mercoledì, luglio 06, 2011

Risorse dagli oceani: possiamo estrarre minerali dall'acqua di mare?

Questo articolo è stato pubblicato da Ugo Bardi il 22.09.2008 su The Oil Drum: Europe

Viene riproposto su http://www.aspoitalia.it/ in una traduzione di Massimiliano Rupalti.

Nella foto: ricercatori giapponesi che sperimentano l'estrazione dell'uranio dall'acqua di mare usando una fibra assorbente intrecciata (JAEA 2006). E' questa la tecnologia di estrazione del futuro?


Dopo un paio di secoli di estrazioni, i depositi minerari migliori e più concentrati sono sul punto di scomparire. In futuro, dovremo estrarre da depositi a minor concentrazione e ciò sarà più costoso. Non è una mera questione di soldi, estrarre da depositi a minor concentrazione costa più energia e, con il rapido declino dei combustibili fossili, questo è un problema serio. La nostra società non può sopravvivere senza una fornitura di minerali a buon mercato, quindi potrebbe non essere troppo presto per cercare nuove fonti.


Se le miniere sulla terraferma si stanno gradualmente esaurendo, possono gli oceani diventare le nostre nuove miniere? Ci sono state diverse proposte per scavare sul fondo degli oceani, ma questa è solo un'estensione dell'estrazione convenzionale e, inoltre, l'impresa è risultata complessa e costosa. Il vero cambio di paradigma, invece, è quello di estrarre ioni disciolti nell'acqua di mare.


Gli oceani sono vasti e contengono immense quantità di minerali che, in linea di principio, potrebbero essere recuperati senza bisogno di scavare, spaccare, processare e tutte le altre complesse ed energivore procedure di cui abbiamo bisogno per estrarre sulla terraferma. In effetti, l'estrazione di minerali dall'acqua di mare è un concetto che riappare periodicamente in tempi di crisi energetica. Era diventata popolare con la prima crisi petrolifera degli anni 70, per scomparire poi durante la fase dei prezzi petroliferi relativamente bassi che seguirono. Oggigiorno, con la nuova crisi in corso, recuperare minerali dall'acqua di mare sta tornando ad essere attraente. Per esempio, sul web viene spesso affermato come un fatto ovvio che ogni problema di fornitura di uranio che potrebbe avvenire in futuro sarà facilmente risolta estraendo uranio dall'acqua di mare. Occasionalmente possiamo leggere che lo stesso metodo potrebbe essere usato per risolvere ogni carenza di minerali.


In ogni caso, le cose non sono così semplici e vedremo, in ciò che segue, che estrarre minerali a bassa concentrazione dal mare è un'impresa enorme, costosa e complessa. Non vedremo minerali prodotti dall'acqua di mare entrare nel mercato in tempi brevi ed il sogno di “pescare” uranio dal mare è destinato a rimanere tale: un sogno. Ma entriamo nei dettagli.


1. Minerali nell'acqua di mare


L'acqua in oceano aperto contiene sali disciolti in un range da 33 a 37 grammi per litro, che corrispondono ad una massa di circa 5E+16 tonnellate ( nella “notazione-E” E+16 significa 10 elevato alla 16). In altre parole gli oceani contengono circa 50 quadrilioni di tonnellate di materiale disciolto. E' un quantitativo enorme confrontato con la massa totale di minerali estratti oggi nel mondo, che sono misurabili nell'ordine di “soltanto” un centinaio di miliardi di tonnellate all'anno (OPOCE 2000). Comunque, la maggior parte della massa disciolta negli oceani è sotto forma di pochi ioni e questi non sono i più importanti per l'industria.


I 4 ioni metallici più concentrati , Na+, Mg+, Ca+ e K+, sono i soli commercialmente estraibili oggi, con il meno concentrato dei 4 che è il potassio (K) a 400 parti per milione (ppm). Sotto al potassio, scendiamo verso il litio, che non è mai stato estratto in quantità commerciali dall'acqua marina, con una concentrazione di 0.17 ppm. Altri ioni metallici disciolti esistono in concentrazioni minori, a volte inferiori di diversi ordini di grandezza. Nessuno è mai stato estratto per scopi commerciali.


Ma vediamo dove ci troviamo esattamente. Nella tavola sottostante ho elencato le concentrazioni in acqua di mare e la quantità totale di alcuni ioni metallici. La tabella esclude quelli che già vengono estratti commercialmente (Na, Mg, Ca e K) e quelli che esistono solo in tracce così minime che l'estrazione è semplicemente impensabile. Le quantità disponibili nell'acqua marina sono confrontate con le riserve elencate dall' United States Geological Survey (USGS). Il concetto di “riserve” potrebbe essere prudente, ma il risultato di un lavoro recente (Bardi e Pagani 2007) mostra che potrebbe essere una stima più realistica di ciò che possiamo veramente estrarre dalle miniere sulla terraferma.

Per le fonti dei dati, vedere la nota (1) alla fine del testo.


Come vediamo, ci sono enormi risorse di metalli nel mare. La problema è come estrarli. Il metodo più generale consiste nel far passare l'acqua di mare attraverso una membrana che contiene gruppi funzionali che legano alle specie di interesse. Nessuna membrana conosciuta è selettiva al 100% per una singola specie, ma è possibile creare membrane che possono trattenere un piccolo numero di specie a bassa concentrazione selezionate. Gli adsorbati possono essere estratti dalla membrana lavandoli con sostanze chimiche appropriate; un processo chiamato “eluizione”. Dopo questo stadio, gli ioni metallici possono essere separati e recuperati per precipitazione o elettrodeposizione.


In pratica, è molto difficile estrarre ioni a bassa concentrazione a costi ragionevoli. L'estrazione del litio è stata provata durante gli anni 70 (Schwochau 1984) ma i test furono abbandonati rapidamente. L'idea di estrarre uranio ha aleggiato per lungo tempo, almeno dagli anni 60 (vedere Nebbia 2007 per una panoramica). Ma solo pochi grammi sono stati estratti in Giappone nei tardi anni 90 (Seko 2003). Poi, c'è il vecchio sogno di ottenere oro dal mare. Il chimico tedesco Fritz Haber ci ha provato negli anni 20, ma l'impresa di estrarre ioni d'oro a concentrazioni di poche parti per trilione (ppt) era praticamente disperata e, infatti, il tentativo è stato un completo fallimento.


Evidentemente ci sono dei problemi seri. Ciò non è sorprendente: c'è molta acqua nell'oceano e, in confronto, quantità molto piccole di metalli utili. Quindi dobbiamo processare enormi quantità di acqua. Enormi, in questo contesto, significa realmente enormi, come potete vedere dalla tabella che segue. Considerate, come confronto, che il volume totale di acqua desalinizzata oggi è di 1,6E+10 tonnellate.

Tavola 2. Gli elementi sono ordinati come funzione della massa di acqua di mare che sarebbe necessario filtrare in modo da ottenere lo stesso quantitativo di materiali che otteniamo dall'estrazione tradizionale. Questo valore è calcolato in base all'assunto ottimistico di un'efficienza della membrana di filtraggio del 100%. Per le fonti dei dati, vedi (1) alla fine del testo.


La tavola mostra che, anche per il miglior caso elencato, il litio, per recuperare la stessa quantità che otteniamo oggi dall'estrazione convenzionale, avremmo bisogno di approntare strutture gigantesche. Avremmo bisogno di trattare almeno 10 volte più acqua di quella che viene trattata oggi negli impianti di desalinizzazione. Tutti gli altri metalli richiederebbero quantità di acqua ancora maggiori.


Muovere queste gigantesche quantità di acqua non è solo un problema pratico: richiede energia. Questo è un parametro critico specialmente se consideriamo che due elementi vengono estratti per essere usati come fonte energetica: litio ed uranio. L'uranio, sotto forma dell'isotopo 235, è il combustibile della generazione attuale degli impianti a fissione nucleare, mentre il litio, sotto forma di isotopo 6-Li, potrebbe essere la fonte di trizio da usare come combustibile per l'eventuale futura generazione di impianti a fusione nucleare. In entrambi i casi, la fattibilità dell'estrazione è determinata dall'energia necessaria, secondo il ben conosciuto concetto di EROEI, energy returned on energy invested (Hall, 2008) (Energia ricavata rispetto all'energia investita).


Nella prossima sezione vedremo in dettaglio il caso dell'uranio, forse il più importante per applicazioni pratiche e quello di cui abbiamo i migliori dati disponibili. Ci servirà come riferimento per valutare la fattibilità dell'estrazione di tutti gli altri elementi.


2. Estrazione dell'uranio dall'acqua del mare


Al momento, l'industria mineraria può fornire solo circa il 60% dell'uranio necessario per reattori attualmente operanti e che producono il 16% dell'elettricità mondiale. La differenza è integrata con riserve immagazzinate, in gran parte ottenute dallo smantellamento di vecchie testate nucleari. Aumentare la produzione minerale al livello necessario a soddisfare la domanda è un'impresa enorme e costosa, ancor di più se avvenisse insieme alla costruzione di nuovi reattori. Si dibatte sul fatto che si potrebbe sviluppare una seria mancanza di uranio nel prossimo futuro, comunque la si veda, il problema non può essere ignorato (vedi EWG 2007).


Quindi, estrarre uranio dall'acqua di mare è un tema spesso discusso e, come abbiamo visto nella sezione precedente, le quantità teoricamente disponibili negli oceani sono più che sufficienti per allontanare tutte le preoccupazioni sulla carenza per lungo tempo. Infatti, già negli anni 60, l'idea ha cominciato ad essere valutata (Nebbia 2007). Lo sviluppo di una membrana capace di recuperare uranio dall'acqua di mare (Vernon e Shah, 1983) è stato un importante passo avanti ed ha portato a test sperimentali messi in opera negli anni 90 da ricercatori della Japanese Atomic Energy Agency (JAEA). In questi test, pochi grammi di ossido di uranio sono stati effettivamente recuperati dal mare. Da una pagina web datata 1998 (JAEA 1998), vediamo che questi test furono fatti nel 1996/97 ed i risultati sono riportati nei dettagli in un articolo in inglese di Seko ed altri (Seko 2003). Alcuni risultati ottenuti utilizzando una fibra intrecciata come assorbente sono riportati in un'altra pagina web (JAEA 2006).


Comunque, la JAEA sembra aver fermato ogni attività in questo campo, almeno da quanto possiamo comprendere dal loro sito in inglese (ora vi troverete prevalentemente notizie su Fukushima, ndt). Non ci sono rapporti su ulteriori esperimenti, dimostrazioni, impianti o di test di scala pianificati. Qualcosa deve non aver funzionato, chiaramente, ma cosa esattamente? Il tema è complesso, ma possiamo provare a rispondere con il concetto di energia ottenuta dall'energia investita, EROEI.


Dalla tavola 2 vediamo che dovremmo trattare 2E+12 tonnellate di acqua ogni anno per produrre produrre abbastanza combustibile per l'attuale parco di reattori nucleari. Considerato che l'attuale produzione mondiale di energia nucleare è di circa 2.5E+3 terawatt/h all'anno (WNA 2007), arriviamo a determinare che la “densità energetica” dell'acqua di mare sfruttabile dall'attuale tecnologia nucleare è di circa 1E-1 kWh/ton (un decimo di kWh per tonnellata). Non sembra granchè ma è ancora molto più grande dell'energia cinetica della stessa massa d'acqua mossa da correnti di media forza (vedi nota 2).


Ora, per estrarre questo uranio ci sono due possibili strategie: una è quella di pompare attivamente l'acqua attraverso la membrana, l'altra è di lanciare la membrana in mare ed aspettare la migrazione degli ioni di metallo ai siti attivi. In entrambi i casi, serve energia per una serie di operazioni: pompaggio, costruzione di infrastrutture, movimento delle membrane, la loro costruzione, ecc. Non abbiamo abbastanza dati per una valutazione passo-passo dell'energia necessaria, ma possiamo azzardare un ordine di grandezza stimata confrontandola con processi noti.


Cominciamo con la prima strategia: pompare attivamente l'acqua attraverso una membrana. Il processo richiede energia principalmente a causa della viscosità dell'acqua. Questo effetto è descritto dalla legge di Darcy che afferma che l'energia richiesta è inversamente proporzionale ad un parametro chiamato “permeabilità”. Una membrana più fine ha una permeabilità minore di una membrana a maglia più grande. La permeabilità di una membrana per l'estrazione dell'uranio non è riportata negli studi che abbiamo a disposizione e probabilmente non è nemmeno conosciuta al momento. Comunque, possiamo stimare l'energia coinvolta confrontando con un processo simile conosciuto: la desalinizzazione per osmosi inversa.


Nell'osmosi inversa, l'acqua di mare è pompata attraverso una membrana che ritiene gli ioni disciolti, proprio come dovrebbe essere fatto per l'estrazione dell'uranio. L'energia richiesta per la desalinizzazione con l'osmosi inversa è sull'ordine di 2-4 kWh/tonnellata; un valore che include tutta l'energia usata nell'impianto. Per l'uranio, useremmo membrane con una permeabilità maggiore, ma l'energia necessaria non può cambiare di molto. Se prendiamo un valore di 1kWh/tonnellata come un ragionevole “ordine di grandezza” stimata, vediamo immediatamente che non si può fare. Se quello che possiamo recuperare dell'uranio contenuto in una tonnellata d'acqua è circa 1E-1 kWh, non ha senso spendere 1 kWh/tonnellata per l'estrazione, nemmeno se potessimo farlo col 100% di efficienza. Questo risultato non è nulla di nuovo e ci sono altri tipi di calcolo che portano alle stesse conclusioni (Schwochau 1984). Pompare l'acqua attraverso le membrane è così energeticamente costoso che non può essere considerata come una strategia pratica per l'estrazione dell'uranio.


Così, ci rimane la seconda strategia: lanciare le membrane in mare ed aspettare che le correnti o la diffusione portino l'uranio nei siti di assorbimento. Questo metodo evita i costi energetici del pompaggio. Però è anche un modo meno efficiente di usare la membrana. Come conseguenza abbiamo bisogno di maggiori quantità di membrane, infrastrutture più grandi ed abbiamo bisogno di spostare le membrane dentro e fuori dal mare. Tutti questi sono costi energetici. Stiamo osservando un processo complesso e largamente sconosciuto che è difficile da analizzare in tutti i dettagli. Comunque, possiamo provarci.


Innanzitutto possiamo ottenere qualche idea sulla dimensione dell'impresa. Dittmar (2007) ha già osservato che l'impresa è enorme, ma quanto spazio occuperebbero esattamente le membrane assorbenti? Abbiamo visto (vedi tabella 2) che abbiamo bisogno di trattare almeno 2E+13 tonnellate di acqua all'anno. Abbiamo anche bisogno un'acqua relativamente poco profonda, così che le infrastrutture che sostengono le membrane possano essere ancorate al fondo del mare a costi ragionevoli. Ora, considerate il Mare del Nord come un'area adatta allo scopo. E' un mare poco profondo (profondità media inferiore ai 100 mt.) e contiene circa 5E+13 tonnellate d'acqua. Ipotizzando un'efficienza di recupero del 50% (che probabilmente è ottimistica), significa che dovremmo occupare l'intero Mare del Nord con strutture d'assorbimento per ottenere uranio sufficiente solo per il 16% dell'attuale produzione mondiale di elettricità. Per alimentare il mondo intero, avremmo bisogno dell'equivalente di almeno 6 Mari del Nord (solo per l'energia elettrica, trasporti e riscaldamento non sono inclusi – ndt -)


Ma è improbabile che il Mare del Nord abbia correnti sufficientemente forti per sostenere l'estrazione dell'uranio per lungo tempo. Questo è un problema che non è stato studiato nei dettagli: dove possiamo trovare correnti abbastanza forti per muovere le enormi masse d'acqua di cui abbiamo bisogno?


La forza delle correnti è misurata a volte in “Sverdrup”, un'unità che corrisponde ad un milione di tonnellate d'acqua al secondo, o 3E+13 tonnellate all'anno, Quindi, uno Sverdrup è quasi esattamente il flusso di acqua di mare che contiene abbastanza uranio per il fabbisogno attuale degli impianti nucleari. Alcune correnti sono riportate essere molto più forti di uno Sverdrup. Per esempio, forse la corrente più forte nel mondo è la Antarctic Circumpolar Current (ACC) che muove circa 135 Sverdrup. C'è abbondanza di uranio che viene trasportato in quella zona. Ma la media della profondità dell'oceano del Sud Antartico è intorno ai 3000-4000 metri e l'area è molto ostile per le attività umane. Ancorare lì milioni di tonnellate di membrane assorbenti, unitamente alle strutture di trattamento, è semplicemente impensabile.


Forse potremmo considerare lo Stretto di Gibilterra come un ambiente più amichevole dove trovare correnti forti. Costruire dighe sullo stretto per produrre energia è stato già proposto da Hermann Sorgel negli anni 20 col suo concetto della diga “Atlantropa”. Si supponeva che la diga potesse fornire 50 GW di energia idroelettrica, leggermente di più del 10% della potenza attualmente fornita dall'industria nucleare. La diga non fu mai costruita, naturalmente: sarebbe stata un disastro per il Mar Mediterraneo.



Oggi, sembriamo essere un po' più prudenti con questi mega progetti, ma la corrente dello stretto è ancora forte e ci potremmo appropriare di una sua parte per estrarre uranio. Il fluire dell'acqua di mare attraverso lo stretto è di circa 1 Sverdrup, abbastanza per soddisfare il nostro attuale fabbisogno di uranio. Diciamo che potremmo intercettarne il 10% (ed anche così potremmo avere enormi effetti negativi sull'ambiente del Mediterraneo). In questo caso avremmo bisogno di 10 stretti di Gibilterra solo per soddisfare l'attuale fabbisogno dell'industria della fissione nucleare e qualcosa come 60 stretti equivalenti per incrementare la produzione in modo che corrisponda all'attuale domanda mondiale di energia elettrica. Abbiamo l'equivalente di 60 stretti di Gibilterra nel mondo? Non possiamo affermare con certezza che non ci siano, ma una cosa possiamo invece affermare con certezza; l'impresa sarebbe colossale, devastante per l'ambiente e costosa oltre ogni immaginazione.


Tutto questo non significa che sia impossibile estrarre uranio dall'acqua di mare in quantità confrontabili ai nostri bisogni. Ma ci dà una certa prospettiva che possiamo valutare del parametro davvero critico del processo: l'EROEI. Le enormi aree che abbiamo calcolato essere necessarie ci porta a paragonare l'estrazione dell'uranio ad un'altra attività industriale dove grandi masse di materiali sono trasportate attraverso gli oceani: la pesca d'altura.


Abbiamo qualche dato circa la spesa energetica della pesca industriale (Mitchell e Cleveland 1993) e possiamo stimare che l'industria combustibile per un'energia di circa 7 kwh per ogni chilogrammo di pesce recuperato. Un'altra stima deriva dalla conoscenza che il totale della pesca oggi è intorno alle 90 milioni di tonnellate (9E+10 kg) all'anno (FAO 2005) mentre la quantità totale di combustibile usato dalla flotta mondiale di pescherecci nel 2005 è circa 14 milioni di tonnellate di diesel (FAO 2008) (2E+11 kWh, considerando che il contenuto energetico del diesel è di 43GJ/tonnellata). Il risultato è di circa 2 kWh di energia per chilogrammo di pesce portato a terra. Sono stime rozze che tengono in considerazione solo i costi del combustibile. Però sembra il combustibile sia la principale spesa energetica implicata nella pesca d'altura. Così, se prendiamo un valore intermedio di 5 kWh/kg, non possiamo essere troppo lontani in termini di costi energetici dell'estrazione di qualcosa dal mare aperto e riportarlo indietro sulla terraferma.


Ora, se vogliamo usare membrane per l'estrazione dell'uranio, significa che dobbiamo portare le membrane in mare, sommergerle per un po', risollevarle e riportarle a terra per il trattamento e poi ancora in mare e così via. Dal saggio di Seko (2003) vediamo che abbiamo bisogno di circa 300 kg di membrane per ogni kg di uranio estratto ogni anno. Nel saggio leggiamo anche che le membrane venivano “tirate fuori dall'acqua di mare con una nave-gru ogni 20-40 giorni”. In altre parole, le membrane devono essere portate indietro agli impianti di eluizione ogni mese o qualcosa del genere. Recuperare un chilogrammo di alluminio, quindi, potrebbe richiedere il trattamento almeno di 3 tonnellate di membrane ogni anno. Per l'attuale domanda mondiale di uranio (6.5E+4 tonnellate /anno) avremmo bisogno di muovere 2E+8 tonnellate di membrane ogni anno. Questo equivale a circa 10 volte tanto il peso del totale della pesca dell'industria ittica. Un'altra indicazione della misura colossale dell'impresa.


Ma il problema vero è l'energia implicata. Usando la proporzione di 5 kWh/kg che abbiamo calcolato prima per la pesca ed presupponendo le rese e le condizioni riportate da Seko (2003) possiamo calcolare una spesa totale di energia di circa 1E+3TWh/anno per gli attuali bisogni dell'industria nucleare. Ciò è circa lo stesso del totale prodotto, circa 2,5E+3 TWh/anno. Quindi la convenienza energetica (EROEI) è troppo bassa per essere interessante.


Naturalmente c'è un alto grado di incertezza in questo calcolo. Da un lato abbiamo bisogno di considerare che è possibile aumentare l'efficienza dei processi estrattivi usando membrane intrecciate e lavorare a temperature del mare più alte (JAEA 1998, 2008). Potremmo anche costruire impianti di trattamento galleggianti in modo da ridurre i costi di trasporto. Dall'altro lato, il calcolo si riferisce solo alle spese di carburante. A queste dobbiamo aggiungere tutti i costi per le infrastrutture, per le sostanze chimiche per l'eluizione, per l'energia necessaria per recuperare specie di interesse e così via. Dobbiamo anche considerare che le membrane sono sintetizzate dal petrolio greggio. Siccome non ci sono dati disponibili su quanto a lungo possa durare una membrana, non possiamo calcolare quanto petrolio sarebbe necessario, ma sicuramente non sarebbe trascurabile (vedi nota 3 per un tentativo di calcolare questo valore).


Possiamo concludere che c'è un alto rischio che l'estrazione dell'uranio dall'acqua di mare in queste condizioni potrebbe avere un EROEI inferiore a 1. Molto probabilmente sarebbe troppo basso per essere interessante. In pratica nessuno fornirà le enormi risorse finanziarie necessarie per imbarcarsi in un'impresa tale mentre rimane l'incertezza. Inoltre, gli investitori probabilmente non appariranno quando non possono ignorare che, in qualsiasi momento, lo sviluppo di un efficiente reattore autofertilizzante renderebbe i loro enormi investimenti senza valore. Quindi, non sappiamo con certezza se l'industria nucleare dovrà affrontare una carenza di combustibile nel prossimo futuro, ma se dovesse farlo, è meglio scommettere sull'estrazione in miniera convenzionale e sullo sviluppo di reattori più efficienti. Estrarre uranio dal mare non è una soluzione pratica.


4. Il litio e gli altri


Il caso dell'uranio ci ha dato gli strumenti di cui abbiamo bisogno per la valutazione delle prospettive di estrazione di tutti gli altri elementi. Prima di tutto, dobbiamo considerare il litio, che è più abbondante dell'uranio in mare e potrebbe anch'esso essere usato come fonte energetica. L'isotopo 6-Li può essere trasformato in un isotopo di idrogeno, il trizio, che potrebbe essere il combustibile per una futura generazione di reattori a fusione.


Fasel e Tran (2005) stimano che un reattore coperto al litio-piombo raffreddato ad acqua di un GWe di potenza necessiterà di 787 tonnellate di litio all'anno. Questo reattore può produrre 12twh d'energia all'anno. Dai dati della tabella 2, vediamo che per produrre 800 tonnellate di litio abbiamo bisogno di trattare 4E+9 tonnellate di acqua di mare. In altre parole la “densità energetica” dell'acqua di mare in termini di impianti a fusione, sarebbe di circa 3KWh/tonnellata, più di un ordine di grandezza maggiore dell'uranio (1E-1 kWh/tonnellata).


Se membrane efficienti e selettive per il litio possono essere sviluppate, le energie coinvolte nell'estrazione sarebbero probabilmente le stesse che per l'uranio, ma potremmo aver bisogno di dieci volte meno acqua per la stessa quantità di litio, quindi dieci volte meno energia. L'estrazione da pompaggio forzato sarebbe ancora molto incerto in termini di EROEI, ma con le membrane sommerse l'impresa appare possibile senza distruggere il Mare del Nord o costruire dighe per l'equivalente di dozzine di stretti di Gibilterra. Però, sarebbe comunque un'impresa enorme e la sua fattibilità rimane incerta. Comunque, Fasel e Tran (2005) menzionano anche la possibilità di modi più efficienti per usare il litio nei reattori. Così, possiamo concludere che l'estrazione del litio come combustibile nucleare dall'acqua di mare non può essere provata come fattibile in termini di ritorno energetico, ma è comunque un processo che vale la pena studiare.


Il litio è anche un elemento essenziale per le nuove generazioni di batterie usate per i veicoli stradali. Tahil (2006) ha studiato la disponibilità del litio minerale se dovessimo sostituire l'attuale parco macchine con veicoli basati sulle batterie al litio. Ha concluso che andremmo incontro ad una carenza di litio. Questo non è un problema a breve termine, ma potrebbe diventare serio un giorno. Da uno sguardo alla tabella 2 vediamo che se dovessimo ottenere l'attuale produzione minerale di litio filtrando l'acqua degli oceani attraverso delle membrane, avremmo bisogno di 1,5E+3 TWh che è il 10% della produzione mondiale di energia elettrica attuale. E' una quantità molto grande, ma non inconcepibile. Usando membrane sommerse saremmo capaci di ridurre sostanzialmente quella quantità di energia, forse di un ordine di grandezza. Comunque, secondo Tahil (2006), avremmo bisogno di incrementare la produzione di litio circa di un fattore 10, se volessimo tenere il passo dell'attuale tendenza di crescita. Questo è chiaramente impossibile usando litio estratto dall'acqua di mare, almeno finché ci affidiamo alle attuali fonti energetiche. Tuttavia non è impossibile che l'acqua di mare un giorno possa diventare una significativa fonte di litio per veicoli a batteria, sempre che il litio venga riciclato ed i veicoli costruiti in modo tale da essere più leggeri ed efficienti.


Per tutti gli altri elementi elencati nella tabella 1, l'estrazione dal mare sembra essere impossibile o, almeno, estremamente difficile. Considerate il rame come esempio. La quantità totale presente negli oceani è circa 50 volte l'attuale produzione annuale (vedi tabella 2). Così, in 50 anni esauriremmo il rame dall'acqua di mare, anche se fossimo capaci di filtrare tutta l'acqua degli oceani del pianeta. Ma ciò è impensabile, naturalmente. Considerazioni simili valgono per la maggior parte dei metalli di interesse tecnologico. Il vecchio sogno di pescare oro dal mare rimane tale: un sogno.


5. Conclusione


Forse, un giorno, potremmo sviluppare futuristici impianti robotizzati ancorati al fondo del mare. Queste macchine sarebbero alimentate dall'uranio estratto dall'acqua di mare e potrebbero usare il plancton marino per produrre “tentacoli” organici per assorbire ioni minerali. Il trattamento potrebbe essere fatto sul posto e i metalli recuperati potrebbero spediti in superficie belli e impacchettati. Ma ciò sembra un sogno degli anni 50, alla stregua degli aerei atomici e dei week end sulla luna per tutta la famiglia. Con la possibile eccezione del litio, il meglio che possiamo concepire oggi è che estrarre dagli oceani potrebbe produrre realmente solo quantità “omeopatiche” di minerali, migliaia di volte inferiori delle quantità prodotte oggi. Nel sistema industriale di oggi quantità del genere sarebbero inutili. Questo risultato è vero anche per l'uranio, per cui l'estrazione dall'acqua di mare non può essere considerata come soluzione alle carenze attuali dell'uranio minerale.


Mettere insieme volumi molto grandi di risorse minerali a bassa concentrazione porta facilmente a stime ottimistiche di disponibilità “ quando il prezzo di mercato sarà giusto”. Ma questo ottimismo è mal riposto. Alla fine, è il paradigma della “macchina mineraria universale” (Bardi 2008) che domina. Non è la quantità assoluta di una risorsa minerale che conta ma, piuttosto, la sua concentrazione. Estrarre da risorse a bassa concentrazione, non importa se disciolte nell'acqua di mare o nella crosta terrestre, è così costoso in termini di energia necessaria che è oltre le nostre possibilità sia nel presente sia in un prevedibile futuro. _______________________________________________________________


Riconoscimento: vorrei ringraziare Pietro Cambi e Joe Doves per i loro commenti e consigli circa l'energia impiegata per la desalinizzazione.


- Note


(1) Fonte dei dati per le tavole: concentrazione degli elementi in acqua di mare J Floor Anthoni (2000, 2006) www.seafriends.org.nz/oceano/seawater.htm. Abbondanza oceanica calcolata presupponendo un volume totale dell'oceano di 1,3E9 chilometri cubici. Riserve minerali dall'USGS sommario dei beni minerari del 2007 (http://minerals.usgs.gov/minerals/pubs/mcs/) gli estratti sulle riserve di uranio sono dell'Energy Watch Group (http://www.lbst.de/publications/studies__e/2006/EWG-paper_1-06_Uranium-Resources-Nuclear-Energy_03DEC2006.pdf). Tutte le riserve sono in termini di elemento puro, tranne per alluminio, ferro, e titanio, forniti in termini di ossidi.


(2) Confronto della densità di energia dell'acqua di mare in termini di uranio fissile e come fonte di energia per turbine sottomarine. Una forte corrente marina potrebbe muoversi ad una velocità di pochi metri al secondo. Consideriamo una velocità rappresentativa di 4 metri al secondo e calcoliamo l'energia come ½ mv^2. In questo caso una tonnellata di acqua potrebbe trasportare circa 2E-3kWh, molto di meno del valore calcolato precedentemente in termini di contenuto di uranio (circa 1E-1 kWh/tonnellata). Comunque, una turbina subacquea potrebbe ben avere un miglior EROEI del complesso processo di estrazione dell'uranio dall'acqua di mare e della sua utilizzazione in un impianto a fissione.


(3) Energia necessaria per costruire le membrane per l'estrazione di uranio. Dal solo lavoro pubblicato nella letterature scientifica internazionale (Seko 2003) possiamo dedurre che abbiamo bisogno di circa 300 chilogrammi di membrana per ogni chilogrammo di uranio per anno. Tentando un'ipotesi sulla base del saggio di Vernon e Shah (1983) dovremmo presumere che le ripetute immersioni della membrana degraderebbe le sue prestazioni e genererebbe il bisogno di sostituirla approssimativamente ogni anno. Un sito russo, http://npc.sarov.ru/english/digest/132004/appendix8.html dice che la membrana può essere considerata utilizzabile 20 volte prima di essere sostituita. Se questo è il caso, può essere usata per circa un anno e mezzo. Considerando in un anno la durata della membrana, avremmo bisogno di sintetizzare circa 300 kg di fibra attiva ogni anno. Siccome il petrolio greggio ha un contenuto energetico di 12kWh/kg, potremmo usare circa 12 MWh che, usati in una turbina a gas a ciclo combinato ad alta efficienza, produrrebbero circa 6mwh di potenza elettrica. Un chilogrammo di uranio in un impianto a fissione nucleare può generare 40 MWh di potenza elettrica e, perciò, il processo potrebbe avere un ragionevole EROEI di circa 7. Comunque, notate anche che, per ottenere fibra sufficiente per fornire abbastanza uranio per la produzione del totale dell'energia elettrica oggi, avremmo bisogno di 2-3 miliardi di barili di petrolio all'anno. E' una piccola quantità confrontata all'attuale produzione (più di 30 miliardi di barili all'anno) ma non trascurabile e potrebbe diventare sempre più importante visto che il petrolio diminuisce a causa del suo progressivo esaurimento.


Riferimenti


Bardi U., Pagani, M., 2007, "Peak Minerals" http://europe.theoildrum.com/node/3086


Bardi U., 2008 "The Universal Mining Machine" http://europe.theoildrum.com/node/3451


Busch, M. Mickols, B, "Economics of desalination— reducing costs by lowering energy use" Water and wastewater international, http://www.pennnet.com/display_article/208957/20/ARTCL/none/none/1/Economics-of-desalination---%E2%80%94-reducing-costs-by-lowering-energy-use/


Dittmar M., 2007, "The Nuclear Energy Option facts and fantasies", Proceedings of the ASPO-6 conference, Cork, Ireland.
www.aspo-ireland.org/contentfiles/ASPO6/3-2_APSO6_MDittmar.pdf


FAO 2005 http://www.earth-policy.org/Indicators/Fish/2005.htm


FAO 2008, http://www.fao.org/docrep/009/a0699e/A0699E08.htm.


Fasel, D., Tran. M.Q., 2005, Availability of lithium in the context of future D–T fusion reactors. Fusion Engineering and Design 75–79 pp. 1163–1168


Floor Anthoni, J., (2000, 2006) Oceanic abundance of elements, www.seafriends.org.nz/oceano/seawater.htm.


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