domenica, novembre 30, 2008

Il petrolio del re: riflessioni sulla sostenibilità


Illustrazione originale del racconto di Rudyard Kipling "L'Ankus del re"
della serie del "Libro della giungla".

La questione dei "commons", ovvero dei beni comuni, è cruciale per capire come ottenere e gestire quello che chiamiamo "sostenibilità". In questo post cerco di approfondire l'argomento, riprendendo e espandendo certi ragionamenti che avevo fatto in un mio post precedente, quello intitolato "La Spigolatura dei Rifiuti". Ho visto che c'è stato più d'uno che sulla spigolatura ci ha rimuginato sopra e fatto commenti, nonostante fosse un testo piuttosto lungo. Anche questo che segue è un testo piuttosto lungo, ma credo che troverete interessante la mia analisi su quali fattori portano a quell'esplosione di sovrasfruttamento che va sotto il nome di "tragedia dei beni comuni." Troverete anche interessante il risultato che le energie rinnovabili sono la nostra migliore speranza per una società che sia allo stesso tempo ricca e stabile. Se arrivate in fondo, poi mi direte cosa ne pensate.



1. Introduzione: l'ankus del re.


Vorrei cominciare raccontandovi una storia: "L'Ankus del re," una di quelle della serie del "Libro della Giungla" di Kipling. Nella storia, Mowgli e Kaa, il ragazzo e il grande serpente, vanno a esplorare le rovine di una città perduta. Sotto le rovine della città, trovano un tesoro immenso: oro, pietre preziose, gioielli. E' custodito dal grande cobra bianco che era li' da centinaia di anni a difenderlo. E il cobra è convinto che ancora, sopra la sua testa, ci sia la grande città del re con i suoi elefanti, i templi, i palazzi e tutto il resto.

Mowgli non è che sia gran che impressionato dal tesoro. Dice che non è roba che si può mangiare e quindi non gli interessa. Il cobra ci rimane male, ma è molto vecchio e sembra che non sia più tanto dentro con la testa. Si arrabbia e minaccia di uccidere Mowgli, ne segue una lotta in cui il cobra viene sconfitto. A questo punto, Mowgli trova una cosa nel tesoro che gli piace, una specie di lancia tutta ingioiellata che è questo Ankus del re. Se lo porta via; un po' anche per fare un dispetto al cobra.

Tornato nella foresta, Mowgli si rende conto che l'ankus è uno strumento per tormentare gli elefanti, allora non gli piace più e lo butta via. Poi però gli viene in mente che forse è meglio che lo riporti al cobra, ma nel frattempo qualcuno l'ha trovato e se l'è portato via. A questo punto, Mowgli e Bagheera, la pantera, si mettono alla ricerca del prezioso ankus. Trovano una traccia di sangue e di morte fra quelli che si sono uccisi a vicenda per impadronirsene. Alla fine, riescono a recuperarlo e a riportarlo dal Cobra che lo terrà nascosto ancora per secoli. Così finisce la strage e anche il racconto.

Kipling è stato un grande scrittore. Le sue storie sono piene di significato ma, allo stesso tempo, ci senti anche il puro piacere di raccontare una storia, ci senti i personaggi come se fossero dotati di vita propria. Nella storia dell'ankus, per esempio, il grande serpente, Kaa, è un gran bel personaggio. Ha una sua vita, una sua potenza, un suo fascino. Pensate invece a come l'hanno ridotto nel film di Walt Disney: una specie di gatto Silvestro senza le zampe. Ci deve essere una ragione per la quale oggi riusciamo a banalizzare tutto. Ma questa è un'altra faccenda.

Allora, c'è un significato nella storia dell'ankus che è evidente: quello dell'improvvisa ricchezza che porta male a chi la trova. Questa è una storia che non trovate solo in Kipling, è uno dei classici temi della letteratura fin dal tempo del tesoro dei Nibelunghi, quello di Sigfrido. In tutte queste storie, il tesoro è difeso da qualche creatura sotterranea e porta con se una maledizione. Sigfrido sconfigge il drago Fafnir e si impadronisce del tesoro, ma a lungo andare fa una brutta fine, esattamente come quelli che si sono presi l'ankus nel racconto di Kipling. Questa trama la ritroviamo in continuazione. E' un'intuizione comune che fa parte del sapere popolare anche se, nella maggior parte dei casi, l'intuizione non spiega il perché di questa che possiamo chiamare "la tragedia dell'improvvisa ricchezza" o, più semplicemente "la tragedia dell'ankus". Si tratta allora di esaminarne le ragioni che possiamo trovare in una teoria che va sotto il nome di "tragedia dei commons".


2. La tragedia dei commons

Curiosamente, la teoria economica standard non si occupa dell'abbondanza ma soltanto della scarsità. Però esiste anche un problema dell'abbondanza che è stato trattato più che altro da persone con una formazione in biologia o ingegneria. Che succede se assumiamo l'esistenza di una risorsa abbondante e di una popolazione in grado di sfruttarla? Beh, in biologia lo sappiamo bene: è un caso che si verifica in tutte le popolazioni di animali; dalle culture batteriche ai cervi di montagna. In presenza di cibo abbondante, la popolazione cresce rapidamente. Ma questa crescita esaurisce le risorse di cibo disponibili e la popolazione crolla. In un certo senso, è questa la maledizione dell'abbondanza che si trasforma in scarsità: la maledizione dell'ankus.

Il primo ad applicare esplicitamente questo modello biologico alle popolazioni umane è stato Garrett Hardin che, nel 1966, propose la sua idea della "Tragedia dei Commons", in italiano "beni comuni" o "usi civici". Hardin faceva l'esempio di un pascolo dove tutti possono portar le loro pecore. Secondo Hardin, in queste condizioni valgono le stesse leggi che ci sono in biologia. In presenza di una risorsa abbondante (erba) la popolazione che la sfrutta (pecore) cresce rapidamente. Ma questa crescita causa l'esaurimento dell'erba, che non ce la fa a ricrescere abbastanza in fretta. Il risultato è il crollo della popolazione delle pecore (e anche di quella dei pastori) e la distruzione dei pascoli. Questa, appunto, è la "tragedia dei commons".

Ma è possibile che gli esseri umani non riescano a gestire un pascolo meglio di quanto i batteri facciano con il loro brodo di cultura? Hardin sostiene che esiste un meccanismo perverso che fa si che i pastori si comportino, in effetti, come batteri. Ogni pastore si trova di fronte a una scelta individuale: portare o non portare una pecora in più al pascolo? Il danno che una pecora di troppo fa al pascolo si sparpaglia su tutti i pastori, ma il beneficio va solo a quello che ce la porta. L'avidità rende e va a finire che tutti portano più pecore di quanto non dovrebbero. Il pascolo viene sovrasfruttato e rovinato e i pastori stessi ne subiscono le conseguenze.

Il modello di Hardin si applica a molti casi reali in cui abbiamo una risorsa da sfruttare. Pensate al petrolio, somiglia molto all'ankus: qualcosa di grande valore saltato fuori dalla terra all'improvviso e che ci ha reso tutti un po' pazzi e ci ha portato ad ammazzarci fra di noi, proprio come i personaggi del racconto di Kipling. E non è solo questione di petrolio. Il meccanismo perverso descritto da Hardin si applica a tutte le risorse minerali. Ma ci sono anche altri casi. Pensate all'atmosfera, che è un bene comune anche quello inteso come un luogo dove possiamo scaricare gli inquinanti gassosi prodotti dall'industria. Pensate ai fiumi intesi come luogo dove possiamo scaricare gli inquinanti liquidi. Ci sono tantissimi altri esempi in cui l'avidità individuale, o di piccoli gruppi, rovina e distrugge dei beni comuni.

Il modello di Hardin ha un suo fascino perverso: è una specie di destino ineluttabile che colpisce gli esseri umani. Eppure, è anche vero che gli esseri umani sono più intelligenti dei batteri (anche se alle volte non sembra). Possibile che non si trovino rimedi per evitare la tragedia dei commons?

Il problema della gestione dei beni comuni è stato affrontato molte volte da politici e da economisti, anche se raramente il concetto è stato menzionato esplicitamente. Secondo il pensiero marxista, la collettivizzazione del pascolo avrebbe risolto i problemi. Il numero di pecore da portare lo decide il Gosplan, il comitato per la programmazione economica che ha in mente soltanto il bene del popolo. Secondo il pensiero liberista, invece, è la privatizzazione che risolve tutti i problemi. Affidiamo il pascolo a un proprietario e trasformiamo i pastori in suoi dipendenti. Nella sua ricerca di massimo profitto, il proprietario non ha di certo interesse a distruggere l'erba. Possiamo anche pensare ai pastori che si riuniscono a Kyoto per firmare un protocollo che stabilisce la graduale riduzione del numero di pecore, pena il pagamento di una "sheep tax" per chi non rientra nei limiti.

Questi metodi sono stati tutti sperimentati in varie condizioni, ma è ovvio che non funzionano molto bene. Per esempio, il sovrasfruttamento dei terreni agricoli da parte delle multinazionali alimentari è noto a tutti. Eppure, i terreni sono di loro proprietà e non avrebbero nessun interesse a distruggere le risorse che sfruttano. Quanto all'efficacia del vecchio Gosplan sovietico e del moderno trattato di Kyoto, beh, lasciamo perdere.

In sostanza, possiamo pensare a diversi "paletti" per impedire il sovrasfruttamento: leggi, regole, trattati, e tante altre cose. Ma quando ti trovi davanti alla prospettiva di un improvvisa ricchezza, un ankus ingioiellato o un pozzo di petrolio, non ci sono paletti che tengono. Nell'India favolosa di Kipling, i personaggi del racconto si ammazzano a coltellate per l'ankus. Nel mondo reale di oggi, per il petrolio intervengono i carri armati e i missili, ma più o meno è la stessa cosa.

Eppure, c'è un punto che finora non abbiamo considerato. Ma siamo veramente sicuri che ci vogliano leggi, regole o privatizzazioni per evitare la tragedia di Hardin? In fondo, beni comuni sono esistiti nella storia per tanto tempo ed esistono ancora. Andate sulle Alpi, per esempio. I pascoli sono spesso gestiti come usi civici e senza regole rigide della gestione. Ma non li trovate spelacchiati da troppe pecore o troppe mucche. Sono belli verdi; non c'è nessuna tragedia in giro. Pensate ai boschi: quando sono gestiti come beni comuni chiunque può andare a raccogliere funghi o legna; ma questo non vuol dire che i boschi vengano distrutti. Sembrerebbe che ci siano delle condizioni che rendono inerentemente stabili i beni comuni. Per capire questo punto, dobbiamo ragionarci sopra in dettaglio.


3. Il modello dinamico dello sfruttamento dei beni comuni.

L'esplosione economica che porta al sovrasfruttamento è un classico effetto di quello che si chiama "feedback positivo" (o "retroazione positiva"). Si verifica quando in un sistema ci sono due o più elementi che si rinforzano fra di loro. Nel caso del petrolio, per esempio, uno degli elementi è il petrolio stesso, l'altro è la ricchezza che il petrolio produce. Più petrolio si estrae, più chi estrae si arricchisce. Più è ricco chi estrae, più può investire nella ricerca e nell'estrazione di nuovo petrolio.

Questo fenomeno si può descrivere in termini di feedback usando i metodi noti nel campo che si chiama la "dinamica dei sistemi". In termini generali, il feedback è generato da due elementi che possiamo chiamare "risorsa" e "capitale". La risorsa è tutto quello che possiamo sfruttare economicamente: erba, petrolio, e anche l'atmosfera intesa come luogo dove buttare gas che altrimenti ci costerebbe più caro smaltire. Il capitale è l'aggregato di entità economiche che lo sfruttamento della risorsa crea e che permette di sfruttare ulteriormente la risorsa. Nel caso dell'erba dei pascoli di Hardin, il capitale sono le pecore. Nel caso del petrolio, il capitale è di tipo monetario, ma è anche tutto quell'insieme di attrezzature, personale e competenze che permette di esplorare e estrarre nuovo petrolio. Da notare che il petrolio non viene comunemente considerato un "bene comune"; ovviamente i pozzi sono proprietà privata. E' vero, ma è il territorio da esplorare che si configura bene comune: l'esplorazione è libera.

Dati questi due fattori, possiamo costruire un modello dinamico semplice assumendo che :

1. La produzione di risorse è proporzionale al capitale disponibile
2. La produzione di capitale è proporzionale alle risorse disponibili

Queste condizioni si possono mettere in forma di equazioni e generano una rapida crescita, di tipo esponenziale, sia della produzione di risorsa come del capitale. E' un modello ben noto in biologia, dove però non si usa di solito il termine "capitale". Messe così le condizioni, la crescita va all'infinito, ma si può introdurre anche il feedback negativo che deriva dall'esaurimento della risorsa e dal deprezzamento del capitale. In questo caso, abbiamo un modello che, nella sua forma più semplice, è quello detto di "Lotka-Volterra". Questo tipo di approccio è la base, fra le altre cose, dei "modelli del mondo" sviluppati negli studi dei "Limiti dello Sviluppo". Se vi interessano le equazioni di Lotka-Volterra, le trovate in fondo a questo testo.

La rapidità della crescita economica dipende dalle caratteristiche del sistema. La crescita è tanto più rapida quanto più efficace è la trasformazione del capitale in risorsa e della risorsa in capitale. Il caso più semplice, qui, è quello delle risorse energetiche; dove sia la risorsa che il capitale si possono definire in termini di energia. In questo caso, possiamo parlare di "ritorno energetico" (EROEI: energy return of energy invested), inteso come il rapporto fra la produzione e il capitale investito. Maggiore l'EROEI, più rapido il processo.

L'EROEI dei combustibili fossili è stato il più alto mai avuto a disposizione dagli esseri umani e ci ha consentito una crescita economica di una rapidità mai riscontrata nella storia. Per esempio, il petrolio degli "anni d'oro" dei pozzi a buon mercato degli anni della prima metà del ventesimo secolo aveva un valore dell'EROEI intorno a 100. Il grande boom economico degli anni 1950 e 1960 è stato correlato alla disponibilità di questo petrolio a buon mercato e del grande surplus che generava.

Ovviamente, oggi le cose sono molto cambiate e l'EROEI del petrolio si è molto ridotta, forse anche sotto il valore di 10 e non c'è da stupirsi che la crescita economica si sia interrotta. Questo è un fenomeno del tutto generale nel sovrasfruttamento delle risorse. Via via che si estrae ("produce") una nuova risorsa, si esauriscono i giacimenti a buon mercato (alto EROEI) e bisogna sfruttare quelli più cari (basso EROEI). Lo sfruttamento genera sempre meno capitale e l'estrazione ne richiede sempre di più. Con sempre meno capitale a disposizione, a un certo punto, il ciclo si conclude con la fine dell'estrazione.

Fino ad oggi, abbiamo visto molti di questi fenomeni di rapida crescita. In particolare, nel caso dei combustibili fossili abbiamo visto una serie di "salti" da un ciclo di sfruttamento all'altro; dal carbone al petrolio e dal petrolio al gas. Su questa base, c'è chi ha detto che il destino umano è esattamente questo: saltare sempre da un ciclo all'altro e in questo modo crescere all'infinito. Sfortunatamente, non si vede all'orizzonte un'altra risorsa comparabile ai fossili e che ci possa far pensare a un nuovo balzo in avanti imminente. L'energia nucleare si è rivelata molto meno efficiente di quanto non si pensasse una volta e non ha generato quella rapida curva di crescita che invece abbiamo visto con il petrolio. Certo, non è escluso che nuove forme di nucleare a fissione o a fusione possano far ripartire la crescita, ma per il momento sono solo speranze per il futuro.

Quindi, il modello sembrerebbe dirci che il collasso da sovrasfruttamento è inevitabile nel nostro futuro. Ma è proprio così? La risposta è no. Vedremo nella prossima sezione che esiste una possibilità di evitarlo.


4. Non si può sovrasfruttare la pioggia.

E' possibile pensare a delle condizioni che stabilizzino la società senza bisogno di forzare la gente ad agire in modi diversi da quelli che la nostra eredità biologica ci porta a preferire? La risposta è si. Il modello dinamico ha delle soluzioni che portano naturalmente alla stabilità. Abbiamo visto che perchè si abbia sovrasfruttamento bisogna che due condizioni siano soddisfatte: una che esista una risorsa il cui sfruttamento genera capitale, l'altra che il capitale possa essere usato per generare ulteriore risorsa. Ne consegue che, se vogliamo evitare la tragedia dei commons, basta che una delle due condizioni non sussista. Se questo avviene per ragioni fisiche o tecnologiche, allora abbiamo un sistema naturalmente stabile.

La prima possibilità è che la risorsa non generi capitale o ne generi poco. Questa è l'ipotesi che avevo fatto in un mio articolo precedente, che ho chiamato "La spigolatura dei rifiuti". Avevo ragionato che certe risorse, come i rifiuti, hanno una bassa resa energetica quindi generano poco capitale. Pertanto, non danno origine a una rapida crescita. Per esempio, gli inceneritori hanno una resa talmente bassa che non sarebbero mai riusciti a imporsi se non ottenendo sussidi da altri settori dell'economia.

Una condizione del genere, risorsa a bassa resa e conseguente stabilità, era probabilmente caratteristica della società contadina di una volta. Gli Amish americani, per esempio, hanno ragionato in questo senso tornando a uno stile di vita equivalente a quello dei contadini dell'800. L'efficienza dell'agricoltura Amish è bassa nel senso che non genera un surplus tale da dare inizio a fenomeni di crescita rapida. In termini di stabilità, hanno ottenuto il risultato che cercavano. Ma vivere come gli Amish non è l'obbiettivo che la maggior parte di noi ha in mente.

Consideriamo invece la seconda possibilità. Possiamo trovare una risorsa che da una buona resa, ma la cui produzione non si presta ad essere incrementata con l'uso del capitale? E' possibile. Pensiamo a un esempio banale: l'acqua.

Immaginatevi di avere una sorgente il cui flusso dipende dall'acqua piovana. Per quello che vi serve, l'acqua che viene dalla sorgente può essere tanta o poca. Se è tanta, potete accumularla e anche venderla. Però, con il capitale ricavato non c'è modo di aumentare il flusso della sorgente che viene dalla pioggia. Non importa quanti soldi uno può accumulare, difficilmente può influire sulla pioggia a parte, magari, assumere qualche stregone che faccia delle danze appropriate - ma sull'efficienza di questo metodo ci sono seri dubbi. La pioggia, semplicemente, non si può sovrasfruttare.

La sorgente può essere proprietà privata oppure gestita come bene comune. La seconda condizione è più comune nella storia umana. Spesso la gestione dell'acqua fluente richiede forme collaborative più o meno complesse. Per esempio l'Egitto viene detto "il dono del Nilo" non solo per via dell'effetto del limo fertilizzante ma anche per il fatto che l'acqua del Nilo andava gestita per forza come un bene comune. Non si poteva privatizzare il fiume a tratti, altrimenti chi sta a monte avrebbe tolto l'acqua a chi sta a valle. L'acqua viene spesso gestita come bene comune persino nei paesi aridi, dove è scarsa: il Corano impone esplicitamente ai proprietari dei pozzi di lasciarli di libero accesso dopo che hanno soddisfatto le loro necessità.

Ovviamente, in tempi recenti la tecnologia ha fatto diventare anche l'acqua un bene soggetto a sovrasfruttamento. Andare a popmpare dagli acquiferi profondi o dissalare vuol dire generare una crescita economica che deriva dall'irrigazione di aree prima desertiche e che possono essere sfruttate per l'agricoltura. A questo punto, si verifica il fenomeno di crescita incontrollata seguita da collasso: è quello che è successo in Arabia Saudita dove c'è stato un breve boom della produzione agricola basata su acqua "fossile" che è stata rapidamente esaurita.

Ma il punto è che, fintanto che non si riesce a trovare un modo per forzare una risorsa a produrre di più; il sovrasfruttamento non si verifica. Ci sono altri esempi oltre all'acqua. Pensate, per esempio, alla raccolta della legna da ardere, o delle bacche o dei funghi. Se uno va a spasso per il bosco e raccoglie rami caduti, la resa energetica è probabilmente buona. Con poca fatica, uno si scalda al caminetto e prepara la cena; o almeno così si faceva un tempo. Non è che uno non possa accumulare legna, intesa come capitale; magari anche venderla. Però, il piccolo capitale di legna accumulato non genera un aumento della produzione di legna. finché si rimane entro la condizione di raccogliere soltanto rami caduti. Anche qui, la tecnologia cambia le cose se uno si compra una sega a motore. Ma, a parte questa possibilità modernao, non ci stupisce che i boschi siano stati spesso gestiti come beni comuni nella storia.

Tutti questi esempi non ci portano molto lontano dal mondo degli Amish; il punto interessante, però, è che esiste una risorsa moderna che ha entrambe le caratteristiche che cerchiamo, ovvero alta resa e impossibilità di sovrasfruttamento: l'energia rinnovabile.


5. L'energia rinnovabile come bene abbondante

Le energie rinnovabili hanno un'ottima resa energetica (con l'esclusione dei biocombustibili). Questa resa si può misurare in termini di EROEI e va oggi da un valore di circa 10 per il fotovoltaico, intorno ai 20-40 per l'eolico tradizionale, 50 e oltre per l'idroelettrico, con possibilità di valori ancora più alti per tecnologie in corso di sviluppo come l'eolico d'alta quota (il kitegen, per esempio).

Queste tecnologie hanno molto in comune con l'esempio della sezione precedente: quello di una sorgente d'acqua. Non si prestano a essere sovrasfruttate; ovvero il capitale che generano non può essere utilizzato per aumentare la resa della risorsa. Non si può raccogliere più energia solare di quanta non ne cada su un certo territorio. Lo stesso vale per il vento o l'acqua per gli impianti idroelettrici. Certo, si può investire nella ricerca per aumentare l'efficienza della tecnologia, ma questo investimento è soggetto alla legge dei ritorni decrescenti. Non si può aumentare più di tanto l'efficienza e quindi non si genera il fenomeno di crescita esplosiva che è tipico del sovrasfruttamento. L'altro modo, quello di pannellare superfici sempre più ampie, è limitato dal fatto che nessuno sano di mente si ridurrebbe a morire di fame per avere più energia elettrica.

Ne consegue che l'energia rinnovabile si comporta come una sorgente alimentata dall'acqua piovana: non la si può sovrasfruttare.

Quanta energia rinnovabile possiamo produrre su questo pianeta? Beh, l'energia solare che arriva sulla terra è circa 10.000 volte di più dell'energia primaria che oggi produciamo in gran parte dai fossili. Se riusciamo a sfruttare anche solo l'1% di questa energia con un efficienza del 10%, ne consegue che possiamo ottenere 10 volte più energia di quanta ne abbiamo oggi; fra le altre cose nella forma conveniente di energia elettrica. Se pensiamo ad aumenti dell'efficienza di conversione, niente ci vieta di pensare alla possibilità di avere anche 50 o 100 volte l'energia che abbiamo adesso, senza impattare sull'agricoltura. Per sempre.

Con tutta questa energia, saremo ricchi o poveri? Ovviamente dipende da quanta gente ci sarà ad utilizzarla. Se la popolazione aumentasse di un fattore dieci, non ci cambierebbe nulla il fatto di avere 10 volte più energia. Ma non si può mangiare l'energia elettrica e il limite della popolazione viene dettato dalle possibilità dell'agricoltura di alimentarla. Non che non si possa utilizzare l'energia elettrica per aiutare l'agricoltura: molte delle cose che si fanno oggi con il petrolio, fertilizzanti, trasporti, lavori agricoli, ecc., si potranno fare un giorno con l'energia elettrica. Ma da qui a portare la popolazione a 60 miliardi di persone, beh, sembra proprio impossibile: ci sono dei limiti pratici a quello che l'agricoltura può fare. Per questa ragione, ci dovremo limitare a dei numeri non troppo diversi dagli attuali.

Quindi, è possibile che la disponibilità di energia elettrica per persona nel mondo futuro sia estremamente abbondante. Negli anni '50 si parlava di "energia tanto a basso costo da non valer nemmeno la pena di farla pagare". Era una promessa correlata all'energia nucleare, ma che non si è mai realizzata. Potrebbe darsi che sarà l'energia rinnovabile a renderla possibile. Intravvediamo dunque un mondo di abbondanza e di stabilità in termini di energia disponibile.

5. Conclusione: l'abbondanza energetica

Nell'Irlanda della metà dell'800 la pioggia era abbondantissima, ma mancavano le patate e si moriva di fame. Così, un mondo di abbondante energia elettrica non è necessariamente un mondo di abbondanza di tutto. Il limite, come abbiamo detto, potrebbe essere la disponibilità alimentare che forzerebbe la popolazione entro limiti ben precisi. Un altro limite sarebbe la disponibilità di materie prime di origine minerale che ci forzerebbe a riciclare tutto in modo addirittura feroce secondo gli standard attuali.

Ma un mondo stabile con abbondante energia elettrica consente di fare cose che un mondo agricolo, altrettanto stabile ma meno ricco, non può realizzare. Potremo continuare a sviluppare i computer e l'intelligenza artificiale, potremo continuare la ricerca scientifica e l'esplorazione dello spazio, potremo continuare nell'impresa di accrescere il sapere umano. L'energia rinnovabile rappresenti la migliore speranza che abbiamo di fermare l'ottovolante delle esplosioni economiche e delle successive crisi che abbiamo visto negli ultimi secoli.

Nel racconto di Kipling, la soluzione al problema del sovrasfruttamento ce l'aveva Mowgli nella sua testa quando diceva: "l'ankus non è buono da mangiare, quindi non serve a niente". Notate che Mowgli non è guidato da alti principi etici in questo suo ragionamento. L'ankus l'aveva scelto un po' perché gli piaceva questa cosa luccicante e un po' perché pensava che la lama gli potesse anche servire. Ma una cosa era sicura: l'ankus non generava feedback per Mowgli che viveva nella foresta. Questo lo metteva al riparo dalla maledizione. Il trucco è tutto li; possiamo farlo anche noi con l'energia rinnovabile.



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Il modello.

Per quelli di voi interessati a queste cose, ecco qui un modello dinamico minimalista, basato su quello di Lotka-Volterra. Si possono fare dei modelli molto più complessi e sofisticati di questo; vedi per esempio quelli sviluppati per lo studio noto in Italia come "I limiti dello sviluppo". Ma i modelli minimalisti hanno il vantaggio di essere "mind-sized" come diceva Seymour Paypert, l'inventore del linguaggio di programmazione "Logo".

Quindi, ecco le due equazioni differenziali che descrivono il modello (scritte un po' alla meglio, l'editore di Google blogger non permette deponenti)

R' = - k1RC
C' = k2RC -k3C

Qui,
R sta per "risorse", C per "capitale" (questi sono gli "stock" nel gergo della dinamica dei sistemi). R' e C' sono la derivata di C e R, ovvero come R e C variano nel tempo (questi sono "flussi" in gergo). k1, k2 e k3 sono delle costanti. Per risolvere questo sistema di equazioni, bisogna assumere un certo valore iniziale maggiore di zero di C e di R. Si vede che la risorsa viene gradualmente esaurita, ma il suo flusso (R', ovvero la produzione) passa per un massimo seguendo una curva che somiglia a quella di Hubbert. Il capitale si accumula, passa anche quello da un massimo ma poi viene dissipato e sparisce.

Nel caso di una risorsa mineraria esauribile, come il petrolio, "
R" è lo stock iniziale di risorsa. La produzione di petrolio, e quindi di energia, è proporzionale a R' e va a zero alla fine del ciclo. Per l'energia rinnovabile, vale lo stesso sistema di equazioni con R corrispondente alla frazione di territorio che si può ricoprire di pannelli FV oppure la frazione di siti adatti per l'eolico o l'idroelettrico. La differenza con il petrolio è che l'energia è proporzionale a (Rmax-R). Quindi, l'energia prodotta non va a zero ma raggiunge un massimo stabile alla conclusione del ciclo.

sabato, novembre 29, 2008

Un moderno bricolage

created by Armando Boccone



Orti degli anziani a Bologna: cancello fatto con la griglia esterna
di raffreddamento del liquido refrigerante di un frigorifero


Il problema dei rifiuti
Su questo blog si parla spesso dei rifiuti, di raccolta differenziata e di inceneritori. E’ stato detto che l’incenerimento dei rifiuti non è una buona soluzione e che è meglio la raccolta differenziata dei rifiuti stessi. Ancora meglio sarebbe la non-produzione dei rifiuti, per esempio utilizzando il meno possibile gli imballaggi. E’ stata criticata la produzione di beni a obsolescenza programmata, quelli cioè progettati in modo che durino poco.
Ma perché tutti questi rifiuti?
Per il capitalismo bisogna conseguire sempre maggiori profitti e, per le nazioni, è imperativo aumentare il PIL; allora, si è scelto il metodo dell’ “usa e getta” per quanto riguarda i prodotti industriali e la cantierizzazione per quanto riguarda il territorio.
Il capitalismo è stata una forzatura della storia, che ha avuto, sebbene a caro prezzo in termini umani e ambientali, sicuramente effetti positivi. Adesso però è bene che, almeno per molti suoi aspetti rilevanti, vada in pensione.
Infatti adesso molti nodi stanno venendo al pettine, dalla crisi finanziaria all’ "esaurimento" dei combustibili fossili e al rischio del cedimento di molti e delicati equilibri ecologici. Il capitalismo andava bene, nonostante i prezzi da pagare, quando c’era penuria di beni e si era ben lontani dai limiti naturali della crescita.

Il bricolage
Per superare la crisi in cui ci ha portato il capitalismo è necessario un modo diverso di porsi verso la realtà.
Per bricolage si intendono quelle attività svolte da persone non professioniste e che consistono nell’utilizzare materiali e arnesi per realizzare oggetti, impianti e altre piccole "infrastrutture" domestiche.
Il bricolage è uno dei modi in cui l’uomo scientificamente si confronta con la realtà, basato sull’intuizione e la percezione.
Nella produzione industriale ogni prodotto è frutto di un progetto ben definito, è ottenuto da materiali “vergini” ed è vincolato ad un uso preciso. Nel bricolage invece i vari materiali e arnesi utilizzati possono benissimo non essere“vergini”, ed essere utilizzati per un uso diverso da quello per cui furono originariamente prodotti . Il bricoleur li raccoglie e li conserva perché possono sempre servire; di essi vede solo la strumentalità ai fini del progetto che si è posto. Egli interroga i vari materiali e arnesi di cui dispone al fine di scoprire il loro significato ai fini del suo progetto. I loro utilizzi saranno però pur sempre limitati dagli usi originali per cui furono costruiti: bisogna venire a patti con essi [Incidentalmente, la stessa cosa avviene per gli scienziati (forse in misura minore) perché anche questi devono fare i conti con le conoscenze e i mezzi tecnici di cui dispongono, che limitano le soluzioni possibili]


Gli orti per gli anziani: un’applicazione del bricolage
Una branda non più utilizzabile potrebbe essere avviata ad una fonderia e, consumando comunque nuova energia, ottenere nuovo metallo ma potrebbe essere utilizzata come cancello del recinto di un orto. Le mattonelle che si ottengono disfacendo un pavimento potrebbero essere usate (consumando altra energia) come pietrisco per fondi stradali o vespai su cui poggiare il massetto di calcestruzzo ma potrebbero essere usate per fare corridoi fra le parcelle in cui vengono coltivate verdure e ortaggi. Il vetro di una finestra potrebbe essere avviato ad una vetreria e, consumando nuova energia, essere trasformato in nuovo vetro ma potrebbe essere usato per fare una piccola serra. La carta non più utilizzata potrebbe essere inviata in una cartiera e, consumando nuova energia, essere trasformata in nuova carta ma potrebbe essere utilizzata per avvolgere le piante di cardo o di radicchio per ottenere la classica “imbiancatura”.
Non c’è materiale di risulta che non riceve una nuova destinazione di uso negli orti degli anziani.
Gli stessi anziani non sono stati agricoltori nella loro vita attiva ma operai, impiegati, artigiani, commercianti e quant’altro. Le estensioni di questi orti sono molto limitate (circa 4 metri per 4) per cui non è tanto l’approvvigionamento di ortaggi e verdure la motivazione alla loro istituzione ma la necessità di tenere impegnati gli anziani e migliorare così le loro condizioni di salute.

Capitalismo e bricolage
Col capitalismo il bricolage è andato in soffitta: gli ortaggi e la verdura bisogna acquistarli al supermercato, le condizioni di salute devono essere salvaguardate dai farmaci e dalle strutture sanitarie, i rifiuti urbani devono andare all’inceneritore e gli anziani non devono socializzare fra di loro ma "annichilirsi" davanti al televisore.
Il capitalismo non è solamente un sistema economico ma è un modo di pensare e di vivere. La situazione attuale mostra indubbiamente la crisi in cui versa. E’ necessario quindi un nuovo modo di pensare e di vivere: è necessario riappropriarsi del bricolage, che è metodo e contenuto del pensiero primario dell’uomo, però arricchendolo con Internet, il progresso scientifico e quant’altro. Quel che serve è un moderno bricolage!!

venerdì, novembre 28, 2008

Crescita e declino del nitro cileno



created by Giorgio Nebbia




Se mi chiedessero quale sostanza ha avuto maggiore importanza nella rivoluzione chimica risponderei: il nitro cileno.

Il 1800 comincia con le guerre napoleoniche, ma anche con un eccezionale sviluppo tecnico scientifico nel campo della metallurgia e della chimica. I progressi nell’uso e trasformazione del carbone e i perfezionamenti nella produzione dell’acciaio consentivano di costruire macchine che sostituivano il lavoro manuale e artigianale. Con le pompe era possibile migliorare l’estrazione dei minerali e dello stesso carbone; con le macchine tessili era possibile produrre filati e tessuti in grande quantità a basso costo; con i prodotti della distillazione del carbone era possibile produrre coloranti e medicinali. Artigiani e contadini migravano verso le città industriali che avevano bisogno di mano d’opera, pagata poco e male, con condizioni di lavoro durissime, ma con salari che consentivano di accedere ad alimenti e indumenti migliori di quelli che erano disponibili nelle campagne e nei villaggi. L’alimentazione un po’ migliore e qualche progresso nell’igiene facevano diminuire la mortalità infantile e allungavano la vita umana; la popolazione mondiale passò da 850 milioni di persone nel 1800 a 1100 milioni nel 1850.

L’aumento della popolazione determinava anche un aumento della richiesta di alimenti, ma le rese delle campagne restavano basse per il più intenso sfruttamento dei suoli e per le terre devastate dalle continue guerre. Proprio alla fine del Settecento Malthus aveva avvertito che la popolazione cresceva più rapidamente della disponibilità di alimenti e gli scienziati cominciarono a chiedersi come aumentare le rese agricole e reintegrare la continua sottrazione al terreno degli elementi essenziali per la nutrizione vegetale: azoto, fosforo, potassio. La nascente industria chimica cercò dei sali che potessero “fertilizzare” i terreni e fu ben presto riconosciuta l’utilità della concimazione con nitrati inorganici. Il nitrato di potassio era usato da tempo come ingrediente della polvere da sparo, la merce prodotta e “consumata” in grande quantità nelle continue guerre del Settecento e dei primi decenni dell’Ottocento, ma era difficile da ottenere e costoso.

Le uniche sostanze azotate utilizzabili praticamente come fertilizzanti, a parte il concime di stalla, erano il guano e il nitrato di sodio. Il guano, costituto da escrementi di uccelli, solidificati e mineralizzati, si trovava in abbondanza soltanto in alcune lontane isole dell’Atlantico o del Pacifico. Giacimenti di nitrato di sodio si trovavano sull’arido altopiano desertico che si estende fra la Cordigliera e il Pacifico, fra il 18° e il 26° grado di latitudine Sud, per una lunghezza di circa 600 chilometri, diviso fra Bolivia, Perù e Cile.

Gli invasori spagnoli avevano conosciuto il nitrato di sodio che veniva estratto in quantità e in zone limitate e con tecniche primitive. Intono al 1770 i Gesuiti avevano cominciato ad usare il nitrato di sodio sudamericano come fertilizzante. Nel 1813 entra in scena Tadeo Haenke (1761-1816), un boemo appassionato di botanica, imbarcato nella spedizione di Alejandro Malaspina, un italiano della Lunigiana, ammiraglio al servizio del re di Spagna, incaricato di esplorare i mari e le isole del Pacifico. Arrivato nel Cile e in Perù Haenke si dedicò alla identificazione di nuove piante e si inoltrò nella zona desertica interna scoprendo che enormi estensioni di terreno erano coperte da sali, il “caliche”, residui dell’evaporazione di antichi mari, una miscela di nitrato di sodio, nitrato di potassio, cloruro di sodio e altri sali.

Haenke incoraggiò alcuni imprenditori a estrarre e raffinare il nitrato di sodio, economico surrogato del nitrato di potassio come ingrediente per la polvere da sparo e come concime. In queste prime fabbriche, o “oficinas”, aperte, a partire dal 1810, nella zona mineraria peruviana di Tarapaca, il “caliche” veniva trattato con acqua bollente in calderoni di ferro o rame. Cristallizzava dapprima il cloruro di sodio, si separavano poi altri sali e infine si otteneva una soluzione satura di nitrato di sodio che, per raffreddamento, cristallizzava e veniva poi essiccato in forma di sale bianco abbastanza puro.

Nei primi decenni dell’Ottocento le continue guerre in Europa e in America assicuravano un mercato sicuro per il nitrato e la crescente richiesta di alimenti spingevano ad utilizzare il nitrato come fertilizzante. Negli anni 30 e 40 dell’Ottocento i chimici, fra cui Liebig, studiavano il meccanismo della nutrizione dei vegetali e riconobbero l’importanza dell’addizione di azoto al terreno per reintegrare la fertilità che diminuiva con le coltivazioni intensive. Inoltre ben presto gli industriali soprattutto inglesi videro che il nitrato di sodio poteva sostituire con vantaggio il più costoso nitrato potassico usato nel processo delle camere di piombo per la produzione dell’acido solforico e per la produzione dell’acido nitrico, indispensabile per la nascente industria dei coloranti derivati dal catrame di carbon fossile. Si può quindi ben dire che il nitrato di sodio, contribuendo anche allo sviluppo dell’industria chimica, ha aperto le porte alla nascita della società moderna.

Cominciava così, sempre più intenso a partire dal 1830, un flusso di esportazione di nitrato di sodio che veniva imbarcato principalmente nei porti boliviani da cui raggiungeva, dopo un lungo viaggio attraverso il Capo Horn, i mercati europei e nord americani. Vari perfezionamenti tecnici fecero aumentare la produzione di nitrato di sodio e diminuire i costi industriali. Per diminuire il consumo di energia --- ci pensavano anche 150 anni fa --- l’inventore cileno Pedro Gamboni (1825-1895) nel 1853 perfezionò il processo di estrazione iniettando direttamene nel tino di dissoluzione vapore anziché acqua. Gamboni fece anche altre invenzioni, come un processo per estrarre dalle acque madri lo iodio, di cui cominciava ad esistere un certo mercato.

Negli anni 60 dell’Ottocento la produzione di nitrato di sodio si estese in Bolivia, dove pure esistevano grandi giacimenti di “caliche”. Nel 1866 il cileno Jose Santos Ossa ottenne le prime concessioni minerarie dal governo e ben presto arrivarono in Bolivia capitali cileni e inglesi. La Bolivia, in cambio delle concessioni minerarie, impose sulle esportazioni un dazio che colpì e destò le proteste della principale compagnia cilena operante in Bolivia nel campo minerario e nella gestione della ferrovia che collegava i porti costieri alle miniere. Tale imposta di esportazione era un po’ come quella che era applicata dai Borboni per lo zolfo siciliano e come quella che i paesi petroliferi applicano alle loro esportazioni di petrolio.

Il Cile, militarmente ed economicamente più forte, per difendere gli interessi cileni in Bolivia il 14 febbraio 1879 occupò Antofagasta, il porto boliviano dove veniva imbarcata la maggio parte del nitrato. Il Peru intervenne in difesa della Bolivia e negli anni dal 1879 al 1883 si svolse la “Guerra del Pacifico”, una delle tante guerre per le materie prime. Seguirono combattimenti vittoriosi per il Cile che conquistò i porti di Tacna e Arica e alla fine occupò anche Callao e Lima. Col trattato di Ancòn, che mise fine alla guerra, furono ridisegnati i confini fra i tre paesi. La Bolivia fu costretta a cedere al Cile la regione di Antofagasta, ricca di minerali, col porto omonimo, perdendo l’accesso al mare e il Peru a cedere al Cile la regione mineraria di Tarapaca col porto di Iquique, col che il Cile conquistava di fatto il monopolio della produzione e dell’esportazione del nitrato, divenuto l’ “oro bianco”. Oro anche per il Cile che applicò anche lui subito una imposta sulle esportazioni.

Un po’ come era successo con lo sfruttamento della gomma brasiliana, pochi imprenditori locali e stranieri realizzarono enormi guadagni; ci fu in alcune città cilene una ondata di benessere e lusso, pagati dal lavoro estenuante dei minatori; i capitalisti straneri influenzavano e corrompevano i politici locali per assicurarsi concessione e riduzioni di imposte. Uno di questi imprenditori, l’inglese John Thomas North (1842-1896), fece una leggendaria fortuna al punto da essere soprannominato “Il re dei nitrati”.
Qui interessa però mettere in evidenza che l’estrazione e la purificazione del nitrato sodico furono migliorati grazie ad alcune invenzioni che fecero del Cile uno dei paesi avanzati dal punto di vista industriale. Nel 1872 vennero fondate da Guillermo Wendell le prime raffinerie a Santa Laura, mentre questa faceva ancora parte del Peru; nello stesso anno l’inglese Santiago Humberstone (1850-1939) costruì le raffinerie di La Palma che divenne una delle zone minerarie più importanti, anche grazie all’introduzione di un perfezionamento della estrazione del nitrato dal “caliche”, ispirato al processo inventato dall’inglese James Shanks (1800-1877) per la lisciviazione del carbonato sodico dalla miscela di sali che si formavano nel processo Leblanc. Santa Laura fu ceduta nel 1902 e cessò la produzione nel 1913.
Fra le innovazioni si può ricordare che il primo distillatore solare fu installato nel 1872 a Quebrada de Las Salinas, nel deserto di Atacama, per fornire acqua dolce ai minatori che estraevano i nitrati in uno dei posti più aridi della Terra, a 1400 metri di altezza; l'unica acqua disponibile aveva una salinità del 14 per cento ! In un primo tempo era stato installato un distillatore a vapore, ma il combustibile proveniente dalla costa a dorso di mulo rendeva costosissima la produzione di acqua potabile con questo sistema. Fu allora progettato e costruito, da un certo ingegner Charles Wilson, un distillatore solare della superficie di 4400 metri quadrati. Il distillatore era costituito da 64 vasche di legno, poco profonde, nelle quali veniva immessa l'acqua salmastra; sulla superficie delle vasche era posta una lastra di vetro inclinata, che chiudeva perfettamente il distillatore. L'energia del Sole, molto intensa a quelle latitudini, passava attraverso la lastra di vetro e scaldava l'acqua salmastra; questa in parte evaporava. Il vapore acqueo incontrava la superficie interna della lastra di vetro che, essendo a contatto con l'aria esterna, era più fredda dell'acqua salmastra. In questo modo il vapore acqueo si condensava sotto forma di acqua priva di sali che veniva raccolta e conservata. Il distillatore di Las Salinas produceva 20.000 litri di acqua al giorno e restò in funzione fino al 1908; nel frattempo una ferrovia assicurava il rifornimento di carbone col che diventava più conveniente la distillazione con questo combustibile.

Il prezzo crescente del nitrato di sodio, dovuto anche all’imposta cilena sulle esportazioni, spinse i paesi europei a cercare dei processi per produrre nitrati dall’azoto dell’aria, gratuito e accessibile a tutti, dapprima col processo della sintesi dell’acido nitrico con l’arco elettrico, inventato da Birkeland e Eyde, e poi con la sintesi, realizzata in Germania da Haber e Bosch dell’ammoniaca che poteva essere facilmente ossidata ad acido nitrico; nel frattempo erano stati inventati processi di fabbricazione dell’acido solforico che non avevano più bisogno di acido nitrico. Agli inizi del 1900 si avvertivano anche i segni dell’impoverimento delle riserve di nitrati; il picco della produzione fu raggiunto nei primi decenni del Novecento, anche per la crescente richiesta di esplosivi durante la prima guerra mondiale (1914-1918).Negli anni 20 l’estrazione di nitrati nel Cile fu razionalizzata con l’intervento, nel 1924, dei capitali dei fratelli americani Murry e Sol Guggenheim, con l’adozione di altri perfezionamenti dovuti a Elias Anton Cappelen-Smith Jr. e l’introduzione di macchinari per la frantumazione e l’estrazione del “caliche”. Si ebbe una breve ripresa della produzione negli anni 30 del Novecento, ma nel frattempo i nitrati sintetici si stavano diffondendo in tutto il mondo e il declino del nitro cileno fu inarrestabile e le “oficinas” chiusero una dopo l’altra.

Intorno al 1940 La Palma, ribattezzata "Oficina Santiago Humberstone", in onore del suo fondatore, continuò per qualche anno a produrre nitrato di sodio fino a quando è stata chiusa e abbandonata. I ruderi di archeologia industriale sono stati restaurati e il luogo è stato dichiarate monumento nazionale cileno e, nel 2005, è stato dichiarato “Patrimonio dell’umanità” dall’Unesco. La fortuna economica del Cile continuò con la estrazione del rame, ma questa è un’altra storia. Comunque la storia della crescita e declino del nitro cileno, in un paese allora arretrato, ha ancora qualcosa da insegnare a chi vorrà produrre in futuro e a chi si occupa di innovazioni e di sviluppo economico.

giovedì, novembre 27, 2008

Il ritorno del bagno di vapore


Uno dei modi di risparmiare acqua è di fare la doccia in due.
Non è sempre però la soluzione più pratica.


Fra le varie cose che mi sono capitate in vita, una è stata di essere invitato a una cerimonia indiana del bagno di vapore purificatore. Questo è avvenuto in Italia, ma il cerimoniere era un vero indiano Lakota (detti anche Sioux) e vi posso raccontare che non era una versione per turisti.

Una quindicina di persone si sono messi a sedere seminudi dentro una capanna al buio. L'assistente al cerimoniere stava all'esterno e da li' faceva rotolare all'interno dei pietroni scaldati al rosso vivo su un fuoco di legna. Stabilito che nessuno dei presenti era stato mortalmente ustionato dai pietroni (probabilmente per diretto intervento del Grande Spirito), il cerimoniere lanciava un secchio di acqua sui pietroni stessi. L'effetto che ne risultava era piuttosto simile a quello di cui ho esperienza quando mi capita di visitare una fonderia; ovvero di guardare dentro la bocca dell'altoforno.

La vampata di calore che si genera nella capanna in queste condizioni ha un effatto micidiale e uno si ritrova in trenta secondi a sudare più di quanto non abbia fatto nei precedenti 10 anni di vita. Il tutto mentre il cerimoniere prega il Grande Spirito con appropriate canzoni in lingua Lakota. Va detto che le regole consentono a chi non resiste di scusarsi e scappare pronunciando le parole rituali "Mitayuke Oyasin!" (siamo tutti fratelli). Apparentemente, il Grande Spirito perdona questo momento di sgomento. In quella occasione, non tutti ce l'hanno fatta ma vi posso dire che, da vero guerriero, ho resistito a tutte quattro le canoniche vampate di calore.

La capanna sudatoria Lakota è una versione un po' più drastica di cose più sopportabili, come la sauna finlandese o il bagno turco. Mi è capitato di provare la sauna finlandese in Finlandia: è bello caldo, si, ma non mortale come la cerimonia Lakota. Ho anche sperimentato molte volte il bagno termale giapponese, l'onsen; che è il meno mortale di tutti; anche se l'acqua è a temperature tali che sembra a un passo da poterci buttar dentro gli spaghetti.

Non so dire quali siano le ragioni delle differenze di stile di queste varie e antiche tradizioni. Certi bagni sono molto umidi e relativamente meno caldi, come mi pare di capire che sia l'hammam medio-orientale. Altri sono micidialmente caldi e poco umidi come la sauna e il bagno Lakota. Forse ci sono delle ragioni geografiche per queste differenze; per esempio in Giappone sono comuni le sorgenti calde naturali e, probabilmente, i giapponesi hanno trasferito in ambienti artificali l'antica abitudine di rilassarsi a mollo in queste pozze vulcaniche.

Una cosa che però tutti questi bagni hanno è la caratteristica di essere a basso costo; "sostenibili" diremmo oggi. Principalmente, il costo viene abbassato dal fatto di essere pubblici. Se uno dovesse tagliare la legna e scaldare l'acqua soltanto per se; sarebbe una fatica e un costo da non credersi. Una volta, in effetti, la doccia o il bagno caldo in casa propria erano impossibili o talmente costose da essere concepibili solo per i super-ricchi.

In secondo luogo, i vari bagni di vapore sono pensati in modo da risparmiare sia acqua come combustibile. In questo senso, il vapore batte ampiamente l'acqua liquida. La cerimonia Lakota è veramente il massimo del risparmio. Un po' di legna, una decina di litri d'acqua, e 15 persone escono dalla tenda fuori belle pulite e rilassate. L'altro estremo è il bagno giapponese, dove bisogna comunque scaldare un centinaio di litri d'acqua a persona. Però, va detto che il Giappone è un paese ricco d'acqua e anche di legna.

Vista la carenza di energia e di acqua che sta comincianto a delinearsi, sembrerebbe appropriato cominciare a pensare a soluzioni meno costose per le nostre personali abluzioni. Con questa idea in testa, ho fatto qualche misura. Vi posso dire che una doccia fatta a casa mia con due passate di shampoo consuma circa 25 litri di acqua, più o meno. Mi sembra di essere abbastanza parco, dato che su internet si dice comunemente che una doccia consuma almeno 50 litri di acqua. E' comunque sempre meno di una vasca da bagno che, tipicamente, contiene 150-200 litri di acqua. In effetti, fra le varie regole per risparmiare energia, una delle più comuni è "fate la doccia e non il bagno". Si suggerisce anche a volte di fare la doccia in due, il che ha qualche risvolto erotico; solo però nel caso della giusta combinazione di sessi e gusti.

Ora, ho anche visto che la temperatura ideale della mia doccia è di circa 40 gradi. Questo mi permette di fare un po' di conti. Sappiamo che per scaldare un litro di acqua di un grado ci vuole una kcal. Quindi, se la temperatura esterna è di 18 gradi, diciamo che mi ci vogliono 25*22 =550 kcal, il che corrisponde a circa 0.7 kWh. Ma questo assume un'efficienza del 100% e che si scaldi soltanto l'acqua che mi serve. Ovviamente, nella pratica le cose sono molto diverse. I vecchi scaldabagno a bidone erano estremamente inefficienti, dato che erano pensati per tener caldo un ammontare di una cinquantina di litri d'acqua tutto il tempo, anche se non serviva. Quelli più moderni, che scaldano i tubi via via che l'acqua passa, dovrebbero essere molto migliori, ma anche con questi credo credo che l'efficienza del riscaldamento di uno scaldabagno a gas sia misera e questo valore deve essere perlomeno moltiplicato per tre. Diciamo che una doccia mi costa 2 kWh.

2 kWh non sono molti, ai costi attuali dell'energia elettrica sono dell'ordine del costo di un caffé al bar. Se l'acqua si scalda con il gas, è ancora meno. In realtà, li si possono azzerare con dei pannelli solari passivi che non hanno difficoltà a scaldare l'acqua ai 40 gradi necessari, anche per quantità ben superiori a quelli che ci vogliono per una doccia.

Tuttavia, al momento attuale, nelle nostre zone il problema non è tanto l'energia, ma l'acqua. Con l'inaridimento generalizzato del Mediterraneo dovuto al cambiamento climatico, in un futuro non remoto potremmo trovarci in difficoltà per avere abbastanza acqua anche per una semplice doccia. Se il comune ti sospende le forniture; anche se uno ha i pannelli solari, la doccia se la scorda.

Ora, potremmo fare uno step in più e pensare di risparmiare ritornando agli antichi metodi di bagno di vapore? In effetti, la quantità di acqua necessaria è enormemente minore. Già vi ho raccontato che con il metodo Lakota, bastano pochi secchi d'acqua per 15 persone. Si possono fare saune molto più tecnologiche e su internet troverete molte soluzioni basate sul "generatore di vapore" elettrico. Questo è un arnese che ha una potenza data, al minimo, intorno ai 2 kW. Un bagno di vapore può durare un quarto d'ora o giù di li, ma il generatore starà in funzione un po' di più, diciamo una mezz'ora. Il risultato è 1 kWh di costo, non molto diverso da quello della doccia. Il vantaggio del bagno di vapore è che l'acqua necessaria è intorno ai due-tre litri; molto meno dei 20-30 che sono il minimo per una doccia.

Vedremo allora il ritorno del bagno di vapore? Forse si, ma ci sono alcuni problemi. Uno è che i sistemi super-belli e super-tecnologici in vendita sono molto cari. Una capanna sudatoria Sioux costa molto meno, ma non è che sia tanto pratica e mancano gli stregoni per le adeguate incantazioni e preghiere al grande spirito. In più, i vicini di casa troverebbero strano vedere la cerimonia svolgersi nel cortile.

Quello che vi posso dire è che c'è molto interesse sull'argomento e che nei paesi dove ci sono problemi d'acqua si cerca di fare degli "hammam sostenibili" basati sull'energia solare. Vi posso anche dire che sono stato invitato a provare uno di questi hammam solari, insieme a Toufic El Asmar e altri membri del team del trattore elettrico RAMSES. La cosa si dovrebbe fare per Marzo dell'anno prossimo a Attaouia, dalle parti di Marrakesh in Marocco. Vi racconterò come è andata.


mercoledì, novembre 26, 2008

Lo tsunami del petrolio è finito, e allora ... ? &%$£$%##!!!


In questi ultime settimane, con il crollo dei prezzi petroliferi (tra l'altro, brillantemente previsti dal prof. Ugo Bardi) mi sono trovato a rispondere a domande di amici e conoscenti, alcune sincere e altre più di "sfida", rivolte a cercare una spiegazione al fenomeno.

Per la verità, mi ero un pò esposto ipotizzando un trend esponenziale fino a fine 2008 - inizio 2009, momento in cui il greggio sarebbe arrivato a 200$ e il gasolio a 2 €, dopodichè sarebbe partita la "demand destruction" e il calo del prezzo. Non disponendo di un "mio" modello matematico, ero andato un po' a intuito, e, si sa, le sensazioni non sono previsioni e tantomeno sono fatti.

In ogni caso non sono così ansioso (e nemmeno capace) di centrare la settimana di picco del prezzo [visto che tra l'altro non ci riesco neanche in borsa :-) ] , un po' come un peakoiler non è preoccupato se il picco di estrazione è nel 2003, 2005 o 2008. Quello che può (e deve, se vogliamo prendere il toro per le corna) far meditare è il picco del petrolio in sè e le sue conseguenze.

La cosa che trovo un po' deprimente (da cui il "bonario" &%$£$%##!!!) è l'atteggiamento prevalente dei miei interlocutori:
"Il prezzo è sceso e di molto, dunque che problemi ci sono? Ti sei preoccupato inutilmente ... forse hai bisogno di riposo ..."

Grr e doppio grr. Per me c'è molto di cui elucubrare, anzi di più. La situazione energetica, finanziaria, occupazionale e sociale è molto instabile. Nel mondo occidentale si stanno perdendo milioni di posti di lavoro nelle industrie e nei servizi: per me questo è termodinamicamente ovvio, ma la cosa grave è che gli Stati non sembrano in grado di offrire credibili alternative, soprattutto a causa dell'inerzia dei sistemi, ma anche per scarsa volontà e lungimiranza.

La risposta, almeno idealmente, sarebbe semplice: potenziare l'industria/artigianato dei materiali e impianti per infrastrutture Rinnovabili, l'industria/artigianato del recupero materiali a fine ciclo, l'agricoltura a filiera corta. I lavoratori dovrebbero essere accompagnati a convertirsi gradualmente verso attività che servono, non drogati per continuare a fare qualcosa che servirà sempre meno.

Uno tsunami oceanico non fa male a un abile surfista che lo sa cavalcare. Ma quando si infrange contro strutture immobilistiche (abitazioni, strade ...), mina le loro fragili basi non solo nella fase di impatto, ma anche (e soprattutto) in quella di rientro. Terminata l'ondata, la vita può continuare, ma le condizioni operative sono quelle che sono; e anche quelle psicologiche non possono essere al top, quando si teme che l'oceano stia incamerando energia per rilanciare una nuova, terribile onda.

La grande discesa

Attenzione: questo è un post molto catastrofista.



A ogni viaggio in aereo, prima di decollare, la hostess si impegna in una piccola pantomima per spiegarti cosa fare in caso di emergenza. Dove sono le uscite di emergenza, cosa fare quando l'aereo si depressurizza, come indossare e gonfiare il salvagente. Quando ti dice che "un sentiero luminoso" ti guiderà verso la salvezza, la cosa comincia a essere preoccupante. Ti viene in mente il "tunnel di luce" che hanno visto quelli che sono stati a un passo dalla morte. La hostess è proprio una gran catastrofista.

Eppure, nonostante la hostess menagrama, vi posso dire che nella mia esperienza di tanti anni di centinaia e centinaia di voli, non mi mai capitato nemmeno del più minimo inconveniente tecnico. Gli aerei sono delle macchine meravigliose; non si guastano mai, o perlomeno così sembra. Però, alle volte, mentre stai in aereo a mangiare il tuo panino di gomma e a bere il tuo caffé al petrolio, non puoi fare a meno di pensare che sotto il tuo sedile c'è il vuoto; chilometri di sola aria e nuvole. Sei seduto, letteralmente, sul niente. Ti viene da pensare anche che, prima o poi, l'aereo dovrà toccare terra per forza e non è detto che lo faccia delicatamente sulla pista dell'aereoporto di destinazione. Forse è con questo pensiero in mente che i passeggeri applaudono quando l'aereo atterra (questo mi fa sempre venire in mente la battuta di non so più chi: "e se l'aereo casca, che fanno, fischiano?)

Qualche volta, purtroppo, qualcosa si rompe per davvero e l'aereo tocca terra secondo una delle tantissime possibili traiettorie che nessuno vorrebbe che seguisse. Mi sono spesso domandato come si sono dovuti sentire i passeggeri dei voli che effettivamente si sono schiantati, quando hanno visto i motori in fiamme, oppure hanno visto l'aereo cominciare a inclinarsi, lentamente e inesorabilmente, verso il basso. Cosa avranno pensato in quel momento? Paura? Rabbia? Incredulità? Mi immagino che uno si domandi "ma perché deve capitare a me, non è giusto!"

Ma, se ti capita una cosa del genere, non serve prenderserla con la hostess per il suo catastrofismo e nemmeno serve che i passeggeri formino un comitato e occupino la carlinga innalzando cartelli di protesta. Puoi solo cercare di ricordarti le istruzioni meglio che puoi e prepararti allo schianto.

Che un aereo in volo debba toccare terra in qualche modo prima è ovvio: il carburante che può imbarcare è in quantità finita. Quella catastrofista della hostess ci ricorda con la sua pantomima la realtà di questo principio fisico. E' per questo che si spendono soldi e sforzi per la sicurezza, per addestrare i piloti, per far si che gli aerei siano sicuri il più possibile. Viene da pensare, però, che se non cadesse un aereo ogni tanto, queste cose la gente finirebbe per dimenticarsele.

Certamente, di queste cose ce ne siamo dimenticati completamente a proposito del sistema finanziario e del "sistema mondo" in generale. Anche il sistema mondo, come un aereo, ha una quantità finita di carburante a disposizione e deve in qualche modo toccare terra, prima o poi. Le conseguenze di questo ritorno a terra potrebbero essere estremamente spiacevoli per i passeggeri del pianeta, ma non ci abbiamo pensato molto sopra. Abiamo costruito tutto come se fosse un aereo che può volare all'infinito; dicendolo esplicitamente e, forse, credendoci anche.

Adesso, con il crollo del sistema finanziario, ci stiamo accorgendo che stavamo seduti sospesi in aria, con chilometri di nulla sotto di noi. Ci stiamo accorgendo della nostra situazione che somiglia sempre di più a un aereo in emergenza; senza pilota e senza nemmeno la hostess che ti racconti del sentiero luminoso. Dove andremo ad atterrare? Speriamo bene e se avete una cintura, allacciatevela.


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Nota: negli anni '50 si progettavano aerei atomici che sarebbero potuti stare in aria per mesi o addirittura anni. C'era però qualche piccolo problema tecnico e di sicurezza con il fatto di portare un reattore atomico in quota e (per fortuna) non se ne è fatto di niente. Oggi, potremmo pensare a un aereo fotovoltaico che potrebbe effettivamente volare mesi, anni, o anche all'infinito. Però volerebbe molto lentamente e potrebbe portare poco carico. Mi è anche venuta in mente una soluzione tecnologica per far volare gli aerei attuali senza carburante. Eccola qua: portate un grande laser in orbita e alimentatelo con celle fotovoltaiche. Puntate il laser sulle turbine degli aerei in volo e scaldate l'aria in ingresso. Detto fatto, l'aereo vola all'infinito, o perlomeno finché è illuminato dal laser. Non so se l'ha già inventato qualcuno; probabilmente si. Perlomeno so che c'è già una proposta di un'astronave alimentata da un laser a distanza. Forse la cosa migliore di tutte è un dirigibile fotovoltaico. Vai piano e ti godi il panorama.

martedì, novembre 25, 2008

Previsioni sul Dow-Jones


created by Antonio Zecca

Professore associato
Università di Trento - Facoltà di Scienze
- 13 novembre 2008 -


Il grafico dell’ indice Dow Jones negli ultimi 5 anni - inviatoci il 12 ottobre da Ugo Bardi – mostra grandi irregolarità cha nascondono invece alcune regolarità inquietanti. Ci ho lavorato su qualche giorno e l’ analisi mi ha permesso di fare una previsione per i prossimi tre mesi. So bene quanto è difficile fare previsioni con metodi scientifici e evitando di elencare impressioni, opinioni o speranze. Tuttavia in ogni grafico c’ è un contenuto di informazione che talvolta è evidente, talvolta è più nascosto e difficilissimo da estrarre. A me ogni tanto riesce – anche perché è il mio lavoro da molti anni. Ho previsto certi andamenti del prezzo del petrolio con anni di anticipo e con risultati 20 volte migliori di quelli di IEA / EIA e complici. Questo del D-J era un caso molto difficile.
Oggi mi è arrivato (U.B.) il grafico aggiornato che conferma la mia previsione per i 30 giorni passati. Questa conferma è significativa dal punto di vista della previsione perché ci dice che i meccanismi che hanno portato il D-J al grafico di figura 1 e 2 non sono cambiati nell’ ultimo mese.

Alcuni dettagli della tecnica da me usata sono allegati nelle pagine seguenti. E’ importante dire subito che ho fatto una analisi “model independent”: questo significa che non ho implicato nessuna teoria economica. Il fatto può essere letto come una limitazione della tecnica ma è anche una forza del risultato. Aggiungo anche che la trasformata di Fourier non vede niente nel grafico.

Vi allego il risultato di questa analisi nella forma di un grafico che riporta in rosso la previsione fin verso febbraio 2009.

CAUTELA! I VALORI RIPORTATI NELLA PREVISIONE SONO INDICATIVI (sono affetti da una barra di errore che non ho segnato per chiarezza della figura). Vedete una risalita del D-J con un massimo intorno alla metà di dicembre con un valore sotto a 10.000. Il massimo si potrebbe presentare nella realtà tra il 5 e il 25 dicembre con un valore compreso tra 9500 e 10.200. Poi (spero che non sia vero) ci sarebbe un nuovo crollo con un minimo verso l’ inizio di gennaio (nel periodo 25 dic 08 – 25 gennaio 09; data più probabile 10 gennaio) con un valore intorno a 7000 (qualcosa tra 6200 e 7500). Nuova ripresa dopo di allora, ma i dati non permettono di andare oltre nella previsione.
CAUTELA! La previsione è in un certo senso “Business As Usual”: non tiene conto di fatti nuovi che potrebbero accadere. Per esempio un “effetto Obama” sull’ economia mondiale (purtroppo ci credo poco). La previsione utilizza solo l’ informazione contenuta nel grafico fino al 10 novembre – non può utilizzare informazioni su cosa deve ancora accadere. (Quindi spero che accada qualcosa di diverso da quello che è successo negli ultimi 5 anni).
CAUTELA! Con tutte le limitazioni che ho elencato, devo dare un livello di affidabilità della previsione: valuto che abbia un 50% di probabilità di avverarsi. E’ una probabilità molto alta per questo tipo di previsioni.

Spero di aver sbagliato tutto. Antonio Zecca


FIG. 1 Indice Dow-Jones dal gennaio 2007 al giugno 2009.
Dati storici fino al 18 nov 08.



NOTE TECNICHE


Parto dal grafico dell’ indice Dow_Jones per gli ultimi 5 anni. L’ analisi con trasformata di Fourier (FT) non vede niente. Non è sorprendente perché la curva non contiene segnali periodici (La FT rivela solo segnali periodici); è invece riconoscibile un “chirp” – segnale con frequenza crescente. Non ho neppure provato a fare una analisi con wavelets – metodo poco più potente della FT, che aiuta nel caso di segnali pseudo-periodici. Ho fatto invece una analisi in Chirplet transform (vedi oltre).





FIG. 2

Osservazioni sulla fig 2.

1. Si possono identificare alcuni eventi caratteristici segnati con cerchietti rossi: la curva subisce crolli veloci – il più evidente quello di ott. 08
2. I crolli vengono talvolta interrotti da “ripensamenti” temporanei: vedi 1° gennaio 08 e altri meno evidenti, ma identificabili
3. I crolli sono a distanze decrescenti e diventano più profondi passando dal 2004 al nov 2009
4. dopo ogni crollo, c’è una ripresa che è più lenta.
5. prima di ogni crollo la curva raggiunge un massimo
6. I minimi e i massimi seguono un andamento più lento che descrive un picco (curva verde per i massimi)

Prima elaborazione
Se sottraggo alla curva originale la curva verde ottengo un andamento che è qualitativamente mostrato in figura 3. Il chirp (vedi per es: http://en.wikipedia.org/wiki/Chirp) è più riconoscibile in questa presentazione.




FIG. 3


Questa curva è quella tipica dell’ “uomo che annega”: anche se è macabro, pensate a uno buttato in mare dalla mafia con un peso ai piedi.
al primo evento a sinistra l’ uomo scende sotto la superficie
poi fa sforzi e risale e prende aria: la risalita è più lenta della discesa;
al secondo evento l’ uomo stanco affonda di nuovo velocemente;
poi risale;
ma ogni volta ha meno forze e scende più profondamente.

Tornando al D-J, la curva di fig. 2 ci dice che esiste un “forzaggio” che spinge l’ indice verso l’ alto. Questa non è una ipotesi, ma una constatazione. Quando il forzaggio non ce la fa più a sostenere una crescita al di là dei limiti (economici) del sistema, la curva ha un crollo. Non è ora il nostro obiettivo di dare spiegazioni economiche a questa similitudine; tuttavia è banale ipotizzare che il forzaggio sia qualcosa appartenente alla categoria “speculazione”.


Seconda elaborazione
Faccio un grafico sul cui asse X metto il numero d’ ordine degli eventi di fig. 2 e sull’ asse Y la distanza da un evento al successivo. Faccio un fit sui punti e trovo una curva ragionevolmente regolare. La curva conferma l’ esistenza di un chirp. L’ estrapolazione dopo il 10 nov 08 mi permette di avere una valutazione della data a cui si presenterà l’ evento prossimo venturo.

Terza elaborazione
Un grafico analogo per i massimi della curva (localizzati con uno smoothing) permette di valutare la data a cui si presenterà il prossimo massimo.

Quarta elaborazione
Estrapolo la curva verde di fig 2 fino a marzo 09. Tenedo conto della “banda di errore” della curva e dell’ ulteriore errore sull’ estrapolazione, ottengo un valore per l’ indice D-J al prossimo massimo (quello dopo il 10 nov 08).

Quinta elaborazione
Disegno la curva che passa meglio per i minimi (crolli) e faccio la stessa estrapolazione della 4° elaborazione. Ottengo un valore per il prossimo minimo dell’ indice.

Sesta elaborazione
Valuto le barre di errore sulla posizione temporale del prossimo massimo della curva, sul valore dell’ indice in quella data, del prossimo crollo e del valore dell’ indice in quella data.

Settima elaborazione
Faccio una analisi con una Chirplet Transform (vedi http://en.wikipedia.org/wiki/Chirplet_transform)
Questa conferma (entro le barre di errore) i risultati dell’ elaborazione no. 2.
La chirplet transform mi fornisce gli ultimi giorni di gennaio 2009 come posizione del prossimo crollo. L’ elaborazione no. 2 indica i primi giorni di gennaio. I due risultati sono compatibili.


Risultati
Mettendo insieme i vari risultati e le barre di errore ottengo:

posizione del prossimo massimo: fine novembre 08 (± 15 giorni)
valore del dow-jones al prossimo max: 9800 (tra 9500 e 10200)

posizione del prossimo crollo: inizio gennaio 2009 ((+30/-15 giorni)
valore del dow-jones al prossimo min: 6800 (tra 6200 e 7500)

Questi risultati sono mostrati in maniera grafica in figura 1.

Questi risultati sono piuttosto “robusti” rispetto a variazioni simulate dei risultati delle elaborazioni precedenti.


Quanto ci possiamo credere - 1
In tutta l’ elaborazione non esistono ipotesi economiche: è una analisi “model independent”. Potete far finta che la curva di fig 2 sia la produzione giornaliera di scatole di pelati.
Tuttavia per fare una estrapolazione nel futuro è necessaria una ipotesi che non ho dichiarato finora: è l’ ipotesi che i macro – meccanismi che hanno costruito quella curva siano ancora gli stessi nei prossimi tre mesi. Per macro – meccanismi intendo la struttura grossa del sistema economico capitalistico, i modi e le regole di funzionamento del sistema finanziario, i modi e le regole di funzionamento delle borse internazionali e in particolare della borsa di New York. L’ ipotesi è completamente plausibile. Come detto, il fatto che la previsione sia stata confermata negli ultimi 30 giorni dice che modi e regole non sono cambiati in questo mese; non si vede come questi macro - meccanismi potrebbero cambiare in maniera sostanziale nei prossimi due o tre mesi.

Quanto ci possiamo credere - 2
Provate a tracciare in fig 2 una curva che parte da oggi e che comincia subito a risalire (D-J in crescita costante da oggi): non la vendete nemmeno a Topolino. Lo stesso succede se tentate di tracciare una retta orizzontale che parte da oggi (D-J stazionario). Provate ora a immaginare il futuro della curva in figura 3. Vi viene in discesa, vero?
Sul fatto che ci sarà un nuovo crollo (piccolo o grande) possiamo essere sicuri al 90% (purtroppo).
L’ indeterminazione è quella già discussa sulla posizione del nuovo crollo e sulla profondità.

La curva rossa in fig. 1 (previsione da 15 nov al 31 gennaio)
È indicativa: disegna solo l’ andamento e non può prevedere le fluttuazioni ad alta frequenza che saranno sovrapposte a quell’ andamento.

lunedì, novembre 24, 2008

Riso, mais e soia conditi con petrolio



Di solito si dice che un'immagine vale più di mille parole; bene, l'immagine qui sopra dovrebbe farci riflettere. Ci mostra ancora una volta quanto tutta la nostra agricoltura industriale sia dipendente dal petrolio.
Credo che abbiamo seguito tutti con una certa apprensione l'impennata dei prezzi dei prodotti agricoli nei primi mesi del 2008, dando probabilmente la colpa ai biofuels e all'allevamento intensivo.
Guardando il grafico qui sopra, viene da ripetere: è per il petrolio, stupidi! L'indice dei prezzi agricoli di alcuni tra i principali prodotti agricoli ha seguito con una sincronizzazione impressionante il prezzo del greggio al NYMEX. In termini quantitativi, la correlazione vale 0,89 per il riso, 0,92 per il mais, 0,83 per la palma da olio, e ben 0,95 per la soia. Anche il grano (non mostrato in figura) ha avuto un picco di prezzo, ma anticipato dic irca 4 mesi prispetto al petrolio.
La domanda di biofuels e mangimi per animali fa naturalmente la sua parte, ma è innegabile che il legame principale sia proprio con il petrolio, vera droga energetica del mondo.
Riso, mais, grano, palma da olio e soia rappresentano oltre il 50% della produzione agricola mondiale (dati FAOSTAT 2007) ed hanno registrato aumenti compresi tra il 50% e il 200% in soli dodici mesi. Il riso, l'alimento maggiormente destinato al consumo umano, ha subito i maggiori aumenti, superando all'inizio dell'estate il triplo del prezzo del 2007.
Si tratta di un sistema estremamente fragile, troppo dipendente dall'unica variabile petrolio. Forse dovremmo dedicarci ancora più attenzione e capire che tra le nuove tecnologie energetiche dovremmo arruolare in prima fila l'agricoltura biologica, che è quasi fossil-free (come sostiene Toufic el Asmar in questo post).
Se le cose dovessero davvero mettersi male, potremmo anche andare in giro in bicicletta, lavorare solo con la luce del sole e metterci qualche maglione in più, ma non possiamo smettere di mangiare...

domenica, novembre 23, 2008

Cthulhu contro il fotovoltaico

Nota: questo post è stato modificato rispetto alla versione pubblicata inizialmente. tenendo conto dei commenti ricevuti. L'opinione generale sembra essere che l'interpretazione più ottimistica delle nuove norme sia quella corretta; ovvero che nn ci saranno cambiamenti nell'erogazione degli incentivi. Speriamo che sia così e ringrazio tutti i commentatori che hanno alimentato la discussione.



Cthulhu, creatura creata dallo scrittore dell'orrore H.P. Lovecraft, è la divinità principale di quelle che formano il pantheon dei "Grandi Antichi". Cthulhu è descritto come una creatura malvagia e possente, anche se non se ne riporta una particolare intelligenza.


Alle volte, mi sembra che quelli che fanno le leggi italiane siano sotto l'influenza dei malvagi "Grandi Antichi" di Lovecraft. E' possibile che Cthulhu in persona, o uno dei suoi, abbia scritto alcuni dei provvedimenti che appaiono sulla "Gazzetta Ufficiale?" Viste le cose che succedono, non la darei come una spiegazione del tutto da scartare.

Così, l'altra settimana ho ricevuto una lettera dall'autorità per l'energia firmata da tal Luigi Borrelli di ENEL (che potrebbe essere uno pseudonimo per Baoht Z'uqqa-Mogg, una delle creature Cthulhiane). Questo Bahot (alias Borrelli) mi informa di una nuova legge che impone che il "conto energia" per gli impianti fotovoltaici sia gestito a partire dall'anno prossimo dal G.S.E. Pertanto "Tutti i contratti di scambio che risulteranno attivi al 31 Dicembre 2008 verranno cessati alla stessa data (anche nel caso in cui l'anno contrattuale abbia scadenza successiva)"

Dopo questo azzardato transitivo ("verranno cessati" che suona vagamente scatologico) mi informano che se voglio mantenere il conto energia, lei (lettera minuscola, a me riferito) dovrà TEMPESTIVAMENTE (maiuscolo mio) formulare una nuova richiesta al G.S.E: e sottoscrivere con questo una nuova convenzione. Seguono poi varie imposizioni, ingiunzioni et minacce con pene varie et aumentabili a discrezione di S.E.

La lettera non contiene nessuna spiegazione del perché si deve fare un nuovo contratto, nessuna documentazione su come e dove farlo e nemmeno se il nuovo contratto sarà diverso da quello vecchio e se si in quali clausole. Solo più tardi, mi è arrivata la spiegazione da Leonardo Libero, il direttore di "Energia dal Sole" che mi ha mandato copia del decreto da cui, probabilmente, origina la lettera Cthuliana in questione.

Trattasi della deliberazione del 3 Giugno 2008 dell'autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) ARG/elt 74/08. Si tratta di un documento di 9 pagine evidentemente tradotto direttamente dal linguaggio dei Grandi Antichi, dato che risulta quasi completamente incomprensibile agli esseri umani. Il documento richiede lunga elucubrazione e studio e l'interpretazione non è univoca: i vari esperti che ci hanno ragionato sopra sono addivenuti a conclusioni diverse.

Il documento si potrebbe interpretare nel senso che l'energia che produci ti viene pagata con l'incentivo soltanto se la consumi tutta. Se ne consumi di meno, ti viene decurtato dal conto energia il pagamento per la frazione non consumata. Questo sarebbe un grave peggioramento perché penalizza ingiustamente chi aveva pensato di sfruttare al massimo lo spazio disponibile. Inolltre, pur di non rimetterci, al proprietario di un impianto FV potrebbe convenire tenere i faretti del salotto accesi a mezzogiorno e una stufa elettrica accesa in pieno agosto. Geniale, no?

L'altra possibile interpretazione è che l'Autorità abbia semplicemente introdotto un cambiamento formale in cui lo scambio viene calcolato non più semplicemente in termini fisici, ovvero di kWh prodotti, ma in termini di valore monetario di quei kWh. In questo caso, la cosa potrebbe (forse) essere considerata anche un vantaggio per gli utenti.

Sembra che la seconda interpretazione sia quella giusta, per fortuna, ma quello che comunque fa rabbia è la maledizione di cartaccia che ti arriva addosso. E' possibile che ti arrivi una lettera dove ti dicono che cambia tutto e nessuno ti spiega nulla? E' possibile un documento dinove pagine di elucubrazioni dalle quali non si capisce niente: Se è la prima interpretazione quella giusta, ci voleva tanto a dire: "da oggi si incentiva solo quello che si consuma"? Se è la seconda, bastava dire "da oggi lo scambio è conteggiato in prezzo del kWh." Non c'è un minimo rispetto per i cittadini che avrebbero anche altre cose da fare oltre che passare ore a cercare di decifrare un documento (volutamente) incomprensibile? Non abbiamo forse un ministero della semplificazione che dovrebbe evitare proprio queste cose? Credo che la burocrazia napoletana del tempo di Francesco II di Borbone, non potesse essere peggiore della nostra. In ogni caso, se l'intenzione dell'Autorità era di dare l'impressione che per loro questi contratti sono carta da stracciare alla prima occasione, ci sono riusciti benissimo. Questo non può che scoraggiare chi si vorrebbe mettere nella difficile e costosa impresa di spendere i propri soldi per metter su un impianto fotovoltaico. Il che era, probabilmente, lo scopo di chi ha inventato questo decreto.

Insomma, la mia impressione della presenza di esseri Grandi Antichi nelle cantine dell'Autorità dell'Energia sia ampiamente confermata da questo decreto. Chi è l'autore? Baoht Z'uqqa-Mogg? Aphoom-Zhah? Cxaxukluth? (*). Oppure il grande Cthulhu stesso? Mah? Sembra veramente di essere in un racconto dell'orrore di Lovecraft.



*E' stata suggerita anche la presenza di Nyarlatothep che, però tecnicamente, non è un "grande antico".

sabato, novembre 22, 2008

Il picco del progressismo

Appena sveglio, accendo la radio, sintonizzata su Rai 3, per ascoltare la trasmissione “Prima Pagina”, una rassegna stampa letta settimanalmente da un giornalista diverso, seguita da una serie di interventi e domande degli ascoltatori. Il calore delle voci propagate dalle onde radio, diffondendosi in tutta la casa, contribuisce a sciogliere piacevolmente i residui limacciosi del sonno notturno e, insieme a una tazza fumante di caffèlatte, mi prepara ad affrontare meglio la giornata di lavoro che mi attende. Il suono della radio ha poi il potere di insinuarsi e raggiungere quel luogo appartato della mia anima dove sonnecchia il piccolo Peter Pan, ancora affezionato a un mondo di quasi cinquant’anni fa, meno tecnologico, ma abitato da un’umanità non standardizzata e banale come quella schiava dell’immagine televisiva dei giorni nostri. Ma abbandoniamo questa veloce divagazione personale, per tornare a Prima Pagina di qualche giorno fa. Il giornalista – economista Mario Deaglio termina la lettura dei giornali; “dato il tempo a disposizione non potremo dare corso a tutte le telefonate in arrivo, ce ne scusiamo in anticipo” precisa una suadente voce femminile. Un signore interviene, si presenta, fa i complimenti alla trasmissione e dice: “Caro Dottor Deaglio, non pensa che l’automobile sia ormai una vera e propria catastrofe, per gli immani sacrifici di vite umane e per i danni sanitari e ambientali che la società è costretta a subire? “Caro signore”, risponde educatamente il giornalista, “non condivido le sue posizioni estremistiche e catastrofiste, occorre essere sempre equilibrati. Quello dell’Automobile è un settore Fondamentale dell’Economia che ha consentito alla società di evolvere e migliorare. Certo, c’è qualche fastidioso effetto collaterale, ma la Tecnologia troverà certamente la soluzione. Le auto elettriche o ibride puliranno rapidamente l’aria delle nostre città e dei nostri polmoni.”
Per un attimo sono stato tentato di telefonare per solidarizzare con il povero ascoltatore, snocciolando le impressionanti cifre di morti, feriti, malati, prodotti annualmente in Italia e nel Mondo da questo concentrato di Eros – Thanatos ad uso e consumo delle masse contemporanee, e per confutare l’ottimismo tecnologico del giornalista, ma proprio in quel momento ho capito che non sarebbe servito a nulla, perché il vero nemico da combattere non è l’automobile, ma l’idea stessa di Progresso che, con l’illuminismo, si è impossessata faustianamente dell’animo umano.
La fede in un progresso illimitato, un antropocentrismo molto forte per cui l'uomo occupa un posto al di sopra della natura, che viene considerata come un semplice beneficio strumentale, il potere di dominare la natura grazie al metodo scientifico, sono ormai diventati dogmi laici a cui paradossalmente è inutile contrapporre illuministicamente la razionalità del concetto di limite. Si viene inevitabilmente bruciati sul rogo con l’infamante accusa di “nemici del Progresso”.
In questi giorni, folle planetarie adoranti pendono dalle labbra progressiste del nuovo Presidente del Paese più progressista del mondo, che annunciano come primo provvedimento gli aiuti all’agonizzante industria automobilistica, “spina dorsale dell’economia americana”.
“Sì” - ho pensato mentre aprivo la porta per uscire di casa – “è proprio tutto inutile”. Bisognerà aspettare che il Sogno si infranga contro sé stesso. Però una piccola soddisfazione dalle pagine virtuali di questo blog eretico me la voglio prendere: “Deaglio, Lei è un pericoloso progressista!”

venerdì, novembre 21, 2008

Che succede all'elefante?


Nella vecchia storia indiana, i ciechi non riuscivano a capire che avevano di fronte un elefante.


Quello che colpisce della situazione attuale è che nessuno se l'era minimamente immaginata. Andate indietro soltanto a Luglio di quest'anno, Se qualcuno avesse parlato di crollo della borsa, gli avrebbero dato di pazzo furioso e tutti gli analisti (cosiddetti) prevedevano il petrolio a 200 dollari al barile (*).

Eppure, la questione dell'andamento delle borse è importante o almeno così sembra. Accendete la televisione la mattina e sentirete che una delle prime cose che vi raccontano è come sono andate le borse - anche prima dei risultati di calcio e dell'oroscopo. Sulla TV satellitaria, ci sono canali e canali dove la gente non parla altro che di quello. Ci sono istituti, dipartimenti universitari, fondazioni, e tante altre cose dedicate soltanto a questo argomento.

Vista la capacità predittiva che hanno dimostrato, mi sembra chiaro che nessuno di questa banda ci capisce gran che, ma in compenso continuano a ragionarci sopra, a fare previsioni e a raccontare che entro un anno o due tutto tornerà a posto. Sembra un po' la vecchia storia indiana dei ciechi e dell'elefante. Ci giravano intorno e lo toccavano da tutte le parti, ipotizzando che la coda fosse un serpente, le zampe dei tronchi d'albero, le zanne dei rami. Ma nessuno riusciva a capire che cos'era.

Eppure, l'elefante è proprio davanti a noi e se ci togliamo gli occhiali che ci rendono ciechi. Il crollo del sistema economico era stato previsto già più di trent'anni anni fa nella prima edizione del libro che in Italia conosciamo come "I Limiti dello Sviluppo" (in realtà, "I Limiti alla Crescita"). Il sistema non crolla per via degli speculatori e non crolla per via dei catastrofisti. Crolla per una combinazione mortale di cause, delle quali la principale è il costo crescente della produzione delle materie prime.

Questa faccenda non è poi tanto complicata: dovrebbe essere chiara anche senza bisogno di aver studiato dinamica dei sistemi. Prendete il petrolio per esempio, la principale materia prima del sistema industriale. Come ti spiegano nel primo anno del corso di economia, il prezzo di una merce è determinato dalla combinazione della domanda e dell'offerta. E' una cosa che sanno anche quelli che barattano pecore e cammelli. Allora, qualcuno vende petrolio, qualcun altro lo compra. Se c'è meno petrolio disponibile, l'offerta cala e il prezzo aumenta. Però, non c'è solo l'offerta. Se il petrolio costa troppo caro, i compratori non lo vogliono più - allora il prezzo cala.

Quindi, i prezzi alti o bassi non sono soltanto un indicazione dello stato dell'offerta. Ovvero, il fatto che il prezzo del petrolio sia basso non vuol dire che di petrolio ce ne sia in abbondanza. Vuol dire soltanto che, nel rapporto fra domanda e offerta, in questo momento la caduta della domanda è il fattore prevalente. C'è anche un nome per questo fenomeno che trovate scritto nei libri di economia: si chiama "distruzione della domanda". Non c'è dubbio che la domanda sia stata distrutta bene dalla fase di prezzi stellari della prima metà del 2008.

Allora, tutto ha una logica: i prezzi sono il risultato del feedback fra domanda e offerta. I sistemi a feedback tendono a entrare in oscillazioni periodiche, ed è esattamente quello che vediamo per i prezzi del petrolio e per l'andamento della borsa. Le oscillazioni dipendono dal tipo di sistema che ha una sua costante di tempo. Per comprare o vendere azioni ci vogliono dieci secondi - nessuna meraviglia che le oscillazioni siano così forti e rapide. Per mettere in produzione un nuovo giacimento petrolifero, invece, ci vogliono anni di lavoro. La produzione non segue le stesse oscillazioni dei prezzi - è un sistema "smorzato" che oscilla anche quello ma su tempi di decine di anni.

Tuttavia, ultimamente trovo sempre gente che mi guarda con aria bovina e mi dice, "ma se il prezzo si abbassa, allora non era vero nulla della storia del picco del petrolio!". Questo proprio nel momento in cui il crollo delle borse sta distruggendo la capacità dell'industria di investire in nuove ricerche e nuovi sfruttamenti. Ed ecco l'elefante: il picco del petrolio. Ma questi qui continueranno a tastare senza rendersi conto di cosa stanno tastando.

Questo povero elefante è veramente in cattive mani.

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(*) Per la verità, c'era un tale che aveva previsto il crollo dei prezzi del petrolio. Il 21 Febbraio del 2008, questo signore aveva scritto: "Se cala la domanda, i prezzi si abbassano e questo è quello che potrebbe succedere. Il prezzo del petrolio potrebbe rientrare anche sotto i 50-60 dollari al barile" Doveva essere uno che di elefanti se ne intende!