradiso di una vita, mi sono messo a studiarlo un po'.

Ifo380 è il nome industriale del combustibile contenuto nei serbatoi della Costa Concordia (ifo sta per intermediate fuel oil). Si tratta di uno dei principali combustibili usati nei motori marini di grandi dimensioni e potenza. Tali combustibili sono spesso indicati collettivamente come bunker fuels. Il numero 380 si riferisce alla misura della viscosità. Nella pancia della nave ce ne sarebbero migliaia di tonnellate. Dicono 2400 tonnellate, ma una parte dei serbatoi devono contenere anche gasolio per motori marini ordinario perché nelle manovre è quest'ultimo ad essere utilizzato mentre l'ifo380 verrebbe usato nelle fasi di spostamento.

La base di questo combustibile è costituita da ciò che resta dopo la separazione per distillazione delle frazioni più leggere nel processo di raffinazione del petrolio. La raffinazione del greggio si divide in due fasi principali: 1) la distillazione del greggio a pressione atmosferica e a pressione ridotta e 2) cracking termico e catalitico. La prima separazione per distillazione avviene a pressione ambiente e a temperature fino a 360 C, e ha come prodotti una fase gassosa costituita prevalentemente da metano, etano e idrogeno, il GPL costituito da propano e butano, il kerosene e il gasolio nonché dopo alcuni passaggi delle benzine. I prodotti della distillazione sono collettivamente indicati come distillati.

A temperature superiori a 400 C ciò che resta del greggio originario inizia a decomporsi prima di arrivare all'ebollizione. Il residuo della distillazione viene ulteriormente trattato sotto vuoto e attraverso i successivi passaggi del cracking termico e catalitico che permettono di spremere ulteriormente dal residuo della distillazione composti volatili adatti agli usi più “nobili”. Quello che resta è circa il 15% del greggio originario ed è la frazione più pesante del petrolio che mescolata in certe proporzioni con piccole percentuali di distillati rappresenta il combustibile per grandi macchine a vapore e, dopo un preriscaldamento, per motori tipo diesel (all'interno dei quali l'ignizione avviene per compressione) ad alta compressione come quelli delle grandi navi.

La nomenclatura dei principali combustibili usati in marina è sommariamente presentata nella seguente tabella che ho riprodotto dal sito dell'International Marine Organization (IMO) che, fra le altre attività, si occupa anche della regolamentazione nell'uso dei combustibili al fine di ridurre le emissioni di Gas serra ed altri inquinanti.



Dunque la principale componente dell'ifo è l'olio residuo, un liquido nero molto viscoso un campione del quale è raffigurato nella figura a fianco presa da wikipedia.

L'alta viscosità è la ragione per cui i tecnici della ditta olandese SMIT incaricata di svuotare i serbatoi della Costa Concordia da questo combustibile lo dovranno preventivamente riscaldare per diminuirne la viscosità e dunque farlo scorrere più rapidamente nei tubi che serviranno per pomparlo.

Mentre in genere le diverse frazioni distillate hanno una composizione molto ristretta in termini di peso molecolare dei componenti selezionati nel processo stesso di distillazione, la composizione chimica del residuo è, come prevedibile, abbastanza variabile. Analisi di diversi campioni di ifo di diversa provenienza mostrano una distribuzione di componenti chimiche che vanno dagli idrocarburi alifatici con catene di 10 atomi di carbonio fino a molecole con più di 45 atomi di carbonio. Inoltre il residuo di raffinazione, e dunque l'ifo, contiene composti denominati collettivamente asfalteni, la cui struttura molecolare non è completamente nota e che sono i principali responsabili del colore scuro del petrolio, e i composti che contengono zolfo, azoto e diversi metalli fra cui il vanadio.

La composizione di questi combustibili è materia di studio in ambito forense per l'identificazione delle sorgenti di eventi singoli o ripetuti di inquinamento dell'ambiente marino.

Questo è l'identikit di ciò che minaccia il Giglio. Non ci rimane che affidarci alla professionalità dei tecnici impegnati nell'opera di svuotamento, giacché abbiamo da tempo abbandonato l'uso dei gesti scaramantici.