venerdì, ottobre 24, 2008

La via italiana contro i cambiamenti climatici

«Le stime italiane dei costi del pacchetto U.E. su clima ed energia non sono affatto corrette», afferma in una recente intervista Stavros Dimas, il commissario europeo per l'Ambiente. Nella sua riflessione il commissario europeo prende posizione anche sul rispetto del Protocollo di Kyoto, che l'Esecutivo italiano ha annunciato di voler ridiscutere per rinviarne le scadenze. Anche su questo fronte, le parole di Dimas non sembrano aprire nessuno spiraglio: «Il Protocollo non è un optional, ma un preciso obbligo giuridico il cui mancato rispetto verrebbe sanzionato. Con prezzi pesanti per le imprese».
Alla fine, potrebbe essere proprio questo il vero motivo dell’indegna gazzarra inscenata dal Governo Berlusconi contro i programmi di riduzione dei gas serra dell’Unione Europea: contestare l’obiettivo 20-20-20 per tentare di strappare, con un accordo al ribasso, una proroga degli obiettivi di Kyoto previsti per il 2012, senza la quale lo Stato Italiano si troverà a sborsare un bel po’ di soldi che aggiunti agli aiuti al sistema finanziario e a provvedimenti populistici e demagogici come l’abolizione dell’Ici e il federalismo fiscale, rischiano di far letteralmente saltare gli equilibri di bilancio.

Sia chiaro, la responsabilità di questa situazione non è solo dei governi di centro destra. Anche i governi di centro sinistra non hanno contribuito a ridurre i livelli emissivi di gas serra. Basti pensare alla recente bocciatura da parte dell’Unione Europea del Piano dell’Emission Trading italiano presentato dall’ultimo governo Prodi.
Purtroppo gli italiani sono così, prendono impegni e non li rispettano con la massima disinvoltura e indifferenza.
Quindi, la lotta contro la burocrazia europea che preoccupa tanto Carlo Stagnaro non c’entra proprio nulla con i no di Berlusconi, che invece degli untuosi salamelecchi a George Bush farebbe bene a consolidare il ruolo dell'Italia nell'integrazione europea.
Se poi andiamo ad analizzare i risultati concreti del Protocollo di Kyoto ci accorgiamo che la burocrazia europea qualche risultato lo ha ottenuto. Nella sintesi dell’ultima comunicazione (2007) della Commissione “Progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Kyoto” (a norma della decisione n. 280/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un meccanismo per monitorare le emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e per attuare il protocollo di Kyoto), leggiamo che, “ai sensi del protocollo di Kyoto, la Comunità europea (CE) si è impegnata a ridurre le sue emissioni di gas serra dell'8% rispetto ai livelli dell'anno di riferimento (1990) entro il 2008-2012. Sulla base dei più recenti dati disponibili ricavati dagli inventari, che risalgono al 2005, le emissioni complessive di gas serra nell’UE-15 erano inferiori del 2% rispetto all’anno di riferimento escluse le attività LULUCF (utilizzo del territorio, variazioni della destinazione d’uso del territorio e silvicoltura). Nel 2005, le emissioni di gas serra dell’UE-15 sono diminuite dello 0,8% rispetto al 2004 a fronte di una crescita economica dell’1,6%. Le proiezioni indicano che la Comunità raggiungerà l’obiettivo di Kyoto a condizione che gli Stati membri istituiscano e attuino al più presto le rispettive politiche e misure supplementari. In questo senso è stato registrato un importante passo avanti con le recenti decisioni sui piani nazionali di assegnazione (PNA) previsti dal sistema UE di scambio delle quote di emissione (sistema ETS) relativi al periodo 2008-2012, che si prevede contribuiranno a ridurre le emissioni del 3,4% nell’UE-15 e del 2,6% nell’UE-255 rispetto ai valori dell’anno di riferimento. Queste riduzioni previste non sono ancora calcolate nelle previsioni qui fornite.”
Quindi, come si vede efficacemente in quest’altro grafico, solo grazie alla palla al piede dell’Italia e di pochi altri paesi, l’U.E. rischia di non conseguire l’obiettivo di Kyoto, ma sono state ottenute innegabili riduzioni complessive delle emissioni.
Ma, dicono i bastian contrari per vocazione, che senso ha fare i primi della classe quando gli Stati Uniti, la Cina e l’India non aderiscono al trattato? oppure, cosa vale impegnarsi per degli obiettivi che sono insufficienti a invertire la tendenza in atto ai cambiamenti climatici?
Secondo me ne vale la pena, non solo perché l’impegno europeo inevitabilmente condiziona le decisioni degli altri Stati e rende strategicamente più competitive le imprese, ma perché consente di adottare misure economiche e interventi tecnologici che indirettamente saranno utili anche in uno scenario futuro di minore disponibilità delle risorse energetiche conseguente al raggiungimento dei limiti fisici di estrazione dei combustibili fossili.

9 commenti:

Archimede ha detto...

C'è qualcosa che non quadra.
Berlusconi, forse per evitare di fare una figura troppo grama, ha evitato coscienziosamente di far sapere al pubblico la "coalizione di volenterosi" scesi al suo fianco contro il 20-20-20.
Ebbene, questa "coalizione" è costituita tutta da paesi dell'est di prima grandezza quali Lettonia, Lituania, Estonia, Bulgaria, Slovacchia...
E tutti paesi, in base al grafico, che vediamo conseguire ottimi risultati relativamente agli impegni assunti!!!
Abbiamo quindi la situazione assurda che i "primi della classe" scendono in campo al fianco dell'ultimo della classe (l'Italia) per contestare il meccanismo... assolutamente assurdo!
Osserviamo però che si tratta di nazioni che, politicamente ed economicamente, è possibile "acquistare" per un tozzo di pane... non sarà che il cav. con qualche oscura manovra (e promesse da marinaio) se ne è garantito il consenso a soli fini politici?

Anonimo ha detto...

Che dire, sono completamente d'accordo con quanto espresso nell'articolo.
Certo che la situazione italiana è prossima all'implosione.
Quando il Presidente del Consiglio, un giorno dice che manderà la Polizia nelle scuole e il giorno dopo smentisce tutto, è evidente che:
- o non pensa prima di parlare
- o l'Alzheimer è galoppante.

Come si fa a fidarsi di uno così, le nostre sorti in mano a uno così?

Cercasi passaggio su disco volante verso prima galassia abitata da esseri bipedi!

Anonimo ha detto...

I cali dei paesi dell'Est sono fasulli (fanno riferimento ad una situazione iniziale disastrosa) e quelli dim olti altri stati (Francia etc) sono largamente dipendenti all'uso delle centrali nucleari.

Unknown ha detto...

Cosa che non è stata riportata dai nostri media (tanto per cambiare) ma che è colossale: i Paesi dell'est sono sì contro alla forma attuale del 20-20-20, ma in maniera completamente diversa da quella del nostro Governo.

Semplicemente (e, ammettiamolo, ragionevolmente) i paesi dell'Est contestano che il nuovo obiettivo si basi principalmente sui dati del 2005, così da congelarli alla situazione deindustrializzata post caduta URSS:

"""
These countries have since the spring criticised the European Commission's proposal, arguing that it discriminates against them, because the emission-reduction targets for 2020 are measured against a base year of 2005. They want the targets to be counted from 1990 to take into account the de-industrialisation of their economies during that decade.
"""

[Da eurovoice.com]

E' quindi vero che stando a Kyoto i loro parametri sono ottimi, ma la nuova normativa sarebbe per loro peggiorativa: li costringerebbe a rivedere il piano energetico a breve termine, mentre ad esempio la Polonia tutt'ora punta sul carbone, con obiettivo futuro di muoversi nella direzione dell'intrappolamento della CO2 nel suolo.

Più in generale, queste Nazioni che comunque erano i margini dell'impero sovietico non vogliono essere congelate in eterno a ruoli marginali: puntano cioè a che le emissioni siano in funzione di parametri assoluti (ad esempio un pro-capite) piuttosto che relativi alla situazione attuale, situazione che avvantaggia chi già ampiamente industrializzato.


Rispondendo all'anonimo: nel 1990 nessuno metteva si curava della CO2, da cui le emissioni erano "disastrose" ovunque - non certo solo nelle nazioni comuniste. Che poi su altri parametri (inquinamento e danno ambientale) fossero indietro di mezzo secolo è altra storia, ma non mistifichiamo. La situazione è invece quanto sopra: nel 1990 di industrie ne avevano, ma dopo il crollo del muro son tutte morte. Il calo è volendo "fasullo", ma nel senso che è figlio della miseria, non di riferimento pessimo.

Anonimo ha detto...

.....sento ragazzi in strada a voler espatriare...non vedono futuro da tanti punti vista.....
Mi sento strana avendo scelto venticinque anni fa l'Italia come patria (che definisco più madria per il maggior' accento su valori come intuizione,collaborazione,creatività,spontaneità ecc.... facoltà ambientate nel 'femminile ') a vedere questi giovani a definire il mio ex-paese come punto di riferimento per un mondo con più speranze - molto anche per le scelte fatte nel rinnovabile ( non rendendosi conto però che le scelte in passato erano in altre direzioni).
Sono giorni duri - e sempre di più diventa chiaro cosa significa aver' dato il potere al Cavaliere. O FORSE ANCORA NO?

Maria

Anonimo ha detto...

grazie den per il chiarimento; con "fasullo" intendevo - un po' sbrigativamente - quello che tu hai ben spiegato

Anonimo ha detto...

Per i Paesi dell'Est bisogna dire due grandi verità :

1) Sono partiti molto arretrati (all'inizio, solo per 2 anni, fallirono molte aziende) e viaggiano però alla grande (con un industria odierna superiore per quantità ora all'Italia), grazie all'impegno di Stato, ma anche e soprattutto sull'imprenditoria dell'energia (vedi ENEL per esempio) che proprio in questi paesi spende (spiegarlo occorrerebbe una pagina) in energia alternativa e nucleare.

2) NON è vero che i Paesi Lettonia, Lituania, Estonia, Bulgaria, Slovacchia, ecc SONO con Berlusconi, ma è vero che alcuni politici nell'UE (forza votante) di questi Paesi sono al suo fianco, spesso con screzi nel rispettivo luogo proprio per il motivo del punto 1.

Ciao

Carlo Stagnaro ha detto...

Una sola precisazione - Non ho mai detto o pensato che la polemica italiana fosse mossa dalla preoccupazione per gli eccessi burocratici. Ho detto il contrario: che, pur apprezzando lo sforzo del Cav., non vorrei che il risultato fosse l'ennesimo pateracchio burocratico.

Marco Pagani ha detto...

Concordo totalmente con quanto scritto da Longobardi, in particolare sulla pretestuosa battaglia italiana contro Kyoto.
Osservo inoltre che:
(1) Non capisco perchè diversi politici e imprenditori italiani siano così miopi da continuare a considerare gli accordi di Kyoto come un costo e non un'opportunità. Se fare l'imprenditore è sapere fiutare le opportunità future, questi che razza di imprenditori sono?
(2) UK, Svezia, Germania e Francia hanno ridotto le loro quote, ma non certo grazie al nucleare, che come è noto è sostanzialmente fermo da vent'anni. Questi paesi hanno investito nel risparmio e nell'efficienza energetica oltre che nelle fonti rinnovabili.