Dimensione del limite
I dati record fatti registrare in questi giorni dalla potenza fotovoltaica istallata di 7751 MWp (leggi
qui il contatore GSE) ripropone il tema: “Penetrazione in rete delle fonti elettriche casualmente intermittenti”.
Mi sono imbattuto in questo argomento agli inizi degli anni ’80, quando, come responsabile del Progetto Fotovoltaico dell’ENEA, ho tentato di coinvolgere l’ENEL in un programma nazionale per la realizzazione di un piano di costruzione di centrali fotovoltaiche connesse alla rete elettrica. Il tentativo ebbe successo e la collaborazione ENEA – ENEL – CEE permise l’istallazione di numerosi impianti “pilota”, tra cui quello DELPHOS da 300 kWp a Foggia, che era all’epoca il più grande d’Europa (impianto potenziato successivamente a 600 kWp ancora oggi in funzione). Il risultato della campagna di sperimentazione fu la dimostrazione della validità tecnica della tecnologia fotovoltaica in relazione alla possibilità di produrre grandi quantità di elettricità. Si cominciò a progettare la fase successiva, quella dello sviluppo di grandi impianti da collegare alla rete elettrica, tanto che l’inizio degli anni ’90 vide la realizzazione della centrale dell’ENEL di Serre Persano da 3,3 MWp, prima parte di un progetto da 10 MW. La privatizzazione dell’ENEL, nel frattempo intervenuta, non permise l’implementazione del progetto e determinò la stasi del programma di sviluppo del fotovoltaico italiano con le conseguenze del ritardo tecnologico rispetto ad altri paesi europei, che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Proprio in occasione del primo programma fotovoltaico, l’ENEL si pose il quesito della compatibilità tecnica tra la potenza casualmente intermittente del fotovoltaico e dell’eolico e la stabilità della potenza circolante in rete. Fu commissionato uno studio al Centro Ricerche ENEL di Cologno Monzese, che si concluse con un risultato non definitivo e con il riconoscimento della necessità di ulteriori approfondimenti in relazione alla complessità dell’argomento.
In ogni caso, il rapporto conclusivo del primo studio fu classificato “riservato” e fatto circolare solo fra gli addetti ENEL. Ho avuto modo di leggere quel documento in modo informale ed ho potuto così apprendere che il limite di accettazione in rete per la potenza intermittente risultava intorno al 15% della potenza dei generatori rotativi complessivamente attivi in collegamento alla rete, cioè di quei generatori la cui potenza può essere variata rapidamente per compensare le variazioni della potenza richiesta dal carico.
Questa cifra era strettamente collegata alla situazione del parco dei generatori elettrici presenti nella rete italiana alla data dello studio, cioè all’inizio degli anni ’80. Nel 1994, un rapporto del World Energy Council (Renewable Energy Resources, pp.120-21, Kogan Page Ltd, London) affrontava l’argomento in modo generale, confermando l’esistenza del limite da collocare tra il 20 e il 30%. Uno studio successivo, commissionato al CESI intorno al 2000 ed anch’esso mai pubblicato, ha fatto riferimento alla nuova configurazione del parco elettrico italiano degli anni ’90 ed ha portato a stimare il limite di penetrazione intorno al 20-25%. Ho appreso questa cifra da informazioni verbali riservate ottenute da colleghi dell’ENEL durante un convegno e, purtroppo, non sono in grado di suffragarla citando una precisa pubblicazione, (che forse nel frattempo può esserci stata).
Mentre nessuno mette in dubbio l’esistenza del limite, sulla sua entità precisa si può avere qualche riserva, essendo la cifra fortemente dipendente dalla tipologia dei generatori, dalla configurazione topologica della rete e dalle connessioni con le reti dei paesi confinanti, tutti fattori che cambiano nel tempo. In mancanza di uno studio più aggiornato, considereremo la percentuale indicata come un riferimento per la situazione italiana con l’avvertenza della possibilità di una certa tolleranza.
Funzionamento della rete
Per capire il significato del limite, è necessario conoscere la rete elettrica almeno nelle sue parti essenziali ed il suo funzionamento schematico. Pertanto, anche a costo di annoiare i lettori ripetendo alcuni concetti espressi in precedenti lavori, proverò a descrivere brevemente la composizione e il funzionamento di questo sistema così complesso, utilizzando la mia approssimata conoscenza del sistema elettrico. L’argomento è molto complicato e la comprensione approfondita richiede conoscenze elettrotecniche specialistiche, non sempre presenti nei lettori. Tuttavia, per i fini di questo lavoro, basterà affrontare il tema in modo descrittivo, cercando di semplificare al massimo l’argomento.
La rete elettrica è un sistema energetico molto articolato, distribuito su tutto il territorio nazionale, in cui si possono distinguere quattro sotto insiemi principali.
1. Il primo è costituito dai numerosi e diversi generatori di potenza, che producono l’energia elettrica da distribuire e vendere agli utenti.
2. Il secondo è rappresentato dalle linee di trasmissione che, opportunamente collegate in maglie e nodi, indirizzano i flussi energetici dai generatori agli utenti.
3. Il terzo è rappresentato dall’insieme delle apparecchiature elettriche a cui è destinato il flusso d’energia, detto brevemente carico d’utenza.
4. Il quarto è costituito dal sottosistema di telemisurazione e controllo, che gestisce l’intero sistema assicurandone il corretto funzionamento temporale in relazione alla domanda di energia degli utenti. Detto in altri termini, il flusso di energia dai generatori ai carichi è regolato da un sistema di controllo il cui compito consiste nel mantenere, istante per istante, il livello di potenza nei nodi di smistamento sui valori richiesti dai carichi che afferiscono a quei nodi. In condizioni di equilibrio, una volta raggiunto il punto di lavoro, il controllo agisce in modo automatico correggendo le piccole fluttuazioni causate da eventuali variazioni di potenza nei generatori e/o nei carichi.
Infine, l’intera rete è collegata alle reti dei paesi confinanti con i quali scambia energia all’occorrenza.
Perché l’energia elettrica possa fluire con regolarità e in modo efficiente dai generatori ai carichi, è rigorosamente necessario che tutti generatori operino in modo sincrono: tutti devono fornire tensione e corrente alla stessa frequenza e con la stessa fase con limiti di tolleranza strettissimi (intorno all’1%). Questo è un requisito tecnico fondamentale da cui, come vedremo, dipende la nascita del limite d’immissione in rete per le fonti intermittenti.
In condizioni di funzionamento standard, la rete elettrica è un sistema in equilibrio dinamico e il sistema di controllo mantiene il funzionamento nel punto di lavoro istantaneo determinato dalla configurazione ed entità dei carichi. Al variare temporale della domanda di energia, il controllo agisce sui generatori modulandone la potenza in modo da seguire la richiesta dei carichi. In definitiva, se indichiamo con Pi(t) la richiesta di potenza del carico i-esimo nell’istante t e con Pgj(t) la potenza erogata nello stesso istante dal generatore j-esimo, le funzioni Pc(t) = Sommatoria
iPi(t) e Pg(t) = Sommatoria
jPgj(t) sono dette rispettivamente diagramma di carico e di generazione. Il sistema di controllo fa in modo che il diagramma di generazione copra fedelmente il diagramma di carico per ogni istante della giornata. “Fedelmente” vuol dire che non ci deve essere spreco economico nella produzione per eccesso di offerta, né danno economico nell’utenza per deficit di potenza. Pertanto, nel caso ideale, istante per istante si ha che:
Sommatoria
jPgj(t) = Sommatoria
iPi(t)
Dove la sommatoria al primo membro si estende a tutti i generatori attivi collegati alla rete e quella al secondo membro è estesa a tutti i carichi alimentati, rappresentando la richiesta totale di potenza.
Il valore delle sommatorie determina il livello della potenza totale presente in rete nell’istante considerato. Questo valore varia nel tempo in funzione della richiesta, ma in ogni caso l’uguaglianza tra la fornitura e la richiesta è mantenuta dal sistema di controllo.
Per questioni di economia, di norma, i generatori attivi sono fatti funzionare al massimo della potenza erogabile. Mano a mano che, nel corso della giornata, la richiesta di energia aumenta, il sistema di controllo fa crescere la potenza dei generatori funzionanti, portandoli fino al loro limite e poi attiva nuovi generatori, che, fino a quel momento erano tenuti disponibili in stand by, e così via fino a saturare completamente la domanda di potenza.
Alla rete sono collegati e tenuti attivi anche numerosi generatori rotativi termoelettrici “rapidi”, detti così perché hanno la proprietà di avere una rapida risposta (con tempi inferiori al minuto) rispetto al comando di variazione della potenza erogata, impartito dal sistema di controllo. Queste macchine non sono fatte funzionare alla massima potenza, ma mantenute un po’ al di sotto (circa al 90-95%) in modo da avere la possibilità di spingerle al massimo in caso di improvvise e impreviste richieste dei carichi. Esiste quindi un margine complessivo di potenza nella rete, DeltaPr, detto margine di riserva, a cui il sistema di controllo fa ricorso per compensare impreviste fluttuazioni dei carichi (o abbassamenti di potenza degli altri generatori per malfunzionamenti o guasti). Fanno parte del margine DeltaPr anche alcuni singoli generatori ad accensione rapida di piccola taglia (impianti turbogas e idroelettrici) tenuti in stand by e generalmente usati per coprire i picchi di assorbimento del diagramma di carico.
Per quanto vedremo meglio nel seguito, occorre evidenziare il fatto che il margine di potenza, di norma, non produce kWh da vendere e, pertanto, esso pesa sul bilancio economico a causa dei costi fissi d’impianto, che comunque i produttori devono sostenere per assicurare la riserva. Questi costi sono riconosciuti dal GSE e caricati sugli utenti come costi di gestione della rete sotto la voce costi di dispacciamento. Per non aggravare la bolletta, il margine di potenza è mantenuto sempre al minimo possibile compatibilmente con le previsioni statistiche di possibili perturbazioni dell’equilibrio.
Esaminiamo ora il caso della presenza in rete dei generatori casualmente intermittenti, come sono quelli eolici e fotovoltaici. Anzi, per maggior semplicità, limitiamoci a vedere che cosa accade con il fotovoltaico.
Quando il sole mattutino comincia a incidere sui pannelli, l’elettricità fotovoltaica inizia a fluire nella rete, andando a sommarsi a quella, già presente, dei generatori convenzionali. Indichiamo con Pph(t) la potenza fotovoltaica immessa in rete nell’istante t. Poiché il diagramma di carico Pc(t) non è cambiato rispetto al caso di assenza del fotovoltaico, il mantenimento dell’equilibrio dinamico richiede ora che:
Pph(t) + Pg’(t) = Pc(t)
Cioè:
Pg’(t) = Pc(t) - Pph(t)
La potenza complessiva richiesta ora ai generatori convenzionali si riduce della stessa quantità della potenza generata dal fotovoltaico, in modo che le esigenze del carico possano essere soddisfatte.
Per un momento facciamo l’ipotesi migliore possibile, cioè che la giornata sia limpida e serena e che la probabilità di annuvolamento sia quasi nulla (si noti il termine “probabilità”, non “certezza”). Inoltre dobbiamo ipotizzare che il carico si mantenga costante nel periodo in esame in modo da non richiedere interventi di compensazione da parte del sistema automatico di controllo con il ricorso ai generatori convenzionali.
In tali condizioni idealistiche, possiamo ridurre la potenza dei generatori convenzionali della stessa quantità di cui cresce la potenza fotovoltaica immessa in rete. Al limite, possiamo arrivare a pensare di sostituire tutta la potenza convenzionale (naturalmente avendo a disposizione un parco fotovoltaico adeguato). Quindi, non deve suscitare meraviglia il fatto che il contributo del fotovoltaico possa raggiungere, in condizioni molto particolari, incidenza rilevante, anche al di sopra del limite indicato del 20-25%. Il fatto è prevedibile, senza doverlo considerare “epocale”.
La questione è se in tali condizioni, oltre a ridurre la potenza erogata dai generatori convenzionali, cosa che ci fa risparmiare il costo del combustibile, possiamo anche eliminarne qualcuno dalla rete realizzando il risparmio dei costi fissi. E qui purtroppo iniziano le dolenti note.
Per poter spegnere e staccare dalla rete quei generatori convenzionali la cui potenza è stata sostituita per l’immissione del fotovoltaico, sia pure per il solo periodo solare della giornata, dovremmo avere la certezza della fornitura della potenza fotovoltaica per lo stesso periodo (prevedibilmente modulata nel tempo secondo l’andamento dell’insolazione). Purtroppo la certezza assoluta non si può avere, anche se in qualche caso potremmo contare su un alto valore di probabilità della fornitura. Non a caso, anche sopra, abbiamo usato il termine “probabilità”, perché la potenza fotovoltaica è una variabile aleatoria. La probabilità di annuvolamento in una giornata limpida non è affatto nulla e questo evento, come vedremo, può avere conseguenze negative molto importanti sull’intera rete nel caso di una penetrazione rilevante del fotovoltaico.
Inoltre, la possibilità di rimozione temporanea dei generatori convenzionali, e quindi del risparmio dei costi fissi d’impianto, è impedita dal fatto che tali generatori, sono costituiti per la maggior parte da impianti termoelettrici di grande taglia, il cui spegnimento e riavvio richiede tempi lunghi più di 12 ore, periodo difficilmente compatibile con la dinamica della generazione fotovoltaica, soprattutto in presenza di fluttuazioni rapide dovute alla nuvolosità. Quindi, questi impianti, che hanno anche la funzione dell’intervento di riserva, devono rimanere accesi a potenza ridotta, in modo da poter essere modulati rapidamente in ogni momento per compensare l’andamento fluttuante del fotovoltaico e/o dei carichi. Pertanto, in generale, non è possibile rimuovere alcun generatore termoelettrico, anzi, da questo punto di vista, si verifica il paradosso che un aumento della potenza fotovoltaica al di sopra della capacità di reazione del normale margine di riserva comporta la necessità di aggiungere nuovi generatori di riserva per garantire la sicurezza della rete, facendo aumentare di conseguenza i costi di gestione.
Esiste, tuttavia, una parte di generatori di piccola taglia (impianti turbogas), destinati a coprire i picchi di richiesta, che hanno un tempo di spegnimento e riaccensione di durata dell’ordine di ½ ora o 1 ora. Tali impianti possono essere spenti e risparmiati nelle giornate in cui la probabilità di insolazione stabile è alta e le eventuali fluttuazioni della radiazione solare hanno variazione lenta. In questo caso, ci si può basare sulle previsioni meteorologiche per impostare un piano di riduzione del numero di impianti ed assegnare al fotovoltaico un certo credito di potenza. Purtroppo, il numero di tali impianti pesa sul diagramma di generazione relativamente poco e, quindi, il credito di potenza da assegnare al fotovoltaico, che li sostituisce solo in parte, sarà marginale.
Come nasce il limite d’accettazione
Quale è il guaio peggiore che possa capitare alla rete?
E’ senza dubbio il “black out” parziale o totale. Quest’ultimo è un evento poco probabile, ma è già capitato due volte in tempi recenti, mentre quello parziale è più probabile e si verifica con maggiore frequenza. Senza entrare nei particolari, a noi basta sapere che, da un lato, durante il periodo di blocco non c’è produzione e quindi il danno economico sui produttori è rilevante, dall’altro lato, il danno causato agli utenti è enorme e produce un contenzioso legale di rivalsa a cascata sull’intero sistema di gestione della rete. (Basta pensare all’effetto sugli ospedali, sui trasporti ferroviari, sugli aeroporti, sul funzionamento dei grandi centri commerciali, ecc.) Non desta meraviglia, perciò, il fatto che i gestori delle reti nazionali cerchino di evitare in ogni modo le cause di possibili black out.
Come può avvenire questo evento?
Per cominciare, consideriamo il caso della nostra rete senza il fotovoltaico. Siamo in un giorno lavorativo qualsiasi in piena mattina e il sistema è in equilibrio dinamico sul livello di potenza richiesto dal carico Pc(t). All’improvviso, in modo imprevisto, si genera una perturbazione dell’equilibrio in una parte della rete. Le cause principali possono essere dovute, ad esempio, al guasto improvviso di un generatore di grande potenza e conseguente blocco dello stesso, o allo sgancio non previsto di un grosso carico per corto circuito, o all’aggancio non programmato di apparecchiature di grossa potenza, o caduta di fulmini sulle linee di trasmissione ad alta tensione, ecc.
La perturbazione appare sulle linee come una variazione brusca di tensione e di frequenza. Il sistema automatico di controllo interviene immediatamente agendo sui generatori rotativi di riserva richiedendo loro la potenza venuta a mancare e la compensazione del calo di frequenza con l’aumento del numero dei giri. Per questioni di rapidità d’intervento, sono interessati alle compensazioni per primi i generatori della riserva attiva che si trovano nella parte di rete in cui si verifica il guasto. Se l’entità della richiesta di potenza è maggiore della riserva vicina disponibile, l’intervento si allarga alle altre parti della rete con i tempi di risposta consentiti dagli impianti disponibili. Nella maggior parte dei casi, il sistema di controllo riesce a riportare in pochi minuti la rete locale all’equilibrio e il punto di lavoro della rete nazionale subisce solo un piccolo spostamento.
Può capitare, però, il caso in cui l’intensità della perturbazione rappresenti una frazione notevole del livello di potenza in cui si trova in quel momento la rete e che l’evento sia molto brusco, tanto che, da un lato, la potenza di riserva immediatamente attivabile dal sistema di controllo non sia sufficiente a coprire il deficit e, dall’altro, la rapidità della variazione non permetta il ricorso ai generatori lenti in stand by. In questo caso la richiesta eccessiva di potenza sul primo generatore di riserva interessato può causare un sovraccarico che il sistema di protezione dell’impianto giudicherà pericoloso per la sua integrità. La conseguenza immediata è lo spegnimento automatico del generatore ed il suo distacco dalla rete. Questo è causa di ulteriore aumento dell’intensità della perturbazione con la conseguente propagazione rapida a cascata sugli altri generatori vicini, che reagiranno automaticamente allo stesso modo, mettendosi in sicurezza. Il risultato è che, in pochi minuti, si ha il black out locale di quella parte e, nel caso peggiore, di tutta la rete.
La più recente verifica sperimentale di questo evento si è avuta nella notte del 28 settembre 2003 alle ore 3.01, quando la caduta di un albero sulla linea ad alta tensione che collega il Piemonte alla Svizzera ha bruscamente interrotto il flusso di circa 2000 MW verso la centrale di Rondissone, la cui capacità di reazione non era adeguata a compensare tale deficit. La richiesta immediata di compensazione locale fatta alla linea francese, che in quel momento immetteva in Italia circa 4000 MW, portava ad oscillazioni di tensione e di frequenza ritenute pericolose per la stabilità della stessa rete francese con il conseguente distacco dalla rete italiana. In pochi minuti sono venuti a mancare altri 4000 MW, cioè in totale circa 6000 MW sui 27000 MW che alimentavano la rete in quel momento. L’impatto di questo transiente sull’intero sistema portò ad un abbassamento della frequenza sull’intera rete, che si ridusse in pochi minuti da 50 Hz al valore (critico per i sincronismi) di 47,5 Hz, imponendo interventi di distacco a catena sul Nord, ma anche sui generatori dell’estremo Sud, fino alla Sicilia.
La richiesta immediata di potenza ha sovraccaricato l’impianto di Rondissone causandone lo spegnimento automatico. Il sistema di controllo della rete ha reagito iniziando a distaccare i carichi e a richiedere l’intervento di tutti i generatori della riserva del Nord Italia. Purtroppo, a causa dell’ora notturna, essi erano in gran parte spenti. Il black out riguardò tutta l’Italia: al Sud per qualche minuto, al Nord per qualche ora ed in alcune zone del Nord Est il blocco durò circa 24 ore con danni enormi.
La lezione appresa da questo evento può essere grossolanamente riassunta dicendo che la perturbazione causata dalla mancanza improvvisa di 6000 MW sulla situazione d’equilibrio in rete di 27000 MW ha provocato il black out totale. L’intervento dei 21000 MW di generatori termoelettrici attivi con il loro scarso margine di riserva non ha permesso la compensazione dello squilibrio ed il recupero della stabilità della rete. Detto in termini relativi: una variazione dello stato di equilibrio della potenza in rete pari al 22% (rispetto al livello operativo) e al 28% (rispetto alla potenza rotativa attiva) ha determinato il black out (naturalmente nelle condizioni della configurazione di rete del 28 settembre 2003).
L’evento non ci consente di stabilire quale sia il limite esatto di tolleranza per l’intensità della perturbazione da parte del sistema di controllo della rete, tuttavia l’esperienza ha dimostrato che tale limite deve essere posto sicuramente sotto al 28% della quantità di potenza dei generatori rotativi attivi in rete. Da questo punto di vista lo studio del CESI (limite al 20-25%) appare in perfetto accordo.
Veniamo ora al caso in cui sia presente in rete la potenza fotovoltaica Pph. Supponiamo di trovarci in un momento statisticamente fortunato di piena insolazione sulla maggior parte degli impianti, mentre in cielo sono presenti grosse nuvole sparse che corrono spinte dal vento. Il gestore della rete, come abbiamo visto, ha ridotto della stessa quantità la potenza Pg dei generatori convenzionali fino al valore Pg’ = (Pc - Pph). In ogni caso, temendo l’aleatorietà del fotovoltaico, li ha mantenuti attivi, a bassa potenza, in modo da poterli riportare a regime rapidamente nell’eventualità di variazioni della curva di produzione oraria.
Supponiamo ora il caso peggiore, cioè che il nostro momento fortunato si trasformi improvvisamente in uno sfortunato, statisticamente improbabile, ma pur sempre possibile, in cui la maggior parte degli impianti siano oscurati dalle nuvole simultaneamente. La potenza fotovoltaica subisce un brusco decremento con conseguente variazione di ampiezza pari a Pph e la perturbazione si trasmette istantaneamente alla rete. Il sistema automatico di controllo interviene nel tentativo di compensare la variazione di tensione e frequenza facendo ricorso alla riserva di potenza dei generatori rotativi rapidi, in quel momento attivi in rete.
Come si può costatare, il caso è del tutto analogo a quello sopra descritto del distacco della linea svizzera che causò il black out nel 2003.
Indichiamo genericamente con K il limite di accettazione della rete per l’immissione di potenza intermittente come frazione della potenza Pg dei generatori di riserva in quel momento attivi. Naturalmente, data la natura statistica dell’evento, il valore di K sta ad indicare che il superamento del limite non provoca sicuramente il black out, ma soltanto che la probabilità dell’evento è fortemente aumentata.
Si possono dare due casi per l’ampiezza della variazione della potenza fotovoltaica:
1. DeltaPph < K Pg; 2. DeltaPph > K Pg.
Per quanto abbiamo visto, nel primo caso il sistema di controllo può recuperare l’equilibrio utilizzando la riserva di potenza, mentre nel secondo si può rischiare il black out, qualora non si riuscisse ad effettuare in tempo il distacco d’emergenza dei carichi, cosiddetti interrompibili.
Il verificarsi dell’evento estremo non solo dipende dalla disponibilità di sufficiente capacità di riserva per compensare l’ampiezza della variazione, ma dipende anche dalla rapidità con cui si realizza tale variazione. Infatti la possibilità di recupero da parte del controllo della caduta di frequenza (prima che essa scenda sotto il limite dei sincronismi) dipende dalla rapidità di risposta dei generatori e dalla necessità di mantenere tale risposta entro condizioni di sottocriticità per evitare le oscillazioni del numero dei giri. La risposta immediata ai transienti troppo bruschi non è permessa e in tali condizioni le variazioni di frequenza possono portare i generatori allo spegnimento in protezione.
Probabilità del black out
Come si è detto, il limite di penetrazione K ha un significato probabilistico. Se la variazione relativa DeltaPph/Pg > K, ciò non significa che è certo il black out, significa solo che esiste una probabilità finita che l’evento possa avvenire. Naturalmente, il rischio dei danni che tale caso può procurare dovrebbe essere sufficiente a mettere in allarme il GSE circa l’aggiunta in rete di nuova potenza intermittente.
Allo stato attuale, non risulta che ci sia stata una valutazione ufficiale del limite da parte del GSE, anche se, limitatamente al caso particolare della rete siciliana, la Terna ha sollevato qualche dubbio di tenuta rispetto alla quantità di potenza eolica ulteriormente collegabile.
Tutto ciò premesso, andiamo avanti con le nostre considerazioni. Consideriamo affidabile il valore di K = 25%, indicato dallo studio CESI e convalidato dal black out del 2003 e cerchiamo di ricavare il valore limite di DeltaPph.
Per far questo abbiamo bisogno di stabilire con una certa sicurezza il valore di Pg e ciò non è affatto facile, perché le informazioni circa le centrali elettriche sono state classificate come riservate a partire dal maggio 2008. I dati pubblicati dalla Terna riguardano soltanto la potenza totale termoelettrica, che è di 79430 MW alla fine del 2010, senza alcuna specificazione circa il tipo e l’ubicazione delle centrali. Questo dato costituisce l’estremo superiore per Pg, poiché esso comprende anche i generatori utilizzati soltanto nei momenti di punta.
Dall’altro lato possiamo vedere nei diversi diagrammi giornalieri di carico, pubblicati dalla Terna, che nelle ore meridiane la potenza alla base del picco d’assorbimento si aggira intorno ai 38000-40000 MW, mentre quella di picco può arrivare a oltre 50000 MW. Poiché la potenza di picco è fornita essenzialmente dalle centrali idroelettriche e turbo gas, possiamo ragionevolmente concludere che la potenza di base e intermedia provenga tutta dai generatori termoelettrici. Pertanto, considerato un adeguato margine di riserva, possiamo supporre che la potenza attiva disponibile possa assommare a circa 45000 MW e tale valore può essere considerato come l’estremo inferiore per Pg.
Infine, da una lista delle centrali elettriche italiane pubblicata da Wikipedia, sicuramente non aggiornata, si ricava che la potenza totale dei generatori termoelettrici di taglia superiore a 100 MW (quelli utilizzabili per la riserva) è pari a 47500 MW.
In conclusione, possiamo ragionevolmente assumere che la potenza dei generatori rotativi attivi nella rete è all’incirca Pg = 50000 MW. Di conseguenza, il rischio di black out dovrebbe presentarsi quando la potenza fotovoltaica Pph, immessa in rete, può subire casualmente una variazione superiore a DeltaPph = K Pg = 12500 MW.
Per l’incertezza con cui si conosce il livello della potenza rotativa Pg e il significato probabilistico di K, questo numero non va preso come una misura precisa del limite d’accettazione. Esso, piuttosto, va considerato come un’indicazione del livello di penetrazione in rete delle fonti intermittenti, intorno al cui valore ci si deve incominciare a preoccupare per il rischio di black out.
Ricordiamo che, in caso di annuvolamento nelle ore meridiane, deltaPph = Pph – Pph0, dove Pph0 rappresenta il livello inferiore a cui si porta la potenza degli impianti per l’oscuramento del sole. Il funzionamento del fotovoltaico è tale che la potenza erogata va a zero solo in assenza completa di luce, cioè di notte; quindi, anche per un annuvolamento profondo, gli impianti continuano ad erogare potenza per circa il 30% della piena illuminazione, (livello corrispondente alla residua luce diffusa). Avremo allora Pph0 uguale a circa 0,3 Pph e quindi DeltaPph = 0,7 Pph, cioè la massima variazione possibile è pari al 70% della potenza fotovoltaica istallata.
L’annuvolamento improvviso del cielo, simultaneamente sopra tutti gli impianti, è un evento estremamente improbabile, data la loro distribuzione diffusa su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, a scopo cautelativo, immaginiamo che tale caso peggiore possa verificarsi.
Ricordiamo, inoltre, che anche la potenza eolica istallata Peol è intermittente e, quindi, anch’essa può improvvisamente variare profondamente. La possibilità della maggiore variazione si verifica in corrispondenza dell’ intensificazione del vento, quando la velocità delle raffiche arriva a superare il limite di cut out degli aerogeneratori. In questo caso, il sistema automatico di protezione mette in bandiera le pale riducendo rapidamente a zero la potenza erogata dalle macchine. Pertanto, l’erogazione può passare bruscamente da Peol a zero con una variazione d’ampiezza DeltaPeol = Peol. Purtroppo ciò avviene di regola proprio in correlazione con il passaggio di una grande perturbazione atmosferica, quando è più probabile l’evento contemporaneo dell’oscuramento del sole sugli impianti fotovoltaici. Il risultato, (sempre in termini probabilistici del caso peggiore) è che la variazione dell’eolico si somma a quella del fotovoltaico e si può avere una variazione totale della potenza immessa in rete:
DeltaP =DeltaPph + DeltaPeol = 0,7 Pph + Peol
Il rischio di black out inizia se e quando si dovesse superare il limite d’accettazione:
DeltaP = 0,7 Pph + Peol > 12500 MW
Per il fotovoltaico, questa condizione significa che la potenza installata compatibile con quella eolica dovrebbe mantenersi al di sotto del valore:
Pph = (12500 - Peol)/0,7
Il rapporto ultimo disponibile della Terna assegna all’eolico al 2010 una potenza istallata di circa 6000 MW, per cui la potenza fotovoltaica massima istallabile sarebbe Pph = 9300 MWp, ipotizzando che la potenza eolica non aumenti ulteriormente (cosa che si sta puntualmente verificando).
Fino a pochi anni fa, questo livello di potenza era considerato così lontano che sembrava prematuro stare a preoccuparsi del rischio di black out. I 7750 MW fotovoltaici, che risultano oggi collegati alla rete, si trovano ancora entro la zona di sicurezza, ma si stanno avvicinando molto al limite che può portare all’instabilità della rete con probabilità finita del black out.
Conseguenze del limite sul contributo energetico
Come abbiamo visto, il limite K è un concetto statistico che contiene un certo margine d’incertezza. Per questo motivo, si può discutere sulla sua entità in relazione ai fattori da cui esso dipende. Sulla sua esistenza, però, non si può avere incertezza, essendo il concetto conseguenza diretta dell’aleatorietà della produzione di potenza e dei suoi effetti sul sistema automatico di controllo della rete.
Pertanto, le fonti rinnovabili elettriche casualmente intermittenti, collegate direttamente alla rete senza accumulo, hanno un limite di penetrazione K.
L’energia elettrica prodotta congiuntamente da fotovoltaico ed eolico in corrispondenza di questo limite è data da:
E = K Pg H (MWh)
Dove H = 1350 è il numero di ore equivalenti di funzionamento a piena potenza mediato sulle due fonti rispetto alle medie nazionali di 1200 ore per il fotovoltaico e 1500 ore per l’eolico.
La richiesta totale di elettricità è stata nel 2010 di Eel = 326 106 MWh (vedi
qui), per cui il contributo massimo delle rinnovabili intermittenti corrisponde ad una quota del fabbisogno elettrico di:
Q = E/Eel = (K Pg H)/Eel = 5,2%
Dove si è posto K = 0,25 e Pg = 50000 MW.
Pertanto, in termini di elettricità, le nostre fonti intermittenti potranno portare un contributo massimo intorno al 5,2%.
Ricordiamo, infine, che l’incidenza del settore elettrico sui consumi totali di energia è di circa il 35%. Quindi, in termini di energia primaria, il contributo delle fonti intermittenti sul bilancio energetico nazionale sarà marginale, essendo confinato intorno al 2%. Le attese poste su queste fonti per il risanamento ambientale emergono come fortemente ridimensionate.
Questo deludente risultato è dovuto indubbiamente al valore basso del limite di penetrazione in rete da noi ipotizzato per i calcoli (25%). Tuttavia, se assumessimo un valore doppio, il contributo si porterebbe intorno al 4%, rimanendo ugualmente marginale rispetto al fabbisogno energetico.
La conclusione è che la presenza in sé del limite di penetrazione in rete introduce un tetto al possibile contributo delle fonti intermittenti e, quindi, all’ulteriore sviluppo del mercato. Se vogliamo realizzare pienamente le loro indubbie potenzialità, come d’altra parte impone la crisi climatica, dobbiamo assolutamente rimuovere il vincolo dell’intermittenza, passando ad un nuovo modello di applicazione dei sistemi che contempli anche l’accumulo dell’energia.
L’approssimarsi delle complicazioni di gestione della rete, dovute al raggiungimento del limite, impone che tale provvedimento strategico sia preso in tempi relativamente brevi. Diamoci da fare!