mercoledì, luglio 09, 2008

Petrolio: Picco dei prezzi o delle quantità?


created by Giancarlo Fiorito



L’aumento del prezzo del petrolio, iniziato a fine 2003, ed accentuatosi nel 2007, ha ormai dei ritmi esponenziali. Con una buona semplicità esplicativa, se il 42% di aumento dall’inizio 2008, si ripetesse per i prossimi 6 mesi, si arriverebbe giusto a 200$/barile a fine anno. Gli analisti dibattono le cause: la forte domanda, i limiti di capacità estrattiva e di raffinazione, l’incertezza in Medio Oriente, le nazionalizzazioni, la speculazione, il dollaro debole ecc. La realtà del fenomeno è certamente molto complessa e le analisi si attestano su posizioni differenti ma, in estrema sintesi, per spiegare l’attuale prezzo del petrolio, si fronteggiano due visioni contrapposte.





Graf. 1 – Produzione, domanda e prezzo del greggio (tipo “Brent”) [Fonte: EIA]

La prima posizione per spiegare i recenti aumenti del prezzo del petrolio ritiene si tratti di un picco dei prezzi ed utilizza logiche economico-finanziarie per spiegare i prezzi-record dell’oro nero. “Il petrolio è più che sufficiente”, affermano gli ottimisti, che arrivano ad imputare il fenomeno del caro-greggio ad un demone dell'irrazionalità regnante sui mercati.
La risposta è economica: la mano invisibile porterà investimenti e nuovi pozzi, l’offerta crescerà senza problemi, riportando il greggio a prezzi “accettabili”. Secondo questa visione, i principali fattori esplicativi dell’aumento dei prezzi, sono :
la capacità produttiva inutilizzata - o spare capacity - dei giacimenti: rappresenta il cuscino di sicurezza capace di far fronte a picchi improvvisi della domanda o a interruzioni inattese dell’offerta: quando è molto bassa, il mercato petrolifero è in tensione. La spare capacity, oggi non supera il 4% dei consumi mondiali;
la situazione geopolitica: con una “spare capacity” minima, ogni crisi (o segnale di) che coinvolga anche un solo paese produttore (come, ad esempio, un intervento statunitense in Iran o un attacco del Mend in Nigeria) crea panico sui mercati;
gli incidenti, il rischio attentati, gli uragani, etc. sono fattori che possono influenzare il mercato cartaceo del petrolio, composto sia da agenti che agiscono per coprirsi dal rischio di rialzi del prezzo, che da operatori pronti a scommettere sugli andamenti futuri per realizzare una speculazione a breve, utilizzando strumenti complessi di finanza derivata.

La prima scuola di pensiero ritiene dunque 145 dollari al barile un “picco del prezzo” e, stigmatizzando i mancati investimenti in esplorazione e sviluppo, cerca di trasmettere segnali positivi riguardo alla disponibilità futura dell’oro nero.
Le tensioni attuali partono da lontano e sarebbero attribuibili, alle modeste quotazioni del petrolio nel passato (sotto i 20 dollari al barile per un ventennio) che, scoraggiando gli investimenti necessari al mantenimento dell’offerta, hanno ridotto la spare capacity. Questa variabile-chiave, con le compagnie petrolifere attualmente impegnate nei più grandi investimenti degli ultimi 40 anni, è destinata ad aumentare, con centinaia di giacimenti in via di sviluppo e molte raffinerie in costruzione. In questo scenario, dunque, si dovrebbe assistere a breve ad una flessione delle quotazioni del greggio.

La seconda scuola ritiene, al contrario, si tratti di un picco delle quantità. I suoi adepti usano una metodologia di confronto tra nuove scoperte e produzione di petrolio, sviluppata dal geologo statunitense King Hubbert. Considerando le specificità della produzione petrolifera, Hubbert teorizzò la predicibilità del tempo che intercorre tra il picco di nuove scoperte e quello della massima produzione per un’area data e, nel 1956, calcolando che le scoperte di nuovi giacimenti negli Stati Uniti avevano raggiunto il picco nel 1930, predisse che la produzione statunitense di petrolio avrebbe raggiunto il massimo nel 1970. La previsione si rivelò esatta.
A livello mondiale si stima che le scoperte di nuovi giacimenti abbiano raggiunto il picco negli anni ’60. I 20 principali giacimenti sono stati scoperti tra il 1917 ed il 1979 e, dal 1984, la produzione totale di petrolio ha superato quella delle nuove riserve scoperte, con un differenziale crescente; nel 2006, con 31 miliardi di barili estratti, sono state superate le nuove scoperte di 9 miliardi di barili.
I teorici del “picco delle quantità” sottolineano come un rialzo del prezzo del petrolio sia stato per lungo tempo auspicabile perché avrebbe permesso di 1) incorporare le esternalità causate dai combustibili fossili, come i cambiamenti climatici e l’inquinamento; 2) realizzare una maggiore efficienza e parsimonia nell'uso di una risorsa preziosa e finita. E’ illusorio, affermano, sperare in un aumento della produzione per ridurre il prezzo; occorre, invece, adottare una riduzione della domanda, in modo particolare nel settore dei trasporti.

La risposta è politica. La diminuzione del petrolio disponibile, al pari dei cambiamenti climatici, deve immediatamente arrivare in cima alle agende dei governi dei paesi industrializzati, al fine di avviare una serie di misure strutturali volte a ridurre la dipendenza da petrolio. Si tratta di avviare un processo di transizione in grado di condurre a dei cambiamenti profondi negli stili di consumo e, più in generale, del modo di vivere.
Graf. 2 – La produzione di petrolio nel mondo secondo le due tesi [Fonte : Energy Watch Group 2007]

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Vorrei aggiungere che in alcuni paesi il problema della transizione verso nuovi modelli di vita e di consumo non è più un esercizio teorico. È evidente quindi che sono tanti a sposare l'idea che il picco sia relativo al petrolio e non una semplice bizzarria di mercato.

Ci sono movimenti, come quello delle Transition Towns nato in Inghilterra che si stanno rapidamente espandendo e che producono cambiamenti reali nell'organizzazione delle città, spesso fortemente supportati dagli amministratori e dai policiti locali.

La cosa più sconcertante è che l'ipotesi del picco sembra non trovare il minimo spazio nei media italiani, mentre in altri paesi è un ipotesi comunque presa in cosiderazione e discussa.

Anonimo ha detto...

Concordo con l'ipotesi del picco della produzione (già raggiunto oppure imminente), ma chi è in grado di farlo capire al nostro attuale capo del governo, ora così strenuamente impegnato a smarcarsi dai suoi processi e a buttare fuori dal Parlamento tutti i suoi avversari?
Se il governo italiano introducesse leggi per limitare i consumi, il gettito fiscale dei carburanti diminuirebbe e quindi si dovrebbero aumentare altre imposte (IRPEF,IRAP,...?), cosa che Berlusconi non vuole assolutamente fare. Se la domanda di petrolio resterà stabilmente al di sopra dell'offerta, il prezzo continuerà a salire e i consumi dovranno obbligatoriamente diminuire fino a bilanciare l'offerta di greggio; quindi il gettito fiscale dei carburanti diminuirà comunque, ma in questo caso l'effetto sarà una diminuzione effettiva della mobilità e del benessere del popolo italiano. Dovremmo adottare il piano svedese (uscita dall'economia del petrolio entro il 2025), non continuare a sperare nell'amicizia o nel controllo politico/militare dei paesi esportatori.
Purtroppo la mancanza di informazione sui mass media non ci aiuta. La saggezza popolare invece si: "Chi troppo vuole nulla stringe". Ricordiamocelo ogni tanto, perchè la natura prima o poi ci presenterà il conto.
Carlo.

Unknown ha detto...

non capisco perche' poni le due visioni come mutuamente esclusive. e' ormai molto probabile che ci troviamo di fornte a un picco delle quantita', tuttavia non trascurerei alcuni fenomeni finanziari:

1. la fuga verso strumenti finanziari liquidi e a basso rischio innescata dalla crisi dei subprime
2. il probabile eccesso di liquidita' sui mercati dovuto a una possibile politica inflazionistica degli usa negli ultimi due anni (difficile da provare visto che la fed non pubblica piu' le statistiche sull'M3 dal 2006)
3. la possibilita' di un taglio dell'offerta a breve che potrebbe causare una (ulteriore) destabilizzazione del medio oriente
4. il tentativo dei paesi produttori di prevenire una probabile svalutazione del dollaro

questi e altri fattori potrebbero far si che la crescita delle quotazioni attuale sia il risultato della composizione di cause finanziarie e strutturali. probabilmente - come in tutti i fenomeni del mondo reale - ci troviamo di fronte a una serie di cause che determina un unico effetto e individuare il peso di ogni componente non e' impresa semplice.

Anonimo ha detto...

Concordo con l'analisi fatta. E' evidente comunque che il petrolio sia una risorsa finita e che probabilmente siamo vicini al suo picco. Mi sembra anche che le potenze mondiali abbiano imboccato la strada nella definizione del suo immediato sostituto: l'energia atomica. Quindi nel prossimo futuro assisteremo probabilmente a un moltiplicarsi di centrali atomiche così dopo l'effetto serra avremo anche le scorie a cui pensare. Il filo conduttore è comunque quello che la crescita, questo tipo di società e di sviluppo non sono in discussione quali che siano poi le conseguenze a cui andremo a parare e che statisticamente sono state espresse nei "Limiti dello sviluppo". Quanto a Berlusconi o ai suoi predecessori non mi sembra che ci discostiamo molto, l'un dall'altro, per quanto riguarda la politica energetica.
Valdo

Anonimo ha detto...

L'ultimo commento è confermato dal fatto che un incidente grave alla centrale di Tricastin (Francia) in mezzo alla lavanda in piena Provenza (360kg di uranio finito in un fiume, cosa vuoi che sia), avvenuto l'8 luglio sia stato completamente e volutamente ignorato dall'informazione.
Il Giornale e TGCOM in stile sovietico. Corriere subito nascosta. Ansa 15 ore dopo. Reuter il giorno dopo. Stampa... notizia data e poi nascosta. La Repubblica non pervenuta. telegiornali... non pervenuti.
Un'altra interessante notizia è che il Termovalorizzatore di Aiano non va bene in quel sito. Perchè non c'è abbastanza arietta per disperdere le emissioni...
Ma non usciva ZERO?
Ci pisciano in testa e ci dicono che piove.

Anonimo ha detto...

"Io sono libero in proporzione a ciò a cui riesco a rinunciare."

Anonimo ha detto...

"Io sono libero in proporzione a ciò a cui riesco a rinunciare."

Unknown ha detto...

Una nota riguardo ai fattori finanziari: vero che il dollaro è debole, così che la quotazione viene amplificata, ma di eccessi di liquidita' non ce ne sono; anzi, si può al contrario dire che siamo in crisi di liquidità, come dimostrano tra l'altro i tassi a breve termine più alti di quelli a lungo.

Ma il punto è un altro. Sicuramente la congiuntura finanziaria sta amplificando l'effetto picco della risorsa, ma la contrapposizione che riportava il post io l'ho letta in ciò che riguarda l'andamento futuro.

Ovvero: il modello economico classico è applicabile alla situazione? Se sì, indipendentemente da valutazioni fisiche, succederà che questo aumento di costi generarà investimenti, da cui una maggiore disponibilità e quindi una flessione dei prezzi. Il principio del modello economico è che l'evoluzione tecnologica può sempre sopperire - se non in produzione, nell'efficienza d'uso - così che a fronte di maggiori investimenti c'è sempre aumento dell'offerta.

Ora, io sinceramente ritengo che in questo ambito il modello sia profondamente inapplicabile, perchè entrambe le strade sono sbarrate dalla fisica: la conservazione della materia sul fronte della produzione, e il teorema di carnot sul fronte dell'utilizzo. Come quindi in tutte le attività, più ci si avvicina ai limiti fisici più diventa dispendioso ogni ulteriore avvicinamento.

O meglio: il modello economico classico può restare valido, ma bisogna vederlo in grande e sul lungo periodo. Inevitabilmente questo aumento di costi spingerà sviluppo sul fronte dell'efficienza e della produzione, ma non tanto sul lato delle energie fossili quanto sulle fonti e applicazioni alternative.

Tutto tranquillo? No di certo, perchè la storia ci mostra come cambiamenti repentini e radicali nella catena produzione/consumo portino effetti sociali anche devastanti. Peggio ancora poi quando i cambiamenti sono forzati da mancanza di risorse: sono i casi in cui le civiltà si disgregano.

Una azione proattiva è quindi quantomai doverosa, ma finchè si ragionerà con l'attuale approccio di trascurare le esternalità, specialmente quelle a lungo periodo, non si produrrà nulla di concreto.