martedì, gennaio 13, 2009

W.

In una piccola ma accogliente sala cinematografica locale ho assistito di recente al film W., del regista americano Oliver Stone, che racconta la vita e le opere dell’attuale, ma per fortuna ancora per poco Presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush. Il film ha l’ambizione di delineare un affresco psicologico del protagonista, risultando alla fine proprio per questo, abbastanza noioso e ripetitivo, data la scarsa profondità psicologica ed esistenziale del personaggio. Le immagini impietosamente ci restituiscono la figura di un uomo scarsamente dotato intellettualmente che, superata una fase di alcolismo acuto nell’età giovanile, riesce a fare carriera politica solo grazie agli aiuti di un padre, George Bush Senior, che comunque non perde occasione per manifestare la sua profonda delusione per un figliolo così mal riuscito. Il film è ancora più deludente sul piano politico, ricostruendo in maniera banale ed eccessivamente semplificata alcune delle vicende politiche più importanti dell’ultimo decennio. Ad esempio, viene omessa completamente la descrizione della prima elezione di Bush jr., del tutto casuale e poco meritata, ottenuta solo grazie all’aiuto involontario (?) del candidato dei Verdi e Consumatori Ralph Nader, il quale sottrasse ad Al Gore i voti necessari per vincere. Inoltre, non si racconta che l’elezione si risolse in un sostanziale pareggio, che le schede elettorali dovettero essere conteggiate per mesi prima di poter assegnare, per una manciata di voti, la vittoria a Bush. Cosa sarebbe successo se non avesse prevalso l’ottuso integralismo di Nader e il candidato verde, non partecipando alle elezioni, avesse consentito a Gore di prevalere? Molto probabilmente la storia sarebbe un po’ cambiata. Si può supporre ad esempio, che il candidato democratico avrebbe sicuramente reagito diversamente e in maniera meno aggressiva all’attentato alle Torri Gemelle o avrebbe fatto assumere un ruolo di primo piano al proprio paese nella lotta mondiale ai cambiamenti climatici. La storia non si fa con i se, ma la politica sì e di tutto questo non c’è minima traccia nel film.

Ma, nonostante questi difetti, io ritengo che il film vada visto, anzi andrebbe consigliato a più persone possibili, solo per una improvvisa ma illuminante e pedagogica scena incastonata nel bel mezzo della storia. Nello Studio Ovale, il Presidente insieme alla sua squadra di Governo discute animatamente la decisione di invadere l’Iraq di Saddam Hussein con il pretesto della presenza di armi nucleari nascoste. Il Vice Presidente Dick Cheney interviene per superare le resistenze del recalcitrante Colin Powell, più o meno affermando che “tra trentacinque anni gli Stati Uniti non avranno più petrolio, con il 5% della popolazione mondiale consumiamo il 25% del petrolio prodotto e che pertanto, l’occupazione militare e il controllo politico di una regione con le più elevate riserve petrolifere mondiali hanno un rilievo altamente strategico per gli interessi nazionali”. Il Presidente chiosa le convincenti argomentazioni del suo vice osservando che non è certo opportuno giustificare la guerra agli americani con argomentazioni energetiche così prosaiche, ma piuttosto appellandosi alla lotta contro il terrorismo internazionale o al valore della democrazia contro la tirannide, dando il via al feroce bombardamento che determinerà la fine del satrapo iracheno, l’occupazione americana del paese e la garanzia del secondo mandato per George Bush. The End.

Ma cosa accadrà in futuro con l’elezione del primo Presidente nero nella storia degli Stati Uniti? La risposta a questa domanda starebbe bene in una stimolante sceneggiatura cinematografica per un film di fantapolitica in cui potrebbero cimentarsi registi del calibro di Scott, Spielberg o Zemeckis. Un ispirato e lungimirante Barack Obama guida il declino della superpotenza verso un’epoca di pace e verso una società meno consumistica e dissipatrice fondata sulle energie rinnovabili e su sistemi di trasporto poco energivori. Oppure un realista e opportunista Barack Obama si rende conto che tra otto anni, quando scadrà il suo secondo mandato, la disponibilità interna di petrolio, seguendo la curva declinante successiva al picco dei primi anni ’70, sarà sempre più scarsa e non volendo rischiare l’impopolarità di mettere in discussione l’american way of life, continuerà sotto altre forme una politica militare di controllo dei principali luoghi di approvvigionamento petrolifero mondiali. A me piacerebbe il primo finale, ma temo che gli americani preferirebbero il secondo.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Obama è figlio dell'America così come i suoi collaboratori e la differenza non è certo nel colore della pelle. Aspettarsi grandi cose farà certo rimanere delusi; aspettiamoci perciò cose grosso modo sulla falsariga della politica da sempre fatta dagli USA in questi anni. Certamente ci sarà più rinnovabile ma non sarà Obama a cambiare nè l'America nè il mondo.
VALDO

Anonimo ha detto...

...un po' poco per andare a vedere il film. Il reality-show per troppi anni in diretta era più che sufficiente e il lavoro di Stone ultimamente davvero deludente.

Maria

Anonimo ha detto...

non sono un esperto per quanto riguarda l'argomento peak oil,però guardando questo grafico di un utente di TOD è corretto dire ce il ''trapasso'' è avvenuto esattamente a luglio 2008?
grazie a chi mi risponderà
saluti.
chicco

Anonimo ha detto...

ops ho dimenticato il link
eccolo http://www.theoildrum.com/files/wikifig7.gif

Ugo Bardi ha detto...

Non si può dire ancora "Luglio del 2008" come data del picco. Diciamo che è molto probabile che il picco sia stato nel 2008, ma lo sapremo con certezza solo fra qualche anno

Anonimo ha detto...

perfetto,grazie per la risposta dott.Bardi

Terenzio Longobardi ha detto...

Se la data del peak oil è per forza di cose ancora incerta, è certa l'andamento della produzione petrolifera americana, che fino ad oggi ha seguito perfettamente il grafico che ho messo nell'articolo, cioè la curva a campana prevista da Hubbert con picco all'inizio degli anni '70. Per questo gli Stati Uniti, che prima del picco erano esportatori di petrolio, ogni anno che passa sono sempre più importatori e sono "costretti" a cercare di controllare anche militarmente le principali zone di produzione.

Anonimo ha detto...

Film davvero brutto, denigratorio, banale, antistorico, semplificatore e dannoso, perchè non affronta i veri punti fondamentali.
Anche se Bush non è stato un grande statista e nemmeno un genio, mostrare che un emerito deficiente alcolizzato sia diventato presidente USA per 8 anni cosi, solo perchè è capitato per caso, è davvero arrogante, banale, impietoso e ingenuo, tipico di un modo di fare politica e informazione ignorante e odioso.
Condoleeza sembra una segretaria...
Film davvero inutile e irritante per banalità. Inoltre sbaglia bersaglio, prendendosela solo con lo stupido W., e non con tutto il sistema che lo sosteneva.
In confronto, Michael Moore (con tutti i suoi difetti) diventa un gigante.
Al gore non ha perso con l'imbecille fatto vedere, ha perso contro un intero sistema di potere.
Insomma, le cose sono un po' più complicate.
JAS