Visualizzazione post con etichetta limiti dello sviluppo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta limiti dello sviluppo. Mostra tutti i post

lunedì, settembre 19, 2011

Berlinguer e i limiti dello sviluppo

Qualche giorno fa ero per lavoro a Roma. La sera, bighellonando per la città, ho letto un manifesto che presentava una festa della CGIL alle Terme di Caracalla, articolata in diversi giorni di convegni e iniziative, per ricordare le figure di Luciano Lama ed Enrico Berlinguer. Quella sera c'era proprio un dibattito sullo scomparso segretario del PCI, con la partecipazione di noti politici. Non potevo perdere una simile occasione, essendo un profondo estimatore del lungimirante pensiero politico di Berlinguer.

Lo spazio dibattiti era gremito come sempre meno accade agli incontri politici italiani, di una folla attenta e partecipe. Tutti i relatori hanno messo in evidenza le straordinarie doti del politico sardo che tanto lo distinguevano dai politici di oggi: la riservatezza, il rifiuto della personalizzazione della politica, il rigore morale, la serietà. Io avrei aggiunto il rifiuto della demagogia, ed è stupefacente ricordare il misterioso carisma di questo personaggio nei confronti di un popolo come quello italiano storicamente incantato da politici populisti, retorici e, appunto, demagogici.

Ma soprattutto è stata ricordata la straordinaria attualità delle sue tesi, come il primato della democrazia anche in una società socialista, la "questione morale" annunciata in una celebre intervista ad Eugenio Scalfari nel 1981, per finire con la visione profetica, ma all'epoca poco compresa e vilipesa, dell'"austerità", il tentativo politico forse più avanzato nell'occidente consumistico di porre la società di fronte ai problemi e alle contraddizioni dei "limiti dello sviluppo".

Ci voleva una nuova e forse più devastante crisi per rivalutarne le intuizioni, ho pensato con un pò di soddisfazione personale, avendo pubblicato su questo blog, ormai più di tre anni fa, l'articolo "Berlinguer ti voglio bene" citando alcuni passi dei suoi discorsi pubblici sull'argomento. Invito a rileggerli con attenzione, sono di una stupefacente attualità.

Sono i grandi uomini che influenzano i fatti della storia o sono le condizioni storiche che fanno emergere i grandi uomini? E' un pò come rispondere al quesito se è nato prima l'uovo o la gallina. Però, pensando alla drammatica situazione che stiamo vivendo e alla pochezza dei politici italiani, ottusamente fermi in attesa di "tempi migliori" che non arriveranno più, sto cominciando a convincermi cha la risposta possa essere la prima.

domenica, luglio 03, 2011

La riabilitazione de "I limiti dello sviluppo"




Sul blog Effetto Cassandra è disponibile la traduzione del primo capitolo del libro “The Limits to Growth Revisited”, scritto dal Presidente di Aspoitalia Ugo Bardi e pubblicato dall'Editore Springer. Si tratta di una rivisitazione del famoso libro sui limiti della crescita commissionato dal Club di Roma di Aurelio Peccei e scritto da Dennis e Donella Meadows, Jorgen Randers e altri autori che, per la prima volta applicarono un modello basato sulla "Dinamica dei Sistemi" all'intero pianeta.

E' una brillante ricostruzione storico scientifica ma, soprattutto un riuscito tentativo di riabilitazione della sostanziale correttezza delle previsioni tendenziali contenute ne "I limiti dello Sviluppo" (così fu tradotto un pò impropriamente il titolo in Italia), contro le stroncature spesso ideologiche e faziose che fecero calare un colpevole oblio sul richiamo ai pericoli che l'umanità avrebbe corso se non si fosse intervenuti tempestivamente per arrestare un modello di sviluppo insostenibile.

Come ho ricordato su queste pagine ci furono settori della società e della politica che capirono il messaggio lanciato dal libro, ma l'uscita dalla prima crisi petrolifera spazzò via tutte le buone intenzioni, rilanciando il mondo nella corsa folle della crescita illimitata.
Ora, dopo quarant'anni dall'uscita del libro, cominciamo ad avvertire i primi sinistri scricchiolii del sistema e forse rimpiangeremo il tempo perduto.

Che il libro abbia raggiunto gli obiettivi che si prefiggeva, è testimoniato dai complimenti e ringraziamenti giunti al Prof. Bardi persino dal mitico Dennis Meadows, uno degli autori del libro.

Concludo questa breve recensione con l'auspicio che una casa editrice italiana colga la preziosa occasione per pubblicare nel nostro paese una traduzione del volume.

giovedì, settembre 09, 2010

Malthus neonazista e i ghiacciai da corsa




In un commento su "comedonchisciotte" leggiamo l'opinione di "Pellegrino" a proposito di ASPO, ovvero che:


l’ASPO si rifà alle tesi ultra ambientaliste del Club di Roma (associazione ambientalista famosa negli anni ’70 e ’80) e al libro che questa fece pubblicare nel 1973, all’indomani dello shock petrolifero, intitolato “I limiti dello sviluppo” ove, oltre a prevedere una glaciazione intorno ai primi anni 2000, si affermava che oro, argento e rame si sarebbero esauriti entro la metà degli anni ’80 mentre le scorte di petrolio non sarebbero andate oltre il 1999. Uno de loro riferimenti base è la disumana dottrina neonazista di Thomas Malthus.


Questo mi è parso il caso di passarvelo, se non altro per farci una risata sopra. Definire Malthus "neonazista" è notevole, considerando che è morto nel 1834, ma forse non così notevole come pensare che negli anni '70 qualcuno potesse prevedere una glaciazione per "intorno ai primi anni 2000."

Quando parlo di questo tipo di cose, molta gente mi dice "ma perché perdi tempo con queste sciocchezze?" A mio parere, non sono affatto sciocchezze; sono un sintomo di qualcosa di molto complesso e preoccupante. E anche in crescita.

Ho già discusso un po' di complottismo su un post che ho fatto su Gianluca Freda (fra le altre cose, il commento di cui sopra, viene dalla discussione che si è generata in proposito). La questione è complessa e articolata e lo stesso Freda lo ha detto con grande chiarezza quando ha parlato di "rottura dell'auctoritas condivisa." Detto in un altro modo, molta della discussione in questo momento vede l'intervento di persone che non rispettano le regole condivise.

Le regole del dibattito che ha a che fare con argomenti scientifici vogliono che prima di intervenire, uno si informi perlomeno vagamente di quello di cui sta parlando, che accetti i dati disponibili se non ci sono elementi probanti per negarne la validità, che non trasformi il dibattito scientifico in un'occasione per insultare l'avversario.

Nella pratica, ti trovi come se cercassi di giocare a scacchi con qualcuno che, invece, applica le regole del baseball e prende la scacchiera a mazzate. I risultati sono spesso una crescita dell'aggressività a livelli inaspettati, fino ad arrivare alle minacce personali che io stesso ho ricevuto. Il cosiddetto "Climategate" è uno degli esempi più recenti dell'imbarbarimento del dibattito ma, nel suo piccolo, anche tacciare i membri di ASPO di neonazisti segue la stessa logica.

Per tutto quello che succede, c'è una ragione. Ci deve essere una ragione anche per la rottura dell'auctoritas e il degrado del dibattito. Non è difficile trovarla nello sgomento generalizzato in cui ci troviamo. E' comprensibile che molta gente trovi inaccettabile che gli scienziati vengano a dire che certe cose che abbiamo fatto fino ad ora con il loro beneplacito sono proprio quelle che ci stanno portando alla rovina: per esempio, estrarre il petrolio e bruciarlo. La reazione è la sfiducia totale, il rivoltarsi contro qualsiasi cosa che sia anche vagamente connesso con la visione condivisa.

Questo include anche la scienza di per se; come pure gli scienziati. Succede allora che i climatologi e i "picchisti", visti come sovversivi in certi ambienti, si trovino a essere invece visti come servi del potere in una certa visione che rozzamente divide tutto in buoni e cattivi, bene e male, e classifica come "male" tutto quanto si possa definire anche vagamente come complotto dei poteri forti.

La situazione si fa sempre più difficile con il tempo che passa e con l'inazione che continua. La sola cosa che ci resta, come ho detto altrove, è il metodo scientifico; che non è un'ideologia ma una tecnologia. Se riusciamo a mantenere il sangue freddo e ragionare su basi scientifiche, possiamo cavarcela. Altrimenti, il complottismo ci sommergerà.

lunedì, novembre 30, 2009

Bradi-economia



Nell'immagine, un bradipo tridattilo. E' ancora più lento del suo cugino-antagonista, il bradipo didattilo (che ha un' "unghia" in meno)


Bradys- : prefisso di origine greca, che indica lentezza. Molto usato nelle scienze naturali e in medicina. Ad esempio: bradipo, bradicardia, bradilalia.

L'economia, in una delle sue molteplici definizioni, è detta scienza delle scarsità*. Ossia, studio della gestione e dei meccanismi di scambio di beni "scarsi". Nel mondo del materiale, praticamente tutto ha un prezzo: che si parli di materie prime, semilavorati, prodotti finiti, macchinari, edifici, infrastrutture, veicoli etc. Assiomaticamente, tutto ha un prezzo perchè tutto è scarso, ossia "finito". Mi vengono in mente ben poche cose che non hanno prezzo: ad esempio, l'aria che respiriamo, e l'acqua di mare. Entro certi limiti che oggi non siamo ancora in grado di superare, possiamo utilizzarle gratuitamente per i nostri bisogni "ordinari", in virtù del fatto che la loro quantità è talmente grande rispetto a tali bisogni, che il problema non si pone. Siamo avvolti dall'aria che respiriamo, e siamo circondati dagli oceani.

Proviamo invece a pensare all'acqua dolce: si tratta di una risorsa estremamente più nobile dell'acqua di mare, in quanto molto più scarsa. Ecco che, allora, a seconda dell'abbondanza o meno in certe zone abbiamo una differenziazione nei prezzi dell'acqua imbottigliata, e nelle tariffe delle aziende-consorzi di gestione dell'acqua.

Il prezzo, a mio modo di vedere, è un "potenziale aritmetico" associato a una quantità definita di un bene ad un certo tempo, che in caso di trasferimento dello stesso da un proprietario a un altro, deve generare un cash flow equivalente.

Ora, uno dei meccanismi più "collaudati" e noti dell'economia classica, è senz'altro la "legge della domanda e dell'offerta", che si accorda molto bene con il concetto di "scienza dei beni scarsi". Più un bene è disponibile e accessibile, meno costa. Al limite, non costa nulla. [e a questo limite si sperava di arrivare con l'energia quando nei primi anni '50 cominciavano a diffondersi i reattori nucleari].

Se un bene è scarso, avrà associato un prezzo. Se è molto scarso, il prezzo sarà più alto. Al limite, pochi potranno accedervi. Se la risorsa in gioco è vitale ed è in depletion incontrollata, scoppieranno guerre, più o meno estese, accompagnate da problemi alimentari e sanitari di massa, in un feedback circolare reciproco.

Cercando di "giocare" lontano dai limiti, per non incappare in patologie (che conducono a poco fruttuose utopie, o peggio a disastri, entrambi ampiamente verificati nella storia) : un bene che diventa sempre più scarso, come ad esempio il petrolio, il gas e il legno, vedrà aumentare il prezzo a posteriori. Il problema è proprio questo: se ce ne infischiamo di quello che siamo capaci di fare da un trentennio a questa parte, ossia realizzare previsioni-proiezioni con i modelli dinamici e le serie storiche, continueremo a perseverare con quello che è stato fatto fino allo scorso secolo, il più cruento (o fra i più cruenti) della storia. Ossia, constatare le scarsità e gli overshooting a giochi fatti, quando i sistemi sono nel pieno dell'instabilità.

L'economia classica è tremendamente lenta nella reazione (ad esempio, ma non solo, per mezzo di correzioni sui prezzi) rispetto alla velocità di cambiamento dello stato fisico dei sistemi complessi. Non è escluso che, se aspettiamo evidenti feedback sui prezzi degli idrocarburi, allora la transizione al rinnovabile non potrà avere luogo in modo completo e autosostentante, per cui potrebbe rivelarsi un disperato tentativo verso un qualcosa di fisicamente non più raggiungibile. Una sorta di precipitare in una "buca di potenziale", per dirla nel linguaggio dei chimici-fisici, che sarà troppo profonda per poter essere risalita con i mezzi a disposizione (energia stoccata residua, infrastrutture obsolescenti...). Questo avrebbe effetti devastanti sull'intera civiltà umana.


* con una certa irriverenza, ho definito in più post passati l'economia politica classica come la scienza della comodità e della constatazione

lunedì, novembre 23, 2009

E se ci riscaldassimo tutti a legna? (breve trattato per annichilire rapidamente i nostri boschi)



Nell'immaginario collettivo è piuttosto diffusa l'idea che, un giorno, torneremo tutti a riscaldarci con la cara vecchia legna. Questo, soprattutto a causa dell'aumento dei prezzi della bolletta del gas (o del GPL, o del gasolio, con poche differenze), accompagnato anche dalle cattive notizie di "disponibilità strategica" del gas russo che arriva all'Europa via gasdotti che attraversano Stati "politicamente instabili" (uno su tutti, l'Ucraina).

Personalmente, trovo l'idea particolarmente affascinante e pittoresca; questo, da un punto di vista psicologico. Proviamo, invece, ad approcciare il problema sotto una visuale un po' più scientifica.

La domanda è: abbiamo abbastanza legna? Gettando un'occhiata di massima alle riprese aeree televisive domenicali delle trasmissioni dedicate al verde, verrebbe da rispondere affermativamente. In realtà, le cose non sono così semplici. Prendiamo ad esempio una regione come il Piemonte, che non è sicuramente povera di boschi (per rapporto ad altre regioni italiane). L'analisi va però fatta relazionando la superficie boschiva con il n° di persone (meglio: unità abitative) e con il fabbisogno unitario, quest'ultimo legato al grado medio di isolamento termico delle abitazioni. Non solo: occorre considerare un "flusso" legnoso compatibile con la velocità di rinnovamento dei boschi, pena il loro impoverimento (intaccamento della biomassa "capitalizzata") e il rischio reale di overshooting della risorsa.

Bene, questo studio è stato effettuato dall'IPLA (Istituto per le Piante da Legno e l'Ambiente), ed è stato presentato in ottobre 2007, in sede di convegno ad Alpi expo. Tra le altre cose, è stato calcolato che la ricrescita in tutto il Piemonte sarebbe sufficiente per il riscaldamento di circa 40.000 abitazioni  su circa 1.700.000 (ipotizzati 100 m2 medi per abitazione). Vale a dire, meno del 3% delle famiglie piemontesi.

Se ci si volesse ostinare a sostituire "militarmente" gli altri combustibili fossili per riscaldamento con la legna, l'ovvia conseguenza sarebbe il rapido impoverimento dei boschi, con tutti i problemi conseguenti di ricrescita vegetale e di erosione dei suoli.

In realtà, da questo documento-studio si evince (alla slide "consumi di biomassa solida") che il contributo energetico al riscaldamento in Piemonte è di circa l'11%, circa 4 volte superiore al tasso di ricrescita dei boschi locali.
La realtà è che abbiamo già iniziato a intaccare il patrimonio boschivo. Molto istruttivo è questo documento, dove si vede (pag. 35) che il minimo prelievo dai boschi è stato nel 1973, quando il petrolio era a 4,7 $/barile.
La biomassa avrà senz'altro un ruolo importantissimo nel futuro, sia in termini di materia prima per intermedi chimici, che di reservoir energetico per la combustione. Ma un conto è utilizzare un po' di legno per integrare un riscaldamento efficiente durante le due-tre settimane/anno di minimo termico, altro conto è affidarsi interamente alla biomassa come fonte energetica di rimpiazzo per i combustibili fossili, lasciando inalterati i nostri obsoleti (mediamente) impianti di riscaldamento e sistemi di coibentazione.

Come ha ricordato in lista Massimo Ippolito, concettore del Kitegen, riporre grandi speranze in un ciclo energetico a basso EROEI (circa 2,5 per la combustione di biomassa legnosa) potrebbe rivelarsi un boomerang, e potremmo non avere diritto a un secondo lancio.



PS 1: non stiamo qui ad approfondire la "leggera" differenza in termini di polveri emesse nella combustione tra la legna e metano (o il GPL), amplificata in città con abitanti dell'ordine delle centinaia di migliaia di persone

PS 2: ringrazio Massimo Ippolito e Luca Mercalli per l'ispirazione e per il supporto documentale fornito

venerdì, novembre 20, 2009

Vertice FAO. Il tabù taciuto della sovrappopolazione



Veduta aerea del campo profughi di Al Salam (Darfur settentrionale)


 
created by Luca Pardi


Leggendo i servizi dei media sul vertice FAO abbiamo appreso quello che sapevamo che potevamo prevedere e avevamo effettivamente previsto. La crisi ha come più importante effetto quello di aumentare il numero di affamati. Tale situazione era gia stata evidenziata da Ugo Bardi in un recente post su questo blog. Nello stesso breve post Ugo si rammaricava di aver azzeccato la prevista carestia in un precedente contributo.

Ciò che manca nelle analisi è il fattore popolazione o, meglio, sovrappopolazione. Uno dei tabù più persistenti della modernità.

Il problema è infatti tanto la quantità di cibo (estremamente dipendente dalla disponibilità petrolifera e di altre risorse fossili) per sfamare le bocche esistenti, quanto il numero sempre crescente di bocche da sfamare.

Nell'orgia di reprimende e recriminazioni morali e politiche a cui assistiamo manca infatti (a meno di mie sviste) ogni considerazione riguardo al fatto di aver lasciato la popolazione crescere senza freni, con la sola maledetta e benedetta eccezione della Cina. Maledetta per i metodi, benedetta per gli effetti.

Una Santa Alleanza dei chierici delle diverse religioni con i Guru delle Schools of Economics ha forgiato la politica demografica degli ultimi decenni, rimuovendo totalmente il problema della crescita demografica dal dibattito pubblico, e il tema del controllo delle nascite dalle politiche globali. Eppure una Kyoto della sessualità responsabile era stata iniziata, gia in largo ritardo, con la conferenza del Cairo nel 1994 nella quale si era accettata l'idea di diffondere "l'accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, inclusa la pianificazione familiare. A questo seguì il nulla prodotto dall'opposizione pregiudiziale del Vaticano delle amministrazioni USA dell'era dei Bush (a cui l'interludio Clinton non pose rimedio) e di alcuni paesi islamici.

Le gia limitate e ritardatarie conclusioni della conferenza del Cairo restarono lettera morta sul piano della contraccezione. La contraccezione appunto. Un'insieme di "tecnologie" semplici, molto più semplici di molte che si è inteso trasferire nei paesi poveri, delle quali le donne del terzo e quarto mondo sono a conoscenza, ma delle quali non possono usufruire in un mondo nel quale il maschilismo imperante nega alle madri il diritto di pretendere non più figli, ma di più per i propri figli (cfr Robert Engelmann, More: Population, Nature, and What Women Want).

Tutto il dibattito si svolge da una parte sulla vexata questio della redistribuzione della ricchezza e dall'altra sulla necessità del far ripartire la crescita. E' ovvio, almeno per chi scrive, che l'aspetto redistributivo resti un mandato morale delle nostre società opulente, ma non può essere l'unico e, soprattutto, non può essere subordinato alla improbabile ripartenza della crescita. Ho sentito con le mie orecchie un esponente politico di spicco del centrosinistra affermare che "senza crescita non c'è nulla da redistribuire". Come se la crescita del PIL mondiale da 61 miliardi di dollari a 63 mila miliardi di dollari (una crescita del 3%) fosse la condizione necessaria per metter mano a qualsiasi azione di salvataggio. Oggi un mandato morale altrettanto pressante è quello che ci chiede di permettere alle donne dei paesi a più alta natalità di soddisfare le proprie aspirazioni senza sottostare a condizionamenti ideologici e religiosi.

Le tradizioni locali non aiutano? E' arrivato il momento di dire una volta per tutte che non esiste una sola "tradizione" che valga la pena di essere protetta se determina lo sterminio per fame. E' il momento di rimettere nelle mani delle donne il destino riproduttivo della nostra specie, per amore dei figli sapranno fare meglio di noi maschi, ne sono sicuro.

Lo scambio che si deve indurre a livello globale è tanto semplice quanto fuori dall'agenda delle politiche attuali: i paesi ricchi rinuncino alla propria bulimia consumistica che causa il perdurare della razzia colonialista di risorse, e diano ai paesi poveri la possibilità, tecnicamente semplicissima, di regolare la propria natalità.

lunedì, novembre 16, 2009

Fichi e lambrette



created by Luca Pardi


Molti anni fa, ero un ragazzo meno che ventenne, avevo una lambretta. Non mi chiedete il modello perché non me lo ricordo. Anche se ne ho sempre fatto uso per spostarmi, non ho mai contratto il feticismo mistico di alcuni miei amici di allora. So solo che era una lambretta verde pisello, e andava abbastanza bene. Una notte di settembre, guidando quella lambretta in una località fra Porto Santo Stefano e Orbetello, caddi. Seguivo un mio amico, anche lui in moto, lo vidi entrare in una curva abbastanza stretta, ma che conoscevamo benissimo, sbandare un paio di volte e riprendersi, il tempo perché io andassi sdraiato sull’asfalto sbattendo la faccia in terra, avevo il casco, ma non era integrale. Non mi feci altro che qualche graffio sullo zigomo sinistro e un ematoma all’occhio dalla stessa parte. Una ferita da sfoggiare con le ragazze i giorni successivi.



La sbandata di Luciano (il mio amico) e la mia caduta erano dovute all’asfalto reso viscido in quel punto e in quel periodo, da un fico che scaricava i suoi frutti maturi sulla strada sottostante (lo so che i fichi non sono frutti, ma infiorescenze, ma uno mica può dire che il fico scaricava le sue infiorescenze, … scienziati si, ma insomma). Seppi poi che in quello stesso punto altri motociclisti erano caduti e di li a poco un’ordinanza del comune impose al proprietario del terreno che ospitava il fico di tagliarlo. Era un fico molto grande e molto vecchio. In maremma le chiamano ficaie.
Personalmente non ho mai portato rancore a quel fico e mi dispiacque quando l’anno dopo constatai che era stato eliminato. Lo rispettavo. Non sarei mai più rientrato in quella curva in una sera di tarda estate con la stessa velocità e pendenza, anche se il fico, ormai non c’era più.

Ho visto tagliare alberi lungo le strade perché avevano provocato incidenti. Ho visto i volantini di comitati per l’abbattimento dei pini che costeggiano una strada provinciale in provincia di Pisa perché troppi erano gli incidenti mortali. Ho sentito che la famiglia di un giovane vittima di un incidente aveva motoseghe alla mano, abbattuto per “vendetta” l’albero (di cui non ricordo la specie) contro cui il ragazzo era andato a sbattere.

Ho visto anche un singolare cartello stradale di pericolo in cui è scritto “attenzione alberi fuori sagoma”. Cosa può essere, signori, un albero fuori sagoma? Quale standard di sagoma ha in mente l’estensore di quel cartello? Quegli alberi “fuori sagoma” sono il doppio filare di platani che costeggia ambo i lati della provinciale che da Porta a Lucca a Pisa arriva a San Giuliano Terme. Quei platani c’erano già quando i miei genitori vivevano a Pisa prima della guerra (la seconda), mia zia si ricorda di quel viale percorso a piedi controcorrente in un flusso di sfollati che fuggivano da Pisa bombardata, mentre lei andava a cercare i suoi in città. Allora i platani non erano “fuori sagoma”. La gente si muoveva in bicicletta, o con i barrocci a mano.

Non la voglio fare lunga. Ho vissuto, visto e sentito raccontare tutte queste cose di alberi “incriminati”, ma non ho mai sentito parlare di un comitato di cittadini, che dopo un morto contro un albero, invece che contro gli alberi, si mobilitasse per la limitazione della potenza delle auto. Non so voi!

sabato, ottobre 31, 2009

A tutto c'è un limite

Con questo articolo concludo la trilogia contro l’”ottimismo tecnologico” della società nei confronti del problema ambientale e dei limiti dello sviluppo, iniziata con l’articolo “L’entusiasmante caduta delle emissioni di gas serra” e proseguita con l’articolo “Perché non mi piace la green economy”. Nel grafico qui accanto, potete vedere lo “scenario standard” tratto dal celeberrimo “I limiti dello sviluppo”, che descrive l'andamento delle grandezze più significative del sistema mondo, ricavato mediante il calcolatore “nell'ipotesi che né i fondamentali valori umani né il funzionamento del sistema popolazione-capitale subiranno nel futuro alcun cambiamento sostanziale rispetto agli ultimi cento anni”. Tali grandezze sono: popolazione (numero totale di individui); prodotto industriale pro capite (dollari equivalenti pro capite all'anno); alimenti pro capite (kg di grano equivalenti pro capite all'anno); inquinamento (riferito al livello 1970, posto uguale a 1); risorse naturali non rinnovabili (espresse come frazione delle riserve valutate nel 1900).
Potete notare che gli autori volutamente non hanno riportato le scale delle grandezze in ordinate, mentre in ascisse figurano solo i valori estremi della scala dei tempi. “Questo per scoraggiare la tendenza a leggere questi tracciati come vere e proprie predizioni”.
E’ evidente che il valore della simulazione ha un carattere qualitativo e non quantitativo e serve a rappresentare una tendenza. Comunque, siccome da quando il libro è uscito nel 1972, l’umanità non ha praticato nessuna delle raccomandazioni in esso contenute, per puro esercizio accademico, ho provato a sovrapporre al grafico alcuni valori noti, citati nel testo, relativi alla popolazione, cioè 1600 milioni per l’anno 1900 e 3500 milioni per l’anno 1970 e una stima grossolana del valore previsto per l’anno 2010, circa 6500 milioni. Quindi, l’ordine di grandezza della popolazione sembrerebbe essere azzeccato in pieno. Ma andiamo avanti, ed esaminiamo le curve del prodotto industriale e degli alimenti procapite. Negli anni che stiamo vivendo ci saremmo dovuti trovare su un picco a forma di pianoro a cui sarebbe seguito un rapido collasso. Leggiamo cosa dice il Rapporto: “E’ chiaro che questo tracciato corrisponde alla condizione di superamento dei limiti naturali, con successivo collasso provocato dall'esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili. Il capitale industriale cresce fino a un livello che richiede un afflusso enorme di materie prime, per cui il processo di crescita è accompagnato dal progressivo depauperamento delle riserve; ma ciò provoca una lievitazione dei prezzi delle materie prime, per ottenere le quali occorre impegnare frazioni crescenti di capitale, a discapito degli investimenti. Alla fine gli investimenti non riescono più a seguire il passo del deprezzamento del capitale, e si verifica il collasso della base industriale e quindi dell'agricoltura e dei servizi, dato che questi settori dipendono in maniera essenziale dai beni prodotti dall'industria (fertilizzanti, insetticidi, attrezzature ospedaliere, calcolatori e soprattutto energia per la meccanizzazione). Per un breve periodo di tempo la situazione rimane a un livello critico poichè la popolazione, a causa dei ritardi che caratterizzano il ciclo riproduttivo e i processi di assestamento sociale, continua a crescere; ma la carenza di alimenti e di servizi sanitari provoca un rapido incremento dell'indice di mortalità e il livello di popolazione si abbassa”.
A questo punto della lettura, confesso che mi cominciano un po’ a tremare le gambe, perché sembra proprio che venga descritta la situazione che stiamo vivendo, con la crisi dei prezzi delle materie prime, la recessione economica e la riduzione della disponibilità alimentare procapite.
Ma non facciamoci prendere da queste suggestioni catastrofiste e passiamo a un altro dei tanti scenari alternativi contenuti nel Rapporto, quello dell’ “ottimismo tecnologico”, esemplificato in questo secondo grafico che considera l’ipotesi di miglioramento tecnologico nel settore dell’energia.
Nel grafico, “sono riportate le curve che illustrano il comportamento del sistema mondiale nell'ipotesi, ottimistica, che l'energia nuc1eare risolverà tutti i problemi del settore “risorse naturali”. Precisamente, si è ammesso che la possibilità di utilizzare minerali più poveri o di sfruttare i giacimenti dei fondali marini consenta di raddoppiare le riserve e inoltre che, a partire dal 1975, vengano adottati dei programmi di ricupero e riutilizzazione dei materiali gia usati, in modo da ridurre a un quarto del valore attuale il fabbisogno di risorse vergini per unità di prodotto industriale. Entrambe le ipotesi sono eccessivamente ottimistiche, ma proprio per questo esse consentono di verificare in maniera definitiva la fondatezza della tanto conclamata fiducia nel prossimo avvento dell'energia nucleare. Come si vede, … si riesce in tal modo a scongiurare il sopravvenire di un'improvvisa carenza di materie prime, ma … lo sviluppo viene arrestato dall'enorme aumento dell'inquinamento… Una disponibilità illimitata di risorse, pertanto, non sembra rappresentare la soluzione per mantenere lo sviluppo del sistema mondiale”.
Poi gli autori provano in tutte le maniere a sovrapporre a questo scenario altri scenari di “ottimismo tecnologico” nei settori della lotta all’inquinamento, della produzione di alimenti, del controllo delle nascite. Non c’è niente da fare, si riesce solo a procrastinare la data del superamento dei limiti e del collasso. Il motivo, semplice quanto inaccettabile per una società fondata sulla religione della crescita, si legge nelle conclusioni: “Gli ottimisti tecnologici confidano che la tecnologia giungerà a rimuovere o ad allontanare i limiti allo sviluppo della popolazione e del capitale. Abbiamo dimostrato peraltro, nel modello del mondo, che l'applicazione della tecnologia ai problemi dell'esaurimento delle riserve naturali, dell'inquinamento, della mancanza di alimenti, non risolve il problema essenziale, quello cioè determinato da uno sviluppo esponenziale di un sistema finito e complesso. I nostri tentativi d'introdurre anche le più ottimistiche previsioni sugli effetti della tecnologia nel modello, non impediscono il verificarsi del collasso finale della popolazione e dell'industria, in ogni caso non oltre il 2100”.

Ipse dixit.

venerdì, agosto 14, 2009

Euclide e le assurdità primordiali


Chi per studio, lavoro o per semplice passione si occupa di algebra, molto presto si trova di fronte al teorema sull'infinità dei numeri primi, quei numeri che risultano divisibili soltanto per se stessi e per 1. Ad esempio 1,2,3,5,7,11,13,17, ...

Per quanto aridi possano sembrare, sono i mattoni dell'aritmetica e su di essi si basa l'intera Teoria dei Numeri. Senza di essi e senza la scienza pura e computazionale al loro contorno, sarebbe impossibile leggere DVD, e soprattutto non si potrebbero fare transazioni finanziarie telematiche sicure (nonchè una miriade di altre cose che diamo per scontate).

Gli antichi Greci si erano già occupati di questi numeri; al punto che il teorema che ne sancisce l'infinità è attribuito a Euclide (III secolo a.C. ) . La domanda è: nell'infinità dei numeri naturali, i numeri primi sono anch'essi infiniti? Oppure, ad esempio, da un certo punto in poi, diventano sempre più "rari", fino a sparire?

Ripercorriamo a grandi linee la dimostrazione "classica", che secondo me è un concentrato di semplicità e potenza, e per questo non smette di affascinarmi. La tecnica è quella della "riduzione all'assurdo". Supponiamo che i numeri primi siano finiti, e sia N il loro numero. Possiamo allora costruire un altro numero, definito come il prodotto tra essi, aumentato di uno. Cioè, costruiamo Y = n(1)*n(2)*...*n(N) + 1 . Domanda: Y è primo o no? Non essendo (per come è costruito) divisibile per nessun numero primo [il resto è sempre 1] ne consegue che Y è anch'esso primo. Con questo contraddiciamo l'ipotesi, secondo cui i numeri primi erano finiti di "numerosità" N [in realtà, per essere completi bisognerebbe sviluppare a parte un risultato un po' più articolato, che è il Teorema Fondamentale dell'Aritmetica, applicato nella divisione su Y]

Che cosa c'entra questa divagazione matematica? Proviamo a pensare a situazioni meno "scrutabili" dei teoremi di base e dei problemi fisici del singolo punto materiale. Ad esempio, ai sistemi dinamici: interazioni fra più particelle, reazioni chimiche simultanee, diverse prede e più predatori in un habitat, fenomeni migratori e di nascita/morte, e via dicendo.

Secondo alcune correnti di pensiero non esiste il problema dei limiti delle risorse. Per assurdo, assumiamo che sia così. Se così fosse, le risorse minerarie e alimentari potrebbero essere estratte e distribuite in modo via via più omogeneo su tutte le nazioni, con flussi generali crescenti, realizzando un "sogno americano worldwide". Poichè la realtà non è questa (anzi ci sono controtendenze che fanno aumentare la forbice tra chi ha e chi non ha, e i sistemi economici stanno vacillando in modo vistoso) ne deduciamo la falsità dell'ipotesi. Naturalmente la realtà è per definizione ben più complessa, ma come modello-scheletro mi sembra che ci stiamo dentro.

Sarà un po' arida, ma a volte la logica aiuta. Se non altro, per constatare che siamo "ridotti all'assurdo" non solo da un punto di vista astratto, ma anche fisico!

venerdì, aprile 24, 2009

Rileggere Malthus

La tracimazione secondo Malthus

created by Luca Pardi



Anni fa, subito dopo essermi confrontato per la prima volta con l’angoscioso, ma intellettualmente stimolante, problema del picco del petrolio, tornai a leggere “i Limiti dello Sviluppo”.

Il famoso rapporto che il gruppo di dinamica dei sistemi del MIT aveva scritto per il Club di Roma, all’inizio degli anni settanta. Fu molto sorprendente scoprire che la massa delle critiche mosse a tale opera non fossero affatto supportate da considerazioni razionali, ma piuttosto dal desiderio di distruggere l’idea stessa dell’esistenza di limiti fisici alla crescita economica. Sulla leggenda degli errori del Club di Roma Ugo Bardi ha scritto due articoli scaricabili dal sito di ASPO-Italia [1] che rendono ragione al lavoro del gruppo di Donella Meadows ed al Club di Roma.
Una delle accuse rivolte al Club di Roma è quella di avere un’impostazione maltusiana, anzi di essere il capostipite della nuova ideologia neo-maltusiana. Le mie conoscenze della principale opera di Malthus: il "Saggio sui principi di popolazione" si basava allora, e fino a pochi giorni fa, alla lettura di brani antologici reperibili in rete. Deciso a lanciare l’idea di un “Malthus day”, sulla falsariga del “Darwin day”, con il fine di propugnare una “maggiore” attenzione al problema della sovrappopolazione umana del pianeta, mi sono affrettato a scusarmi per la scelta di un personaggio tanto controverso, argomentando che ciò che contava nella scelta non era l’intero apparato teorico filosofico del nostro, ma il fatto che Malthus era stato il primo a sollevare il problema del rapporto fra crescita demografica e disponibilità delle risorse terrestri, influenzando, con questa fondamentale scoperta, economisti, ecologi e più in generale naturalisti, certo non ultimo fra questi ultimi Charles Darwin.[2]
Poi ho deciso di tornare alla fonte, ho letto il Saggio. [3] Non si può certo dire che non sia datato. Fu pubblicato nel 1798 all’indomani della fase più violenta della Rivoluzione Francese. E’ in parte un pamphlet polemico basato sull’attualità di allora e il primo obbiettivo della polemica sono i progressisti, cioè coloro che pensavano possibile una continua perfettibilità della società umana e perfino dell’uomo, fino a pensare, con l’anarchico Godwin, un raggiungimento dell’immortalità in terra. Non è propriamente un testo di demografia, ma piuttosto un testo di filosofia sociale. Vi sono molte parti che appaiono l’espressione di un conservatorismo da ancien regime e opinioni sul rapporto uomo-donna che oggi appaiono inaccettabili. Ma tenuto conto dei due secoli di modernità trascorsi da allora, viste le non brillantissime vicende delle rivoluzioni e delle restaurazioni dei secoli diciannovesimo e ventesimo, mi sento di associare Malthus al destino delle Cassandre che hanno ragione, ma vengono maledette per il solo fatto di indicare un problema vero.
Il problema vero, allora come oggi, non è solo l’organizzazione della società, ma la prolificità umana che ha portato questo straordinario primate a popolare ogni possibile nicchia ecologica a partire dalla culla di origine. L’organizzazione della società umana è certamente importante per il modo in cui le emergenze della sovrappopolazione vengono affrontate. Ma non è da ricercare nella struttura socioeconomica la causa dell’exploit ecologico di Homo Sapiens dalla condizione di “Scimmia nuda” a dominatore assoluto del pianeta. Il successo di Homo Sapiens è stato continuo e graduale per millenni. La crescita della popolazione umana è stata lenta e costante con pochissime inversioni, come quella corrispondente ai decenni della peste nera intorno alla metà del XIV secolo, con un tasso di crescita inferiore allo 0,1 %. L’intera storia biologica umana fino al 1800 circa è stata necessaria per raggiungere una popolazione di 1 miliardo di individui. Poi la crescita ha preso il ritmo vertiginoso che tutti conosciamo, ma che non tutti riconoscono come problema, e solo dopo gli anni 80’ il tasso globale ha iniziato lentamente a declinare restando comunque positivo, fatto che assicura una crescita della popolazione globale di 75 milioni di individui ogni anno.
Nei millenni precedenti all’era industriale, la specie viveva con il solo apporto dell’energia solare: quella accumulata nel cibo e nel legno, l’energia idraulica dei corsi d’acqua sfruttata nei mulini, o quella del vento sfruttata nei mulini a vento o con le vele per la navigazione, e infine l’energia animale che dipendeva comunque dall’energia del sole per il mantenimento. In queste condizioni ogni tendenza alla crescita di una popolazione oltre il limite di ricostituzione delle risorse rinnovabili sfruttate nell’ecosistema, cioè quello che si definisce superamento della capacità di carico dell’ecosistema, veniva regolata dalla carestia e dalle malattie. Le guerre potevano essere un effetto della scarsità e causare a loro volta, in un classico ciclo retroazione positiva, ancora più carestie e malattie.
Nel suo Saggio Malthus si confrontava con questa realtà ineluttabile proprio nel momento in cui l’uomo stava scoprendo, con il carbone prima e con petrolio e gas successivamente, una riserva di energia solare accumulata in milioni di anni, estremamente vantaggiosa e immediatamente disponibile. Nei due secoli che seguirono la pubblicazione del Saggio l’uso di questa riserva di energia ha moltiplicato la capacità di carico del pianeta, permettendo l’osservato aumento esponenziale della popolazione umana. E, incidentalmente, smentendo Malthus.
E’ indubbio che la scoperta dei combustibili fossili abbia molti risvolti positivi, essa ha infatti permesso uno straordinario balzo scientifico e tecnologico all’umanità. Ma non ha né eliminato, né attenuato la fame, la miseria e le ingiustizie. Ha spostato gran parte della miseria, o almeno la sua parte più insopportabile, dai suburbi industriali dell’Europa dell’800, alle favelas e alle bidonville del terzo e quarto mondo.
Malthus non ha avuto torto, è stato semplicemente temporaneamente smentito. Rileggere oggi Malthus significa misurarsi con il problema del limite fisico del pianeta e riconoscere che, al di là delle critiche giuste e ingiuste, il suo nome è per sempre legato al riconoscimento del problema creato dalla crescita della popolazione umana in rapporto alle risorse della terra.
Cosa è cambiato oggi a due secoli dal Saggio? Una cosa fondamentale è cambiata, esiste un insieme di tecnologie molto semplici e perciò facili da usare, i metodi anticoncezionali, che messi a disposizione della popolazione femminile insieme agli strumenti culturali per usarli, la cosiddetta educazione alla salute sessuale e riproduttiva, potrebbero rapidamente far convergere il numero di nati per donna ad un livello (diciamo, temporaneamente leggermente al di sotto del valore di rimpiazzo di 2 figli per donna) tale da iniziare la lenta marcia di rientro dolce della popolazione entro limiti sostenibili. Tale marcia non sarebbe, come molti dicono, una iattura, ma una delle poche cose sensate da promuovere con urgenza.
La promessa di una futura transizione demografica delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, come quella osservata in tutti i paesi della vecchia Europa, appare come una delle tante leggende contemporanee. Sappiamo bene che se la popolazione continuerà a crescere non ci sarà alcuna possibilità di sviluppo per nessuno, ma solo un collasso catastrofico. D’altra parte il temuto invecchiamento delle società appare come una benedizione in una fase storica nella quale la tipica aggressività giovanile, adatta alle fasi di colonizzazione, deve lasciar spazio alla saggezza e alla collaborazione, senza le quali i tempi duri che verranno saranno tempi di guerra.
L’obbiezione secondo cui non si possa contrastare lo slancio riproduttivo è infine quella più facile da smentire come ha fatto Robert Engelman nel suo libro More [4]. La realtà infatti dimostra che, quasi ovunque nel mondo, le donne conoscono le potenzialità dei metodi anticoncezionali e sono desiderose di poterli utilizzare non per non fare più figli, ma per avere un controllo sulla propria fertilità. Un diritto per il quale varrebbe la pena di combattere a prescindere dai suoi benefici effetti ecologici.
La sorpresa di scoprire che Malthus aveva molte più ragioni che torti è stata un altro colpo alle certezze accumulate nel corso della mia educazione. Non si deve mai essere troppo convinti di quello che si pensa, perché spesso non si pensa con il proprio cervello anche quando siamo convinti di farlo.


[1] Ugo Bardi, La maledizione di Cassandra, giugno 2005, http://www.aspoitalia.it/archivio-articoli/35-cassandra e L’effetto Necronomicon e i Limiti dello sviluppo. Ottobre 2005. http://www.aspoitalia.it/archivio-articoli/60-quelli-che-gli-dei-vogliono-distruggere-prima-li-fanno-impazzire.

[2] Luca Pardi, Perché un Malthus day? Febbraio 2009.
http://malthusday.blogspot.com/2009/02/perche-un-malthus-day.html

[3] T. R. Malthus, Saggio sul principio di popolazione, Piccola Biblioteca Einaudi Testi, Giulio Einaudi Ed. 1977, Torino.

[4] Robert Engelman, More: Population, Nature and what women want
http://www.worldwatch.org/node/5636.

mercoledì, novembre 26, 2008

La grande discesa

Attenzione: questo è un post molto catastrofista.



A ogni viaggio in aereo, prima di decollare, la hostess si impegna in una piccola pantomima per spiegarti cosa fare in caso di emergenza. Dove sono le uscite di emergenza, cosa fare quando l'aereo si depressurizza, come indossare e gonfiare il salvagente. Quando ti dice che "un sentiero luminoso" ti guiderà verso la salvezza, la cosa comincia a essere preoccupante. Ti viene in mente il "tunnel di luce" che hanno visto quelli che sono stati a un passo dalla morte. La hostess è proprio una gran catastrofista.

Eppure, nonostante la hostess menagrama, vi posso dire che nella mia esperienza di tanti anni di centinaia e centinaia di voli, non mi mai capitato nemmeno del più minimo inconveniente tecnico. Gli aerei sono delle macchine meravigliose; non si guastano mai, o perlomeno così sembra. Però, alle volte, mentre stai in aereo a mangiare il tuo panino di gomma e a bere il tuo caffé al petrolio, non puoi fare a meno di pensare che sotto il tuo sedile c'è il vuoto; chilometri di sola aria e nuvole. Sei seduto, letteralmente, sul niente. Ti viene da pensare anche che, prima o poi, l'aereo dovrà toccare terra per forza e non è detto che lo faccia delicatamente sulla pista dell'aereoporto di destinazione. Forse è con questo pensiero in mente che i passeggeri applaudono quando l'aereo atterra (questo mi fa sempre venire in mente la battuta di non so più chi: "e se l'aereo casca, che fanno, fischiano?)

Qualche volta, purtroppo, qualcosa si rompe per davvero e l'aereo tocca terra secondo una delle tantissime possibili traiettorie che nessuno vorrebbe che seguisse. Mi sono spesso domandato come si sono dovuti sentire i passeggeri dei voli che effettivamente si sono schiantati, quando hanno visto i motori in fiamme, oppure hanno visto l'aereo cominciare a inclinarsi, lentamente e inesorabilmente, verso il basso. Cosa avranno pensato in quel momento? Paura? Rabbia? Incredulità? Mi immagino che uno si domandi "ma perché deve capitare a me, non è giusto!"

Ma, se ti capita una cosa del genere, non serve prenderserla con la hostess per il suo catastrofismo e nemmeno serve che i passeggeri formino un comitato e occupino la carlinga innalzando cartelli di protesta. Puoi solo cercare di ricordarti le istruzioni meglio che puoi e prepararti allo schianto.

Che un aereo in volo debba toccare terra in qualche modo prima è ovvio: il carburante che può imbarcare è in quantità finita. Quella catastrofista della hostess ci ricorda con la sua pantomima la realtà di questo principio fisico. E' per questo che si spendono soldi e sforzi per la sicurezza, per addestrare i piloti, per far si che gli aerei siano sicuri il più possibile. Viene da pensare, però, che se non cadesse un aereo ogni tanto, queste cose la gente finirebbe per dimenticarsele.

Certamente, di queste cose ce ne siamo dimenticati completamente a proposito del sistema finanziario e del "sistema mondo" in generale. Anche il sistema mondo, come un aereo, ha una quantità finita di carburante a disposizione e deve in qualche modo toccare terra, prima o poi. Le conseguenze di questo ritorno a terra potrebbero essere estremamente spiacevoli per i passeggeri del pianeta, ma non ci abbiamo pensato molto sopra. Abiamo costruito tutto come se fosse un aereo che può volare all'infinito; dicendolo esplicitamente e, forse, credendoci anche.

Adesso, con il crollo del sistema finanziario, ci stiamo accorgendo che stavamo seduti sospesi in aria, con chilometri di nulla sotto di noi. Ci stiamo accorgendo della nostra situazione che somiglia sempre di più a un aereo in emergenza; senza pilota e senza nemmeno la hostess che ti racconti del sentiero luminoso. Dove andremo ad atterrare? Speriamo bene e se avete una cintura, allacciatevela.


__________________________________________________

Nota: negli anni '50 si progettavano aerei atomici che sarebbero potuti stare in aria per mesi o addirittura anni. C'era però qualche piccolo problema tecnico e di sicurezza con il fatto di portare un reattore atomico in quota e (per fortuna) non se ne è fatto di niente. Oggi, potremmo pensare a un aereo fotovoltaico che potrebbe effettivamente volare mesi, anni, o anche all'infinito. Però volerebbe molto lentamente e potrebbe portare poco carico. Mi è anche venuta in mente una soluzione tecnologica per far volare gli aerei attuali senza carburante. Eccola qua: portate un grande laser in orbita e alimentatelo con celle fotovoltaiche. Puntate il laser sulle turbine degli aerei in volo e scaldate l'aria in ingresso. Detto fatto, l'aereo vola all'infinito, o perlomeno finché è illuminato dal laser. Non so se l'ha già inventato qualcuno; probabilmente si. Perlomeno so che c'è già una proposta di un'astronave alimentata da un laser a distanza. Forse la cosa migliore di tutte è un dirigibile fotovoltaico. Vai piano e ti godi il panorama.

venerdì, novembre 21, 2008

Che succede all'elefante?


Nella vecchia storia indiana, i ciechi non riuscivano a capire che avevano di fronte un elefante.


Quello che colpisce della situazione attuale è che nessuno se l'era minimamente immaginata. Andate indietro soltanto a Luglio di quest'anno, Se qualcuno avesse parlato di crollo della borsa, gli avrebbero dato di pazzo furioso e tutti gli analisti (cosiddetti) prevedevano il petrolio a 200 dollari al barile (*).

Eppure, la questione dell'andamento delle borse è importante o almeno così sembra. Accendete la televisione la mattina e sentirete che una delle prime cose che vi raccontano è come sono andate le borse - anche prima dei risultati di calcio e dell'oroscopo. Sulla TV satellitaria, ci sono canali e canali dove la gente non parla altro che di quello. Ci sono istituti, dipartimenti universitari, fondazioni, e tante altre cose dedicate soltanto a questo argomento.

Vista la capacità predittiva che hanno dimostrato, mi sembra chiaro che nessuno di questa banda ci capisce gran che, ma in compenso continuano a ragionarci sopra, a fare previsioni e a raccontare che entro un anno o due tutto tornerà a posto. Sembra un po' la vecchia storia indiana dei ciechi e dell'elefante. Ci giravano intorno e lo toccavano da tutte le parti, ipotizzando che la coda fosse un serpente, le zampe dei tronchi d'albero, le zanne dei rami. Ma nessuno riusciva a capire che cos'era.

Eppure, l'elefante è proprio davanti a noi e se ci togliamo gli occhiali che ci rendono ciechi. Il crollo del sistema economico era stato previsto già più di trent'anni anni fa nella prima edizione del libro che in Italia conosciamo come "I Limiti dello Sviluppo" (in realtà, "I Limiti alla Crescita"). Il sistema non crolla per via degli speculatori e non crolla per via dei catastrofisti. Crolla per una combinazione mortale di cause, delle quali la principale è il costo crescente della produzione delle materie prime.

Questa faccenda non è poi tanto complicata: dovrebbe essere chiara anche senza bisogno di aver studiato dinamica dei sistemi. Prendete il petrolio per esempio, la principale materia prima del sistema industriale. Come ti spiegano nel primo anno del corso di economia, il prezzo di una merce è determinato dalla combinazione della domanda e dell'offerta. E' una cosa che sanno anche quelli che barattano pecore e cammelli. Allora, qualcuno vende petrolio, qualcun altro lo compra. Se c'è meno petrolio disponibile, l'offerta cala e il prezzo aumenta. Però, non c'è solo l'offerta. Se il petrolio costa troppo caro, i compratori non lo vogliono più - allora il prezzo cala.

Quindi, i prezzi alti o bassi non sono soltanto un indicazione dello stato dell'offerta. Ovvero, il fatto che il prezzo del petrolio sia basso non vuol dire che di petrolio ce ne sia in abbondanza. Vuol dire soltanto che, nel rapporto fra domanda e offerta, in questo momento la caduta della domanda è il fattore prevalente. C'è anche un nome per questo fenomeno che trovate scritto nei libri di economia: si chiama "distruzione della domanda". Non c'è dubbio che la domanda sia stata distrutta bene dalla fase di prezzi stellari della prima metà del 2008.

Allora, tutto ha una logica: i prezzi sono il risultato del feedback fra domanda e offerta. I sistemi a feedback tendono a entrare in oscillazioni periodiche, ed è esattamente quello che vediamo per i prezzi del petrolio e per l'andamento della borsa. Le oscillazioni dipendono dal tipo di sistema che ha una sua costante di tempo. Per comprare o vendere azioni ci vogliono dieci secondi - nessuna meraviglia che le oscillazioni siano così forti e rapide. Per mettere in produzione un nuovo giacimento petrolifero, invece, ci vogliono anni di lavoro. La produzione non segue le stesse oscillazioni dei prezzi - è un sistema "smorzato" che oscilla anche quello ma su tempi di decine di anni.

Tuttavia, ultimamente trovo sempre gente che mi guarda con aria bovina e mi dice, "ma se il prezzo si abbassa, allora non era vero nulla della storia del picco del petrolio!". Questo proprio nel momento in cui il crollo delle borse sta distruggendo la capacità dell'industria di investire in nuove ricerche e nuovi sfruttamenti. Ed ecco l'elefante: il picco del petrolio. Ma questi qui continueranno a tastare senza rendersi conto di cosa stanno tastando.

Questo povero elefante è veramente in cattive mani.

_____________________________________________________

(*) Per la verità, c'era un tale che aveva previsto il crollo dei prezzi del petrolio. Il 21 Febbraio del 2008, questo signore aveva scritto: "Se cala la domanda, i prezzi si abbassano e questo è quello che potrebbe succedere. Il prezzo del petrolio potrebbe rientrare anche sotto i 50-60 dollari al barile" Doveva essere uno che di elefanti se ne intende!

venerdì, novembre 14, 2008

Con o senza limiti? Efficienza, compatibilità e sufficienza



created by Gianluca Ruggieri

[Dipartimento Ambiente-Salute-Sicurezza
Facoltà di Scienze MM.FF.NN.
Università degli Studi dell'Insubriavia VARESE]


Le sfide che attendono le prossime generazioni sono ormai riconosciute a tutti livelli. In particolare l’esaurimento delle risorse fossili e il cambiamento climatico sono fenomeni ormai acclarati. Sono sempre meno numerosi gli studiosi che li negano, anche se continuano ad avere un ampia risonanza sugli organi di informazione (si veda per esempio Stefano Caserini “A qualcuno piace caldo. Errori e leggende sul clima che cambia”, Edizioni Ambiente, 2008).

Altri gravi fenomeni come la sovrappopolazione, il depauperamento dei suoli, l’esaurimento delle risorse d’acqua potabile, sono meno dibattuti ma altrettanto critici.
Le possibili strategie per affrontare queste sfide sono numerose, ma tutte in qualche modo si confrontano con i limiti della "capacità di carico" del pianeta. Spesso questo confronto rimane tra le premesse implicite che caratterizzano i singoli approcci: possiamo identificare in linea di massima due possibili atteggiamenti.
Il primo è quello di negare de facto che l’umanità si debba confrontare con dei limiti. È il tipico atteggiamento delle grandi agenzie internazionali, dei governi e degli enti sovranazionali. Sulla base di questa premessa si individuano gli scenari tendenziali (Business as Usual, BaU), e le possibili politiche di intervento vengono definite in base alla linea tendenziale.
Se per esempio consideriamo i consumi energetici globali, questo approccio sottintende che sia possibile continuare ad aumentarli indefinitamente. In particolare questo aumento potrà essere lineare (ogni anno si aumenta della stessa quantità) o addirittura esponenziale (ogni anno si aumenta della stessa percentuale). Tuttavia, se vengono messi in atto degli interventi volontari di riduzione, possiamo in qualche modo controbilanciare il possibile aumento previsto. In questo modo ad esempio è possibile considerare positivo un intervento che mantiene costanti i consumi nel tempo, perchè senza l’intervento sarebbero invece aumentati.
Questo approccio è adottato dall’Unione Europea, per esempio nella Direttiva 32 del 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici, oppure nel piano 20-20-20. Gli obiettivi di efficienza energetica sono definiti rispetto allo scenario BaU, quindi ad esempio uno Stato Membro potrebbe raggiungere i propri obiettivi di 20% di incremento di efficienza, e contemporaneamente aumentare i propri consumi.
Mi è capitato personalmente di adottare questo approccio durante lo studio per Greenpeace cui ho partecipato lo scorso anno. In quel caso era il modello di calcolo utilizzato che considerava la domanda di energia elettrica come un dato esogeno e in costante aumento.
Un atteggiamento invece opposto è quello che deriva dall’avere adottato interamente il concetto di limite, nel dipanarsi degli scenari. Il concetto di limite fu portato al centro del dibattito scientifico mondiale tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Fondamentale fu l’iniziativa del Club di Roma, che diede origine al rapporto “The Limits to Growth” realizzato da un gruppo di ricercatori del MIT di Boston (Donella H. Meadows, Dennis l. Meadows, Jorgen Randers, William W. Behrens III) e pubblicato nel 1972. Negli stessi anni venivano sviluppati tra gli altri i lavori di Nicholas Georgescu-Roegen (per esempio “The Entropy Law and the Economic Process” del 1971 e “Energy and economic myths” del 1976) e quelli di Ernst Friedrich Schumacher (“Small Is Beautiful: A Study of Economics As If People Mattered” del 1973). Di poco successivo il lavoro di Herman Daly che a partire dal 1977 ha lavorato al concetto di economia dello stato stazionario. Curiosamente questi percorsi che derivano da discipline e approcci diversi giungono a conclusioni analoghe.


L’opera di questi pionieri non tardò ad affermarsi e fece strada a diverse azioni concordate a livello internazionale. In particolare il lavoro della Commissione Bruntland portò nel 1987 a definire lo Sviluppo sostenibile (Sustainable Development) come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Il concetto di Sviluppo sostenibile però rimane inadeguato: intanto perchè troppo generico poi perchè tende a rivitalizzare il concetto di sviluppo, criticato profondamente da molti autori. Si veda ad esempio “Dizionario dello sviluppo” a cura di Wolfgang Sachs, EGA, 1998 che raccoglie gli interventi di Marianne Gronemeyer, Ivan Illich, Gérald Berthoud, Majid Rahnema, Arturo Escobar, Barbara Duden, Majid Rahnema, Jean Robert, José María Sbert, Vandana Shiva, Claude Alvares, Serge Latouche, Ashis Nandy, Gustavo Esteva, Otto Ullrich, C. Douglas Lummis, oltre che dello stesso Sachs.

Negli ultimi anni sono però diverse le iniziative che derivano dal tentativo di rispondere alle esigenze di benessere globale, mantenendoci all’interno dei limiti fissati dalla nostra biosfera. Tutti in qualche modo tendono ad applicare l’approccio “Contraction and Convergence” tradotto in italiano come contrazione e convergenza. L’approccio C&C prevede che i paesi che oggi sono i maggiori emettitori di gas serra vadano a diminuire le loro emissioni fino a convergere ai livelli del resto del mondo. Il concetto sviluppato riguardo alle emissioni di gas serra, è poi applicabile anche in altri campi.

Come ricorda il Wuppertal Institut in “Per un futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale”, Feltrinelli 2007 il modello C&C “contraddice due presupposti alla base dell’economia della crescita: in primo luogo la credenza diffusa che lo sviluppo economico sia subordinato a un grande consumo di risorse (...) e in secondo luogo, l’opinione che il benessere delle persone aumenti di pari passo con i consumi”.
Tra una iniziativa e l’altra vi sono molte differenze, una delle più importanti è la determinazione del limite di sostenibilità che risulta diversa per diversi autori. Tra gli altri è possibile citare:
- La società a 2000 W (2000-Watt-Gesellschaft) proposta da alcuni ricercatori dell’ETZ il Politecnico di Zurigo;
- “Cento watt per il prossimo miliardo di anni” volume di Erika Renda e Luigi Sertorio;
- L’approccio Factor Four del Wuppertal Institut ovvero come raddoppiare il benessere e dimezzare l'impatto ambientale moltiplicando per quattro l'efficienza della produzione, proposto anche in “Fattore 4. Come ridurre l'impatto ambientale moltiplicando per quattro l'efficienza della produzione” L. Hunter Lovins, Amory B. Lovins, Ernst U. von Weizsacker, Edizioni Ambiente 1998;
- Il Piano B di Lester Brown dell’Earth Policy Institute liberamente scaricabile dal web nella sua traduzione italiana, “Piano B 3.0 - Mobilitarsi per salvare la Civiltà” Edizioni Ambiente 2008;
- Il concetto di impronta ecologica applicabile alle economie di intere nazioni, ma anche agli stili di vita personali di ciascuno di noi, presentato nella nuova edizione di “L'Impronta Ecologica - Come ridurre l'impatto dell'uomo sulla Terra” di Mathis Wackernagel, William E. Rees, Edizioni Ambiente 2008;
- Il modello dell’autonomia energetica di Hermann Scheer che tende ad accorciare le filiere dell’approvvigionamento energetico, così che ogni territorio possa fare i conti solamente con le risorse energetiche effettivamente disponibili: anche in questo caso Edizioni Ambiente ha pubblicato i lavori di Scheer, “Autonomia energetica Ecologia, tecnologia e sociologia delle risorse rinnovabili” del 2006 ma soprattutto “Il solare e l'economia globale - Energia rinnovabile per un futuro sostenibile” del 2004.
A questi si può aggiungere l’approccio del movimento della Decrescita, a partire dai lavori di Georgescu-Roegen fino a quelli di Serge Latouche, Mauro Bonaiuti e Maurizio Pallante, che però non determina degli obiettivi quantitativi globali ma piuttosto delle pratiche concrete.
Ovviamente ognuno di questi approcci meriterebbe un’analisi approfondita che non è possibile limitare a questo post.

In ogni caso, qualunque sia l’approccio adottato, si giunge alla conclusione che le strategie ricorrenti di fatto sono tre: efficienza, compatibilità e sufficienza. Come perfettamente sintetizzato ancora una volta dal Wuppertal Institut in “Per un futuro equo”:
“Efficienza significa ridurre l’uso di materiale ed energia in ogni merce o prestazione grazie a una tecnologia e un’organizzazione ottimizzate, grazie al riciclaggio e alla limitata produzione di rifiuti. (...) la strategia di efficienza rappresenta un ottimo battistrada sulla via della sostenibilità, ma mostra i propri limiti appena l’aumento del volume delle merci e dell’impiego di energia supera quello che si risparmia.
La compatibilità invece rappresenta il connubio tra natura e tecnologia. Il principio cardine è che i metabolismi industriali non devono danneggiare quelli della natura (...) Inoltre vale la regola per cui in un sistema intelligente non esistono rifiuti, solo prodotti. (...)
Ma anche la strategia della compatibilità non è una panacea. (...) Le tecnologie informatiche finora non hanno portato a un minore ma a un maggiore consumo di materia ed energia. (...)
La sufficienza a sua volta ci interroga su quanto sia abbastanza, su cosa possano tollerare realmente l’economia e gli esseri viventi. (...) mentre efficienza significa fare le cose nel modo giusto, sufficienza equivale a fare le cose giuste.”
Efficienza, compatibilità e sufficienza. Le tre strade per la sostenibilità sono tutte necessarie: nessuna è sufficiente. Tutte condividono qualche limite, e solo ragionando in maniera integrata e cercando di applicarne i principi contemporaneamente possiamo pensare di affrontare le crisi all’orizzonte tramutando i problemi in opportunità.

----------------
Grazie a Terenzio Longobardi e Marco Pagani per i preziosi suggerimenti




[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

venerdì, ottobre 24, 2008

Ma non avranno mica avuto ragione quei catastrofisti del club di Roma?


Guardate questo grafico. E' quello originale dell'edizione del 1972 dei "Limiti dello Sviluppo" di Meadows e altri che era stato sponsorizzato dal Club di Roma. Si, proprio quello studio tanto vituperato e insultato per aver clamorosamente "sbagliato le previsioni"

Guardatelo bene. Vedete il collasso della produzione industriale e della produzione agricola? Interpolate un po' la scala dei tempi e calcolate per quando era atteso. Più o meno, era previsto che saremmo stati in pieno collasso verso il 2020. Ma, ben prima, la crescita economica avrebbe dovuto cominciare ad arrestarsi, diciamo, verso il 2010 o un po' prima.

Ora, come vi aspettate che potrebbe avere inizio la fase di arresto della crescita economica, preludio al successivo declino? Beh, nei termini che usiamo oggi, si parlerebbe di "recessione". Ma per avere una bella recessione bisogna che il meccanismo che finanzia la crescita si inceppi. Ovvero, ci aspetteremmo che l'inizio del collasso fosse una bella crisi finanziaria che rimuova dalla circolazione i capitali necessari per finanziare la crescita. Questa crisi dovrebbe arrivare un po' prima del 2010.

Bene. Siamo nel 2008 e...............


(nota: l'edizione del 2005 de "I limiti alla crescita" continuava a prevedere l'inizio del collasso per il 2010-2020)

sabato, luglio 05, 2008

Berlinguer ti voglio bene

Molti si sorprenderanno, ma Enrico Berlinguer si può sicuramente annoverare tra i precursori del movimento ecologista italiano. Andiamo a rileggere alcuni passaggi dei suoi interventi al Teatro Eliseo di Roma (1977) e al Teatro Lirico di Milano (1979) che delineavano la cosiddetta politica dell’austerità:

“…Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che occorre dare un senso e uno scopo a quella politica di austerità che è una scelta obbligata e duratura, e che, al tempo stesso, è una condizione di salvezza per i popoli dell'occidente, io ritengo, in linea generale, ma, in modo particolare, per il popolo italiano. L'austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l'austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi. Per noi l'austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell'individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L'austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata…”
“…L’austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana. (...) La politica di austerità … può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e di privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura.”

Queste parole profetiche e straordinariamente attuali, nascevano da un clima culturale e scientifico caratterizzato e profondamente influenzato dalla prima crisi petrolifera degli anni ’70 e dall’uscita del celebre “The Limits to Growth”, di Donella e Dennis Meadows e Jorgen Randers, tradotto male in italiano “I limiti dello sviluppo” invece che “I limiti della crescita”, lo studio scientifico basato sulla “Dinamica dei sistemi”, commissionato dal Club di Roma presieduto da Aurelio Peccei. Lo studio (e le due versioni successive), attraverso gli scenari disegnati dal modello di calcolo per computer “World 3”, concludeva che se non fossero state intraprese azioni adeguate da parte dell’umanità per modificare il modello di sviluppo, sarebbero stati superati nei primi decenni dell’attuale secolo i limiti fisici del pianeta, determinando la crisi e il collasso del sistema. Non è questa la sede per entrare in un’analisi approfondita dei contenuti dello studio, che però chiunque si definisca ecologista dovrebbe aver già letto, ma è utile sintetizzare le tre azioni, ritenute tutte imprescindibili dagli autori, per invertire la tendenza al superamento e al collasso: 1) politiche demografiche basate sull’obiettivo due figli a coppia, 2) innovazione tecnologica orientata all’uso efficiente dell’energia, 3) fine della crescita economica illimitata e redistribuzione delle risorse tra paesi ricchi e poveri. Il nuovo modello di sviluppo conseguente a questa strategia fu definito dello “stato stazionario” per indicare efficacemente l’impossibilità di una crescita infinita su un pianeta finito.
Sappiamo cosa avvenne dopo la pubblicazione dello studio: fu messo al rogo, con motivazioni false e vere e proprie menzogne, da una massa di sedicenti esperti, in parte sembra assoldati dalle compagnie petrolifere mondiali, in parte economisti classici che non avevano neanche letto il libro ma vedevano confutate le basi della loro religione laica. La fine della prima crisi petrolifera fece il resto, e il mondo riprese la folle corsa della crescita infinita.
Anche il movimento ecologista ha subito un’evoluzione che ha seguito il dipanarsi di queste vicende. Da movimento fortemente critico nei confronti di un modello di sviluppo non sostenibile, ha gradatamente interiorizzato l’ineluttabilità dell’attuale modello economico, relegando l’ecologia in un ruolo di semplice contrasto agli effetti di tale modello, attraverso la promozione di tecnologie appropriate per migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse. Obiettivo certamente necessario ma non sufficiente, come ci ricorda “I limiti dello sviluppo”, ma anche il Secondo principio della termodinamica, che stabilisce un limite alla crescita dell’efficienza energetica, oltre il quale la tecnologia diventa impotente di fronte agli effetti perversi di una continua crescita economica.
Attualmente stiamo vivendo una seconda ma ben più insidiosa crisi petrolifera perché la difficoltà nell’offerta di greggio che si era verificata anche negli anni ’70 dello scorso secolo, questa volta non può essere contrastata con nuovi investimenti e scoperte di nuova capacità estrattiva, in quanto sarebbe stato raggiunto il cosiddetto “Picco di Hubbert”, oltre il quale si determina un calo graduale e irreversibile della produzione della risorsa. In altre parole, la crescita esponenziale dei prezzi del petrolio innescatasi dalla fine del 2001, potrebbe non più arrestarsi, con le gravissime conseguenze che già stiamo cominciando ad avvertire in vari comparti economici. Anche altri segnali sembrano indicare l’approssimarsi di una crisi senza precedenti, l’aumento dei prezzi di molte altre materie prime (a partire dall’uranio), la crescita dell’erosione dei suoli, i cambiamenti climatici ecc.
E’ probabile che a questo punto sia troppo tardi per evitare la crisi preconizzata quasi quarant’anni fa, ma si può cercare di limitarne gli effetti devastanti, attraverso una profonda riorganizzazione della società verso modelli meno consumistici e dissipativi, affrontando una radicale riconversione di alcuni settori economici, in primis quello dei trasporti. E riabilitando sul piano politico Berlinguer e la sua lungimiranza.

mercoledì, luglio 02, 2008

L'effetto Cassandra di Luca Mercalli

Luca Mercalli ci manda questa sua riflessione sulla nostra attuale situazione


Sul problema dell'esaurimento delle risorse e della crisi energetica incalzante, si dice che spesso c'è un deficit di informazione. Io non credo che sia così. E' vero che di informazione corretta non se ne fa mai abbastanza, ma da alcuni anni anche in Italia si parla molto di clima, di energia, di necessità di cambiare stili di vita e così via, parole cui tuttavia non fanno seguito adeguate reazioni da parte della
politica nazionale e della società civile.

Il problema credo che sia più di tipo psicologico: non recepiamo ciò che non vogliamo sentire e a cui non vogliamo credere.

Come modesta testimonianza riproduco qui sotto il testo di un mioarticolo uscito il 6 maggio 2007 su Repubblica, circa 800.000 copie di tiratura, in grado di arrivare a un buon numero di intellettuali, politici, tecnici e imprenditori, persone insomma che fanno parte della classe dei "decisori" di un paese, o comunque di coloro che possono influenzarli.

Come non fosse mai stato scritto. Non un commento, se volete pure negativo, non una volontà di saperne di più, un dibattito. Silenzio totale. Tutto ciò che è scritto calza con quanto stiamo vivendo oggi, potrei ripubblicarlo tal quale.

Con la differenza che abbiamo perso un altro anno...

______________________________________________________________________

La nostra utopia quotidiana, di Luca Mercalli La Repubblica, domenica 06.05.2007

La visione fideistica della scienza e del progresso ci ha abituati a pensare che ogni problema abbia una soluzione. Ciò è vero quando si tratta di cambiare il frigorifero, lo è meno quando si entra in un ospedale per un malanno, non lo è per nulla quando i problemi da risolvere sono quelli globali della crisi climatica ed energetica. Però, il fatto che questi ultimi non siano immediati, induce a considerarli alla stregua del frigorifero: qualcuno certamente troverà una soluzione, e chi mette sull’avviso che forse non è così scontato, è bollato di
catastrofismo.

In realtà da decenni circolano nella comunità scientifica analisi rigorose e credibili che avvertono come i cambiamenti climatici, l’esaurimento del petrolio e di altre risorse naturali, l’aumento della popolazione e delle disparità sociali, siano altrettante bombe innescate pronte a esplodere in rapida sequenza, amplificando i danni. Ma in genere si rimuove tutto rifugiandosi nel classico effetto Cassandra, dimenticando che la sfortunata aveva comunque ragione. E’ questa la sorte toccata pure ad un eccellente esercizio scientifico voluto da un grande manager italiano, Aurelio Peccei, animatore del Club di Roma, che nel 1972 pubblicò il rapporto “I limiti dello sviluppo” in collaborazione con il MIT di Boston. Ancora oggi si vitupera questo studio come non veritiero. Chi parla, in genere non l’ha nemmeno letto.

Oggi è in libreria per gli Oscar Mondadori l'edizione aggiornata “I nuovi limiti dello sviluppo”, quello che considero il manuale di istruzioni del pianeta Terra: ad oltre trent’anni di distanza i conti riveduti e corretti portano sempre al collasso della società se non si cambia rotta in tempo. Jared Diamond ha sviluppato il tema su base storica in “Collasso” (Einaudi), mostrando come è piuttosto comune che nel passato alcune civiltà abbiano ignorato i segni di cambiamento e si siano estinte. Oggi viviamo in un villaggio globale e uno scacco coinvolgerebbe tutti. Sui cambiamenti del clima basta concedere un po’ di attenzione ai rapporti dell’IPCC, che è un’Agenzia delle Nazioni Unite, non un covo di no-global; sulla crisi del petrolio basta guardarsi il film svizzero “A crude awakening” (www.oilcrashmovie.com) o visitare il sito di ASPO, l’associazione per lo studio del picco del petrolio (www.peakoil.net) che ha pure una sezione italiana. E se non basta, quale fonte più autorevole dell’Unione Europea? La sua agenzia ambientale (Eea), con sede a Copenhagen, ha elaborato il progetto Prelude, scenari per l’Europa del 2030 (www.eea.europa.eu/prelude). Per capire che il collasso non è escluso, bastano alcuni titoli: Big Crisis, Great Escape… Insomma, un problema lo si inizia a risolvere considerandolo. Lo si studia, lo si affronta e ci si prepara psicologicamente.

Io e mia moglie lo stiamo facendo da anni, con soddisfazione economica, rofonda motivazione e perfino divertimento. Abbiamo il tetto ricoperto di pannelli solari, abbiamo sostituito un anonimo prato all’inglese con un fiorentissimo orto, abbiamo applicato l’isolamento termico al solaio e installato vetri doppi e stufa a legna, conserviamo l’acqua piovana, evitiamo i centri commerciali e riduciamo i nostri acquisti inutili, facciamo una raccolta differenziata spinta, ntessiamo con il vicinato rapporti di cooperazione invece che di competizione, conserviamo saperi antichi amalgamandoli con tecnologie moderne. La nostra Utopia è già realtà, non serve essere né eremiti né invasati, basta essere realisti, attenti ad un mondo che cambia rapidamente e che domani sarà molto diverso rispetto a quanto vogliono farci credere gli spot pubblicitari. Se non vogliamo che il medioevo di Utopia prenda brutalmente il sopravvento, dobbiamo prima di tutto fare un esercizio psicologico per uscire dal circolo vizioso tipo “la tecnologia ci salverà”, provare a mettere in dubbio qualche certezza, e riacquistare il contatto con il mondo fisico e i suoi limiti. Non viviamo in un videogioco, ma su un pianeta fatto di aria, acqua, rocce, foreste, batteri, petrolio e carbone, il tutto regolato da leggi fisiche ferree. Vinceranno quelle se non sapremo dare una volta all’uso delle risorse. Il tragico destino di Utopia non si realizzerà solo se noi metteremo in pratica ogni giorno un pezzetto dei suoi addestramenti.

Del resto, tra gli scenari di Prelude, c’è pure “Evolved Society”, un mondo dove non esisterà più il minaccioso e rombante Suv, ma disporremo tutti di una sobria abitazione a energia rinnovabile e di un computer in rete con il quale condividere conoscenza e promuovere la convivialità. Non è un’utopia sognare un mondo migliore.

lunedì, marzo 10, 2008

La Maledizione di Cassandra



Immagine: Cassandra incontra il destino usuale di quelli che esprimono verità scomode


Ho postato Sabato su "The Oil Drum" una nota intitolata "La Maledizione di Cassandra". E' la storia della demolizione del lavoro dei "Limiti dello Sviluppo", il libro "maledetto" pubblicato nel 1972 da un gruppo di ricercatori del MIT che faceva capo a Dennis Meadows.

Nel post, racconto la storia di come lo studio fu ricevuto e di come, gradualmente, la reazione fini' col distruggerlo a furia di bugie e parzialità; è lo stesso destino di Cassandra che aveva sempre ragione e che non era mai creduta. E' stato un successo incredibile di un'operazione propagandistica che ancora oggi porta quasi tutti a credere che le previsioni del libro fossero "sbagliate"

Oggi la visione dello studio "I Limiti dello Sviluppo" sta cambiando nuovamente e molti si sono accorti che le predizioni del 1972 non erano affatto sbagliate, anzi si stanno rivelando profetiche. Purtroppo, potrebbe essere troppo tardi per evitare il collasso economico che lo studio riteneva possibile per i primi anni del ventunesimo secolo



Potete leggere una versione in Italiano di questa storia nel sito aspoitalia.net






[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]