Inizio qui quella che vorrebbe diventare una sorta di saga: delle abitudini, delle inerzie e oltre, per l'appunto... sovente l'uomo medio (in cui ovviamente rientro) compie gesti quotidiani e abitudinari, quasi rituali, di una certa sacralità. A volte, si chiede se quello che fa ha un senso, ma il più delle volte ci pensa la forza d'inerzia a impedirgli di ragionarci sopra (contrariamente a quanto si pensa, la forza d'inerzia non è un avversario così banale e se la gioca con le altre forze "attive").
Se non dovesse bastare questa forza, può darsi che nella sua mente stanca si faccia largo una qualche leggenda, nuova o risorta, che lo giustifichi nel non agire.
Se poi dovesse rifiutare razionalmente la leggenda, cos'altro potrebbe bloccarlo? Ma certo, i comportamenti sociali. Perchè mai ci si dovrebbe impelagare in azioni e scelte "strane", ed essere giudicati dagli altri?
Se supera questo ostacolo, dovrà vedersela con l'ultimo e più impegnativo: la paura di non riuscire mai a cambiare sistemi che appaiono così radicati e destinati a rimanere tali.
Poichè la saga si preannuncia ricca di spunti che difficilmente riuscirei a focalizzare da solo, qualunque idea e post in merito da parte dei lettori sarà benvenuta.
[franco.galvagno@gmail.com].
In quasi tutti gli ambienti di lavoro le macchinette del caffè hanno una loro nicchia, un loro mercato che sembra non risentire degli alti e dei bassi (più dei bassi) sul reddito del lavor
atore-tipo. Ciascuno, cioè, continua a fare le sue n pause al giorno, premendo ogni volta il pulsante della consumazione alla macchinetta. Naturalmente, la situazione è ben diversa da quella di Totò che sorseggia il caffè in una tradizionale tazza di ceramica: il bicchierino è rigorosamente di PS (PoliStirene), o più raramente di PET (PoliEtileneTereFtalato). Insomma, "plasticaccia", che ai tempi di Totò già c'era ma non era così utilizzata per scopi alimentari.
Questi polimeri, oltre ad essere utili in un'infinità di altre applicazioni, hanno enormi potenzialità di riciclaggio, sia per via meccanica che chimica; cioè, sono ottime "materie prime secondarie".
Allora, qual è il problema? Possiamo produrne quanti ne vogliamo, buttarli, se ci garba li ricicliamo in qualche modo, poi li buttiamo ancora ...
Il punto è che sia le materie prime per la produzione (i monomeri) che l'energia necessaria alla sintesi sono legate indissolubilmente al Petrolio; di mezzo ci sono poi anche dei catalizzatori indispensabili all'avvenimento delle reazioni chimiche in gioco, ad esempio a base di ossido di Antimonio.
Con l'approssimarsi (o meglio, con il manifestarsi) del Picco del Petrolio concepire oggetti con un tempo medio di vita da 30'' a 2' (la durata della pausa caffè) sarà pura "criminalità termodinamica", che si trasformerà in "follia economica", naturalmente con un certo ritardo. Ritardo che se sottovalutato potrebbe essere molto pericoloso.
Qualche tempo fa avevo provato a chiedere a una società di distribuzione di bevande automatiche se esistessero modelli che prevedono la possibilità di escludere il bicchiere di plastica; naturalmente sono cascati dalle nuvole e hanno coinvolto capi, e capi di capi, con il risultato che secondo loro la cosa "non esiste". Magari qualche lettore conosce casi di fattibilità all'estero ...
Il mio obiettivo secondario era anche quello di "tagliare" una frazioncina del costo per erogazione (ad esempio 7 cent su 25). I tempi non sono ancora maturi, ma non dovrebbe mancare molto. Nel frattempo, dagli stabilimenti e dagli uffici continueranno a uscire sacconi di bicchieri gettati alla rinfusa (magari con altri oggetti mischiati), dal destino dubbio, come abbiamo imparato a fare da una trentina di anni a questa parte.